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sabato 1 gennaio 2022

JASON BOURNE

(di Paul Greengrass, 2016)

Matt Damon torna nei panni di Jason Bourne per il quinto capitolo della saga dedicata al personaggio creato da Robert Ludlum tra le pagine dei suoi romanzi. Archiviata la parentesi Legacy diretta da Gilroy e interpretata da Jeremy Renner nei panni di Aaron Cross, si torna alle origini riallacciando le fila tra passato recente e quello remoto di Bourne; Paul Greengrass riprende in mano un progetto che in verità non ha più molto da raccontare e che a conti fatti segue più le coordinate imposte da Gilroy con Legacy che non la narrazione davvero riuscita dei primi tre bellissimi episodi. Come lo stesso Damon aveva dichiarato anni prima di tornare sui suoi stessi passi, con la prima trilogia si erano probabilmente esaurite le potenzialità di un personaggio sul quale, dipanati i dubbi sul suo passato e sulla sua vera natura, non c'era forse modo di raccontare altro di interessante. Infatti questo Jason Bourne è un puro action capace di farsi guardare sempre con piacere ma dove la tensione e l'empatia che si provavano per il protagonista nei primi capitoli è ormai assente, resta presente la grande abilità di Greengrass di dosare ritmi e girare splendide sequenze d'azione con menzione particolare a un montaggio sempre dinamico capace di dare quel valore in più al prodotto che gli evita di precipitare nel calderone della medietà.

Torna per questo episodio il personaggio di Nicky Parsons (Julia Styles) presente nella trilogia iniziale, è proprio lei a mettere in moto una nuova caccia all'uomo hackerando da una postazione nascosta nella lontana Islanda i nuovi sporchi progetti della C.I.A., condensati nell'operazione Ironhand, insieme ad alcuni file relativi al coinvolgimento del padre di Jason Bourne (Matt Damon) nella vecchia operazione Treadstone alla quale proprio l'intervento di Bourne aveva posto fine; lo scopo di Nicky è quello di girare a Bourne le informazioni in modo che l'ex agente possa finalmente far pace con i demoni del suo passato. L'intrusione della Parsons viene però intercettata dall'analista informatico Heather Lee (Alicia Vikander) che mette al corrente della violazione alla sicurezza il direttore della C.I.A. Robert Dewey (Tommy Lee Jones) il quale manda ad Atene, luogo in cui si trova Bourne, un asset (killer della C.I.A. interpretato da Vincent Cassel) per eliminare la coppia e preservare la segretezza dell'operazione Ironhand che prevede l'invasione assoluta della privacy di tutti i cittadini collegati al motore di ricerca Excoon ideato dal programmatore Aaron Kallor (Riz Ahmed). Ovviamente uccidere Bourne si rivelerà tutt'altro che semplice, inoltre la Lee, dotata di forte personalità e ambizione, è convinta che sia più utile tentare di riportare Bourne in forza alla C.I.A. piuttosto che eliminarlo.

Almeno due ottime sequenze action scandiscono la narrazione: l'apertura ambientata durante i tumulti che coinvolsero la Grecia in occasione della crisi economica ad Atene e quella del pre-finale in auto durante la quale Bourne insegue l'asset tra le strade di Las Vegas, tutta la maestria da regista dinamico di Greengrass viene fuori in questi frangenti, aiutata e valorizzata dal montaggio ineccepibile di Christopher Rouse, è il ritmo a tenere in piedi un film che sui personaggi non ha più molto da dire, anche i nuovi ingressi sono caratteri monodimensionali fatta salva la Heather Lee di Alicia Vikander che lascia campo a più di una ambiguità, finale che lascia aperta la porta a un eventuale ritorno che a questo punto nessuno credo reputi necessario. Jason Bourne non compromette la validità complessiva della saga, così come non lo faceva nemmeno Legacy, due film in tono minore che garantiscono comunque un buon intrattenimento, solo accennato il discorso attuale e interessante su web e privacy che non basta a innalzare il livello e ad aprire a riflessioni di sorta, ridda di location come di consueto e un Matt Damon quasi ritirato in sé stesso, invecchiato, ma sempre pronto a tornare in azione quando necessità chiama. Parte Extreme ways e si chiude un ciclo che ha regalato nel tempo parecchie soddisfazioni.

mercoledì 28 ottobre 2020

THE BOURNE ULTIMATUM - IL RITORNO DELLO SCIACALLO

(The Bourne ultimatum di Paul Greengrass, 2007)

The Bourne ultimatum (tralasciamo il sottotitolo italiano che non ha assolutamente nessuna attinenza con il film) innesta la quarta fin dalla prima inquadratura e corre per tutta la sua durata a rotta di collo verso un'ideale chiusura del cerchio, Greengrass si scrolla di dosso qualsiasi presunto obbligo di riassumere e spiegare a uso dei neofiti chi sia Jason Bourne e confeziona un terzo capitolo strabiliante per ritmo, tecnica, coinvolgimento e chiarezza, che visto il genere non è cosa da poco, anzi, andando a mettere un punto (poi ripreso da due successivi capitoli) a quella che probabilmente è la migliore saga action degli anni duemila.

Siamo di fronte al film d'azione perfetto: un obiettivo da raggiungere, quello della ricostruzione totale del passato recente di Bourne (Matt Damon) cancellato dalla perdita di memoria, un protagonista che punta dritto in quella direzione superando i vari ostacoli che gli avversari, in questo caso la C.I.A. pongono sul suo cammino. Si riprende da Mosca, è lì che avevamo lasciato Bourne in Supremacy, il protagonista continua ad avere flash della sua vita passata poco chiari, ma il cerchio pian piano si stringe e la chiave per ricostruire tutti i fatti potrebbe essere il giornalista Simon Ross (Paddy Considine) che sta per pubblicare un reportage sulle operazioni C.I.A. Treadstone e Blackbriar, programmi in cui era coinvolto lo stesso Bourne. Ovviamente si tratta di operazioni sporche e classificate di cui l'opinione pubblica è meglio non venga a conoscenza; uno dei vertici di Blackbriar, Noah Vosen (David Strathairn), vede Bourne ancora come una minaccia e si adopera per metterlo a tacere, ostacolato per quanto possibile solo da Pamela Landy (Joan Allen) che già nell'episodio precedente si era convinta delle buone intenzioni di Bourne. I tentativi di ricostruire tutta la sua storia e mettere fine alla persecuzione che già è costata a Bourne una persona cara, porterà il nostro in giro per mezza Europa tra Parigi, Londra, Madrid e con una puntata a Tangeri, per poi tornare finalmente a casa, dove tutto è cominciato, e mettere una volta per tutte fine a questa fuga/inseguimento continuo.

Greengrass realizza un lavoro di regia strepitoso, ci si perde nel seguire i movimenti di Bourne tra la folla, negli inseguimenti in auto, nelle corse sui tetti, il regista appronta soluzioni miracolose con la camera, aiutato dal montaggio e da tutto il comparto tecnico che si porta a casa tre Oscar meritatissimi (e forse servirebbe un Oscar ad hoc per le regie action che, si sa, vengono snobbate dall'Academy), una perizia tecnica che accresce la sensazione di coinvolgimento dello spettatore che si trova catapultato nei movimenti incessanti di Bourne, completamente catturato fino all'esplodere liberatorio di Extreme Ways di Moby sul finale, perfetta chiusura di una trilogia che poteva terminare qui. Damon è sempre più a suo agio in bilico tra l'azione pura e quel tocco di umanità positiva che al personaggio non manca, circondato da corrotti ed esecutori non pensanti, ad alleviare la sua solitudine dal lato giusto della barricata solo un paio di figure femminili, ben tratteggiate da Joan Allen e Julia Stiles. Senza timore d'incorrere in eccessivi entusiasmi, nel genere action meglio di Bourne solo l'inarrivabile tenente John McLane.

domenica 9 agosto 2020

THE BOURNE SUPREMACY

(di Paul Greengrass, 2004)

Ottimo secondo capitolo per la saga di Jason Bourne che per l'occasione passa dalle mani di Doug Liman a quelle altrettanto energiche e capaci (se non di più) di Paul Greengrass. Si riprende da dove ci eravamo lasciati nel capitolo precedente, con la memoria del protagonista ancora piena di buchi e la coppia Bourne (Matt Damon) e Marie (Franca Potente) stabilitasi in India al fine di trovare un po' di isolamento e di pace. Liquidato il contributo della Potente dopo pochi minuti di film (un po' un peccato, c'era una bella alchimia tra i due protagonisti), l'esistenza rocambolesca di Bourne riprende a ritmi serratissimi.

Da un po' di tempo qualche flash dal passato riaffiora nella testa di Jason Bourne, soprattutto in sogno, una vecchia missione per la CIA, rimembranze di un omicidio portato a termine quando l'agente ancora lavorava per Conklin e per l'Operazione Treadstone (vedi The Bourne Identity). In contemporanea, a Berlino, durante una missione dell'Agenzia diretta da Pamela Landy (Joan Allen) volta a scovare una talpa nella C.I.A. e recuperare una grossa somma di denaro sottratta all'Agenzia, un agente dei Servizi russi, Kirill (Karl Urban), lascia sul luogo delle prove che incastrano Bourne come colpevole del fallimento della stessa operazione e della morte delle relative vittime; in realtà Bourne è in India a godersi l'amata Marie. Per togliere di mezzo ogni scomodo ostacolo Kirill si recherà in India per uccidere Bourne che si troverà nuovamente coinvolto in un complotto ai suoi danni di cui dovrà venire a capo con l'astuzia e con il suo addestramento.


Il sequel mantiene intatte le caratteristiche del film capostipite della saga, ancora una volta riusciamo a godere di una spy-story comprensibile e godibile a tutto tondo, cosa non scontata per il genere, anzi, magari un filo meno lineare del film precedente ma solo perché a esso, come è normale che sia, qui c'è qualche riferimento, il consiglio è quello di guardare i film della saga di Jason Bourne (tratti da i libri di Robert Ludlum) in rapida sequenza. Regia molto dinamica e immersiva per lo spettatore, Greengrass è un'amante delle camere a mano, del punto di vista al centro dell'azione come dimostrerà poi anche in Green Zone, scenario di guerra sempre con Matt Damon, e proprio l'azione è il fulcro del film, a cercarlo ci si può trovare anche qualche riferimento politico e soprattutto, nelle sequenze finali c'è una bella presa di coscienza da parte del protagonista, ma per lo più si gioca su tensione e azione spettacolare, orchestrata magistralmente la scena di inseguimento in auto per le strade di Mosca, sequenza davvero spettacolare.

Matt Damon, pur non rientrando nell'immaginario del macho, è un ottimo action man (e un ottimo attore) e un perfetto Jason Bourne, teso dall'inizio alla fine ma capace di concedersi un paio di momenti più lievi (la scena finale con la Landy) e riflessivi (quella con Oksana Akinshina). Ottimo lavoro di scrittura e di regia che non fa rimpiangere il primo capitolo e mette addosso la giusta voglia di passare a The Bourne ultimatum.

sabato 16 marzo 2019

GREEN ZONE

(di Paul Greengrass, 2010)

Armi di distruzione di massa. Quante volte leggendo articoli sulla guerra in Iraq, ascoltandone le cronache ai telegiornali, abbiamo sentito nominare questo spauracchio che in seguito si è rivelato solo opportunistico fumo negli occhi? Paul Greengrass parte da questo spunto, tutt'altro che secondario, per darci la sua visione della guerra praticamente in tempo reale, il film esce nelle sale addirittura prima della chiusura ufficiale del conflitto che terminò con la deposizione di Saddam Hussein a favore di un nuovo governo iracheno fortemente voluto dagli Stati Uniti d'America. Quella di Paul Greengrass è una visione morale del conflitto, critica nei confronti del Governo U.S.A. e dei poteri forti, rispettosa del singolo individuo (perché è vero che non è tutto oro ciò che luccica ma è anche vero che nelle situazioni difficili non sempre tutto è marcio o corrotto), è solidale con le vittime, la popolazione irachena che della Guerra avrebbe volentieri fatto a meno, giusto per usare un eufemismo. Questa visione della Seconda Guerra del Golfo, analizzata (ma neanche troppo) dalla giusta distanza, è soprattutto l'occasione per realizzare in maniera impeccabile un film di guerra energico ed adrenalinico che, al di là di riflessioni e prese di posizione, trova nella formula action il suo nodo centrale e meglio riuscito. La trama è lineare, prevedibile, ricorda per alcuni versi lo sviluppo del Cinema d'inchiesta giornalistico, quello in cui il marcio affiora poco a poco fino a venire allo scoperto e a travolgere i suoi stessi artefici divenendo il caso del momento. Un caso molto grave nella fattispecie, dato il numero di morti che si contano da ambo le parti dovuti al solito tornaconto politico ed economico degli americani. Quello che impressiona maggiormente è invece lo stile registico dinamico e quasi ansiogeno con il quale il regista ammanta l'intera pellicola. Tantissime riprese a terra con camera a mano ad inseguire i protagonisti, immagine sempre mobile, stacchi continui e rapidi, sensazioni di caos e confusione nelle sequenze d'azione ma tenute sempre sotto controllo, un comparto audio di altissimo livello che dona realismo a riprese già di per sé molto credibili, il tutto senza mai togliere chiarezza di lettura agli eventi, un risultato di tutto rispetto, vero pregio di questo Green Zone.


L'esercito americano ha preso Baghdad, Roy Miller (Matt Damon) è a capo di un'unità dell'esercito incaricata di esplorare diversi siti indicati come possibili nascondigli delle armi di distruzione di massa delle quali il regime iracheno sembra essere in possesso. Dopo diverse missioni il gruppo è ancora fermo al palo, i siti indicati dall'intelligence si rivelano sempre vuoti e le informazioni un buco nell'acqua dopo l'altro. Miller inizia a sospettare che qualcosa di anomalo sia da ricercarsi nelle fonti delle informazioni, esterna i suoi dubbi durante una riunione con i vertici suscitando fastidio in Clark Poundstone (Greg Kinnear), rappresentante del Governo U.S.A. in Iraq, e interesse in Martin Brown (Brendan Gleeson), agente C.I.A. che ha lo stesso punto di vista del militare. Miller così inizia a lavorare e ad indagare sul campo, si avvale della collaborazione di un informatore del posto, Freddy (Khalid Abdalla), grazie al quale riuscirà ad arrivare al Generale Al-Rawi (Ygal Naor), uno dei principali ricercati del famoso mazzo di carte usato dai soldati americani, e a dipanare la matassa che si è creata dietro ai motivi dell'intervento in Iraq.


Il protagonista del film è un uomo che ancora crede nella giusta causa, che ad ogni reazione debba corrispondere una motivazione valida, indiscutibile e moralmente accettabile. Miller, interpretato al meglio da Matt Damon, attore versatile che con la sua faccia comune sembra adattarsi ad ogni ruolo, non è in Iraq per accettare ciecamente le bieche manovre del suo Governo, è un soldato pietoso rispettoso della popolazione locale dalla quale, tramite la figura di Freddy, attraverso pochissime frasi che colpiscono come dei diretti al volto fortissimi, capirà quanto la posizione del suo Paese sia sbagliata e prepotente, lezioni di morale e umanità che purtroppo nell'economia di una guerra internazionale non contano niente. In questi episodi, forse gli unici di contenuto vero, Damon è bravissimo a incassare i colpi, le parole sembra colpiscano davvero più delle pallottole, il resto è costruzione e messa in scena di Storia nota nella cornice di un film di genere molto ben realizzato.

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