(di Paolo Sorrentino, 2006)
L'amico di famiglia è l'ultimo film girato da Paolo Sorrentino prima dell'esplosivo successo di critica e pubblico arrivato con l'uscita de Il divo due anni più tardi, film spartiacque che ha consacrato la popolarità e il talento del regista napoletano presso il grande pubblico che da lì in avanti non ha mancato di seguire con curiosità e una buona dose d'attesa le nuove prove di quello che oggi è uno dei nostri registi più rappresentativi. Eppure gli esiti del lavoro di Sorrentino erano ottimi già da prima, a dimostrarlo anche (e non solo) questo L'amico di famiglia, film all'interno del quale le idee visionarie e il talento compositivo, di inquadrature e sceneggiatura, da parte di Sorrentino sono già ben evidenti seppur in qualche modo più misurate e ancora non esplose rispetto a quanto il regista ci farà poi vedere in futuro. Pensiamo per esempio alla scena iniziale: inquadratura ravvicinatissima su due occhi stanchi, occhiaie peste e gonfie, sono occhi vecchi su tratti rugosi; uno zoom all'indietro su musica di Theo Teardo e compare un volto intero incorniciato da un velo; è una vecchia suora. L'inquadratura si allarga, la suora mormora una preghiera, si vede il mare e la spiaggia nella quale la suora è sepolta, spuntano solo la testa giaculante e il crocefisso che porta al collo poggiato sulla sabbia, la camera si alza verso il cielo, si allontana e si riabbassa alle spalle di due loschi figuri intenti impassibili a osservare la suora. Non è da meno la successiva presentazione del protagonista, ma non sveliamo troppo a beneficio di chi ancora non avesse visto il film. Queste sequenze sono promesse; sono promesse di applicazione, sono promesse di una certa classe all'opera non appannaggio di tutti, elementi che andranno poi ad affinarsi e a crescere nel tempo portandoci al Sorrentino di oggi, a quello dei suoi più grandi e meritati successi.Geremia de' Geremei (Giacomo Rizzo) vive in una situazione di discreto squallore in una triste località dell'Agro Pontino insieme alla madre disabile. Geremia è un sarto con una sua piccola attività che non è, come verrebbe naturale pensare, quella di confezionare abiti, bensì quella di prestare piccole somme di denaro alle persone in difficoltà della sua zona. Geremia de' Geremei è un usuraio. Nel ricoprire questo ruolo ricercato e disprezzato in egual misura Geremia mantiene un'immagine superficiale di interesse verso i suoi assistiti e le loro famiglie pre(te)ndendo a conti fatti il ruolo di "amico di famiglia", utile e servizievole alla bisogna ma spietato nei momenti di difficoltà. Tra i vari "clienti" di Geremia c'è anche Saverio (Gigi Angelillo), uomo povero in canna che deve far fronte alle spese del matrimonio della bellissima figlia Rosalba (Laura Chiatti) e alle pressioni dei consuoceri affinché la celebrazione di questa unione sia quantomeno dignitosa. Così, memore di tutte le umiliazioni subite in vita, Saverio tenta di evitare almeno questa e si rivolge a Geremia, uomo che facilmente può provocare repulsione e che non mancherà di irritare la ribelle Rosalba. Tra le varie vicende che Geremia seguirà in questo periodo, aiutato dal sodale Gino (Fabrizio Bentivoglio), un uomo col mito dell'America country, sarà proprio quella del matrimonio di Rosalba a muovergli dentro qualcosa, desiderio più che altro, perché Rosalba è davvero irresistibile, una di quelle donne capaci di far perdere la testa a chiunque, anche a un opportunista venale come Geremia.
Nel costruire il suo protagonista, come già fatto in precedenza e come farà poi in seguito, Sorrentino pone cura e attenzione a ogni particolare, sia estetico (l'abitazione buia, la fascia con le patate, la zoppia, la busta di plastica, etc...) sia caratteriale e comportamentale. Tanto era misurato il Titta Di Girolamo interpretato da Toni Servillo ne Le conseguenze dell'amore tanto è dialetticamente esuberante e affascinante Geremia de' Geremei, fatto sostanza dalla prova superba di un Giacomo Rizzo efficacissimo nel rendere al meglio tutte le contraddizioni di un personaggio intriso di egoismo e crudeltà ma capace di veicolare anche la pena dell'emarginazione, dell'esclusione e della solitudine. Geremia è portatore di un sapere linguistico sempre pronto, fatto di massime e affermazioni ficcanti, sfoggiate sempre al momento giusto, un uomo sveglio in contrapposizione al più ingenuo Gino (almeno a una prima lettura) che in testa ha solo l'America degli spazi sconfinati, un sogno lontano e poco realizzabile. Sfaccettato il giusto il personaggio della Chiatti, vittima e femme fatale in qualche modo, qui ancora un poco acerba ma con il phisique du role perfetto per il suo personaggio. Quello di Geremia è un personaggio stratificato, respingente ed esecrabile per il modo in cui conduce la sua vita, non manca tuttavia, soprattutto sul finale, di muovere una pietas contraddittoria nei suoi confronti in quanto bersaglio (lo si può anche solo dedurre guardandolo) di un'esclusione sistematica e di una negazione da parte degli altri (delle altre) alle umane passioni, un diniego di affetti che lascia intuire la vittima all'interno del carnefice. Nel triste scenario di un Agro Pontino dalle poche bellezze, una delle quali è indubbiamente Rosalba, Sorrentino riesce a ritagliare geometrie e scenari in perfetta simbiosi con gli eventi e con la colonna sonora dalla quale emerge la passione per la musica del regista. I primi tre film di Sorrentino costituiscono un piccolo corpo d'opera che forse gode di meno notorietà rispetto a ciò che è venuto dopo ma che non ne teme il confronto per valore, sono questi film da riproporre e rivedere in modo che anche chi ancora non li conosce possa ritrovarli e apprezzarli quanto (e magari più) di altre sue opere più recenti.
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