lunedì 30 ottobre 2017

I ORIGINS

(di Mike Cahill, 2014)

L'impressione che si è affacciata con più forza alla mia mente in seguito alla visione di I origins è che Mike Cahill sia un regista più furbo che realmente talentuoso, almeno giudicando il suo lavoro da quest'unico film, pellicola che ha riscosso meno successo del precedente Another Earth e che qui in Italia non ha nemmeno trovato una distribuzione nelle sale cinematografiche. Cahill, autore anche di soggetto e sceneggiatura, sa quali argomenti e quali meccanismi possano catturare l'attenzione dello spettatore, magari non tutti ma almeno quelli di un certo tipo (e io mi ci metto nel mezzo), sa come andare a toccare le corde giuste a livello emotivo, maneggiando i sentimenti magari con una certa faciloneria ma in maniera comunque efficace, a dimostrarlo la toccante scena finale del film e diversi momenti ben riusciti al suo interno, primi tra tutti quelli della nascita della storia d'amore tra i protagonisti, Ian Gray (Michael Pitt) e Sofi (Àstrid Bergès-Frisbey). Si lambiscono argomenti complessi, affascinanti, con implicazioni etiche, filosofiche e religiose, trattandoli con una certa superficialità che non impedisce alla storia e al film di funzionare comunque bene, in qualche maniera il racconto prende, soprattutto se non ci fermiamo troppo a pensare alle implicazioni che potrebbero sollevare gli argomenti trattati ma godendosi invece il film per quello che è: una semplice narrazione finzionale.

Ian Gray è un biologo molecolare che studia l'occhio umano, organo che oltre ad essere la sua materia di studio è anche un'ossessione per Gray che continua a fotografare e catalogare gli occhi di una moltitudine di persone. Un giorno Ian incontra Sofi a una festa, ragazza enigmatica che porta una maschera che lascia scoperti solo due occhi bellissimi che verranno ovviamente fotografati da Ian. I due, dopo un approccio caloroso, si separeranno solo per incontrarsi di nuovo dopo una strana serie di coincidenze che coinvolgono il ricorrere di un numero preciso e proprio gli occhi di Sofi. Segno del destino? Semplici coincidenze? Qualcosa di più? Nel frattempo proseguono gli studi di Ian sull'occhio, questi insieme alla collega ricercatrice Karen (Brit Marling) porta avanti esperimenti per definire tutti gli stadi evolutivi dell'occhio umano, studio che confuterebbe diverse credenze religiose che proprio sull'inspiegabilità scientifica di alcuni fenomeni legati all'occhio umano fondano una delle tesi sull'esistenza di Dio, posizione ovviamente non accettabile per lo scienziato. Di tutt'altro parere invece è Sofi che crede nell'inspiegabile e in collegamenti remoti tra diverse vite in tempi lontani tra loro.


Tutto sembra molto complicato ma in realtà non lo è, Cahill sa come gestire la materia, sa quando inserire qualche colpo basso, sa come blandire lo spettatore con un passaggio romantico, sa come piazzare una scena ad effetto ma soprattutto costruisce un film che, nonostante gli argomenti solo all'apparenza ostici, fila dritto come un fuso senza creare inutili complicazioni. Si avvale di bei volti, un Michael Pitt adatto alla parte, la modella spagnola Àstrid Bergès-Frisbey che offre una bellezza fuori dai canoni e quella invece più canonica di Brit Marling, nel cast anche Steven Yeun, il Glenn di The walking dead. Formalmente la messa in scena non presenta sbavature ma nemmeno guizzi particolari, la confezione è quasi lussuosa e cela in parte un contenuto ben realizzato ma privo di grande spessore.

I origins è un film per un pubblico a cui piace il genere, soprattutto quel misto tra scienza, fantascienza e inspiegabile (sovrannaturale sarebbe un parolone troppo grosso in questo caso) che sfocia in storie fuori dall'ordinario, un film che può offrire un buon intrattenimento e che non lascerà deluso troppo pubblico, certo imperfetto, anche criticabile per alcuni versi ma guardandolo senza pretese sicuramente godibile.

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