giovedì 13 novembre 2025

IL GABINETTO DEL DOTTOR CALIGARI

(Das cabinet des Dr. Caligari di Robert Wiene, 1920)

Il gabinetto del Dr. Caligari di Robert Wiene è probabilmente il film più rappresentativo dell’espressionismo tedesco, corrente cinematografica sviluppatasi intorno agli anni Venti del Novecento. L’espressionismo nasce nelle arti figurative (e all’epoca dell’uscita de Il gabinetto del Dr. Caligari il cinema non era considerato propriamente un’arte) come risposta al naturalismo e all’impressionismo. In pittura si passa così da un’adesione fedele al reale, al tentativo di far emergere ciò che sotto quella realtà si cela; per far ciò scenografi, costumisti, direttori della fotografia e registi si affidano a uno stile distorto, inquietante, spigoloso e deformato della realtà, reso attraverso scenografie, costumi e luci che riflettono un mondo interiore più che uno meramente oggettivo. Per rendere al meglio le profonde emozioni dell’animo umano al cinema, si guarda alla pittura e si cerca di riportare gli esperimenti visivi di artisti come Kirchner ed Heckel su pellicola: per far questo si rende necessario lavorare in studio e creare ex novo paesaggi che nella realtà non trovano un diretto corrispettivo. Proprio per questo, parlando della realizzazione de Il gabinetto del Dr. Caligari, non è inusuale che venga rimarcato più il lavoro degli scenografi Warm, Reimann e Röhrig piuttosto che quello dello stesso regista Robert Wiene. Siamo in un momento storico in cui le difficoltà economiche della Germania, dovute a un’inflazione altissima, paradossalmente favoriscono l’industria cinematografica tedesca, che riesce a esportare i suoi film e a produrre con costi bassi anche scenografie complesse e “costruite” come quelle adottate per Il gabinetto del Dr. Caligari. L’incubo proposto dal film di Wiene trova ampio riscontro in un pubblico angosciato e deluso, figlio di un durissimo dopoguerra e segnato da un profondo pessimismo per un futuro incerto. Naturale, quindi, che le vicende malate di Caligari e del suo sonnambulo Cesare facciano presa su una platea ampia e predisposta.

Il gabinetto del Dr. Caligari è diviso in sei atti, sei segmenti raccontati dal giovane Francis (Friedrich Fehér) attraverso un lungo flashback che dura quasi quanto l’intero film. Nel 1830, in occasione della fiera di Holstenwall, giunge in paese la strana figura del Dottor Caligari (Werner Krauss), un inquietante imbonitore accompagnato dal sonnambulo Cesare (Conrad Veidt), un uomo capace di predire il futuro la cui prima predizione sarà quella di una morte imminente che puntualmente e in maniera violenta, si verificherà. Subito sospettato del delitto, Cesare verrà scagionato dallo stesso Caligari che lo tiene sempre sotto controllo in stato di sonno all’interno di una cassa da morto. Mentre i delitti aumentano e iniziano si accumulano l’uno sull’altro, i sospetti si indirizzano altrove; la situazione si sbloccherà con l’ingresso della bella Jane (Lil Dagover) che riuscirà a toccare il cuore del sonnambulo Cesare. Sul finale di questa strana vicenda non mancheranno poi i colpi di scena.

Per lo spettatore moderno, abituato a narrazioni colme di tonitruanti effetti speciali, ammirare le scenografie artigianali create per Il gabinetto del Dr. Caligari è una vera gioia per gli occhi. Con questo film Robert Wiene e il suo gruppo di lavoro gettano le basi per quello che sarà, se non proprio il cinema horror, almeno quello dell’inquieto. La trama, già solida e all’epoca rimarchevole e ficcante, porta in sé germi che verranno poi riutilizzati a più riprese da moltissimo cinema a venire. Il ribaltamento di prospettiva e l’ambiguità di fondo che il film presenta a un pubblico messo di fronte a un’arte ancora giovane sono elementi oggi noti, ma che all’epoca devono aver creato un certo turbamento. L’impianto scenografico gioca con la bidimensionalità e con la deformazione delle architetture e dei paesaggi, aumentando la tensione e l’angoscia già veicolata dai personaggi e dalla recitazione allucinata dei protagonisti, truccati e agghindati in modo da dare sempre un’impressione di estraneità al normale quotidiano. A completare l’impianto visivo vi è l’utilizzo di luci e ombre che aumentano il senso del perturbante, aggiungendosi ai chiaroscuri già applicati a molti elementi scenografici. L’attenzione maniacale e ammirevole dedicata al profilmico (cioè ciò che sta davanti alla macchina da presa) consegna il film alla storia del cinema e lo rende un capolavoro non solo dell’espressionismo tedesco ma dell’intero periodo del cinema muto.

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