domenica 10 dicembre 2017

CAPITAN JACK

(di Tito Faraci e Enrique Breccia, 2016)

Capitan Jack è il genere di Texone che personalmente vorrei sempre vedere in edicola, un'opera che travalica i confini nazionali, esula da tutto ciò che già è stato visto in casa Bonelli, un albo che propone in copertina il nome di un grande maestro del fumetto ma soprattutto presenta tavole al suo interno dalla personalità spiccata, insomma, traducendo in poche parole, è un Texone che ha il vero sapore dell'evento. Lasciamo perdere che la sceneggiatura di Tito Faraci qui non si avvicina nemmeno lontanamente all'essere una delle più interessanti o memorabili partorite per il più noto tra i ranger del Texas, la storia si lascia leggere, accompagna le tavole di Breccia senza particolari sussulti, ma non è questo un problema, certo una bella storia appassionante sarebbe stata meglio, ma di buone storie di Tex se ne trovano tutti i mesi nella serie regolare, nei volumi speciali e nelle varie ristampe dedicate al personaggio, qui è l'interpretazione che conta.

L'approccio di Enrique Breccia al Tex è più caricaturale e caricato di quello cui siamo abituati noi lettori, ciò nonostante il disegnatore argentino, figlio del grande Alberto Breccia, riesce a non togliere forza e ruvidezza al personaggio, anzi, dona a Tex uno sguardo duro e all'occasione il giusto ghigno beffardo. La prima tavola si apre con un campo lungo, vista dall'alto su un tipico ranch di coloni, la scena è osservata da quello che sembra l'occhio spettrale di un gufo, la tavola è armonica, i tantissimi brevi tratti ordinati segnano gli scuri delle vignette, i volti di Elizabeth e di suo padre sono carichi, i nasi accentuati, i tratti forti, Breccia si sofferma sui dettagli del paesaggio, piccoli animali, in vignette d'attesa che dettano i tempi, c'è una grandissima capacità di sguardo, tanto dinamismo, volti ed espressioni magnifiche. Tex compare per la prima volta in questo albo mostrandosi in una vignetta di profilo, massiccio, mento pronunciato, naso aquilino, in tutto il suo vigore, le dinamiche di Breccia sembrano nate per il cinema, angolature molto varie, avanzi da galera della peggior specie, sequenze movimentate, una maestria degna di un grande nell'illustrare la notte, i boschi, le inquadrature strette sulle mani, sugli oggetti, sulle bestie.


In alcuni flashback Breccia cambia tecnica, alleggerisce il tratto, elimina i neri pieni continuando a tenere un altissimo livello di dettaglio, regalandoci tutto il dinamismo di una stampede, il furore delle battaglie, la bellezza della natura, tavole dal sapore più sognante, altre più cruente e terrene. Davvero uno dei pochi casi dove una storia non così memorabile non va a inficiare il lavoro di una artista così personale e riconoscibile. A mio modo di vedere uno dei Texoni più interessanti in assoluto, almeno per quel che concerne il reparto grafico, peccato non sia possibile ogni anno ammirare un'interpretazione del Tex così originale.

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