(di Todd Phillips, 2024)
Oh no! Quel cattivone di Todd Phillips ci ha rotto il giocattolo! Se n'è andato a casa e si è portato via il pallone! A noi il Joker di prima piaceva tanto (sigh! sob!). Eh già, sembra proprio che il nuovo lavoro del regista della trilogia di "Una notte da leoni" non sia stato troppo gradito da gran parte del pubblico adorante che presenziò entusiasta alle proiezioni del primo episodio di questo dittico dedicato al Joker. Un critico professionista a questo punto scriverebbe qualcosa come: "e sticazzi!", ma visto che chi vi scrive professionista non lo è affatto, eviterà accuratamente uscite di questo genere e tenore. La verità è che la nuova opera di Todd Phillips (che qui si dimostra quantomeno autore coraggioso, intelligente e anche dall'indole un po' punk nel fottersene di quello che avrebbe potuto pensare il pubblico del suo film) è in effetti più ostica e meno digeribile di quel che tutti noi ci saremmo potuti aspettare; il film fatica a scorrere, Phillips spezza il ritmo con tanti brani musicali che richiamano il musical classico ma che proprio musical non sono, e poi... e poi... e poi il Joker si vede poco, non sembra essere nemmeno il protagonista, c'è sempre questo Arthur Fleck, chi cazzo è poi questo Arthur Fleck? Arthur Fleck è un malato, una persona che ha subito angherie e violenze psicologiche, un sociopatico, un uomo con difficoltà a inserirsi nella comunità dalla quale è stato escluso, dileggiato, schernito, lo abbiamo visto bene nel primo capitolo, uno che si è rifugiato in un mondo di fantasia, nell'idea di poter far ridere e magari catturare un pizzico di quell'attenzione che gli è sempre stata negata; Arthur Fleck è un emarginato, non è Joker, Joker non esiste, non è nessuno, è una proiezione irreale di un uomo malato che ha sfogato il suo enorme disagio nella violenza. E a questo torna Phillips, all'uomo, torna a questo e ad altro ancora in un film che per lo spettatore non troppo pigro potrebbe acquistare valore solo a visione terminata, un po' come quei piatti che "riposati sono meglio".È un film spiazzante questo Joker: Folie à deux, lo è per tanti motivi alcuni dei quali già accennati poco sopra, primo fra tutti il distacco dal suo predecessore. Phillips abbandona completamente o quasi la città, quella Gotham/New York che nel primo capitolo tanto aveva richiamato quelle atmosfere scorsesiane citate apertamente dal regista e dalla critica tutta (Taxi driver, Re per una notte), ce la nega quasi completamente, una scena sulla famosa scalinata ("basta cantare, parlami"), qualche esterno sulla folla acclamante al Joker di fronte al tribunale dove si tiene il suo processo e poco altro. Phillips si chiude in interni e confeziona un film che riesce a essere di una coerenza impressionante rispetto a quanto fatto nel primo capitolo pur scombinando apertamente le carte: Folie à deux è infatti un misto di dramma carcerario, di musical sui generis e di film processuale, generi diversi neanche amalgamati troppo bene tra di loro ma che si asservono allo scavo sul personaggio, (Fleck intendiamo, non il Joker che non esiste), si piegano al suo rapporto con la follia e con l'immagine che vorrebbe dare di sé (e forse, solo forse, qui c'è il Joker) e con quella che tutto il mondo vorrebbe vedere (e qui è il Joker sicuramente), a partire da quei rompiscatole di fan del primo film. Nel rapporto tra l'uomo - Fleck - e la sua immagine - Joker -, Lee Quinzel (Lady Gaga, e scordatevi la Harley Quinn della Robbie) riveste un ruolo quasi metatestuale impersonando il desiderio di spettacolo dello spettatore e il suo rifiuto di un Fleck senza Joker (geniale qui Phillips nell'anticipare le critiche del grande pubblico, l'opera acquista quasi un sentore da beffardo suicidio artistico, se davvero tutto è stato studiato in precedenza dal regista non rimane che dire "chapeau" e inchinarglisi, qualche lecito dubbio però rimane). Lee è affascinata dalla figura del Joker, lo ha studiato nel film che hanno fatto su di lui, un film nel film (non bellissimo, pare) che mette lei e noi spettatori nello stesso ruolo di fan, con l'unica differenza che lei ha la possibilità di incontrare il Joker (in realtà Arthur) nel manicomio criminale di Arkham, di innamorarsi della sua potenza eversiva e immaginifica magnificandone l'irreale e tentando di convincere Fleck che solo il Joker ha senso di esistere, che solo al Joker la giuria potrà dare credito al processo, solo il Joker potrà attirare la giusta attenzione e avere una possibilità, perché in fondo Arthur non è nessuno, a chi interessa uno così?, chi se lo può filare? (e no, lei non gli parlerà). Come al personaggio interpretato da un'ottima Lady Gaga (al servizio comunque di un Phoenix immenso che non ruberebbe nulla portandosi a casa un altro Oscar), anche al pubblico sembra interessare solo il clown, l'immagine altra dalla realtà che un uomo insoddisfatto cerca di dare di sé; in questo si cela tutta una riflessione sulla realtà di oggi dove tutti possono nascondersi dietro identità fittizie e cercare attenzione, proprio come ha fatto Arthur, ponendosi nei confronti degli altri in vesti che in fondo non ci appartengono. La cosa tragica, e torniamo sull'ormai celebre scalinata, è che quando la verità affiora, quando l'uomo dietro il trucco e l'inganno emerge, allora torna il rifiuto, il dramma dell'essere ignorati, dell'essere un nessuno tra molti. Quello che resta è, quindi, lo spettacolo, la finzione, la fuga dalla realtà, uno spettacolo qui accentuato da Phillips con la scelta di guardare al musical, uno dei generi d'eccellenza della Hollywood classica, perfetta la scelta di Lady Gaga quindi come coprotagonista mentre Phoenix se la cava bene anche nel canto, in fondo è già stato Johnny Cash in passato (Quando l'amore brucia l'anima, 2005), ottima la scelta dei brani, classicissimi anch'essi.
Così, dopo qualche piccola rivelazione come l'origin story della fissazione di Arthur per lo spettacolo e per l'idea balorda di poter far ridere gli altri, un'intro in animazione siglata dal talento di Sylvain Chomet (L'illusionista, Appuntamento a Belleville) in stile Looney Toons, un Phoenix su ritmi tip tap, le pochissime concessioni alla violenza del Joker (anche questa illusoria) e un giudizio su Cinemascore (che non so bene che valore possa avere) che lo indica come uno dei peggiori film tratti dai fumetti (see, ad avercene), quel che rimane è un film difficile, anti spettacolare, per nulla ruffiano e accomodante, girato molto bene e graziato da interpretazioni di livello altissimo (Phoenix) o molto, molto buono (Lady Gaga, Brendan Gleeson) che è diretta conseguenza della libertà d'espressione di un autore molto in gamba (libertà d'espressione concessa anche ad Arthur quando gli è permesso di presentarsi a processo nei panni del clown) che potrebbe: 1) averci provocato scientemente; 2) aver preso qualche cantonata rintuzzata con l'aiuto di una parte di critica cerebrale e indulgente; 3) aver siglato, volontariamente o meno, uno dei film più intelligenti dell'anno; 4) aver girato una "cagata pazzesca" degna de "La Corazzata Potemkin" di fantozziana memoria. Chi vi scrive oscilla tra l'opzione uno e l'opzione tre, a voi la scelta definitiva.
Nessun commento:
Posta un commento