giovedì 26 novembre 2015

CANALE 666

(di Tiziano Sclavi e Carlo Ambrosini)

La morte in diretta, la dipendenza dal tubo catodico, l'informazione artefatta, la percezione alterata della verità... perché in fondo se lo dice la tv è vero. Il Dio, l'indice d'ascolto. L'Essere, sostanziato nella presenza televisiva. Il messaggio subliminale, l'alienazione, il canale sbagliato. Il canale 666.

L'orrore esce dallo schermo televisivo, connubio già presentatoci dal cinema in film come Sotto shock e simili. Chiara metafora della nefasta influenza del mezzo televisivo quando male utilizzato e non interpretato dagli uomini? In un transfert pericoloso tra personaggi ed attori, ma non solo, il demone che corre attraverso le antenne spinge tutta una serie di volti noti della televisione a inspiegabili gesti estremi. Una catena di suicidi e tentati suicidi inonda il mondo dello spettacolo e ovviamente arriva a toccare anche l'indagatore dell'incubo.

E allora come oggi la speculazione sulla notizia, la pubblicità sulla tragedia e il mondo che impazzisce. Signori... grssgrrr.. va in onda... grsgrr... la morte!  La follia dilaga, la televisione arriva dappertutto e miete vittime, una dopo l'altra, attratte dal messaggio di morte e succubi del messaggero. Il mezzo ancor più potente del messaggio veicolato.

Ma chi si cela dietro la tv, dietro il canale 666? Chi si cela dietro la nostra televisione, chi la usa nel modo in cui la usa e perché? Quanto noi ne siamo vittime inconsapevoli? Tiziano Sclavi tocca corde attuali trent'anni fa come ora, argomenti che saranno attuali per ancora molto, molto tempo. Il male ritorna, sempre, e quello non diventa mai vintage. In coppia con un altro maestro, Carlo Ambrosini, Sclavi confeziona uno di quegli episodi che hanno dato un senso superiore alla prima era di Dylan Dog all'insegna della dicotomia orrore e contenuti.


martedì 24 novembre 2015

UN MAGGIOLINO TUTTO MATTO

(The love bug di Robert Stevenson, 1968)

Torna sugli schermi di casa nostra, per la gioia di mia figlia, l'accoppiata Robert Stevenson e Dean Jones questa volta con Un maggiolino tutto matto. Abbandonati i partner a quattro zampe di F.B.I. operazione gatto, il duo qui si affida a una spalla meccanica capace di rubare scena e fama a tutti quanti, parliamo ovviamente dell'intramontabile maggiolino Herbie. Va da sé che la visione del film porti ondate di piacevoli ricordi, in particolare nel mio caso quello legato alla prima visione del film a casa dei nonni con i quali ho trascorso gran parte della mia infanzia.

A rivederle ora, nonostante possano piacere ancora a chiunque, è lampate come produzioni di questo tipo fossero spiccatamente rivolte a un pubblico di bambini, è stupefacente vedere come la pellicola, nonostante la stanchezza collettiva della giornata, sia riuscita a tener desta l'attenzione di Laura molto più di quella di noi genitori comunque toccati dall'effetto nostalgia suscitato dal film. Quel che funzionava già sul finire dei '60 funziona bene ancor oggi, in barba a tutti gli effetti speciali moderni e a tutte le diavolerie digitali e gli schermi verdi di cui il cinema moderno spesso si avvale. Se una cosa è fatta bene e con passione probabilmente durerà.

La trama la conosceranno tutti, per i più distratti che rischiano di far confusione tra questo primo episodio e i suoi svariati sequel ecco di cosa si tratta: il pilota di auto da corsa Jim Douglas (Dean Jones) non si rassegna all'evidente fase discendente presa dalla sua carriera. In cerca di una nuova auto economica da acquistare e guidare si imbatte in un'occasione a buon mercato nell'altrimenti lussuoso concessionario del signor Thorndyke (David Tomlinson). Qui, oltre al maggiolino bianco, Jim incontra l'assistente di Thorndyke, la bella Carol (Michele Lee), della quale si invaghisce.


Provata la nuova auto a Jim basta poco per capire come questa abbia qualcosa di strano, toccherà al suo amico meccanico Tennessee (Buddy Hackett) convincerlo di come Herbie, nome dato al maggiolino dal meccanico stesso, sia un'auto del tutto speciale. A bordo del maggiolino Jim tornerà a vincere e a rivaleggiare con lo stesso Thorndyke in numerose gare, tra sabotaggi, stranezze e finali di corsa strampalati.

Oltre alla simpatia suscitata da Herbie funzionano molto bene le location, le riprese delle gare e le strade di San Francisco. Gli attori sono rodati per film di questo genere, Dean Jones a parte (che diamo per assodato) pensiamo al solo Tomlinson che compare in capisaldi come Mary Poppins e Pomi d'ottone e manici di scopa.

Un maggiolino tutto matto è il classico film per ragazzi dove tutto funziona, ancora oggi a quasi cinquant'anni dalla sua uscita.


domenica 22 novembre 2015

L'IMPAGLIATORE

(di Luca Di Fulvio, 2000)

Perché, dopo diversi anni, tornare a leggere un romanzo nel quale il protagonista negativo (o l'antagonista, come si scriveva nelle schede dei libri compilate per la scuola) è un killer seriale, filone narrativo per il quale ho perso passione e curiosità già da molto tempo? La risposta è fiducia. Fiducia in un autore del quale lessi un unico libro anni fa, un libro che mi piacque parecchio intitolato La gang dei sogni e che descriveva ambienti e vicende molto diverse da quelle toccate ne L'impagliatore. All'epoca compravo ancora libri a ogni occasione, sfruttavo le edizioni pocket (ormai quasi sparite), le tessere punti di Feltrinelli, gli sconti, etc... acquistai così anche L'impagliatore e La scala di Dioniso (che ancora non ho letto) di Luca Di Fulvio sull'onda della piacevole lettura sopra citata frutto di un regalo fatto da un'amica a mia moglie.

È proprio passato il tempo. Nonostante il libro sia indubbiamente ben scritto e sia riuscito in alcuni passaggi anche a catturare il mio interesse, ho trovato personaggi e situazioni parecchio stereotipati e di conseguenza poco avvincenti, costringendomi a ricercare un valore aggiunto alla storia nella descrizione degli ambienti, del tessuto sociale e nel tratteggio di qualche personaggio secondario più interessante dei protagonisti. In più non è questo uno di quei libri dove si scopre l'assassino sul finale con rivelazioni stupefacenti, tutto è più o meno noto dall'inizio tranne alcuni dettagli anche questi facilmente intuibili. Ciò non toglie che questa possa rimanere una buona lettura per chi è visceralmente innamorato del genere.

Italia, una non ben definita città molto probabilmente del sud del paese. Una città divisa tra zona vecchia e parte nuova e afflitta da uno sciopero della nettezza urbana che va avanti da giorni e a causa del quale le strade si ricoprono di immondizia. L'ispettore Amaldi è un poliziotto tormentato con un'oscura vicenda nel suo passato, sarà lui con l'aiuto di pochi uomini a dover indagare su una serie di raccapriccianti delitti accompagnati da strani messaggi, delitti chiaramente compiuti dalla stessa mano. Alla vicenda principale si uniscono un'indagine appartenente al passato della città sull'incendio di un orfanotrofio nel quale perirono diversi bambini e l'incontro con la solare Giuditta, bella ragazza piena di vitalità e con un seno prosperoso da far girare la testa, tanto da stuzzicare anche l'interesse dello sfigato compagno d'università poi noto come Muffa.

Da questa breve sinossi sono già intuibili diversi elementi del genere. Se la vicenda in sè poco mi ha dato, qualcosa in più c'è nella costruzione della città e della sua gente, troppo poco a mio avviso per rendere questo libro interessante ai miei occhi. Come dicevo però non mi trovavo proprio nel mio, a chi ama il genere il consiglio è quello di dare un'occasione al romanzo che è ben scritto e che, se recuperato nell'edizione pocket della Mursia, costa pure poco.

Luca Di Fulvio

sabato 21 novembre 2015

LA MUSICA DI LAURA - 007


Dopo diverso tempo di assenza dovuto in parte alla pigrizia della mia bimba, Laura torna a cimentarsi con rock e pop andando a scegliere tra tre brani pescati assolutamente a casaccio, la sua canzone preferita. Scelta ancora una volta molto variegata, vinta sul filo del rasoio da uno dei brani un pelo più poppeggianti qui sotto presentati. Ma andiamo a vedere e ascoltare le proposte odierne:


1)  Quireboys - Hey you




2)  Orange Juice - L.O.V.E. love




3)  Eels - Friendly ghost



Laura è rimasta incantata da... Friendly ghost degli Eeels di Mr. E., già sosia di Laura. Voi invece per chi votereste?

giovedì 19 novembre 2015

VINCENZINA 008

Piove, governo ladro!  (reprise)




Per chi fosse interessato ad acquistare una copia nell'edizione della Red dei libri di Bradi Pit o di Vincenzina potrà richiederla direttamente a Giuseppe contattandolo all'indirizzo email scapigliati@aruba.it

GLI ARGONAUTI

(Jason and the Argonauts di Don Chaffey, 1963)

Indubbiamente il motivo principale per guardare o riguardare il classico del 1963 Gli Argonauti è ammirare il lavoro svolto da Ray Harryhausen sugli effetti speciali dell'epoca. Le sue creature mitologiche, i mostri, le riproduzioni animate a passo uno e incredibilmente amalgamate alle azioni degli attori che recitano in live action, hanno un valore storico decisamente importante per quella che è stata l'evoluzione del settore verso il cinema moderno. In fin dei conti Gli Argonauti può essere considerato un grande blockbuster d'avventura di inizio anni '60, un giusto mix tra peplum in sandaloni e scenari fantastici.

Protagonista del film il mito di Giasone e degli Argonauti alla ricerca del vello d'oro, una trasposizione cinematografica sicuramente incompleta e rimaneggiata del mito, ma per l'epoca d'uscita altamente spettacolare e avvincente, questo grazie più alla maestria di Harryhausen che non a quella del cast o dello stesso regista Don Chaffey, noto qui da noi più che altro per lavori televisivi su varie serie tv e per la regia di Elliot il drago invisibile.

Per noi spettatori moderni la scansione narrativa del film potrebbe risultare ingenua e ascrivibile al degnissimo filone della serie B, ciò nonostante è possibile guardarlo con occhio critico apprezzandone i risvolti positivi senza timore d'annoiarsi troppo. Pensare che gli scontri di Giasone e degli Argonauti contro la schiera di scheletri, contro la mostruosa Idra, contro le arpie o la statua di Talos sono stati ricreati facendo recitare gli attori in solitudine e aggiungendo le creature mitologiche muovendo i pupazzoni a passo uno in un momento successivo, non può non creare stupore. A questo si unisce un'ottima fotografia ispirata dalle location ricercate nei dintorni della nostra Palinuro che offre tramonti splendidi e mare blu, perfetta cornice che tocca i luoghi narrati anche nel mito.


Giasone (Todd Armstrong) reclama il regno della Tessaglia usurpato a suo padre anni prima dal temibile Pelia (Douglas Wilmer) il quale, messo sul chi va là da una profezia, sa bene di essere destinato a cadere per mano di Giasone, ragion per cui con un inganno manda lo stesso alla ricerca del mitico vello d'oro nella speranza che l'eroe non faccia ritorno. Per l'impresa Giasone arruolerà i migliori atleti di grecia tra i quali anche il semi divino Ercole (Nigel Green) e partirà alla volta del vello d'oro sulla nave costruita da Argo (Laurence Naismith). Sulla stessa, in qualità di spia e sabotatore, salirà in incognito anche Acasto (Gary Raymond), il figlio di Pelia. Tra gli incontri degli Argonauti lungo il cammino, anche quello con la bella Medea (Nancy Kovack). A mettere becco nella vicenda non mancheranno gli interventi divini di Zeus (Nial MacGinnis) ed Era (Honor Blackman)

Dopo aver visto le prove del maestro degli effetti speciali in La Terra contro i dischi volanti e in A 30 milioni di km dalla Terra, posso dire che lo stato dell'arte ne Gli Argonauti ha fatto ancora un passo in avanti.


lunedì 16 novembre 2015

GUARDIE D'ONORE - AUTUNNO 1152

(Mouse guard: Fall 1152 di David Petersen, 2005)

Torniamo a parlare dopo diverso tempo di letture per l'infanzia, anche perché è proprio questo il target che mi sembra più adatto alla saga delle Guardie d'Onore. Ammetto che l'arrivo di questi volumi nelle librerie grazie all'edizione della Panini aveva stuzzicato la mia curiosità, mi sembrava una buona occasione per una lettura in compagnia di mia figlia. Poi il succedersi abbastanza serrato di nuovi volumi e il prezzo degli stessi mi ha fatto desistere dall'acquisto.

Per fortuna, due volte l'anno, c'è il mercatino di Piazza Madama qui a Torino e così, con pochi euro, abbiamo potuto assaggiare la prima uscita della saga nella bella edizione della DeAgostini di qualche anno fa.

Le Guardie d'Onore sono un gruppo di topi scelti che hanno il difficile compito di individuare i sentieri più sicuri da percorrere per i loro simili, in modo che questi possano viaggiare da un luogo all'altro e di città in città senza essere attaccati dai loro predatori naturali. Sulla via di Barkstone si perdono le tracce di un topo mercante, a indagare sulla vicenda vengono mandati dal loro comandante Gwendolyn, tre delle migliori guardie: l'irruento Saxon, il più riflessivo Kenzie e il giovane Lieam. Durante la spedizione i tre scoprono le trame di un complotto che minaccia una delle città più grandi costruite dai topi: Lockheaven. Le avventure dei tre topi si incroceranno con quelle di altri membri della Guardia fino a giungere al conflitto finale per il destino di Lockheaven.

Adatta per bimbi non troppo piccoli, a causa di qualche scontro più cruento tra topi e serpenti, e sicuramente poco avvincente per i genitori, Guardie d'Onore si rivela una buona lettura per bambini in età elementare, tra i sette/otto anni e gli undici/dodici diciamo (se già non sono passati ad altro). A Laura che ha nove anni è piaciuto parecchio nonostante la velocità di lettura che sfiora quella della luce, ogni singolo capitolo si legge infatti in pochi minuti.


Detto questo il punto di forza del volume, e probabilmente dell'intera saga, sta nei bellissimi disegni di David Petersen, valorizzati al meglio da vignette molto grandi e da un'ottima colorazione delle tavole. L'autore ricrea a meraviglia la società dei topi d'epoca medievale, tratteggiando al meglio scenari, villaggi, rifugi ma anche attività e mestieri di questi piccoli topolini. Il tutto è reso ancor più credibile da una sezione di contenuti extra a fine volume con le illustrazioni di Barkstone e Lockheaven e schede su arti e mestieri dei topi.

In fin dei conti di sugo non ce n'è molto, però la storia per i bimbi funziona e le illustrazioni sono davvero belle, per pochi euro Guardie d'Onore si è rivelato un ottimo acquisto. A prezzo pieno e per l'intera saga personalmente lascerei perdere.


domenica 15 novembre 2015

SAVOY TRUFFLE - UN RACCONTO

Qualche tempo fa un amico mi portò a conoscenza dell'iniziativa lanciata da Eataly e dalla Scuola Holden che prendeva il nome di Mangia, scrivi, Eataly!

In poche parole l'iniziativa era la seguente: scrivere un racconto di massimo 10.000 battute con l'unico vincolo della presenza di uno dei negozi Eataly all'interno dello stesso.

L'idea mi piacque, scrissi di getto la prima stesura di un racconto che fui poi costretto a tagliuzzare per rientrare nelle battute richieste. Il 30 settembre scorso, dopo una proroga dovuta al successo dell'iniziativa, il concorso si è concluso. Il 15 ottobre sono usciti i risultati. Tre premiati e 40 racconti selezionati per una futura raccolta tematica in un libro che verrà distribuito nei negozi della catena.

Il mio racconto non è stato selezionato, però ho piacere di proporvi qui sotto la sua prima stesura. Mi farebbe piacere avere qualche vostro parere, sapere se vi è piaciuto o se avete riscontrato difetti, in tutta onestà. E soprattutto se avete capito di chi si parla :)

Io son disposto a rivelare retroscena e riferimenti alla realtà inseriti in tutto il racconto.



Ed eccolo qui, il titolo è Savoy Truffle.

1
Il professore aveva un aspetto bizzarro, la lunga barba bianca mostrava segni di incuria e sporcizia. La sua mente geniale non era di certo messa in buona luce dal completo logoro da boy scout che indossava, quel fazzoletto al collo a striscie oblique bianche e marroni non faceva altro che conferirgli in via definitiva sembianze ridicole. Dopo essere rimasto malamente nascosto dietro il fusto di un ippocastano per una decina di minuti a fissare la proprietà privata dall'altra parte di Claremont Drive, il professore si decise ad attraversare la strada. Il traffico a Esher non era molto intenso, la strana figura riuscì quindi a scavalcare inosservata il basso recinto in legno bianco che dava sul giardino antistante una grande costruzione del tutto simile a un bungalow. Il professore si approcciò con un pizzico di timore alla porta dell'edificio. Dopo alcuni istanti di furtiva attesa l'uomo prese coraggio e bussò alla porta. Dall'interno si udirono alcuni rumori, una voce femminile e una maschile che il professore ormai conosceva bene. La porta si aprì, un uomo con indosso un paio di boxer con disegnati degli strumenti musicali occupava la soglia. Fissò il professore per quelli che sembrarono minuti interminabili, le labbra strette e dritte sotto i baffi curati, l'espressione accigliata. Nel più completo silenzio l'uomo fece un passo indietro e richiuse la porta sbattendola in faccia al professore. Ancora voci dall'interno; il volume si alzò, la porta si riaprì. Era una bella ragazza, un visino pulito incorniciato da capelli biondi, la frangetta un poco lunga, begli occhi azzurri.

"Ciao Pattie."

"Professore. George non ha molta voglia di vederla."

"Non ne comprendo il motivo, l'ultima volta in fondo ci siamo trovati bene a lavorare insieme."

"Non era un lavoro, è stata... beh, non saprei neanche come definirla. E George è ancora scombussolato dall'esperienza con quel pezzo da museo giallo."

"Pezzo da museo? Voi neanche vi rendete conto... ma... ma cos'è questo odore?"

Il professore annusò per due o tre volte guardando Pattie con aria di rimprovero.

"Ancora non l'avete piantata con questa roba? Su, fammi entrare, portami da George."

Pattie fece entrare il professore e lo condusse al piano di sopra precedendolo sulla solida scala in legno di mogano. Nonostante l'avanzata età il professore non disdegnava il movimento ondulatorio che il fondoschiena della giovane disegnava nel salire le scale. Distrattosi inciampò nell'ultimo scalino e finì faccia a terra. Dopo pochi secondi un paio di ciabatte rosse comparirono davanti ai suoi occhi.

"Ciao George, credo che i tuoi piedi gradirebbero essere lavati. Belle le tue mutande comunque, chissà se hanno anche la mia taglia?"

"Professore, mi fa piacere che si interessi ai miei piedi nonostante lei sembri essere  appena uscito da un cassonetto dell'immondizia. Se vuole la doccia è da quella parte."

"No grazie. Non abbiamo tempo per la doccia."

"Abbiamo? AbbIAMO? ABBIAMO?"

A ogni abbiamo la voce di George si alzava di un'ottava incrinandosi sempre di più.

"Abbiamo? Non voglio più sentirla parlare al plurale quando io e lei ci troviamo... coinvolti o quello che le pare, all'interno della stessa frase. Non c'è nessun abbiamo. Ha capito questa semplice regola di sintassi?"

"Non abbiamo tempo per la sintassi George, tra l'altro mi sembra non sia mai stata un grosso problema per te, non è forse vero?"

"Ma io..."

Mentre con il volto paonazzo George tentava di aggredire il professore ancora steso sul pavimento, la dolce Pattie mise fine alla contesa con uno strillo degno della migliore banshee irlandese.

"Adesso basta! È mai possibile che con voi due debba sempre finire così?"

Entrò in una delle camere da letto sbattendosi dietro la porta talmente forte da far tremare il pavimento su cui il professore era ancora adagiato. I due uomini avevano assunto un aria mite e mortificata, potere incontrastato dell'ira femminina.

"Si tiri su, cosa ci fa piantato lì per terra? Mi dica che cosa è venuto a fare e tagliamo corto."

Con un po' di fatica il professore si tirò su, prima sulle ginocchia poi in piedi. I due uomini andarono a sedersi sul bordo del letto in un'altra camera, il primo nel suo sudicio costume da scout il secondo con le sue mutande musicali. Stettero così qualche minuto poi il professore parlò.

"Devo fare un viaggio, mi servirebbe una mano."

Il professore si voltò lentamente a guardare George il quale quasi con rassegnazione andò ad affacciarsi alla finestra.

"No professore, non ho più voglia di guanti viola e di esserini azzurri. Perché non chiama qualcuno degli altri? Non voglio più saltare da una dimensione all'altra."

"Ma qui non si tratta più di dimensioni" strillò il professore "Si tratta del tempo, del tempo, razza di zuccone in mutande!"

George si girò di scatto per guardare attentamente il professore.

"Ma il suo trabiccolo non si sposta nel tempo, di cosa diavolo stiamo parlando?"

"Vestiti e vieni con me e cerca di metterti addosso qualcosa di sobrio questa volta."
George ormai esasperato si avvicinò all'armadio aprendolo. "Il bianco va bene?"

2
I due attraversarono Claremont Drive in punta di piedi come se fossero appena usciti da un cartone animato. Proseguirono sul ciglio della strada per alcune centinaia di metri coperti dal buio della sera. Arrivati nei pressi di un folto salice piangente il professore si fermò intrufolandosi nell'intrico dei suoi rami cascanti. Riluttante George lo seguì andando immediatamente a sbattere la testa contro una dura superficie metallica. A George sembrò da subito una sorta di piccolo razzo, una navicella spaziale in miniatura come quelle che si vedevano nelle illustrazioni delle riviste di fantascienza degli anni '50. La testa del professore spuntò da un piccolo portello che si apriva sulla sommità della struttura.

"Cosa stai aspettando? Vieni dentro, non farmi perdere altro tempo!"

George riuscì a malapena a infilarsi nell'apertura facendovi prima passare il capo e scivolandoci poi dentro con il resto del corpo. Lo spazio angusto era sufficiente per un paio di persone, la plancia dei comandi era zeppa di levette, tasti, piccole lampadine e un congruo numero di ammaccature.

"Vedo che questa volta ha apparecchiato per due, perché proprio io mi domando?"

"Oh, taci per favore. La macchina non è facile da pilotare da solo, durante l'ultimo viaggio ho avuto qualche problema e non vorrei ripetere l'esperienza."

George si soffermò a osservare le ammaccature e i pannelli danneggiati sulla plancia di comando chiedendosi in che cosa il professore lo stesse trascinando questa volta.

"Scusi professore, potrei sapere dove stiamo andando?"

"Torino. Nord-ovest dell'Italia. Torniamo indietro di quarantasette anni, ho bisogno di studiare i fenomeni industriali, in quell'anno c'è stata una nascita che vorrei tenere d'occhio e mi piacerebbe fare un sopralluogo della zona Lingotto di quell'epoca. Capirai quando saremo lì. Ora sta zitto e non distrarmi, tieni sotto controllo la plancia a destra, tira su le leve delle spie che si illuminano di rosso e giù quelle delle spie che si illuminano di verde ma soprattutto taci. Quando entriamo nel vortice gira a destra il maniglione blu."

George, offeso e concentrato, si girò verso la plancia di sua competenza, il professore prese ad armeggiare con i comandi e dopo pochi secondi il veicolo cominciò a vibrare in modo deciso, i colori all'interno dell'abitacolo si fecero più vividi, le spie si illuminarono e George iniziò a manovrare le leve, veloci lampi lineari di luci multicolori cominciarono a sfrecciare davanti agli occhi di quelli che ora potremmo definire i due crononauti. Il veicolo iniziò a ruotare su se stesso creando la sensazione di vortice ormai nota ai due, il professore gridò "ora!" e George girò il maniglione blu.

3
La navicella si schiantò contro un alto palo metallico. "Eppure qui non avrebbe dovuto esserci nulla, almeno secondo i miei calcoli" affermò perplesso il professore. La gente che passeggiava nei pressi dell'ingresso di Eataly voltò la testa in direzione dell'assordante rumore senza che nessuno riuscisse a individuarne l'origine.

"Fortunatamente ho inserito un sistema di schermamento sulla navicella" disse il professore andando a infilare il veicolo tra le siepi in modo che nessuno vi sbattesse contro, poi la strana coppia uscì all'esterno al riparo degli arbusti e senza farsi notare si portò sul piazzale antistante a Eataly.

"Strano, pensavo che Italy si scrivesse con la I" osservò George dubbioso.

Il professore gli diede un'occhiataccia, poi inizio a guardarsi intorno perplesso.

"Però... questo non mi sembra affatto il 1921" Poco alla volta, dal volto del professore iniziò a trasparire una collera senza limiti.

"Cosa?" chiese George spiazzato allargando le braccia. "Cosa?"

"A destra, imbecille, ti avevo detto a destra! Ci hai spediti quarantasette anni nel futuro!"

"Beh... è lei che mi ha trascinato, ancora una volta mi preme dirlo, in una delle sue folli trovate. Torniamo indietro e finiamola qui!"

"Non possiamo tornare indietro, la navicella non sarà in grado di effettuare un altro viaggio prima di due ore, i sistemi sono surriscaldati adesso."

George sostenne lo sguardo del professore per alcuni secondi poi fece spallucce si voltò e varcò l'ingresso di Eataly. Nella speranza che non combinasse guai, il professore lo seguì. All'interno del negozio alcune persone strabuzzarono gli occhi al passaggio dell'eccentrica coppia. Un uomo si avvicinò all'orecchio della moglie "Paola, ma quello non è..." - "Ma sta zitto, che dici? Gli assomiglia però".

L'interno di Eataly era adattato in maniera armoniosa ai locali storici della vecchia Carpano, la fabbrica dove si produceva il Punt e Mes, gli spazi nati già nei primi decenni del Novecento contribuirono a non far sentire troppo fuori posto i due crononauti che immediatamente furono attratti da un concentrato entusiasmante di odori e colori. Avevano due ore da far passare prima di poter ritornare a casa, George non ci mise molto ad adocchiare l'area dedicata ai dolciumi e senza indugio vi si recò mentre il professore si dedicava all'ampia selezione di ortaggi esposta sui banchi del corridoio centrale. George non era stupido, sapeva benissimo di non poter spendere le sue sterline in Italia, men che meno poteva arrischiarsi a farlo in un'Italia del futuro. Curiosò così tra gli scaffali indeciso su cosa assaggiare, tra le tante proposte fu attratto da una confezione di cioccolatini assortiti che subito infilò sotto la larga camicia bianca. I suoi soldi non erano validi, non poteva pagare e non voleva rubare. Però desiderava assaggiare. Dopo aver esplorato il negozio in cerca di un angolo appartato, decise di assaggiare i cioccolatini in uno dei locali del piano superiore che ospitava le sale meno affollate dedicate al museo Carpano. La sala solitamente usata per le conferenze era vuota, George tirò fuori la confezione di cioccolatini da sotto la camicia, si sedette a terra a gambe incociate e svuotò il contenuto del pacchetto tra le sue gambe. Scelse con cura quale cioccolatino assaggiare per primo, lo scartò, si gettò la carta alle spalle e lo addentò. Un aroma misto di cacao e zenzero riempì la sua bocca, ne assaporò il gusto contro il palato e aspettò qualche istante. Mangiò poi il secondo, piacere mistico al sapor di mandarino. Fu con il terzo cioccolatino però che George provò la vera estasi, il tartufo al cioccolato gli provocò una sorta di mancamento, trovò un sapore talmente pieno che per alcuni istanti George riuscì a vedere solo un'intensa luce bianca. Dopo pochi secondi dovette chiudere gli occhi per gustare al meglio quel sapore unico.

Non ci volle molto tempo a George per decidere di scriverci una canzone, una canzone su un cioccolatino, o magari su più cioccolatini, perché no? In fondo la sua era la band più famosa del mondo, arrivati a questo punto poteva permettersi di scrivere di quel che più gli piaceva. E poi al suo amico Eric sarebbe piaciuta. Aveva già il titolo pronto, Savoy truffle, un omaggio anche alla storia della città. Decise che quel bagliore bianco intenso scaturito dal cioccolato sarebbe diventato una buona idea per la copertina del prossimo disco, avrebbe convinto anche gli altri una volta tornato a casa, ne era più che certo.

Da quel momento, o meglio, da quando George tornò nel suo tempo e incise insieme ai suoi compagni canzone e disco, sono passati ben quarantasette anni. Ancora oggi quella copertina completamente bianca rimane una delle cover più iconiche mai realizzate nella storia della musica e quello che avete appena letto è semplicemente l'episodio che ne ispirò la nascita.

martedì 10 novembre 2015

EXCALIBUR

(di John Boorman, 1981)

Avvolto tra le nebbie scaturite dai postumi dell'influenza sono a stento riuscito a immergermi nella bruma di Camelot per seguir le gesta d'Uther Pendragon (Gabriel Byrne) e del suo più celebre figlio Artù (Nigel Terry), entrambi nella loro saga accompagnati dal fedele Merlino (Nicol Williamson). Sarà stato l'annebbiamento mentale, l'effetto Tachipirina TM, ma mi è parso d'assistere al trionfo del kitsch più sfarzoso, al comandamento del non lesinare su articoli posticci e dal gusto dubbio usati in modo da ottenere un risultato finale che pervade il film di una certa coerenza estetica e cifra stilistica. Alle scenografie non sono da meno i voluttuosi costumi e le lucide armature, fotografia e filtri, luci e colori, il tutto in una compiuta festa della meraviglia d'accatto. Ancora adesso, tra deliri influenzali, rivedo il luccichio blu verdognolo di Excalibur tra i riflessi del prodotto anticalcare che rilascia la vaschetta del mio gabinetto.

Ad ogni modo, in un vano tentativo di ritrovata lucidità. Nei suoi 140 minuti di durata l'Excalibur di John Boorman è un condensato di mitologia e leggenda legate all'epopea arturiana e, nonostante il corposo minutaggio, lascia quasi il sapore di una versione Bignami TM della stessa. La carne al fuoco è davvero moltissima, i personaggi anche, molti dei quali avrebbero meritato un impossibile ulteriore approfondimento. Si va dalle guerre dei Pendragon, stirpe dalla quale Artù discende, al mito di Excalibur, dalla nascita e rivelazione del re alle gesta di Merlino e di Morgana (una bella e giovane Helen Mirren), dal concepimento fraudolento di Mordred (Robert Addie) all'amore per la bella Ginevra (Cherie Lunghi), dal tradimento di Lancillotto (Nicholas Clay) ai Cavalieri della Tavola Rotonda, dalle gesta di Galvano (Liam Neeson) e Parsifal (Paul Geoffrey) alla ricerca del sacro Graal. Insomma, non ci siamo fatti mancare niente, un po' come quando vai giù e devi per forza fare il giro di tutti i parenti.


Non mancano al cast i nomi celebri o che per lo meno saranno celebri di lì a poco, come la Mirren, Gabriel Byrne, Liam Neeson e Patrick Stuart insieme a caratteristi meno noti ma calati in parti decisamente più importanti. Amalgamati tutti gli ingredienti e al netto di diversi straniamenti visivi e narrativi, il baraccone si regge in piedi con una sua certa stramba dignità con il risultato di proporre un film imperdibile ai fan della saga di Artù e dei Cavalieri del Re (no, non quelli delle sigle dei cartoni, quelli di re Artù), fan ai quali consiglio anche i libri di Jack White, e comunque un buon intrattenimento per chiunque abbia la febbre. Non avendolo provato in condizioni di lucidità, per i lucidi non garantisco.


giovedì 5 novembre 2015

DAREDEVIL - STAGIONE UNO

Finalmente la Marvel è riuscita a lasciarsi alle spalle il Daredevil di Ben Affleck e Mark Steven Johnson e per nostra fortuna lo ha fatto in grande stile. La serie dedicata al diavolo di Hell's Kitchen, distribuita da Netflix e ideata da Drew Goddard, mostra un passo decisamente diverso dal resto della serialità televisiva a tema supereroico riuscendo a competere (e spesso a sovrastare) con tutte le produzioni cinematografiche appartenenti al medesimo genere.

Questa volta si sono fatte le cose veramente per benino. La sigla iniziale già propone alcune delle tematiche della serie che vanno a formarsi visivamente grazie a colate di rosso sangue, la giustizia, cieca come il protagonista, una New York con i suoi simboli e i suoi contrasti, l'iconografia religiosa e la dicotomia bene/male rappresentata dalla fede cattolica e dalla maschera del Diavolo, maschera che vedremo indosso al protagonista solo nel finale di stagione.

Proprio questa è stata forse una delle mosse vincenti della produzione, ancorare Daredevil per terra, tra le strade di Hell's Kitchen, tra i tetti dei suoi edifici fatiscenti, nei magazzini, negli uffici, dare una dimensione da vigilante al personaggio e non da supereroe, sottolineando questa scelta con l'uso di una tenuta da battaglia simile a quella sfoggiata da Matt Murdock (Charlie Cox) nella mini L'uomo senza paura di Frank Miller, una semplice tenuta in nero con una bandana dello stesso colore a coprire la parte superiore del volto, niente di troppo super. Chissà se la seconda stagione, dove verrà esibito il più classico costume rosso, riuscirà a mantenere la stessa forza e la stessa credibilità estetica dell'esordio.

La regia è spesso all'altezza delle migliori produzioni cinematografiche, con un'attenzione particolare ai dettagli, al girato e soprattutto ai personaggi, quasi tutti dotati di mordente, carisma e spessore. In alcune puntate, come quella dedicata all'infanzia di Fisk (Vincent D'Onofrio) si raggiungono vette davvero alte. Inoltre la produzione non ha paura di osare un po' di più per quel che riguarda l'aspetto violento e quello coreografico degli scontri, mai eccessivamente forti (anche se qualche colpo basso ben assestato è presente) ma assolutamente mai edulcorati.


Il cast è di prima scelta con un gigantesco Vincent D'Onofrio a sovrastare tutto e tutti per stazza e per carisma, credo che il suo Wilson Fisk sia la versione migliore possibile per questo personaggio, immenso a dir poco. Un gigante contornato da tanti ottimi attori, almeno in tutti i ruoli principali. I caratteri sono rispettosi delle versioni cartacee e, a prescindere da questo, è stato fatto un ottimo lavoro di sceneggiatura su tutti gli aspetti della vicenda. Esposta magnificamente grazie a diversi flashback l'amicizia fraterna di lungo corso tra Matt Murdock e il suo socio Foggy Nelson (Elden Henson), così come è gestita al meglio la figura fragile e allo stesso tempo decisa di Karen Page (Deborah Ann Voll).

Le atmosfere sono quelle di un noir, una vicenda dove i cattivi lo sono per davvero e non lasciano scampo, sono di quelli che fanno paura e fanno sentire impotenti le persone per bene come i nostri protagonisti o come il giornalista Ben Urich (Vondie Curtis-Holl). Cattivi capaci anche di avere visioni tanto scellerate quanto sincere e di provare amori senza confini e amicizie profonde.

Un serial di livello realmente alto dove tutto, per una volta, sembra essere riuscito davvero bene. A breve Netflix rilascerà, tutte in un solo giorno, le puntate della seconda collaborazione con la Marvel, quelle del serial Jessica Jones. La serie a fumetti da cui è tratta è molto, molto interessante, chissà che la nuova rete streaming non ci faccia una seconda grande sorpresa.


martedì 3 novembre 2015

AVVENTURA MAGAZINE - MICHELUZZI

Rispetto al Dylan Dog Magazine qui siamo proprio su un altro livello. Probabilmente l'Avventura Magazine, del quale in edicola si trova già il secondo numero, per almeno un paio di motivi si trova ad avere una marcia in più rispetto al suo fratellino dedicato all'horror. In primis, essendo legato a una connotazione decisamente più ampia e meno limitante di quello dedicato a Dylan Dog, può vantare diverse frecce in più al proprio arco e sperare, numero dopo numero, di riuscire a stupire e soddisfare sempre più i propri lettori. Non essendo ancorato a un personaggio in particolare il Magazine è libero di presentare materiale nuovo, ristampe o sommari misti e particolari (come nel caso della seconda uscita dedicata a Mister No). Per questo primo numero ad esempio è data ai lettori la possibilità di scoprire o riscoprire l'arte di Attilio Micheluzzi attraverso ben quattro storie lunghe interamente a colori già edite in sedi diverse parecchi anni or sono.

In seconda battuta è assente tutta quella sezione iniziale dove nel Dylan Dog Magazine vengono superficialmente citati film, serie tv, libri e nuove tendenze dell'horror, pagine un poco dispersive e finanche superflue in un'epoca in cui ormai tutte le news e le novità sono a portata di un semplice clic in rete. Qui si sceglie invece di partire con un bell'approfondimento sulla vita e sulle opere di Attilio Micheluzzi, fumettista considerato uno tra i grandi maestri dell'avventura nella nona arte.

Ognuna delle quattro storie presentate è preceduta da un utile introduzione sul periodo storico in cui si svolgono i fatti, su alcuni degli elementi salienti della storia, sugli episodi realmente accaduti, sui luoghi e via discorrendo.


Ad aprire le danze due racconti usciti in origine sulla collana ormai storica Un uomo un'avventura pubblicata dalla Bonelli tra il 1976 e il 1980. Micheluzzi partecipò alla collana (che conta 30 uscite) in due occasioni, prima con L'uomo del Tanganyka e poi con L'uomo del Khyber. La serie di volumi Un uomo un'avventura è ancor oggi ricordata per l'alta qualità delle storie presentate, non solo quelle di Micheluzzi che certamente però non fanno eccezione. Due belle vicende su sfondo storico da recuperare senza dubbio con l'unica riserva (in parte) per la riduzione delle tavole in origine pensate per un formato più grande. Pur rimanendo ben leggibili si percepisce il bisogno dell'arte dell'autore di avere più aria e uno sfogo maggiore.

Per L'Eternauta e Orient Express uscirono invece Shangai, un'avventura di Rosso Stenton e Air Mail, entrambe qui riproposte. A meno di non riuscire a reperire questo materiale nel mercato dell'usato in formato originale e a prezzi umani, questo Avventura Magazine risulta per gli appassionati di questo genere di narrativa un appuntamento immancabile con un albo realizzato con cura e ricco di un apparato redazionale degno di questo nome. Mentre i Dylan Dog Magazines futuri saranno per me trascurabili, è probabile che quello con l'Avventura diventerà un appuntamento fisso dei prossimi mesi (tanto più che dovrebbero uscirne solo un paio all'anno).


lunedì 2 novembre 2015

EMBER - IL MISTERO DELLA CITTA' DI LUCE

(City of Ember di Gil Kenan, 2008)

Ember è il più classico dei film per ragazzi, soppesando i gusti dei giovani d'oggi potrebbe essere un prodotto che probabilmente interesserà bambini più grandicelli e pre adolescenti oltre a tutti gli adulti ancora capaci di godere di storie rivolte a un pubblico più giovane. Ci troviamo di fronte a un'avventura con relativo mistero e situazione drammatica di contorno alla quale solo i ragazzini protagonisti del film riusciranno a trovare una soluzione.

A causa di un evento non specificato, il pianeta Terra corre incontro a una catastrofe di proporzioni immani tale da rendere necessaria la costruzione di una città sotterranea dove un'esigua parte di umanità avrà la possibilità di sopravvivere e sperare nel futuro. L'idea è quella di lasciare gli abitanti della città, Ember, isolati sottoterra per circa duecento anni nella speranza che al termine di questi la Terra risulti nuovamente abitabile. I costruttori della città lasciano in eredità al sindaco di Ember una misteriosa valigetta sigillata e fornita di un counter che aprirà la stessa allo scoccare del duecentesimo anno. La preziosa valigetta, dal contenuto oscuro per tutti, verrà tramandata di sindaco in sindaco. Purtroppo alla morte improvvisa del settimo sindaco la valigetta andrà perduta.

Ciò che qui sopra vi ho descritto avviene nei primi minuti del film, una spiegazione sommaria affrontata da regista e sceneggiatura in maniera molto frettolosa, un incipit che lascia qualche dubbio anche sul perché i cittadini di Ember, nonostante siano passati molti anni dalla tragedia, sappiano poco o nulla della loro situazione e dell'esistenza di un mondo esterno. In fondo i primi ad abitare la città avrebbero dovuto sapere tutto riguardo la loro situazione, poco credibile l'ipotesi che questi abbiano volutamente tenuto all'oscuro le future generazioni dei rischi presenti fuori dalla città. Comunque, ogni ipotesi è valida. In questo, e forse nell'altrettanto frettoloso finale, si possono ascrivere i difetti di un film che peraltro, considerando il target prefissato, sembra piuttosto ben riuscito.


Manca ancora, rispetto ai film dello stesso tipo che si giravano diversi anni fa, la vena più comica o sentimentale della storia, le simpatie tra i protagonisti, il burlone del gruppo e cose di questo genere, per il resto possiamo dire che ci siamo. A Ember, nel giorno dell'assegnazione, a ogni adolescente viene affibbiato un mestiere mediante un'estrazione a sorte presieduta dal Sindaco (Bill Murray). Così la giovane Lina Mayfleet (Saoirse Ronan) si troverà a fare la messaggera mentre Doon Harrow (Harry Treadaway) lavorerà alle tubature della città. La città dipende in toto dal suo generatore che garantisce la luce in un mondo di buio, purtroppo sempre più numerosi sono i black out che affliggono Ember. Inoltre i viveri sembrano scarseggiare e sempre più di frequente arrivano voci sull'esistenza di un mondo esterno, anche il padre di Doon, interpretato da Tim Robbins, sembra saperne qualcosa. Poi un giorno Lina ritrova una certa valigetta.

La parte avventurosa che segue questi avvenimenti, che è il fulcro del film, verterà ovviamente sul tentativo dei due giovani di trovare un modo per abbandonare la città e tornare in superficie, dovendosela vedere con avversari ostruzionisti, strane creature e ostacoli artificiali. Nella parte centrale il film funziona ed è supportato nei ruoli di contorno da un ottimo cast. Oltre al già citato Bill Murray, troviamo Martin Landau nella parte del mentore di Doon alle tubature, il noto Tim Robbins e Toby Jones nel ruolo di assistente del sindaco.

Un film per ragazzi ben riuscito, impreziosito da ottime scenografie e una ricostruzione della città di Ember molto convincente, peccato la fretta in alcuni passaggi che avrebbero meritato qualche minuto e qualche spiegazione in più grazie ai quali il film avrebbe potuto essere un prodotto decisamente migliore.


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