domenica 19 febbraio 2017

DUKE GARWOOD - GARDEN OF ASHES

Metti su Garden of ashes e fai fatica a credere che Duke Garwood sia nato e cresciuto in Inghilterra e che ci viva ancora oggi. Metti su Garden of ashes e vedi il deserto, quello caldo e mortale del Sud degli Stati Uniti, ne percepisci la pericolosità, il suo lato oscuro; non ne senti sulla pelle il calore solo perché Garwood ti istiga a immaginartelo in notturna, nel momento in cui maggiormente può farti sentire perso e inerme. Coldblooded è un attacco inquieto, paralizzante nel suo incedere lento e strisciante, una sorta di blues malato che ti catapulta laggiù, al buio, come unica compagnia il suono dei serpenti a sonagli che strisciano verso di te mentre tu, impaurito, ignori da che direzione stiano arrivando. È un pezzo che sarebbe perfetto come tema d'apertura di una serie tv d'ambientazione Texana. L'incedere lento, la chitarra di Garwood, la sua voce profonda, rendono l'album un perfetto compagno di viaggio per una traversata notturna attraverso vaste distese desertiche, alla guida di una vecchia auto lanciata in corsa parallela alla linea di mezzeria di una delle tante strade infinite degli States.

Il mood rimane lo stesso con l'avvicendarsi dei brani, aleggia la sensazione che alla fine di questo ideale viaggio non ci aspetti nulla di buono, o che forse non ci aspetti nulla del tutto, cosicché anche il semplice sorgere del sole sarebbe un ottimo risultato. Non è difficile capire, con l'avanzare dell'ascolto, i motivi per cui Duke Garwood sia tanto apprezzato da un talento come Mark Lanegan (con il quale ha collaborato a più riprese) e il perché venga spesso accostato a Nick Cave, gli estimatori di questi due grandi nomi avranno ottimi motivi per dare una possibilità a questo Garden of ashes. Le atmosfere restano cupe, se possibile in alcuni passaggi divengono ancor più ferme e paludose (Days gone old) e procurano brividi di pura inquietudine, ascoltate Garwood nel buio più totale e sappiatemi dire. Ben si incastrano nel contesto anche i brevi passaggi acustici capaci di donare all'album qualche sparuto spiraglio di luce (Sing to the sky) prima di tornare alla dolente oscurità della titletrack Garden of ashes. La cifra stilistica dell'album, coerente fino al parossismo, potrebbe essere anche l'unico vero limite della proposta avvolgente e conturbante di Garwood, per qualcuno il viaggio potrebbe infatti rischiare di diventare faticoso e monotono, soprattutto nella seconda metà dell'album in cui ulteriori motivi d'interesse arrivano da Sleep, una nenia oscura, una ninna nanna che non sarebbe stonata in un album degli Screeming Trees. Si chiude con Coldblooded the return, perfetto epilogo di un viaggio che ci lascia con la sensazione di una fine imminente.

Duke Garwood, classe '69, è ormai al suo quinto album (più un EP). Polistrumentista di talento, vanta all'attivo diverse collaborazioni, la più nota delle quali è quella con il cantante statunitense Mark Lanegan con il quale ha pubblicato nel 2013 l'album Black pudding. Interessante curiosare tra le partecipazioni di Garwood in album altrui per carpire l'eclettismo del personaggio, consigliamo l'ascolto di Perpetual dawn dei The Orb e Marshal dear dei Savages nella quale il Nostro suona il clarinetto.



Garden of ashes, 2017 - Heavenly/PIAS

Tracklist:
01  Coldblodeed
02  Sonny Boogie
03  Blue
04  Days gone old
05  Sing to the sky
06  Garden of ashes
07  Heat us down
08  Hard dreams
09  Move on softly
10  Sleep
11  Cooldblooded the return

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