martedì 30 settembre 2014

B.P.R.D. - TERRA CAVA E ALTRE STORIE

(B.P.R.D. Hollow Earth & other stories di AA.VV., '98/'02)

B.P.R.D. sta per Bureau for Paranormal Research and Defense, una sorta di Agenzia che si occupa di studiare e affrontare i più svariati fenomeni paranormali. Questa bizzarra organizzazione creata da Mike Mignola ha il suo membro più popolare e rappresentativo in Hellboy, il ragazzo infernale che già in passato abbiamo imparato ad apprezzare. Questa nuova serie, o ancor meglio questo insieme di miniserie, sembra avere una doppia funzione: ampliare l'universo fumettistico legato ad Hellboy focalizzando in maggior misura l'attenzione sui suoi interessanti comprimari e allo stesso tempo iniettare alla formula già collaudata nuove energie creative proponendo storie e disegni che non saranno più appannaggio del solo, sempre grandissimo, Mike Mignola.

Ci eravamo lasciati al termine del volume Il verme conquistatore con un Hellboy in crisi, deluso dal sindacabile comportamento dei vertici del Bureau e roso dai tarli derivanti dal mistero sulle sue origini ma soprattutto da quello sul suo futuro destino. Alla fine del volume Hellboy decide di prendersi un periodo di pausa e iniziare un viaggio alla volta del continente nero.

Presente. A Fairfield, nel Connecticut, sede del Bureau, sembra esserci aria di crisi. Dopo Hellboy anche la pirocineta Liz Sherman ha lasciato il Bureau in cerca di se stessa, l'agente di punta rimasto in carica, l'uomo anfibio Abe Sapien, sembra essere in procinto di fare la stessa cosa. E' l'esperta di occultismo e folklore Kate Corrigan a tentare di tenere insieme la baracca cercando di convincere Abe a rimanere e mettendo a suo agio la nuova recluta, il medium Johann Krauss, entità incorporea tenuta insieme da una tuta studiata proprio dal Bureau. Ma tutto questo risulterà non essere necessario, sarà un'inconsueta richiesta d'aiuto da parte della Sherman a ricompattare il B.P.R.D. che tornerà unito in azione, Hellboy escluso, avvalendosi anche del sempre prezioso contributo di Roger l'Omuncolo.

La trama si sviluppa nella miniserie di tre numeri Hollow Earth (interamente edita nel volume), storia ideata da Mignola e scritta insieme a Christopher Golden e Tom Sniegoski. Per la prima volta dal '94 il papà di Hellboy torna a costruire le trame con altri autori e affida le matite di Terra cava al talento di Ryan Sook. Anche se il volume è completato da almeno un paio di altre storie sfiziose è questa miniserie la portata principale del menù, il sapore è quello al quale Mignola ci ha abituati, certo manca l'ingrediente principale, ma la mano e le caratteristiche della narrazione permangono più o meno le stesse. Templi misteriosi, civiltà sotterranee, esperimenti d'origine nazista, strani macchinari e la teoria della terra cava risalente al diciassettesimo secolo. Oltre a narrare una buona storia il tutto serve al lettore per prendere maggior confidenza con gli agenti del B.P.R.D. uno dei quali al suo esordio e gettato da subito nella mischia. Le matite di Ryan Sook seguono la scia tracciata dal maestro e non se ne discostano troppo per stile e atmosfere. Certo, alcuni tagli di luce/ombra che solo la matita di Mignola sembra poter tracciare qui non li vediamo così come manca quell'inquietudine strisciante vista nei precedenti volumi dedicati a Hellboy. Nel complesso il lavoro di Ryan Sook rimane di alto livello e non lascia rimpiangere l'assenza del creatore della serie, molto bello ad esempio è il look definito per tratteggiare il popolo sotterraneo abitante della fantomatica terra cava, un look che mi ricorda parecchio i più recenti gemellini di Apocalisse visti in azione sulle pagine di Uncanny Avengers della Marvel.


In appendice troviamo la prima apparizione di Lobster Johnson in una storia intitolata L'assassino nel cervello che narra un episodio solo intravisto nei precedenti volumi di Hellboy, scrive Mignola, disegna un promettente Matt Smith, disegnatore in grado di calarsi alla perfezione nelle atmosfere di questo universo narrativo in espansione. Lo stesso team creativo presenta il ritorno alla vita di Roger l'Omuncolo in Abe Sapien contro la scienza, altra storia cronologicamente precedente a Terra Cava.

A proporre il primo vero stacco stilistico ci pensano Brian McDonald e Derek Thompson con una storia che vede protagonisti Abe Sapien e Garrett lo psionico. I tamburi dei morti, questo il titolo della storia, mi sembra il racconto più lontano dalla linea impartita da Mignola e allo stesso tempo il meno riuscito. Forse la strada è tracciata e per uscirne facendolo a testa alta bisogna fare decisamente di meglio.


lunedì 29 settembre 2014

DJANGO

(di Sergio Corbucci, 1966)

Sono più di sessanta i film che compaiono nella filmografia di Sergio Corbucci, regista che ha attraversato generi e decenni con risultati alterni com'è praticamente inevitabile per chi vanta un curriculum tanto nutrito. E' fuor di dubbio che almeno il contributo di Corbucci al genere western sia da considerarsi rimarchevole non fosse altro che per pellicole come questa o come Il grande Silenzio. Siamo già nell'epoca avanzata del western, in anni dove la sua visione classica e palesemente orientata alle ragioni dell'uomo bianco e dell'eroe è definitivamente sorpassata. Siamo un passo oltre anche il revisionismo del genere, oltre l'epica e oltre il mito. Siamo nell'epoca del lerciume, dell'avidità, della violenza e del fango. Django è un film sporco fino al midollo già dalla sequenza d'apertura nella quale il protagonista interpretato da un giovane Franco Nero cammina con difficoltà in mezzo al fango, trascinandosi dietro una cassa da morto lercia, sotto la pioggia battente in caduta da un cielo plumbeo che sembra dirla lunga sul futuro della vicenda.

Lo Spaghetti-Western, riabilitazioni postume a parte, è spesso stato considerato una branca minore e povera del genere, ancor più lo sono state queste sue derive sporche e violente se paragonate alle opere di Leone per esempio. In termini relativi non mi sento di discostarmi troppo da questo giudizio, le emozioni, le sequenze epiche, la soddisfazione di cui può riempirti una Trilogia del dollaro qui non le trovi, siamo in un campo di gioco leggermente diverso. In senso assoluto film come Django, presi di per sè, hanno molto da regalare alla storia del genere. Crudeltà viste raramente anche in narrazioni potenzialmente violente come quelle western, scene e situazioni divenute culto grazie anche a successive rivisitazioni e una visione del vecchio west probabilmente più coerente con quello che è stato nella realtà.

La cittadina in cui si svolge gran parte della vicenda è coperta dal fango, e se è vero il detto che il sole bacia i belli qui il sole latita totalmente. Lo stesso Django, potenzialmente un bell'uomo, uno di quelli destinati al ruolo dell'eroe, è imbruttito da una coltre di lordura dalla quale emergono solo due splendidi occhi azzurri; la sua esistenza è irrimediabilmente compromessa da un lutto che ne segna l'animo.


Alcuni elementi rimangono quelli universali del western, il pistolero infallibile, il prepotente che si macchia di ogni sopruso nei confronti dei più deboli, il razzismo (qui verso i messicani e non verso i soliti pellerossa, sostituzione frequente nello spaghetti), la difesa del più debole anche se occasionale e dettata da interesse personale.

La differenza la fanno il sangue, le montagne di cadaveri, le crudeltà inflitte indifferentemente a uomini e donne, i pestaggi a sangue e alcune scelte registiche indovinate come la sequenza della rissa nel saloon. Da ricordare anche il tema portante del film e le musiche di Luis Bacalov. In questo caso forse le singole parti sono più grandi della loro somma, tutta una serie di caratteristiche rendono questo film un piccolo cult, ben al di sopra di quanto la storia in sè avrebbe potuto fare. Nero è poco espressivo come altre leggende del genere, i caratteristi hanno invece tutte le facce giuste, dal messicano Hugo (José Bodalo) allo spietato Maggiore Jackson (Eduardo Fajardo).

Revisionismo o meno, in fin dei conti il posto che Django occupa nell'epopea del west se l'è ampiamente meritato.


sabato 27 settembre 2014

COVER GALLERY - 52 - J. G. JONES

52 Week 1
Ad affiancare l'etichetta Visioni arriva da oggi un nuovo appuntamento dedicato esclusivamente alle cover di serie a fumetti. L'idea è quella di non porre restrizioni, la parte del leone la farà probabilmente il fumetto americano ma sicuramente ci saranno diverse incursioni in altri ambiti.

Quello che mi piacerebbe è rendere la cosa un pochino interattiva, mi piacerebbe che voi sceglieste tra le cover presentate qui sotto quella o ancor meglio quelle (per un massimo di tre diciamo) che più vi piacciono così da eleggere magari la migliore del post (a vostro parere ovviamente, il mio voto varrà 1 come quello degli altri). Accumulati una decina di post magari si potrà organizzare una mostra virtuale dove ammirare (e votare) il meglio del meglio.

Ovviamente si può giudicare il tratto del disegnatore, la costruzione della copertina, il soggetto, lo stile, l'eventuale citazione, etc..., insomma, quello che più vi piace, non ci sono regole.

Se l'idea vi garba fatevi sentire.

Per iniziare ho scelto la serie 52 della Dc Comics, un progetto particolare le cui uscite erano cadenzate settimanalmente (e non mensilmente come di solito accade) e che narra gli avvenimenti seguenti Crisi Infinita, uno dei grandi crossover DC, tramite le vicende di alcuni personaggi secondari della casa editrice. Tra gli scrittori nomi illustri come Grant Morrison, Greg Rucka, Geoff Johns, Mark Waid e Keith Giffen.

Le copertine sono state illustrate tutte da J. J. Jones coadiuvato dal colorista Alex Sinclair. In apertura del post la cover del numero uno (votabile anch'essa), qui sotto una selezione di copertine scelte tra le 52 che compongono la serie.


52 Week 7



52 Week 8



52 Week 10



52 week 22



52 Week 25



52 Week 26



52 Week 42



52 Week 43



52 Week 47



52 Week 48

giovedì 25 settembre 2014

BRADI PIT 110

Scopriamo la vera natura di Jungle Man!


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mercoledì 24 settembre 2014

GOTHAM - EPISODIO PILOTA

Come da copione. Per narrare le vicende di una Gotham parecchio pre-batmaniana ci si affida a un evento cardine che più batmaniano non si può: la morte di Thomas e Martha Wayne, genitori del piccolo Bruce (David Mazouz) futuro Cavaliere Oscuro e protettore della città. Siamo in un passato non troppo remoto e non ben identificato, in una metropoli oscura in bilico tra degrado reale e fronzoli fumettistici, ben rappresentata per il piccolo schermo e già sulla via della violenza, del marciume e della corruzione.

La storia è nota, almeno per gli amanti del fumetto e per chi ha vissuto più o meno nei paraggi della Terra negli ultimi settantacinque anni. In un vicolo buio, il giovane Bruce Wayne assiste impotente all'omicidio dei suoi genitori da parte di un rapinatore a volto coperto, le indagini del caso vengono affidate alla coppia di detective Harvey Bullock (Donal Logue) e James Gordon (Ben McKenzie). Proprio questi sono i due protagonisti principali di questo pilota, il primo è ormai un veterano che pensa più ai fatti suoi che alla giustizia, un poliziotto intrallazzato e in odore di corruzione, il secondo è un novellino in gamba e deciso ma che si trova spiazzato in un ambiente che deve ancora imparare a conoscere.

I due protagonisti hanno i volti giusti e sono ben delineati nei loro caratteri, soprattutto il futuro Commissario Gordon che lascia intravedere da subito la tempra dell'uomo che diverrà e che pone da subito le basi di un rapporto che si rivelerà duraturo con il piccolo Wayne (in un modo o nell'altro e per forza di cose). Il serial è ambientato in una Gotham in cui ancora non circolano supereroi e supercriminali anche se le sue strade e i suoi edifici sono pieni di nomi e di volti noti che magari non diranno molto agli spettatori occasionali ma che faranno subito drizzare le orecchie a chi di Batman ha letto perlomeno qualcosina.


Per i fan si può aggiungere che non tutti i conti tornano, parliamo di un'epoca in cui Bruce è ancora un bambino, coerente quindi la scelta di inserire avversari noti del pipistrello bambini anch'essi o comunque molto giovani (e ce ne sono già parecchi fin da questo pilot), un po' meno quella di trasportare alcuni elementi del Gotham City Police Department (o che almeno nel fumetto ne fanno parte) in età già adulta tra le strade di questa Gotham. Piccoli dettagli comunque, l'elemento cardine di ogni serie deve rimanere sempre la buona narrazione e mi sembra che al momento in Gotham questa non faccia difetto.

Il pilot lascia ben sperare, Gotham è un prodotto che si differenzia molto da Arrow così come da Constantine (almeno giudicando anche questa dal solo pilot) e probabilmente si discosterà parecchio anche dal prossimo The Flash. Ci aspetta una serie da toni molto urbani, molto più vicina ai generi del poliziesco e del noir (forse), che per ora mantiene il mistero su come verranno gestiti personaggi destinati nel prossimo futuro a divenire tutine, colorate od oscure che siano. Le scelte di cast sembrano azzeccate, scelte che qui non svelo per non rovinarvi il gusto di scoprire da soli questo o quel personaggio, un paio di volti lo sono davvero molto. Anche le scenografie rendono un buon servizio alla storia e questo primo episodio si lascia guardare molto volentieri. Auguriamoci allora di trascorrere qualche ora piacevole tra le strade di Gotham in attesa di un pipistrello che qui forse non arriverà mai.

Jim Gordon e Harvey Bullock

martedì 23 settembre 2014

lunedì 22 settembre 2014

VISIONI 57

In occasione della mostra organizzata dal Museum of the city of New York intitolata Mac Conner: A New York life, ne approfitto per proporvi alcuni lavori dell'artista. McCauley (detto Mac) Conner si trasferì a New York nel 1950, lavorava allora per le pubblicazioni della Marina Militare rimanendo poi nella Grande Mela esplorandone il settore editoriale/pubblicitario allora in pieno fermento.

I suoi disegni graziarono campagne pubblicitarie e pagine di riviste come Cosmopolitan e Good Housekeeping.

Come dice l'introduzione alla mostra sul sito del museo, il lavoro di Conner, come quello di altri famosi illustratori e pubblicitari dell'epoca, contribuì a forgiare cultura e stile americano del dopoguerra.


Illustrazione per Let's take a trip up the Nile su This Week Magazine



Illustr. per The girl who was crazy about Jimmy Durante su Woman's Day



Illustrazione per Killer in the club car su This Week Magazine



Illustrazione per How do you love me su Woman's Home Companion



Illustrazione per Where's Mary Smith? su Good Housekeeping



Illustrazione per There's death for remembrance su This Week Magazine



Illustrazione per Strictly respectable su Redbook



Illustrazione per Hold on tight su Redbook



Illustrazione per We won't be any trouble su Collier's

sabato 20 settembre 2014

MARVEL VINTAGE 21 - KA-ZAR

Chiudiamo il discorso con quel Marvel Comics 1 dell'ottobre del 1939, albo che diede ufficialmente il via alle pubblicazioni delle Timely Publications. Abbiamo già parlato dei grossi calibri e, nello scorso appuntamento, anche del meno conosciuto The Angel. Ma l'albo in questione aveva ancora qualche cartuccia da sparare ed è proprio il caso di dirlo, compare infatti tra le sue pagine la prima storia western della futura Marvel Comics, il protagonista è Jim Gardley meglio noto come Masked Rider. Nella cittadina di Cactusville il solito grosso proprietario terriero tiranneggia i piccoli ranch con la sua squadra di farabutti allo scopo di accaparrarsi tutte le terre possibili. Sulla sua strada troverà Jim Gardley, tipo poco disposto a subire le angherie dei prepotenti. Dopo un severo addestramento con la colt e indossata una maschera nera, Gardley inizierà a raddrizzare torti in sella al suo Lightning nei panni di Masked Rider. Il creatore del personaggio era un non molto prolifico Al Anders.

L'albo presentava anche due storie autoconclusive nelle quali non comparivano eroi destinati a divenire protagonisti ricorrenti degli albi Timely. La prima, Jungle terror, narra una vicenda avventurosa a base di giungla, indigeni, diamanti e persone rapite, avventura classica firmata Thom Dixon. La seconda Burning rubber, di Ray Gill e Sam Gilman, è una breve storia ambientata nel mondo delle corse automobilistiche.



In chiusura compare un altro personaggio destinato a futura fama e proveniente dai pulp magazines che negli anni antecedenti a questa prima apparizione a fumetti pubblicava la Manvis di Charles Goodman. In realtà la questione è un po' più complicata di cosi. Stiamo parlando di Ka-Zar, il Tarzan di casa Marvel, che diverrà celebre (lo è ancora oggi) col nome di Kevin Plunder. Ma qui non parliamo dello stesso uomo, il Ka-Zar Timely è David Rand, cresciuto nella giungla fin da bambino insieme al padre in seguito a un disastro aereo. A differenza del più celebre Ka-Zar questa prima incarnazione vive nella giungla del Congo Belga e come partner ha il leone Zar (Ka-Zar significa fratello di Zar), niente Terra Selvaggia quindi e niente Zabù, la famosa tigre dai denti a sciabola compagna di Plunder.

Ka-Zar di Bob Byrd e Ben Thompson



Marvel Mystery Comics 2, Dic '39, Al Anders



Marvel Mystery Comics 2, Dic '39, Al Anders



Marvel Mystery Comics 2, Dic '39, Ben Thompson

venerdì 19 settembre 2014

BLACK MIRROR - STAGIONE 2

Ancora tre puntate di disamina di una potenziale società a venire, brutale, pessimistica, cinica se volete, ma quantomai vicina a trasformarsi nel prossimo oggi. Qualcuno mi accennava a una seconda stagione forse migliore della già ottima prima annata. Chi lo sa? Il livello dell'opera pensata da Charlie Brooker rimane sempre altissimo, difficile dire tra i sei episodi finora prodotti quale sia il migliore, esprimendo un simile giudizio il rischio è quello di fare un grosso torto a tutti gli altri.

Black Mirror è uno show in grado letteralmente di lasciarti intontito, capace di indurti a riflettere su alcune questioni sgradite e di scatenare riflessioni che dovrebbero poi motivarci a diventare persone migliori, comunità migliori, società migliori. Perché stiamo diventando sempre peggio, è innegabile, chi dice il contrario o è un cieco o è un inguaribile ottimista, e tutto il nostro peggio Black Mirror ce lo offre con grande intelligenza su un piatto d'argento.

Eccoci qui, ecco dove stiamo andando. Magari non tutti, non generalizziamo, magari non proprio in questi termini, ma questo è il succo. Questa è una possibilità, parecchio realistica, indotta se vogliamo, ma molto molto triste e pericolosa. E allora cosa vogliamo fare?

Non ci sono risposte, a ognuno di noi trarre le dovute conclusioni. Come nella precedente stagione le tre storie potrebbero essere ambientate tra il presente e un futuro molto prossimo, un futuro in cui la tecnologia ha fatto ancora un passo avanti tenendo però i piedi ben saldi su basi che già oggi sono realtà. Le tematiche trattate sono a noi vicinissime: appunto tecnologia, nuove dipendenze, media, politica, giustizia, nuove concezioni della vita, dolore, etc... temi forti e per tutti di grande interesse. Tre episodi slegati uno dell'altro, nessun personaggio comune.


Nel primo episodio, Be right back (Torna da me), assistiamo a una splendida messa in scena di una perdita resa dolorosa anche per lo spettatore in poche splendide sequenze, ci viene mostrata una possibile reazione e un'inquietante sviluppo dell'uso odierno che tutti facciamo della condivisione più sfrenata, di pensieri, di immagini, di vita privata, di dati personali, di vizi e virtù. Più che lo sviluppo in se della questione è la riflessione sull'oggi a essere molto forte.

White Bear (Orso bianco) è un pugno allo stomaco continuo, angosciante, terrificante, spiazzante, graziato da una recitazione splendida da parte della protagonista, psicologicamente tesissimo, una vera perla. Non anticipo nulla per non rovinare nessuna sorpresa ma la critica feroce, almeno doppia se non tripla, è di nuovo lì, a portata di mano. Tutto questo senza mai risultare visivamente violento.

Nel terzo episodio, Vota Waldo, entra in scena la politica con tutto ciò che questo comporta, per molti versi, nonostante la produzione sia squisitamente inglese, la situazione proposta presenta diversi paralleli (volendo vederli) con quella nostrana, è qui presente in una certa misura una sorta di giudizio con il quale si può essere o meno d'accordo ma che comunque lascia tutti lì a pensare.

Black Mirror è la serie perfetta per chi vuole un prodotto di qualità ma non ha tempo o pazienza di stare al passo della serialità televisiva. E' imperdibile, dovete guardarlo.


giovedì 18 settembre 2014

DETERMINISMO BIOLOGICO... O NO?



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mercoledì 17 settembre 2014

FABIAN GRAY

(Five Ghosts di Frank J. Barbiere e Chris Mooneyham, 2013)

Nell'introduzione a questo volume dedicato alle imprese di Fabian Gray la redazione dell'Editoriale Cosmo, lanciandosi in accostamenti parzialmente azzardati, si spende i nomi di Alan Moore e della sua Lega degli straordinari gentlemen e quello di Mike Mignola e della sua più celebre creatura: il demone Hellboy.

Diciamo pure che se per alcuni aspetti della trama questo volume può essere accostato alla più blasonata Lega di Moore e per alcune atmosfere ed elementi accessori all'Hellboy di Mignola (accostamenti comunque un po' forzati), la caratura del lavoro di Barbiere e Mooneyham non raggiunge gli stessi livelli qualitativi toccati dalle due potenziali muse ispiratrici.

Questa premessa non è qui per smontare il volume in questione che in realtà si rivela invece una lettura piacevole, semplicemente sposa la tesi che aspettative troppo alte possono rovinare il gusto di un buon racconto. Ma andiamo pure al sodo.

Fabian Gray è uno strano avventuriero, ladro e cacciatore di tesori, un uomo con un evento tragico nel suo passato al quale sta cercando con tutte le sue forze di porre rimedio. Nelle sue imprese è aiutato da un dono particolare, quello di poter attingere alle abilità di cinque personaggi storico/letterari che nella realtà di Fabian non sappiamo se siano realmente esistiti o meno. Da qui il titolo originale della (mini?)serie, Five ghosts, e l'accostamento alla Lega di Moore. Ma chi sono questi cinque bellimbusti? I loro nomi non vengono mai palesati ma sono, facilmente o meno, riconducibili a: Sherlock Holmes, Robin Hood, uno stregone che azzarderei a dire sia Merlino (chi altri?), un demone vampirico in odore di Dracula e un samurai che si rivela essere il meno riconoscibile di tutti. Tenendo conto che uno degli episodi della run successiva per ora inedita in Italia si intitola Legend of the Masamune, possiamo azzardare che questi sia il forgiatore di spade Masamune collocato dalla leggenda a cavallo tra il 1200 e il 1300.


La narrazione di Barbiere parte un po' in sordina per accelerare poi dal secondo episodio entrando a pieno titolo nell'ambito delle pulp novels d'avventura, un racconto dove si incrociano azione e magia, strani culti adoratori di bestie, nobili guerrieri, pietre portentose, scenari esotici, mezzi volanti e città perdute. E' proprio questa la caratteristica principale che rende questo primo arco narrativo di Fabian Gray piacevole da leggere (e la Cosmo non mancherà di presentarci il successivo, o almeno credo).

Ma anche l'occhio vuole la sua parte ed eccoci a parlare del lavoro di Chris Mooneyham. Questa volta un paragone lo azzardo io, il tratto corposo, il taglio di alcuni volti, le chine e in alcune tavole anche l'uso dei colori mi hanno ricordato molto lo stile di Klaus Janson. I disegni sposano alla perfezione le atmosfere evocate dal racconto, alcune splash page sono di grande effetto e moltissime sequenze davvero ben riuscite. Ho apprezzato molto l'apertura del terzo episodio con un'impostazione grafica molto pulp e una doppia tavola tutta da ammirare così come le sequenze in flashback con stili diversi da quello della narrazione portante.

La scelta della Cosmo di guardare anche al fumetto americano non potrà che aumentare il numero di buone pietanze sulla nostra tavola, ormai siamo a rischio indigestione.


lunedì 15 settembre 2014

JUAN SOLO

(di Alejandro Jodorowsky e Georges Bess, '95/'99)

Non si può dire che la collana Cosmo Color USA dell'Editoriale Cosmo non sia partita con il piede giusto presentando quella che è considerata una delle opere minori dell'autore cileno Alejandro Jodorowsky. Opera minore ma comunque di grande interesse. Juan Solo è una serie di facile fruizione, almeno relativamente, l'aura di ermetismo che aleggia intorno ad alcuni lavori di Jodorowsky qui non è presente, simbologia e surrealismo sono ridotti al minimo, ciò nonostante la storia di Juan Solo non è affatto definibile come ordinaria o convenzionale.

La triste vicenda di Juan Solo si apre con un finale cristologico del quale scopriremo tutte le sfumature soltanto in conclusione del quarto e ultimo albo della serie. E' una sequenza forte quella di un uomo, che evidentemente non è il Cristo, portato alla croce in un deserto di chiara impronta Sudamericana, un uomo che pronuncia quelle che forse saranno le sue ultime parole: "Ecco... lasciatemi solo... come sono sempre stato... fin dalla nascita...".

Juanito nasce in una discarica, abbandonato perché deforme, nato con una coda di cane viene trovato e accudito dal nano travestito Mezzolitro, prostituta ributtante che sfama il piccolo attaccandolo alle mammelle d'una cagna e dandogli un revolver come ciuccio. Due storie tristi che legano e crescono senza colpa tra miseria e violenza. Nel momento della loro separazione a Juanito resterà solo il revolver.

Il Juan adulto sarà un uomo diretto discendente della sua infanzia, un uomo violento e spietato in cerca del suo posto al sole, insensibile ai valori dell'amicizia e della vita come può esserlo solo chi è cresciuto privo di speranza e prospettive. L'idea di Juan Solo è quella di mettere le sue losche capacità al servizio di qualche potente ritagliandosi così un piccolo posto in questo grande mondo.


Nel raccontarci questa vicenda Jodorowsky, oltre a quelli già citati, esplora gli argomenti della fede e della mancanza della stessa, soprattutto al principio e alla fine di questa narrazione circolare, e pone molta attenzione sul potere, sulla corruzione che questo comporta, sull'oppressione che produce, sulla violenza che scatena. E' un racconto duro dove ossessione, violenza, cattiveria, lussuria e tradimento la fanno da padrone rendendo Juan Solo una lettura non per tutti i palati. Dietro a tutto questo c'è però una bella storia, un'ottima narrazione e ci sono le bellissime tavole del francese Georges Bess, collaboratore abituale dello scrittore cileno, che confeziona anche quattro splendide copertine che aprono degnamente i rispettivi albi.

Mi sembra che il tema della nuova collana, quella del grande fumetto d'autore, almeno in queste prime quattro uscite sia stato ampiamente rispettato.


sabato 13 settembre 2014

LA BUONANOTTE - ANGELO BADALAMENTI - COOL CAT WALK

Nell'augurarvi una buonanotte...



Angelo Badalamenti - Cool cat walk

dall'album David Lynch's Wild at heart del 1990

venerdì 12 settembre 2014

MISSIONE LONDRA

(Misija London di Alek Popov, 2004)

Non sono poi molte le informazioni su Alek Popov che circolano in rete, soprattutto quelle tradotte nella nostra lingua. Eppure il suo Missione Londra non ha nulla da invidiare ad altre opere di autori ben più blasonati, sembra quasi che il destino di provincialismo europeo che affligge i protagonisti di questo romanzo si riversi inspiegabilmente sulle sorti dello scrittore bulgaro. In realtà Popov è uno degli autori più in voga nel suo paese, scrittore capace di costruire un romanzo spassoso, divertente e allo stesso tempo garbato, mai eccessivo e per alcuni versi sorprendente.

Per cominciare non è che capiti poi così spesso di leggere il libro di un autore bulgaro. Magari siete di quelli che si definiscono lettori forti ma la questione rimane la stessa, non è che vi capiti poi così spesso di leggere il libro di un autore bulgaro. Per di più di un autore bulgaro che narra di bulgari. La vicenda si svolge a Londra, città simbolo del progresso cosmopolita europeo, moderna, vivace, entusiasmante. Le vite, un piccolo pezzetto di queste, di diversi personaggi che gravitano intorno all'ambasciata bulgara a Londra, sono mezzo e pretesto per costruire un divertente contrasto tra una sorta di diffuso grigiore proveniente da Sofia e dintorni e la pienezza scintillante della potenziale vita mondana londinese.

Per l'ambasciatore Varadin Dimitrov così come per il cuoco Kosta Banicarov e via via per tutti gli abitanti dell'ambasciata, dal primo dei diplomatici all'ultimo degli stagisti, la permanenza a Londra è un sogno che si realizza, uno sprazzo di piacevole sereno minacciato costantemente dalle nubi nere, nerissime, del possibile rimpatrio nella triste Bulgaria. La prima preoccupazione di tutti è quella di mantenere il posto il più a lungo possibile anche se questo dovesse imporre manovre scorrette e piccoli dispetti ai danni di altri. La massima preoccupazione per tutti gli impiegati in ambasciata è proprio il nuovo ambasciatore, un uomo dai propositi rigorosi ma nevrotico e leggermente sadico che non ha intenzione di rendere la vita facile a nessuno.

Queste premesse unite alla giusta dose di equivoci, gaffes, fraintendimenti e personaggi sopra le righe potrebbero da soli garantire la buona riuscita di un racconto effettivamente appagante. A rendere il tutto ancor più godibile ci sono diverse sottotrame, a tratti smaccatamente divertenti in altri momenti un filo più inquietanti, cose come la doppia vita della donna delle pulizie, la scomparsa delle anatre di Richmond Park, il trattato sul diametro dei panini, il concerto di Devorina Seljanova e via dicendo.

Che venga dalla periferia europea o dal cuore di Londra poco importa, il miscuglio di elementi, talvolta anche linguistico, messo in scena da Popov funziona davvero bene, ancora una bella scoperta che devo alla purtroppo ormai defunta rivista Pulp. Preghiamo per una futura resurrezione.

Alek Popov

giovedì 11 settembre 2014

BRADI PIT 109

Dopo un'estate quantomeno mite è già tempo di neve.


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