mercoledì 30 novembre 2011

BUONGIORNO LOS ANGELES

(Bright shiny morning, di James Frey, 2008)

Molto spesso, di fronte a opere provenienti dagli Stati Uniti d'America generalmente riconosciute come importanti o per lo meno influenti e ben riuscite, si usa riempirsi la bocca di Grande Romanzo Americano (magari tutto con le maiuscole). Ora, chi conosce una definizione ben precisa di GRANDE ROMANZO AMERICANO alzi la mano (o magari lasci un commento che ad alzare la mano da soli davanti al monitor potreste sembrare stupidi). Io non so chi conosce le caratteristiche necessarie a un romanzo per entrare nella suddetta categoria e, a parte l'essere americano, io non le conosco di sicuro. Eppure ci si imbatte in queste tre parole con discreta frequenza, le si userà sempre a proposito? E chi lo decide? Visto che i contorni della definizione mi sembrano labili ho deciso di prendermi la libertà di definire questo romanzo di James Frey Grande Romanzo Losangelino, giusto per rimanere sul modesto. Vero è che tutto il/i racconto/i è permeato dal sogno, quello Americano, quello di chi cerca una vita migliore, quello di chi cerca celebrità, quello di chi cerca la nuova Terra Promessa, quello di chi ancora non sa cosa cerca. Quello di chi è in cerca. Vero è anche che tutti questi sogni, concreti o meno che siano, convergono inevitabilmente a ovest, verso una delle aree metropolitane più estese degli Stati Uniti, quella della Los Angeles County. Non ci troviamo di fronte al classico romanzo lineare, le storie narrate si accavallano l'una sull'altra, inframezzate da brevi paragrafi che illustrano per sommi capi la storia della città di Los Angeles già El Pueblo de Nuestra Senora la Reina de Los Angeles de Porciuncula. Oltre alla storia della città e alle storie dei personaggi narrati in questo GRANDE ROMANZO LOSANGELINO, Frey apre grandi e gustose parentesi su tutto ciò che rende Los Angeles la metropoli che è, su tutto quello che attira in un moto perpetuo migliaia di Americani (e non solo) verso la città, su tutto ciò che fa nascere speranza, illusione, miraggio, sogno e su tutto ciò che molte volte, ma non sempre, le abbatte. L'industria del cinema, l'industria del porno, il mondo della moda, il mondo dei senzatetto, la vita dei Vip, quella dei membri delle gang, il clima sempre perfetto, la piaga del traffico perenne, il mare e il surf, le colate di cemento e le grandi autostrade, l'amore, la violenza. Un coacervo di fattori che ogni anno fungono da richiamo per gente e per nuove storie. E la città continua a crescere. Sul lungomare di Venice, Old Man Joe sopravvive. Vive nei pressi dei cassonetti e passa la notte in un bagno all'esterno di un locale. Il suo bagno. Forse cerca l'occasione per combinare qualcosa di buono. Amberton Parker è una stella del cinema action, sposato con la bella Casey attrice anche lei. Tre figli una vita perfetta. Amberton ama i ragazzi, piacenti, giovani. Casey ha un'amica speciale. Esperanza è una cittadina di Los Angeles, americana figlia di immigrati messicani. E' una bella ragazza con delle cosce molto grandi. Cerca il suo posto in questa vita, un lavoro, un amore. Dylan e Maddie fuggono verso il sogno. Fuggono da Bucodiculo, Ohio. Fuggono da genitori violenti, dal disprezzo, dall'assenza di prospettive. Si conoscono da sempre e fuggono verso un sogno d'amore e di speranza. Alternate alle loro altre storie, accennate, appena intraviste, tutte a comporre il grande mosaico finale. Un mosaico senza la quadratura del cerchio, aperto come la vita. La scrittura di Frey non è immediata, spesso priva della necessaria punteggiatura crea periodi poco usuali e a tratti stranianti. Entrati nel meccanismo il romanzo fila senza difficoltà e giunti alla fine del viaggio ne sarà valsa la pena.
   

martedì 29 novembre 2011

BACK TO THE PAST: 1972 PT. 4

Ancora rock spaziale grazie a David Bowie. Dall'album Ziggy Stardust una delle canzoni più celebri e sfruttate dell'artista britannico. Dopo Space Oddity si torna nello spazio grazie a Starman.



Rimaniamo legati a Bowie che nello stesso 1972 si opera come produttore per l'oggi poco conosciuto gruppo rock britannico Mott the Hoople. Credendo fortemente nelle potenzialita del combo cede loro il pezzo All the young dudes che arriverà ai posti alti delle classifiche. Gruppo stimato da molti colleghi avrà anche i Queen come supporting-act live. Ascoltatevi il pezzo, il giro di chitarra e ditemi se questi ragazzi non hanno fatto colpo anche sugli Oasis.



Insieme ai Lynyrd Skynyrd sono tra i gruppi più influenti del Southern rock e tra i gruppi più sfortunati e colpiti da tragedie. Gli Allman Brothers nei primi anni '70 sono al loro apice grazie al successo riscosso dall'album At Fillmore East. Del 1972 questa Ain't wastin time no more, quasi un inno a esorcizzare la morte del compianto Duane Allman.



Schiacciamo il pedale sull'acceleratore, nel '72 i Deep Purple sono attivi con una delle loro formazioni migliori. Indimenticabile il brano Highway star.



Inno di tutti gli studenti del mondo è l'ormai mitica School's out (come non condividerne l'entusiasmo) di Alice Cooper. Pare che a una domanda fattagli da un giornalista su quali fossero i tre migliori minuti della vita Cooper rispose: arrivano due volte (l'anno?): la mattina di Natale, i tre minuti prima dell'apertura dei regali e gli ultimi tre minuti d'attesa dell'ultimo giorno di scuola. Non male come scelta.

lunedì 28 novembre 2011

X-MEN LE ORIGINI: WOLVERINE

(X-Men origins: Wolverine, di Gavin Hood, 2009)

Dopo il terzo episodio dedicato agli X-Men (Conflitto finale), il peggiore del lotto, ci si affida alla popolarità di Wolverine e del suo interprete Hugh Jackman per risollevare le sorti cinematografiche dei mutanti. Se gli intenti erano buoni il risultato finale lo è molto, molto meno. Il primo problema della pellicola è la troppa carne al fuoco e il poco spazio per approfondire i vari temi accennati nel film. Inoltre, fatto assai grave, gli avversari del protagonista non hanno un briciolo del carisma che Ian McKellen metteva nell'interpretare la figura di Magneto nei film precedenti. Come dicevo molti gli spunti e, di conseguenza, molte le ispirazioni prese dal fumetto e altrettante le incongruenze con la storia cartacea del mutante canadese. Nella sequenza iniziale il regista (o gli sceneggiatori) si rifà alla miniserie Wolverine: origins dove veniva narrata la genesi del personaggio e dove per la prima volta, dopo anni e anni di attesa, ai fan del mutante artigliato veniva svelato il vero nome dello stesso. Nel film è liquidato tutto in pochi minuti, tutta la questione sull'identità del personaggio che nei comics aveva creato un notevole hype viene sviluppata in poche battute. Segue forse la sequenza più interessante del film, quella dei titoli di testa, durante la quale vediamo Logan e il suo fratellastro Victor passare indenni le varie guerre del secolo scorso senza invecchiare di un solo giorno. Non male. Da qui in poi salvo poco. Personaggi di contorno sui quali non sappiamo praticamente nulla, scontri poco entusiasmanti, trama risaputa. I fan del personaggio si divertiranno un po' di più nel riconoscere personaggi e situazioni comunque spesso in contraddizione non solo con la storia narrata nei comics ma anche con quella degli altri film dedicati agli X-Men. In poche parole: il piccolo James Howlett scopre di essere figlio del fattore di casa e non di quello che ha sempre creduto essere suo padre. Nella stessa terribile notte apprende così che l'odioso Victor (Liev Schreiber) è il suo fratellastro e di essere un mutante capace di sfoderare tre artigli d'osso per ognuna delle sue mani (che nonostante James sia un mutante restano comunque due, per un totale di sei artigli. NdR). Dopo aver affrontato con il fratellastro tutte le guerre che il secolo ha messo a disposizione, in tempi moderni ritroviamo i due affiliati a un super-gruppo governativo comandato da Striker. Al suo interno membri come il futuro Blob, John l'apparizione, Bolt (Dominic Monaghan) il mutante Zero e l'indifendibile Deadpool (Ryan Reynolds). Schifato dalle missioni affidate al team, Logan si ritira sulle montagne canadesi dove avvia una relazione con la maestra Volpe d'Argento. Dal passato torna però qualcuno che sta eliminando i vecchi componenti della squadra, tutta la vicenda porterà all'esperimento Arma-X durante il quale il futuro Wolverine acquisirà l'adamantio sulle ossa. Dai comics Marvel sono stati tratti degli ottimi adattamenti, il film in questione sicuramente non è tra questi. Ovvio che se siete proprio fan va visto anche questo. A differenza dei primi film dedicati agli X-Men per i quali potevamo parlare anche di recitazione grazie a gente come Ian McKellen e Patrick Stewart, qui possiamo tranquillamente lasciar perdere.
   

venerdì 25 novembre 2011

VISIONI 29

Strano soggetto quello scelto dall'artista di Seattle Rachel Maxi per questa serie di dipinti.

Sul suo blog potete trovare altre opere della ragazza, scorci, dipinti floreali, suburbia, veicoli e quant'altro.

Io però volevo fortemente proporvi i suoi cassonetti.

Originali, n'est pas?















giovedì 24 novembre 2011

IL GIORNO DELLA LOCUSTA

(The day of the locust, di John Schlesinger, 1975)

Guardando Il giorno della locusta mi è subito balzato all'occhio una specie di filo conduttore tra questa pellicola e Un uomo da marciapiede, altro bellissimo film di Schlesinger. La distruzione del sogno, quello americano se vogliamo, ma non solo e non necessariamente. La pura e semplice distruzione di un sogno, probabilmente ingenuo come quello di Joe Buck del marciapiede di cui sopra, ma che quando va in frantumi fa male e lascia il segno. Schlesinger non ammanta i suoi film d'ottimismo e forse non è conosciuto dal grande pubblico per quello che meriterebbe (suo anche Il maratoneta con Dustin Hoffman). Non sono film immediati e facilmente digeribili i suoi ma sono sicuramente opere dense di contenuto a livello psicologico e concettuale. In questa pellicola la sensazione è più della storia, la trama un veicolo e non un fine. E' la distruzione, l'ingenuità del sogno che si trasforma nell'orrore dell'incubo. E non rimane più nulla se non la solitudine. Il sogno di Joe Buck di lasciare il paesello per trovare una vita migliore nella metropoli (New York) in Un uomo da marciapiede, si trasforma qui in illusione collettiva, nel miraggio offerto dalla mecca del cinema, Hollywood(land), Los Angeles. Fay Greener (Karen Black) è un'attricetta con pochi contatti e scarse doti in cerca di gloria, piacente a suo modo, capace d'esser scontrosa e sensuale. Nello stesso complesso abitativo dove lei risiede arriva il disegnatore Tod (William Atherton) che cerca un posto al sole tra le maestranze di una casa cinematografica e si invaghisce di Fay. La stessa vive con il padre Harry (Burgess Meredit) in cerca di un riscatto per un passato ormai lontano. La ragazza fa perdere la testa anche a un grandissimo Donald Sutherland che interpreta il socialmente disadattato Homer Simpson. Ognuno di questi personaggi ha un sogno e un destino. Il sogno cambia, il destino è comune. Disillusione? Solitudine? A qualcuno andrà anche peggio. Il cast è assolutamente all'altezza e pieno di nomi poco noti con volti riconoscibili. A parte l'indiscutibile Sutherland (padre, precisiamo), anche Atherton è un volto noto (Ghostbusters, i primi due Die Hard). Nel cast anche comprimari come il maggiordomo di Magnum P.I., Matthew Carrington della soap Dinasty e una grandissima prova di Burgess Meredit, niente meno che il Pinguino nel serial di Batman degli anni '60. L'incedere del film è lento, il puzzle si forma un tassello alla volta fino a comporre in maniera disordinata la bellissima sequenza finale. E' uno di quei film non così facili da digerire a un primo impatto che però lasciano il segno. E magari poi scavano.
    

martedì 22 novembre 2011

IL DIAVOLO E' FEMMINA

(Sylvia Scarlett, di George Cukor, 1935)

E sti cazzi se lo è.

Commenti stile scontro dei sessi a parte, il titolo di questo film potrebbe trarre in inganno. Nulla di mefistofelico o particolarmente machiavellico, semplicemente una commedia degli anni '30 giocata sul forzato cambio di sesso (inteso come semplice travestimento) della protagonista, una davvero brava e allora ancora giovane Katharine Hepburn.

Il titolo originale risulta forse più anonimo (Sylvia Scarlett, nome della protagonista) ma crea sicuramente meno aspettative fuorvianti.

Aspettative che lo spettatore non può non avere visti i nomi coinvolti nella pellicola. La stessa Katharine Hepburn recita con Cary Grant, entrambi diretti da George Cukor, uno dei nomi di punta della commedia di una volta.

Commedia che a dirla tutta non ha il brio di tanti prodotti dello stesso genere. La distanza in termini di anni che ci separa da questo prodotto si fa sentire, la sensibilità dello spettatore moderno è ormai cambiata. La stessa coppia d'attori farà di meglio già tre anni più tardi diretta da Howard Hawks in Susanna.

Detto questo il film si lascia guardare, se siete di quelli che pescano un film d'annata ogni tanto però punterei su altro. Per chi invece è appassionato del genere resta comunque una bella prova degli attori, la Hepburn una spanna sopra gli altri.

Henry Scarlett, vedovo, e sua figlia Sylvia vivono a Marsiglia. A causa dei vizi del padre e di un conseguente furto per poterseli pagare, i due sono costretti a fuggire in Inghilterra. Per sviare le attenzioni della polizia che cerca un uomo con sua figlia, Sylvia si traveste da ragazzo e nei panni di Sylvester inizia la sua avventura verso l'Inghilterra.

Già durante il viaggio la coppia avrà modo di imbattersi nel piccolo truffatore Jimmy Monkley (Cary Grant) diventando così un trio. Una piccola e simpatica associazione a delinquere nella quale si cela però un segreto: la verità sull'identità sessuale di Sylvester/Sylvia.

In seguito interverranno altri personaggi a scombinare le carte e a garantire il tocco romantico al film.

Del ritmo non eccelso abbiamo già detto, il film comunque ingrana bene nella parte finale rendendo più piacevole l'esito complessivo di questa commedia.

lunedì 21 novembre 2011

MOVIES QUIZ

Oggi volevo segnalarvi un sito parecchio divertente. Quiz sul cinema di varia natura. Tra i più divertenti il gioco Gli invisibili. In due parole da alcune scene tratte da celebri film sono stati eliminati in parte i protagonisti. Qui sotto alcuni esempi: riuscite a riconoscere i film? Questi sono tra i più facili, su Moviesquiz, dopo esservi registrati, la difficoltà aumenta. Per ogni gioco risolto accumulate punti. Io e La Citata siamo a 247. Provate anche voi. 1)

  2) 3) 4) 5) 6) 7)

venerdì 18 novembre 2011

A-Z: AA.VV. - ONCE

Oggi vi propongo la colonna sonora di un film che non ho mai visto.

Once narra la storia (anche dolente mi par di capire), ambientata in Irlanda, di due aspiranti musicisti che si innamorano accomunati da un sogno e dalla passione per la musica.

Film a basso budget dove i due protagonisti non sono attori professionisti bensì due musicisti. Glen Hansard ha alle spalle un'unica esperienza attoriale che risale al film The Commitments, Markéta Irglova nemmeno quella.

In compenso la Irglova vince a soli 19 anni il premio Oscar per la miglior canzone, tratta proprio da questo Once per il quale i due musicisti hanno composto, suonato e cantato tutti i pezzi.

Il brano premiato è quello in apertura di disco: Falling slowly.


I don't know you
But I want you
All the more for that
Words fall through me
And always fool me
And I can't react
And games that never amount
To more than they're meant
Will play themselves out

Take this sinking boat and point it home
We've still got time
Raise your hopeful voice you have a choice
You'll make it now

Falling slowly, eyes that know me
And I can't go back
Moods that take me and erase me
And I'm painted black
You have suffered enough
And warred with yourself
It's time that you won

Take this sinking boat and point it home
We've still got time
Raise your hopeful voice you have a choice
You've made it now
Falling slowly sing your melody
I'll sing it loud


I vari brani probabilmente acquistano maggior vigore uniti alle immagini del film e ascoltati in sequenza in quanto pezzi della medesima storia della quale Lies è un'altro episodio.


I think it's time, we give it up
And figure out what's stopping us
From breathing easy, and talking straight
The way is clear if you're ready now
The volunteer is slowing down
And taking time to save himself

The little cracks they escalated
And before we knew it was too late
For making circles and telling lies

You're moving too fast for me
And I can't keep up with you
Maybe if you slowed down for me
I could see you're only telling
Lies, lies, lies
Breaking us down with your
Lies, lies, lies
When will you learn

The little cracks they escalated
And before you know it is too late
For making circles and telling lies

You're moving too fast for me
And I can't keep up with you
Maybe if you'd slowed down for me
I could see you're only telling
Lies, lies, lies
Breaking us down with your
Lies, lies, lies
When will you learn


Ancora una: Leave.


I can't wait forever is all that you said
Before you stood up
And you won't disappoint me
I can do that myself
But I'm glad that you've come
Now if you don't mind

Leave, leave,
And free yourself at the same time
Leave, leave,
I don't understand, you've already gone

And I hope you feel better
Now that it's out
What took you so long
And the truth has a habit
Of falling out of your mouth
But now that it's come
If you don't mind

Leave, leave,
And please yourself at the same time
Leave, leave,
Let go of my hand
You said what you have to now
Leave, leave,
Let go of my hand
You said what you came to now
Leave, leave,
Leave, leave,
Let go of my hand
You said what you have to now
Leave, leave,

mercoledì 16 novembre 2011

INDOVINA LA LOCANDINA 6

Bene, bene!

Questa volta ho voluto mischiare un po' le carte in tavola e farvi lavorare maggiormente sull'immagine e molto meno sul colore (infatti l'ho tolto quasi del tutto).

Nel percorso di elaborazione dell'immagine ho anche tolto il titolo dalla locandina.

Spero che la sfida sia più interessante per tutti voi. Mentre scrivo queste righe e prima di postare la locandina probabilmente Morgana avrà già trovato la soluzione, comunque provo lo stesso a postare che non si sa mai.

Here we go...

















lunedì 14 novembre 2011

A-Z: AA.VV. - BROKEN FLOWERS

Nel 2005 il regista Jim Jarmusch porta nelle sale il bel film Broken Flowers, interpretato da un bravissimo Bill Murray.

Il protagonista, Don (lo stesso Murray), viene a sapere tramite una lettera anonima scritta su carta profumata rosa, di essere padre di un figlio mai conosciuto.
Inizia così un bellissimo viaggio in cerca di tutte le sue ex, candidate a essere le possibili autrici della lettera.

Non manca in colonna sonora della buona musica.

La parte principale è opera del musicista etiope Mulatu Astatke che lascia al film ben 5 pezzi dei quali vi propongo Yegelle Tezeta e Yekermo sew eseguite live con gli Heliocentrics.

Ascoltai il primo di questi brani come sottofondo a un CD didattico preparato in azienda da un formatore (che fine ha fatto Max???), mi piacque e mi procurai questa colonna sonora.





Il brano d'apertura, There is an end, è invece affidato ai Greenhornes insieme alla cantautrice inglese Holly Golightly (non è un nome d'arte, si chiama proprio così).



Words disappear,
Words weren't so clear,
Only echos passing through the night.

The lines on my face,
Your fingers once traced,
Fading reflection of what was.

Thoughts re-arrange,
Familar now strange,
All my skin is drifting on the wind.

Spring brings the rain,
With winter comes pain,
Every season has an end.

I try to see through the disguise,
But the clouds were there,
Blocking out the sun (the sun).

Thoughts re-arrange,
Familar now strange,
All my skin is drifting on the wind.

Spring brings the rain,
With winter comes pain,
Every season has an end.

There's an end,
There's an end,
There's an end,
There's an end,
There's an end.

venerdì 11 novembre 2011

VISIONI 28

Alcune illustrazione di Dave Reinbold, poche le notizie sull'autore anche sul suo sito che potete visitare cliccando qui.

Due le linee tematiche che vi propongo. Una versione alternativa dei Fab Four con un quarto elemento a sorpresa al posto di Harrison (un po' come gli F4 con Spider-Man al posto della Torcia).

Seconda parte dedicata ai motori. In entrambi i casi il ragazzo non se la cava affatto male.

Paul


John


Ringo


Frank


Summer breakdown


Car show


54 Desoto

giovedì 10 novembre 2011

BACK TO THE PAST: 1972 PT. 3

Il 1972 lascia in eredità pezzi interessanti anche in ambito Soul e R&B.
In cima alla classifica di Billboard per una settimana, il brano Oh Girl è l'unico numero uno della carriera del gruppo soul The Chi-Lites.



Billy Preston, pianista statunitense, ha goduto di una carriera di tutto rispetto. Inizia accompagnando Little Richard e si fregia della partecipazione agli album Abbey Road e Let it be dei Beatles. Dando un'occhiata alla sua pagina di wikipedia si nota la caratura delle altre collaborazioni di cui si è reso partecipe. Grande lavoro sul brano Outa-Space incluso già nel suo album del 1971 ma lanciato come singolo nel 1972. Sia lui che il pezzo sono fichissimi.



Con alle spalle già una buona carriera con gli Impressions, negli anni '70 Curtis Mayfield intraprende una prolifica carriera solista. Nel 1972 arriva il suo più grande successo grazie ai ritmi funk e alla corrente della blaxploitation. Colonna sonora dell'omonimo film esce il brano Superfly, ancora una denuncia della vita nel ghetto.



Altro pezzo forte da classifica è Superstition di Stevie Wonder, brano che in origine doveva finire in mano a Jeff Beck ma che divenne uno dei cavalli di battaglia di Wonder. Il brano parla ovviamente di superstizioni.



Chiudiamo con un'altra colonna sonora questa volta a opera del celebre Marvin Gaye, il pezzo è Trouble man tratto dall'omonimo film.

A 30 MILIONI DI KM DALLA TERRA

(20 millions miles to Earth, di Nathan Juran, 1957) 

- Mimmo, tanto ci tieni a far scappare i pesci tu? Tira la rete, forza! - Rete, rete. Tante corde per prendere un pesciolino. Quelli del Texas, con una corda sola, riescono a prendere persino un bufalo.
 

Andiamo in ordine filologico e partiamo dall'inizio. Quindi partiamo dal titolo. Perché il lingua originale siamo a 20 milioni di miglia dalla Terra e nella traduzione italiana a 30 milioni di km? Bel dilemma direte voi, cerchiamo di sciogliere il mistero. Un miglio equivale a 1,609344 km che moltiplicato 20 milioni dà un risultato di circa 32.186.880 km. Ora titolare il film A 32 milioni di kilometri e rotti dalla Terra poteva sembrare brutto, si è optato quindi per un approssimativo (per difetto) a 30 milioni di km. Ma dico io era proprio necessaria cotanta precisione? A parte a me che ho tempo da perdere, a qualcuno gliene sarebbe importato qualcosa se si fosse optato per il più assonante all'originale A 20 milioni di km dalla Terra? Nel 1957 poi? E ancora, a voi ve ne importa qualcosa? In fondo neanche a me e quindi passiamo oltre altrimenti potremmo andare per le lunghe. Al largo delle coste di Gerra, paese di pescatori della Sicilia, cade un razzo spaziale, fatto questo alquanto insolito in quanto razzi e forme di vita aliena in generale sono soliti andarsi a rompere il capo dalle parti degli Stati Uniti d'America. E questo non è neanche l'accadimento più strano del film. Alcuni pescatori assistono alla strana precipitazione, dalla barca più vicina Michele, Maruzzo (avete capito bene, Maruzzo) e il bambino Mimmo accorrono in cerca di superstiti. I due adulti si introducono nella navetta e riescono a estrarre due superstiti vestiti da pizzardoni. Trattasi non di vigili urbani ma di due astronauti statunitensi (eccoli qua) reduci da una missione supersegreta su Venere. Nel parapiglia che la delicata situazione crea sulle coste della Sicilia (dove alla parola Venere si pensa non al pianeta ma alla Femmina, quella con la F grande), Mimmo inosservato trova in mare uno strano reperto e se lo va a vendere a un professore di zoologia affezionato al ragazzo. Con il ricavato Mimmo si compra un cappello da Cowboy, ma questo è un dettaglio forse insignificante. Il dettaglio significante è che il gelatinoso reperto si schiude dando vita a un essere che creerà scompiglio per il resto del film e a una commistione di generi mai vista prima: la fantascienza statunitense che incontra il Kaiju Eiga giapponese che incontra il Neorealismo italiano (sottogenere pescatori). Agli effetti speciali il celebre Ray Harryhausen, nume tutelare di tanta fantascienza anni '50, che crea animazioni in stop motion dando vita abilmente alla creatura. Sicuramente un film diverso da quello che mi aspettavo e da quello che anche voi potreste aspettarvi. Guardatelo.
   

martedì 8 novembre 2011

ELECTRA GLIDE

(Electra Glide in blue, di James William Guercio, 1973) 

Salve, sto parlando da solo ma non mi sto a sentire. E invece uno dovrebbe ascoltare la voce che gli viene da dentro perché ti dice cosa devi fare. E' strano, la gente fa un sacco di cose e quando poi vai a guardare vedi che sono tutte stronzate. Sai una cosa? Il 90% di ciò che ho fatto in vita mia non è importante come quello che fai tu che scopi il pavimento e che stai qui a mangiare un panino e sai perché? Perché tu ti stai a sentire.Io invece sto a sentire tutti quelli che parlano in questo mondo del cacchio, meno che me. Come vorrei ricominciare tutto da capo.
 

L'Electra Glide del titolo è uno dei modelli di motocicletta prodotti dalla Harley-Davidson in dotazione negli anni '70 alla polizia stradale dell'Arizona. Electra Glide, il film, è invece una pellicola degli anni '70 accostabile solo apparentemente all'Easy Rider di Dennis Hopper. Il periodo è lo stesso, gli scenari anche, la motocicletta è protagonista quanto l'attore principale. Il regista William Guercio ha però una visione meno romantica del periodo della controcultura hippie, forse più adesa alla realtà e con una visione in fin dei conti più pessimistica verso quella generazione di americani, sia che si parli di contestatori sia che si parli di persone integrate nel sistema societario vigente all'epoca. Il regista, prevalentemente discografico e produttore della band Chicago, è autore di questo unico film sicuramente sottostimato e poco conosciuto dal grande pubblico. Nonostante ciò il risultato è un bel poliziesco fuori dai canoni, dove la trama è un pretesto per mettere in scena i dubbi esistenziali di un'epoca e del protagonista, John Wintergreen, poliziotto della stradale e reduce dal Vietnam. Wintergreen è interpretato da Robert Blake, tornato di recente sulle pagine di cronaca in seguito all'accusa di uxoricidio ma principalmente noto per il ruolo di Tony Baretta nell'omonima serie tv degli anni settanta.


Wintergreen è in forza alla stradale dell'Arizona in sella alla sua Electra Glide ma sogna un futuro in borghese tra le fila della omicidi. Incurante della sua bassa statura continua a inoltrare domande di trasferimento e a impegnarsi scrupolosamente nel suo lavoro. E' un poliziotto a modo John, in contrapposizione allo svogliato e a volte prepotente suo compagno Zipper (Billy Green Bush). Un giorno come un altro, di pattuglia tra le desertiche strade dell'Arizona, i due si imbattono in un cadavere all'interno di una baracca. Sarà l'occasione per John di essere affiancato a un veterano della omicidi, Harve Pool (Mitch Ryan) e scoprire che forse il mestiere che tanto ha sognato non è ammantato solo di grandi ideali ma anche di fango e polvere. Belle le riprese sui vasti deserti assolati e la narrazione priva di orpelli che si confà al cinema di quel periodo. Sicuramente un film importante nel suo genere, da riscoprire e apprezzare, forte anche di un paio di belle sequenze di inseguimento a bordo delle Electra Glide e un paio dedicate alla vestizione dell'agente, prima nella divisa della stradale poi in quella borghese da agente della omicidi. Apprezzabile anche la visione bilaterale del regista sulla questione hippie. Forse siamo di fronte a un prodotto che avrebbe meritato maggiore fama.
   

lunedì 7 novembre 2011

IL GIGANTE DI FERRO

(The iron giant, di Brad Bird, 1999) Tra i film d'animazione arrivati sugli italici schermi sicuramente questo Il gigante di ferro non è tra i più celebri. Non di meno la regia di questo titolo è a cura di Brad Bird che, per i meno informati, ha firmato anche le regie de Gli incredibili e di Ratatouille, pellicole che si sono aggiudicate entrambe il premio Oscar. Nel 1999 usciva per la Warner Bros questo film d'animazione realizzato ancora con tecniche tradizionali, tratto da un libro di Ted Hughes, che narra una storia semplice ad altezza di bambino basata su tòpoi ormai collaudati, e forse anche abusati, del racconto per ragazzi. Eppure queste situazioni ormai classiche funzionano ancora bene declinate nelle più svariate forme di intrattenimento. L'accettazione del diverso, l'errata convinzione che tutto quel che non è come noi sia pericoloso, l'amicizia tra il fanciullo e l'essere altro (che sia un mostro, un animale, una creatura mitica o, come in questo caso, un gigante di ferro), la ricerca dell'accettazione da parte di quest'ultimo, etc..., etc... Proprio in questi giorni mi è capitato di leggere la breve storia a fumetti di David Mazzuchelli intitolata Big Man che si basa sugli stessi assunti utilizzati ne Il gigante di ferro. Se anche un autore come Mazzuchelli che ha dato un grande contributo alla rilettura del genere supereroico (Devil: Born Again, Batman: Year One) e considerato ormai un punto fermo del fumetto d'autore (Città di vetro) lavora ancora su queste basi qualcosa di valido da sfruttare narrativamente dovrà pur esserci. Torniamo a noi. Hogarth, un ragazzino che abita in un piccolo paese di provincia, si imbatte in alcuni strani eventi. Qualcosa ha distrutto vari oggetti metallici lasciando una scia che porta dritto alla centrale elettrica nel bosco. Qui Hogarth si imbatterà per la prima volta nel robot gigante del titolo. Un episodio particolare farà nascere l'amicizia tra il bimbo e questo strano essere. Nel frattempo in paese cominciano a correre strane voci. Siamo nel 1957, clima da guerra fredda, il rappresentante del governo non tarda ad arrivare. L'ispettore Mansley cercherà di scoprire quanto più possibile sul gigante ritenendolo ovviamente una minaccia. Dal suo canto il grande robot, concepito inizialmente come un arma, cercherà di affrancarsi da questa sua natura cercando di aiutare gli altri. Avete visto qualcosa di più classico e all'apparenza scontato di tutto ciò? Il film però funziona, ci si affeziona soprattutto al rapporto tra gigante e bambino, per i più piccoli ci saranno momenti commoventi e la giusta tensione, per i più grandi e smaliziati un'oretta di divertimento come una volta. Secondo me può bastare.

domenica 6 novembre 2011

A-Z: AA.VV. - WOODY ALLEN'S MOVIES

Alla riuscita dei bellissimi film del grande Woody Allen, oltre ai suoi splendidi scorci cittadini che come lui nessuno, ha contribuito anche una scelta di brani musicali di grande classe.

Grande appassionato di jazz e, almeno così si dice, mediocre musicista, Allen accompagna le sue immagini con brani di grandi artisti del genere.



Da Settembre ci ascoltiamo My ideal eseguita da Art Tatum e Ben Webster.



Sull'incipit di Manhattan si può ascoltare Rhapsody in blue di Gershwin.



Da Radio days Glen Miller e la sua orchestra eseguono In the mood.



Dallo stesso film Duke Ellington e la sua orchestra eseguono Take the A train.

sabato 5 novembre 2011

INDOVINA LA LOCANDINA 5

Questa volta l'immagine, oltre a essere stata filtrata, è stata anche parecchio distorta. Il film è conosciuto, anche la locandina non dovrebbe riuscirvi proprio nuova.

Micky si è aggiudicata il campionato di Indovina chi? che si è appena chiuso, riuscira qualcuno a contrastare Morgana su questo nuovo gioco?

CLASSIFICA AGGIORNATA
Morgana 44
La 7
Zio Robbo 7

Regolamento




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