(The trial of the Chicago 7 di Aaron Sorkin, 2020)
Film corale imbastito in maniera impeccabile da Aaron Sorkin che prima di tutto è uomo di scrittura, sceneggiatore, drammaturgo; Il processo ai Chicago 7 è un film molto scritto che alterna il dibattimento processuale, fatto di dialoghi, contraddittori (negati) e battute di spirito, a sequenze maggiormente dinamiche e a momenti nuovamente pesati sulle parole e affidati alle doti da stand-up comedian di un Sacha Baron Cohen in stato di grazia. Sorkin tiene in equilibrio il tono di denuncia sociale e un'indole ironica molto spinta che in un dibattimento penale potrebbe rischiare di far cadere il castello della narrazione, la mistura invece tiene sorprendentemente bene grazie al contributo di un gruppo d'attori tra loro complementari, dall'istrionico Cohen al suo serissimo contraltare messo in scena da Gordon-Levitt, dallo strafatto Jeremy Strong al preciso Eddie Redmayne allargando i meriti a tutto il cast, foltissimo e ottimamente assemblato.La vicenda muove da un episodio storico, protagonisti quelli che vennero in seguito definiti i Chicago 7, gruppo eterogeneo di giovani (non proprio tutti) provenienti da percorsi differenti, accomunati dalla giustizia americana allo scopo di inscenare un processo con intenti politici e mediatici atto a screditare le proteste portate avanti da migliaia di ragazzi contro la guerra in Vietnam e contro una classe dirigente nella quale questi non si riconoscevano più. Abbie Hoffman (Baron Cohen) e Jerry Rubin (Jeremy Strong) sono tra i fondatori del Partito Internazionale della Gioventù, il primo è un carattere strabordante, oltraggioso e capace di attirare le simpatie dei più, il secondo è dipinto come un fattone all'ultimo stadio, David Dellinger (John Carroll Lynch) è un padre di famiglia contrario alla violenza che lotta per una giusta causa e che si troverà accusato insieme ai suoi compagni più giovani, Tom Hayden (Eddie Redmayne) insieme al suo sodale Rennie Davis (Alex Sharp) fa parte di diverse associazioni di protesta della sinistra, meno anarchico di Rubin e Hoffman, vuole cambiare il sistema dall'interno, in futuro ci proverà sul serio diventando membro del Senato della California; John Froines (Daniel Flaherty) e Lee Weiner (Noah Robbins) erano presenti alla manifestazione che nel 1968 impedì lo svolgimento di un comizio dei democratici e dove ci furono scontri violenti con la polizia, episodio per il quale i sette vennero arrestati, imputati insieme agli altri non si capisce bene cosa ci facciano nell'aula di tribunale. Accanto ai sette ragazzi bianchi, non rappresentato per sua scelta dal loro stesso avvocato, c'è l'imputato nero Bobby Seale (Yahya Abdul-Mateen), estraneo alla manifestazione ma colpevole agli occhi della corte (e del sistema) di essere tra i fondatori del gruppo delle Pantere Nere.
Sorkin costruisce il film alternando le varie fasi del processo (durato mesi) a flashback sul passato prossimo dei protagonisti e al racconto della giornata della manifestazione e dei successivi scontri che valsero ai sette (più uno) protagonisti l'accusa federale di istigazione alla violenza e addirittura cospirazione. La narrazione è avvincente, spesso ruffiana grazie alla performance di un enorme Baron Cohen con il quale rivaleggia il solo Frank Langella (82 anni) nei panni dell'ottuso, parziale, razzista e irricevibile giudice Hoffman che per uno scherzo del destino porta il cognome del più ingestibile tra gli imputati. Nonostante il registro che spesso rientra nella commedia, non mancano i momenti più toccanti ed emerge molto bene l'impotenza del cittadino di fronte a un potere costituito che non ha vergogna dei suoi abusi, dell'ingiustizia, della parzialità, del suo razzismo e di ogni stortura di cui è capace, anzi se ne bea sbeffeggiando la controparte. Da questo punto di vista i colpi vanno tutti a segno, stemperati poi da una scrittura spesso divertente e accattivante. Calibratissimo anche il dibattimento processuale dove si ritaglia il suo spazio l'avvocato dei sette interpretato da Mark Rylance. Finale commovente (sommamente americano, ma tant'è). Bella rappresentazione di un episodio della storia "recente" statunitense che magari in molti non conoscevano, secondo lavoro di Sorkin alla regia che fa venir voglia di recuperare il suo Molly's game.
Langella è stato pure un ottimo Nixon per Ron Howard. Comunque il passo era breve come per Garland anche per Sorkin il talento doveva sfociare alla regia.
RispondiEliminaOttimo anche lì Langella, se spulci nel blog troverai anche Frost/Nixon.
EliminaHai usato il termine giusto: impeccabile. Sorkin è probabilmente il miglior sceneggiatore vivente e lavora di cesello, il film come scrittura rasenta la perfezione. La regìa invece è più classica, ma penso volutamente: è al servizio dello script. Ottimi anche gli interpreti, nessuno escluso.
RispondiEliminaCredo che una regia più dinamica o moderna avrebbe tolto qualcosa alla scrittura di Sorkin, impianto classico (che io apprezzo molto) e va bene così.
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