(Citizen Kane di Orson Welles, 1941)
A intervalli più o meno regolari, sulle riviste specializzate o nei notiziari in televisione, compare una di quelle classifiche create da esperti di settore, da istituzioni riconosciute o semplicemente da degnissimi appassionati, che mettono a conoscenza noi lettori su quali siano i cento (o dieci o mille, poco importa) migliori film di tutti i tempi. In cima a queste liste è comparso più di una volta Quarto potere di Orson Welles, alternandosi sul gradino più alto, soprattutto in questi ultimi anni, con La donna che visse due volte del maestro Sir Alfred Hitchcock.
È fuor di dubbio come il film sia stato insignito più volte di questo onore con pieno merito, ci si trova di fronte a un capolavoro del cinema moderno, ancor di più, parliamo di uno di quei film che hanno contribuito proprio al passaggio dal cinema classico a quello moderno, diretto da un regista avanti sui tempi che realizza al suo esordio una pellicola che più di settant'anni dopo è ancora sulla bocca di tutti. A produrre enorme stupore è il genio visionario di Welles che a soli venticinque anni realizza uno dei film più importanti per la storia del cinema, solo tre anni più tardi dall'aver scatenato il panico durante l'ormai celebre trasmissione radiofonica in cui, leggendo l'adattamento de La guerra dei mondi del suo quasi omonimo H. G. Wells, terrorizzò gli americani con la sua convincente interpretazione, talmente appassionata da far credere agli ascoltatori che un vero attacco alieno alla Terra fosse in atto in quel preciso istante.
In Quarto potere Welles narra la vita e le gesta di Charles Foster Kane (interpretato dallo stesso Welles), uomo di spicco nella New York degli anni a cavallo tra fine Ottocento e inizio Novecento, magnate dell'editoria, collezionista d'arte e uomo tra i più ricchi e influenti del paese. La sua vita ci viene presentata grazie a un montaggio che offre allo spettatore ben sei punti di vista diversi sul protagonista, alternando narratori e tempi della vicenda, donando un dinamismo e un ritmo d'eccezione al film come mai fino ad allora si era visto a Hollywood, un vero e proprio punto di rottura con il passato e un modello a cui si guarda ancora oggi per la realizzazione di pellicole che ora definiamo post moderne. In più il colpo di genio di inserire fin dalle prime battute del film l'enigma di Rosabella, uno dei più celebri e riusciti McGuffin della storia del cinema. A conferma delle capacità apparentemente sconfinate di Welles, una prova attoriale impeccabile che sfoggia capacità di trasformismo invidiabili nel passare da un Kane giovane a uno decisamente più attempato. Stilisticamente la regia offre spunti a ogni inquadratura, dalle atmosfere gotiche dell'apertura, alle riprese deformate attraverso la nota palla di neve alla quale si accompagna nella prima scena, che si apre sulla morte di Kane, la parola "Rosabella", motore dell'intera vicenda, e ancora i tagli di luce, le ombre espressioniste e le prospettive ardite con inusuali posizionamenti della camera.
Il protagonista è ispirato a William Randolph Hearst con il quale il Citizen Kane del titolo originale ha in comune ben più di una caratteristica, tra le altre cose considerato l'inventore del giornalismo scandalistico, editore per il quale lavorò anche il celebre giornalista Walter Winchell. Come già accennato il film si apre con la morte di Kane, se ne ripercorre poi la vita tramite le testimonianze di un cinegiornale e di diversi altri personaggi a lui vicini, da quella del banchiere (George Coulouris) che ne curò le ricchezze di famiglia derivanti da una miniera d'oro, fino a quella della sua seconda moglie, la ballerina e cantante Suzan (Dorothy Comingore), quelle del maggiordomo (Paul Stewart) dello stesso Kane e del suo collaboratore Mr. Bernstein (Everett Sloane) fino ad arrivare al primo reporter dei giornali di Kane, l'amico Jedediah Leland (Joseph Cotten), e al giornalista incaricato di scoprire l'enigma dietro alla parola Rosabella (William Alland). Ogni racconto è un tassello per tentare di capire la complessa personalità di un protagonista di cui nessuno di loro, se non il banchiere, conosce il passato, un passato che lo porterà ad avere una vita piena di successi senza però mai raggiungere quella pace con sé stesso della quale ogni essere umano avrebbe bisogno, senza conoscere il vero amore e l'arte del donarsi agli altri, pur avendo sostenuto le cause dei più deboli, imprese di successo come la direzione del New York Inquirer o aver lanciato la carriera artistica della moglie e aver costruito Candalù, una residenza da favola che avrebbe fatto invidia anche alla più moderna Disneyland.
Un film complesso per l'epoca in cui è stato girato, denso, innovativo (basti pensare all'uso dei piani sequenza e della profondità di campo, segni di stile fino ad allora mai sfruttati al meglio), visivamente accattivante e capace di destare ancor oggi una certa meraviglia. Non so a quanti film contemporanei possa riuscire di suscitare tali reazioni. Ognuno è libero di decidere se Citizen Kane meriti il gradino più alto di quel famoso podio, di sicuro lassù, osservato dal basso, proprio dal punto in cui Welles avrebbe piazzato la telecamera, la sua presenza non stona affatto.
Che pezzaccio hai tirato fuori!! Nonostante la durata e la natura blasonata dell'opera potrei guardare questo film mille volte e rimanere sempre affascinata sia dalla bellezza delle immagini che dal carisma di Welles. Capolavoro è una definizione che sta stretta, per una volta!
RispondiEliminaGran pezzo di storia, ad avercene così in questi ultimi anni...
EliminaRicordo quella prima sotto la pioggia a Nuova York nel '41. Confesso che allora non realizzai quanto nel futuro vivesse quel ragazzone con il nasino ed il broncio dei bimbi viziati e ci rimasi male quando non trovai in nessun frame un riferimento al mio amico ed ex allievo Geo Herriman il cui Krazy Kat piaceva a tal punto al tycoon da garantire un contratto vita natural durante al papà di Krazy Kat. No kiddin.
RispondiEliminaAnni dopo Orson confessò di trovare la cosa di Rosebud un escatomage banale e pseudo freudiano. Più o meno. Era una festa affollata e stavo ascoltando Alan Moore mentre spiegava che di The Killing Joke salvava solo i disegni e che la storia era debole e banale ed i personaggi tristi. In strada comperai un hot dog da un baracchino gestito da Gary Chaloner che dopo anni era ancora convinto che la sua satira dei supertizi non era così male e che avrebbero dovuto dargli una altra occasione come al suo inker Mcfarlane. Una serata così.
Chissà perché mi ero fatto l'idea che nel '41 tu non fossi a New York, ti collocavo erroneamente dalle parti di Istanbul. Non sapevo dell'infatuazione di quel geniaccio per quell'altro geniaccio, non si finisce mai di imparare. Di quell'altra serata ti invidio l'hot dog di Chaloner, una cosa che non ho mai assaggiato, ma in quell'occasione dove eravate?
EliminaTi confesso che quando giravo per le peggiori bettole di Caravas millantavo di aver suonato il piano nel bar di Rick a Casablanca nel '41 quando in realtà ero a Madripoor con Logan, un implume Steve Rogers e la piccola Romanova.
EliminaCaspita, bei tempi quelli! Oh mio Dio, qualcuno dice ancora caspita?
EliminaIo dico acciderlina, ma è una citaz del Capitan Marvel della JLA della premiata ditta Giffen/DeMatteis/Maguire/Gordon. Qualche anno prima degli X-Men di Claremont e Lee con la immortale I Cavalieri di Madripoor.
EliminaChissà quando riusciremo a rileggere qualcosa di degno legato agli Uomini X. Il nuovo corso... insomma.
EliminaUn capolavoro senza tempo! E' uno dei film che preferisco in assoluto, che ha alimentato la mia passione per il cinema!
RispondiEliminaSottoscrivo in pieno.
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