Goro Miyazaki, figlio del ben più celebre Hayao, torna alla regia dopo cinque anni dal suo esordio - I racconti di Terramare - e sigla il diciottesimo lungo dello Studio Ghibli (diciannovesimo se contiamo Nausicaa, prodotto poco prima della fondazione dello Studio stesso). Guardando La collina dei papaveri si evince come il figlio d'arte sia maturato nei cinque anni trascorsi dall'opera precedente: se I racconti di Terramare, pur non meritando alcune delle critiche ricevute all'epoca della sua uscita, aveva un incedere pesante, a volte macchinoso, e faceva percepire allo spettatore tutte le sue due ore di durata, La collina dei papaveri gode invece di un passo lieve, avvolgente, dotato anche nella narrazione di quella leggiadria che emanano i disegni ancora una volta superbi che accompagnano quasi tutte le uscite dello Studio Ghibli. Proprio mentre Goro è in procinto di uscire nella sale con il primo lavoro dello studio realizzato in CGI, fa piacere volgere ancora una volta lo sguardo al passato e bearsi del lavoro di una delle poche realtà rimaste a fare grandi film in animazione tradizionale. Per questo film Goro Miyazaki abbandona qualsiasi deriva fantastica e confeziona una storia intima con protagonisti due adolescenti, Umi e Shun, e il mondo che ruota intorno alle loro vite.
Umi è una sedicenne che oltre ad andare a scuola aiuta la nonna nella gestione di un ostello ricavato nella loro grande abitazione, la madre di Umi è negli Stati Uniti, il padre è morto in una battaglia navale durante la guerra di Corea. Siamo infatti negli anni 60, il Giappone è un paese con un'economia emergente che si sta lanciando a grandi passi nel futuro per lasciarsi alle spalle i traumi della guerra. Umi porta avanti una sua tradizione personale, ogni mattina issa su un pennone nel giardino di casa delle bandiere navali che dovrebbero servire come segnalazione per riportare la nave del padre a casa, un sogno che Umi sa che non potrà mai veder realizzato. A sua insaputa, tutti i giorni, un rimorchiatore che passa davanti all'ostello risponde al suo segnale. Shun invece è uno dei leader dell'assemblea dei rappresentanti scolastici, lavora per il giornalino indipendente della scuola e insieme a molti suoi compagni ha occupato un vecchio edificio per portare avanti tutta una serie di attività culturali collaterali al programma scolastico. Dopo un primo incontro che non mette Shun in ottima luce agli occhi di Umi, il rapporto tra i due ragazzi si chiarirà e diventerà sempre più profondo portando cambiamenti importanti per loro e per tutto l'ambiente scolastico.
C'è un'attenzione ai gesti molto marcata nel film di Miyazaki, rituali che donano forza all'ennesima eroina Ghibli: l'abitudine nell'alzare le bandiere tutte le mattine, l'impegno maniacale nella preparazione del cibo, anche nel ruolo centrale che avrà Umi nel salvare e rilanciare il Quartier Latin, l'edificio storico occupato dagli studenti; la ragazza è il vero cuore di un film dolcemente sentimentale che ci mostra come con la dedizione si possano ottenere risultati insperati e che imbastisce una serie di legami tra i protagonisti tutti da scoprire. Per certi versi sembra quasi che Goro abbia assimilato più la lezione di Takahata o di altri collaboratori dello Studio Ghibli che non quella del padre, e in fondo è giusto così, i cloni non servono a nessuno e per cause di forza maggiore (Takahata ci ha lasciato un paio di anni fa e Miyazaki Sr. ormai tocca gli 80) bisogna iniziare a guardare verso un orizzonte più lontano. L'avvento del primo film in CGI può essere un primo passo (che personalmente non mi entusiasma), vedremo se le nuove leve riusciranno in maniera seppur personale a non snaturare l'anima di quello che è un vero patrimonio dell'animazione.
E' migliorato sì, ma per raggiungere il padre deve farne ancora di strada.
RispondiEliminaCon soli due film all'attivo (tre a breve) è difficile azzardare paragoni, poi Hayao è inarrivabile, l'importante è che Goro segua la sua strada e ci offra belle prove come questa.
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