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lunedì 15 gennaio 2024

THE TERRORIZERS

(di Edward Yang, 1986)

Siamo nel 1986 quando Edward Yang, regista scomparso a causa di una malattia nel 2007, dirige questo The terrorizers, a due anni di distanza dall'ottimo Taipei story. Siamo ormai in piena New Wave del cinema taiwanese, una corrente che proprio Edward Yang, insieme ad altri registi, contribuì a inaugurare nel 1982 con il film collettivo In our time e della quale il regista divenne uno dei due esponenti di punta insieme al più noto Hou Hsiao-hsien. The terrorizers è l'emblema perfetto di come un cinema fino a pochi anni prima controllato da una sorta di censura di regime sia riuscito non solo a ottenere maggiori libertà nella proposta di stili e contenuti ma finanche a diventare modernissimo (o addirittura post-moderno) nel tempo di un battito di ciglia. Del cinema di Taiwan abbiamo già parlato in maniera più ampia in occasione dei pezzi su Cute girl, The green, green grass of home e I ragazzi di Feng Kuei, tutti di Hou Hsiao-hsien, e in quello su Taipei story dello stesso Yang, non staremo quindi a riassumere di nuovo le vicende che portarono alla nascita della New Wave, limitandoci qui a sottolineare come questo nuovo cinema poté finalmente affrontare temi non solo maturi ma anche scomodi per una società in forte cambiamento (fenomeno comune a molti paesi asiatici) a causa di un'apertura a modelli occidentali basati sul capitale e sul libero commercio capaci di creare nuove possibilità di sviluppo ma anche di destrutturare certezze e causare spaesamento e confusione nelle generazioni più giovani incapaci (o in forte difficoltà) nel trovare una loro via in una società sempre più mobile e confusa, uno spaesamento che traspare in maniera perfetta dalla visione di questo film con il quale Edward Yang riesce a far traballare ogni certezza anche nell'esperienza di visione dello spettatore.

In una Taipei moderna e mutata dall'avvento del boom economico un giovanissimo fotografo (Jiaquing Huang) cattura l'immagine di una delinquente in erba (An Wang) fuggita dal luogo di un crimine, la giovane diverrà per il ragazzo una sorta di ossessione che scatenerà il risentimento della sua attuale compagna, Huang Chia-ching, una studentessa amante dei libri e della cultura. Zhou Yufeng (Cora Miao) e Li Lizhong (Lee Li-chun) sono sposati e rinchiusi all'interno di un matrimonio che sta pian piano appassendo: l'uomo, obnubilato dalle nuove possibilità di carriera e guadagno, cercherà con mezzi poco leciti di ottenere una promozione immeritata all'interno dell'ospedale in cui lavora, la donna è una scrittrice frustrata in piena crisi che non riesce a terminare il suo nuovo romanzo e che sta pensando di cambiare lavoro andando a impiegarsi alle dipendenze di un suo ex amante (Chin Shih-chieh). Li è inoltre amico di Gu (Ku Pao-ming), un poliziotto che sta indagando sul caso in cui è coinvolta la ragazza delle foto. In qualche modo le esistenze di questi personaggi si lambiranno in una Taipei che sembra non offrire né conforto né calore.

Quello di The terrorizers, più ancora che in Taipei story, è un cinema della confusione e dell'inafferrabile. In un periodo di mutamenti, di perdita di direzione e di valori da parte non solo dei più giovani, le storie messe in scena da Edward Yang rispecchiano il sentire del Paese, nelle mere vicende narrate ma anche nella struttura che il regista concepisce per le stesse. Non è presente infatti nessun legame forte tra le varie linee narrative di questo film, alcuni contatti tra le stesse sembrano non avere un nesso di causalità (pensiamo alla telefonata della ragazza in fuga a Zhou) bensì di casualità, anche l'incontro tra il giovane fotografo e la ragazza che lui poco a poco idealizza e che ritrae con una serie di fotografie bellissime è poco più di un'illusione, magari concreta, in carne e ossa, comunque evanescente. Lo stesso mosaico di fotografie che nella sua stanza ricrea il volto della giovane donna sembra sgretolarsi in seguito a un semplice alito di vento, è forse la metafora di un disgregamento della realtà per come finora la si era riconosciuta, come se il presente non reggesse e i protagonisti non vedessero più il loro futuro con lucidità, proprio come se avessero del fumo negli occhi (e in sottofondo passa Smoke gets in your eyes dei Platters). The terrorizers è così, un film da godere sequenza dopo sequenza, immerso in una realtà urbana a tratti respingente ma anche molto affascinante; a differenza di quanto mostrato nei primi film di Hou Hsiao-hsien che nutriva una nostalgia per la campagna in contrapposizione alle difficoltà della vita cittadina, per Yang c'è solo la metropoli, Taipei, scenario perfetto dove inscenare lo smarrimento dei nuovi sistemi. Ottimo il dipinto della città e dell'urbanizzazione da parte di Yang che tra suoni e immagini ci descrive un mondo di cemento dal quale sembra difficile trovare una via d'uscita e nel quale sembra impossibile anche solo trovare una via.

venerdì 9 luglio 2021

TAIPEI STORY

(di Edward Yang, 1985)

Nelle scorse settimane ho dedicato diversi post alla nascita della New wave del cinema di Taiwan esaminando per lo più i primi passi mossi dal regista Hou Hsiao-hsien, uno dei nomi di punta di quella che fu un'ondata di vero rinnovamento del cinema dell'isola. L'altro nome forte di questa corrente è stato Edward Yang, regista purtroppo prematuramente scomparso e che arrivò addirittura prima del suo illustre collega alla New wave partecipando al film collettivo In our time che viene di consuetudine indicato come l'opera con cui nasce il movimento. Con Taipei Story, datato 1985, non abbandoniamo però totalmente Hou Hsiao-hsien, in un'ottica di collaborazione tra vari autori decisi a portare nuovi contenuti e tematiche più impegnate nelle sale di Taiwan, il regista qui assume il ruolo di sceneggiatore e si presta al collega Yang anche come corpo attoriale essendo proprio lui a interpretare Lon, il protagonista maschile del film. A differenza del collega suo coetaneo (entrambi classe '47), Yang concentra il suo sguardo sulla modernizzazione della città di Taipei e degli agglomerati urbani tralasciando il parallelo con la vita nelle campagne caro a Hsiao-hsien, il tema è qui quello della spersonalizzazione che la metropoli moderna riversa sull'uomo, nel suo spirito, una spersonalizzazione immateriale che si sostanzia in una perdita di direzione, nello spaesamento così comune ancor oggi nelle società a impronta capitalista; Yang indaga  anche la perdita di personalità nell'architettura delle città, a riprova di ciò la scena dove un progettista urbano afferma di non essere più in grado di riconoscere i palazzi da lui progettati da quelli di altri professionisti causa un'omologazione devastante per la storia del Paese e per chi non riesce ad adeguarsi al nuovo modello, incapace di guardare al buono che lascia indietro, magari cancellandolo.

Lon (Hou Hsiao-hsien) e Qin (Tsai Chin) sono una giovane coppia che cerca il proprio posto nella moderna Taipei, città in fase di crescita e cambiamento, aperta alle logiche economiche dell'occidente. Le nuove generazioni hanno come modello l'America, punto di arrivo ideale della corsa al benessere, e il Giappone, ex potenza coloniale per l'isola di Taiwan, la futura identità del Paese sembra vada cercata altrove piuttosto che nelle radici dell'isola e nel suo passato. Lou invece è molto più legato alle tradizioni, agli uomini della generazione precedente, si rivela un prezioso aiuto per il padre di Qin, più della sua stessa figlia, ama ancora il baseball, sport che praticava in gioventù, fedele al suo piccolo negozio di stoffe, è un uomo lontano dalle tentazioni del facile benessere prospettato dal modello occidentale. Qin invece lavora in una grande azienda, è la segretaria personale del suo capo, una donna di successo, ma come spesso accade nella favolosa società del capitale l'azienda viene venduta e nella successiva riorganizzazione Qin, che aveva appena comprato e ammodernato un'appartamento tutto suo, si trova senza lavoro e senza saper che direzione prendere. Per la donna la speranza diventa il miraggio americano, quello della sorella di Lon che ha sposato uno statunitense, c'è la possibilità di un trasferimento e di entrare nella società del cognato, non tutto è oro quel che luccica però, i destini dei due giovani si complicheranno, la differenza di vedute farà la sua parte, il cambiamento in atto ci metterà il resto.

Le tematiche importanti affrontate da Yang sono diverse, oltre ai mutamenti della società taiwanese e le conseguenti difficoltà a cui i suoi abitanti vanno incontro, nel film si accenna a divorzi, situazioni familiari lontane dall'ottica della tradizione, argomenti difficilmente toccati in precedenza dal cinema di Taiwan, non si lesina sulle critiche a sistemi all'apparenza più moderni e accattivanti, è lo stesso Lon che racconta di come il cognato americano abbia ucciso un nero e ne sia uscito pulito (siamo nel 1985 e la storia è sempre la stessa), ed è lui a non accettare in fondo che questo diventi il suo modello di riferimento, e ancora infedeltà, corruzione, gestione poco limpida delle società, la narrazione di questa New wave assume tutt'altro spessore. Il ritratto che Yang e Hsiao-hsien dipingono è quello dello spaesamento totale dei protagonisti, in Taipei Story infatti non c'è una vera trama, ci sono situazioni, destini e prospettive di vita ai cui personaggi possono tendere senza mai che la situazione si sblocchi veramente, uomini e donne schiacciati dal nuovo che avanza e che perturba le esistenze annichilendo anche il privato dei protagonisti, una metafora di un Paese che ancora non sa in che direzione andare, strattonato da più parti dalle influenze di U.S.A., Cina e Giappone. Dal punto di vista estetico a farla da padrone è la metropoli con il suo caos, il suo sviluppo incontrollato, i palazzoni e alcune riprese notturne molto ben calibrate da Edward Yang, altro regista da studiare per approfondire il discorso sul cinema asiatico.

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