sabato 31 ottobre 2015

CORTOCIRCUITI

Ogni tanto vi capita che senza un particolare motivo, pochi secondi della vostra vita vi facciano un'impressione particolare, vi diano una strana sensazione? Non parlo dei famosi deja vu che tutti più o meno abbiamo sperimentato, ne di momenti topici,  ma di qualcosa di diverso, come un'immagine che vi colpisce, un'attimo che sembra senza ragione alcuna più a fuoco di altri, una specie di cortocircuito.

Insomma, senza prenderla troppo larga. Oggi dopo la scuola Laura è voluta andare a fare un giro con il monopattino, siamo andati così ai giardini dove lei si è messa a giocare con una sua compagna di scuola. In queste occasioni solitamente mi porto dietro il mio lettore mp3 così mentre lei gioca io la controllo e ne approfitto per ascoltarmi un po' di musica e silenziare il cicalio degli altri genitori che non conosco. Dopo aver osservato uno scoiattolo scalare la rete del campo da bocce mi sono messo a guardare cosa faceva Laura.

Nel frattempo, in un altro angolo del giardino che non stavo osservando, un bambino che avrà avuto circa sette anni deve essersi infilato la maschera del maniaco di Scream, probabilmente acquistata in vista della festa di Halloween. Ma io appunto non lo stavo guardando.

A un certo punto nel campo della mia visuale, improvvisamente, compare questo bambino che corre con la maschera di Scream dimenando le braccia come un ossesso minacciato di morte. Alle sue spalle a inseguirlo c'erano cinque o sei bimbetti ancora più piccoli, dai quattro ai sei anni diciamo, palesemente urlanti (ma io non li sentivo) e fermamente intenzionati a far la pelle al maniaco. La scena è stata tanto improvvisa quanto surreale e divertente, il grande che scappava come un coniglio bianco, i piccoli pestiferi all'inseguimento, il maniaco braccato dai marmocchi innocenti (?). Inoltre la musica che mi passava nelle orecchie in quell'istante mi è sembrata subito una perfetta colonna sonora dell'attimo. Sarà stato il momento, e così, bam! Cortocircuito. Insomma, capitano anche a voi momenti così o inizio a essere del tutto folle io? Per fortuna ci sono i bambini. E la musica. Comunque il pezzo incriminato è questo qua sotto.

giovedì 29 ottobre 2015

A-Z: THE ANIMALS - THE BEST OF THE ANIMALS

Nel giro di pochissimi anni, dal 1964 al 1966, assistiamo all'esordio, al successo e al primo scioglimento di una delle band più celebri della cosiddetta British Invasion, band che ancora oggi è annoverata negli annali della storia della musica per alcuni celeberrimi arrangiamenti di pezzi classici e per la voce inconfondibile del frontman Eric Burdon.

Come usava all'epoca, in questa prima fase di carriera durante la quale i The Animals pubblicarono nel Regno Unito tre album (in America anche di più), la band presenta un misto di cover e pezzi tradizionali che guardano davvero molto al blues più classico con divagazioni sporadiche in altri territori. The best of The Animals è un breve vademecum ottimo per conoscere e apprezzare la passione riversata sugli strumenti dal gruppo di Newcastle in quei primi anni di attività.

Passione testimoniata anche dalle molte date live negli U.K., i successi al Downbeat Club e al Club A Go Go di Newcastle e al Crawdaddy di Londra indirizzano gli Animals verso il loro successo americano. Purtroppo già sul finire del '65 il gruppo inizia a perdere i pezzi e dopo il '66 Eric Burdon ne rinnoverà completamente la formazione (diverranno The New Animals) e il sound, sempre più attratto dalla scena musicale della costa ovest e dalla controcultura del flower power.

Il pezzo d'apertura della raccolta, uno dei più interessanti dell'intero disco e scritto proprio per gli Animals, si ricorda per l'attacco di basso di Chas Chandler inseguito dai ricami della chitarra di Hilton Valentine, duetto semplice e riuscitissimo che caratterizza un inno di ribellione, anche questo semplice ed efficace, senza mezzi termini: It's my life and I'll do what I want, it's my mind and I'll think like I want. Cori indovinati e suoni di facile presa la rendono una hit che vedrei bene anche in qualche film del buon Quentin, almeno quell'intro...

Poi tanto, tanto blues venato a volte da echi di Yardbirds (Gonna send you back to Walker) e spostamenti bianchi al genere, coretti ariosi a condire il tutto e a far risaltare il bel cantato di Burdon, chitarre supportate dall'organo, temi cari al genere e tanto tanto amore. Qualche concessione al soul più romantico sul pezzo di Sam Cooke Bring it on home to me e poi ancora blues con Fats Domino e John Lee Hooker, praticamente degli standard.

Bravi i The Animals, bravi anche con il pop, con accenni di twist e rock 'n roll, ok l'anima nera ma dare un po' di movimento ai dischi non può far male, specie nel caso di una collection come questa, e allora ben vengano brani come Roberta o We gotta get out of this place.

E poi i due tormentoni che è impossibile non citare, pezzi coverizzati ovunque (anche da loro stessi) e che probabilmente ormai usciranno dalle orecchie a chiunque. Qui si vede il talento del gruppo che riesce a non farmi odiare l'ascolto di The House of the Rising Sun ma soprattutto il pezzo Don't let me be misunderstood che i Santa Esmeralda con tanto impegno riarrangeranno allo scopo di fracassare le palle a tutto il mondo. Brani che ascoltati nella versione dei The Animals emergono nel loro antico splendore, i Santa Esmeralda, oltre che a Nina Simone, dovranno rendere conto anche a loro.



The best of The Animals, 1966 - MGM

Eric Burdon: voce
Alan Price: tastiere
Hilton Valentine: chitarra
Chas Chandler: basso
John Steel: batteria

Tracklist:
01  It's my life
02  Gonna send you back to Walker
03  Bring it on home to me
04  I'm mad again
05  The house of the rising sun
06  We gotta get out of this place
07  Boom boom
08  I'm in love again
09  Roberta
10  I'm crying
11  Don't let me be misunderstood

martedì 27 ottobre 2015

MARVEL VINTAGE 24 - ELECTRO e THE FERRET

Mentre le bandiere della Timely spadroneggiavano tra le pagine di Marvel Mystery Comics le seconde linee non stavano di certo a guardare e il parterre di personaggi ai quali attingere per creare un numero sempre maggiore di storie avventurose continuava a crescere. Dal quarto numero di Marvel Mystery Comics arriva il primo personaggio Marvel a portare il nome di Electro. Questi altri non era che un automa, un robot controllato da remoto e facente parte di una squadra di dodici eroi, probabilmente molti dei quali ripresi insieme allo stesso Electro nella recente maxiserie di Michael Straczynski The Twelve. Il robot ebbe il piacere di figurare in una quindicina d'albi, poi insieme ai dodici fu catturato dai nazisti e rimase sepolto in un bunker per anni insieme ai suoi compagni tenuti in animazione sospesa dai tedeschi a fini scientifici (leggi tremendi esperimenti). Questi verranno risvegliati sessant'anni più tardi e riportati in un'America moderna, vicenda descritta proprio nella serie The Twelve pubblicata anche qui in Italia ma andata in breve esaurita e ora di difficile reperibilità (almeno per quel che riguarda il primo volume). Electro è stato creato da Steve Dahlman.
























Lo stesso albo vede l'esordio del detective privato The Ferret, il furetto, abile giornalista e investigatore aiutato nelle sue avventure, di tanto in tanto, da un furetto in carne e ossa. The Ferret è l'alter ego di Leslie Lenrow, le sue poche avventure furono di stampo investigativo, la sua ultima apparizione coinvolse anche gli eroi Timely Angel e i più noti Capitan America e Bucky. The Ferret è stato creato da Stockbridge Winslow.



4 BASSOTTI PER 1 DANESE

(The ugly duchshund di Norman Tokar, 1966)

Dopo la visione di F.B.I. Operazione gatto riprendiamo la rassegna nostalgica all'insegna dei film targati Disney degli anni '60 e in particolare quelli con protagonista il compianto Dean Jones. Oltre alla presenza dell'attore ricorre anche per questo film la sostanziale importanza degli animali come motore della vicenda, abbandonati i gatti questa volta ci si concentra sugli amatissimi cani e, ovviamente, nello specifico su quattro bassotti e un danese.

Il genere della commedia, appartenente a un filone sfruttato spesso anche in anni successivi, potrebbe ascriversi a quello dell'animal slapstick, genere che in realtà non so neanche se esista, se così non fosse rivendico paternità del termine e rispettivo copyright. In fondo la parte divertente del film, o almeno quella che dovrebbe esserlo, è affidata alle sequenze nelle quali i piccoli e dispettosi bassotti provocano in qualche modo il danese Brutus che, data la mole imponente, non può evitare di creare disastri. Il cast ominide funge più che altro da supporto alle scalmanate e distruttive sequenze messe in atto dai cani, svilendo un po' quel connubio che in F.B.I. Operazione gatto risultava più riuscito grazie a personaggi di contorno indovinati come Canoa o l'ossessiva vicina di casa della protagonista femminile.

Nonostante Quattro bassotti per un danese sia un caposaldo del genere per quell'epoca, mi sembra che abbia retto meno bene al passare degli anni rispetto ad altri film simili e soprattutto che a conti fatti non sia poi così divertente. È un film che si lascia guardare con piacere ma così, per riempire un pomeriggio in preda alla febbre, a visione ultimata anche Laura non era poi così entusiasta della pellicola (nonostante la presenza dei cani).


In ogni caso Mark (Dean Jones) e Fran (Suzanne Pleshette), coppia di giovani sposi, portano la loro cagnetta, un bassotto, dal Dottor Pruitt (Charles Ruggles) per il parto. Torneranno a casa, oltre che con altri tre piccoli bassotti (tutte femmine), con un cucciolo di danese a rischio abbandono che Mark non ha avuto cuore di lasciare al veterinario. Crescendo la gestione del danese diventa problematica, i bassotti si rivelano un po' stronzetti ma la dolce Fran ha occhi solo per loro, il bistrattato Brutus rischia di dover abbandonare la sua nuova casa adottiva causa i continui danni da lui creati, danni tra l'altro anche costosi. Ma Mark è ormai innamorato del suo cane che in fin dei conti, goffo quanto si vuole, è proprio un bravo ragazzo.

La commedia viaggia sui binari che ci si aspetta, si lascia però troppo spazio ai cani mentre non brillano particolarmente le schermaglie tra gli attori, a parte qualche sequenza più riuscita. Rispetto alla visione precedente, a pescare tra i miei ricordi avrei dato questo Quattro bassotti per un danese come favorito, decisamente, e invece...


domenica 25 ottobre 2015

PERRY MASON E L'AMANTE POLTRONE

(The case of the lazy lover di Erle Stanley Gardner, 1947)

 Quando ero piccolo mio padre guardava diversi telefilm, molti dei quali mi sono rimasti impressi nella mente per questo o quell'altro motivo, andiamo dai celebri Star Trek e Sulle strade di San Francisco ai forse meno noti Kasinsky, Petruccelli o Sanford and son. In mezzo tantissimo altro, tanti polizieschi o derivati del genere da Cannon a Quincy a Baretta, etc...

Trai i tanti ha mantenuto un posto nella mia memoria l'interpretazione di Raymond Burr nei panni dell'imbattibile avvocato Perry Mason. Ora non ricordo nel telefilm quanto spazio venisse dato al dipanarsi delle vicende e alle investigazioni del socio di Perry, il detective Paul Drake, e quanto alla fase del dibattito giudiziario in tribunale. Era proprio quest'ultima ad avvincermi totalmente, la maniera in cui l'avvocato portava il vero colpevole a tradirsi e al conseguente smascheramento del furfante di fronte a giudice e giuria, le arringhe, le domande serrate e non ho altro da chiedere al teste e l'accusa può controinterrogare, etc., etc...

Perry Mason era una sorta di piccolo mito invincibile, Perry Mason e l'amante poltrone è uno dei romanzi dedicati al famoso avvocato creato da Erle Stanley Gardner protagonista di più di un'ottantina di avventure letterarie. Qui purtroppo il dibattito in aula è relegato alle ultime pagine di un romanzo di per sè abbastanza breve (un centotrenta pagine diciamo) dove la parte del leone la fa la ricostruzione di un'intricata vicenda da dipanare tra false testimonianze, comode amnesie e papabili colpevoli.

Diciamo che romanzi come questo sono per me letture defatiganti, che affronto quando ho voglia di leggere qualcosa di veloce, senza pensarci troppo, ed è anche un modo per dar valore a una serie di libri acquistati in passato che rischierebbero di rimanere sepolti per sempre in libreria sovrastati da romanzi ben più attraenti e interessanti (almeno per me).

Purtroppo i romanzi di Gardner peccano un poco sotto diversi punti di vista e non reggono il passo di quelli di maestri del giallo classico, celebri allo stesso modo, ma a mio avviso decisamente più convincenti. Intanto, ma questo è un punto a sfavore di molti romanzieri dell'epoca rispetto ai moderni, si fatica a farsi avvincere dai protagonisti ricorrenti perché poco sappiamo su di loro e sulle loro vite (almeno a giudicare dai tre o quattro romanzi della serie che ho letto). Perry Mason è un ottimo avvocato, giusto, abile, con una sua impeccabile linea di condotta morale, Della Street non è mai Della Street ma è più che altro la segretaria di Mason così come Paul Drake più che l'uomo è il detective galoppino dell'avvocato. I lettori moderni, abituati a carismatici protagonisti come i vari Harry Bosch e compagnia cantante, difficilmente apprezzeranno romanzi come questo per lo spessore dei personaggi.

Poi c'è la costruzione della vicenda, un poco fumosa e non sempre coinvolgente o capace di creare la giusta tensione, mi sembra che qui maestri come la Christie o anche Ellery Queen se la cavassero decisamente meglio (e non cito Conan Doyle di proposito, capace invece di dare anche spessore ai personaggi). Anche come stile e atmosfere molto meglio la scuola dei duri dei vari Chandler e Spillane.

Con questo non voglio assolutamente dire che i romanzi di Gardner siano da buttare, tutt'altro, la lettura è piacevole e veloce, sono romanzi di puro intrattenimento ottimi per gli appassionati del genere o da assaggiare di tanto in tanto. Questo almeno è il parere che corrisponde al mio gusto personale, sono sicuro che lo scrittore abbia ancora orde di ammiratori pronti a dichiarare l'esatto contrario di quanto da me scritto in questa sede.

Erle Stanley Gardner

sabato 24 ottobre 2015

SKORPIO MAXI

E così, dopo il varo di Lanciostory Maxi di cui parlammo qualche tempo fa, nel mese di Ottobre arriva nelle edicole del belpaese anche la testata gemella Skorpio Maxi, con contenuti diversi ma con più o meno le stesse intenzioni. Ci tengo a precisare che a mio avviso le intenzioni che aleggiano in casa Aurea sono onestamente buone, ma che (purtroppo e ahinoi) pecchino sempre un poco nella messa in opera.

Devo dire che, messi sul piatto della fatidica bilancia, l'esordio dello Skorpio Maxi mi ha soddisfatto nei contenuti ancor più di quello del suo predecessore. Non è comunque privo di difetti neanche questo nuovo arrivato, anzi, un paio di questi mi sembrano realmente di grosse proporzioni. Inspiegabile (e anche di scarsa considerazione verso i lettori) l'inserimento della prima bande dessinée del nuovo mensile pubblicandola a partire dal tomo secondo. Infatti sembra che la prima parte del Mister George di Le Tendre e Labiano sia stata presentata in un numero di Skorpio settimanale, così chi acquista la prima uscita del Maxi si ritrova con una storia che inizia in media res, scelta a mio avviso completamente sballata e incomprensibile (con tutto il materiale poi che Aurea avrebbe da ristampare).

Altra scelta assurda è quella di presentare nelle poche pagine dedicate agli approfondimenti (o che avrebbero potuto essere dedicate agli approfondimenti) la rubrica del tuttologo Roberto Vacca che per quanto possa essere un esperto di fama mondiale qui c'entra come i cavoli a merenda. Già rimpiango lo splendido articolo che precedeva il primo numero de I Partigiani su Lanciostory Maxi n. 1. Qui ci viene offerto un approfondimento sulla mortalità causata da tumore e la situazione in Svizzera in completa controtendenza mondiale. A parte che l'articolo è a mio modestissimo parere del tutto inconcludente, ma se io prendo in mano una rivista a fumetti, principalmente d'avventura, sarà forse perché mi vorrò svagare un attimo? Non so a quanti avrà fatto piacere sorbirsi tra i due racconti brevi presentati in questo numero il pistolotto sul tumore. Assurdo. Occasioni e pagine sprecate.

Discorso copertina. Non saprei che dire, anche qui fuorvianti, forse un pelo meno eroticheggiante di quelle di Lanciostory Maxi, più che altro per lo stile, ma a mio avviso anche più brutta.

Veniamo ora alle note positive. Intanto mi sembra ci sia un po' di cura in più nei testi, nessuno strafalcione macroscopico e iniziano a comparire almeno le date delle prime pubblicazioni su Skorpio delle varie serie presentate. La carta è sempre la stessa e come già avevo detto a me piace, la trovo affascinante questa cartaccia. Il sommario presenta meno liberi rispetto a Lanciostory Maxi (qui solo due), liberi che si stanno rivelando un po' il punto debole della testata gemella, sempre meno interessanti delle storie lunghe che in Skorpio Maxi sono ben quattro.

Di Mister George abbiamo già detto, unico prodotto francese della rivista con protagonista uno smemorato immerso in una spy story, vicenda che non fosse stata tronca sarebbe anche stata piacevole da leggere seppur derivativa (qualcuno ha detto XIII?).

Non male l'ambientazione di Skorpio il vendicatore solitario. In una New York dei '70 troviamo quartieri difficili, gangster, bande di strada, un ispettore di polizia con i baffi a manubrio, un giovane prete dalla sberla facile, bande di motociclisti e il misterioso Skorpio, il vendicatore. Avventura più classica per Continente nero e Wakantanka, ambientato in Africa il primo e in Nord America il secondo. Il sommario si rivela più corposo e di peso, la lettura ne trae beneficio, probabilmente si potrebbe pensare di limitare al massimo i liberi e aumentare il numero di serie lunghe o le pagine a esse dedicate.

Sommario:
- Skorpio il vendicatore solitario, di Collins (t) e Garcia Sejas (d)
- Continente nero, di Grassi (t) e Salinas (d)
- Mister George, di Rodolphe/Le Tendre (t) e Labiano (d)
- Wakantanka, di Oesthereld/Albiac (t) e Zanotto (d)
- Il Dio sconosciuto, di Grassi (t) e Alcatena (d)
- Il maestro, di Barnes (t) e Klacik (d)

giovedì 22 ottobre 2015

RITORNO AL FUTURO I e II (in sala)

Ieri è stata una giornata da ricordare per i moltissimi fan della saga di Ritorno al futuro, il 21 ottobre 2015 è infatti la data alla quale Marty McFly (Michael J. Fox) e Doc Brown (Christopher Lloyd) approdarono dal lontano 1985 ben 26 anni fa (e non trenta in quanto l'episodio risale al Back to the future part II del 1989) per risollevare le sorti della famiglia McFly ed evitare una brutta esperienza al figlio di Marty, Junior (sempre Michael J. Fox).

Inoltre il primo episodio della saga risale al 1985, giusto trent'anni fa, quale migliore occasione allora per riportare Ritorno al futuro e Ritorno al futuro parte II nelle sale?  E allora perché non partecipare a quello che più che una visione dei due film in sequenza si è rivelato una sorta di allegro happening per affezionati?

Nonostante i ripetuti passaggi di questi due film di culto sui teleschermi delle nostre case, la visione collettiva in sala riesce ancora a donare nuova meraviglia alle pellicole, nonostante almeno il secondo episodio l'avessi già visto in sala al tempo che fu (avevo quattordici anni allora). Il pubblico, moltissimi coetanei, donne e uomini, è lì per partecipare all'evento più che per godere dei film in sè, è pronto a citarne le battute a memoria, ad aggiungerne magari di proprie facendo ridere di gusto i vicini, a godersi una serata al cinema indubbiamente diversa. E forse in tempo di crisi per le sale cinematografiche va bene anche questo, in fondo con una scusa abbastanza blanda ci si ritrova in sala, ci si sente parte di qualcosa, fosse anche solo di un grande flusso nostalgico (più che canalizzatore), ci si diverte e si riscoprono ancora tutte le qualità di due film capaci ancora oggi di entusiasmare nonostante le ripetute visioni.


Il primo episodio gode di una densità di battute e momenti comici davvero notevole, il mio giudizio positivo e il mio ricordo della saga di Ritorno al futuro, oltre che a una sequela di scene ormai mitiche, era legato alla magnifica costruzione della vicenda, al legame perfetto tra i primi due episodi, al meccanismo a orologeria e, ovviamente, al ricordo degli splendidi personaggi, un Michael J. Fox e un Christopher Lloyd semplicemente magnifici con spalle tutte da incorniciare. Tornare a ridere su battute ormai note è stata l'ennesima riscoperta della qualità di questi piccoli capolavori.

La serata inoltre è stata arricchita da un video di benvenuto ad opera di Doc Emmett Brown e, tra il primo e il secondo film, dal trailer riassuntivo di tutti i film della saga Lo squalo dal primo al diciannovesimo episodio (citato in Back to the future part II) e dalla pubblicità degli skate volanti Hoverboard, entrambi parecchio esilaranti.

Forse non proprio l'occasione giusta per vedere il film per la prima volta, o comunque una maniera di vederlo tutta particolare, però che sia questa una nuova modalità d'uso della sala cinematografica? Occasione di recupero, magari in alcuni casi valorizzazione di opere del passato e, perché no, in alcuni casi anche di festa e celebrazione. E, strano a dirlo, nonostante si parli di multiplex, l'organizzazione dell'evento è stata più rispettosa del medium Cinema che non in altre occasioni con film in prima visione preceduti da valanghe di pubblicità e spezzati a casaccio nel mezzo per vendere i pop corn agli spettatori.

Insomma, la serata di ieri è stata davvero divertente.

martedì 20 ottobre 2015

UNO, DUE, TRE!

(One, two, three di Billy Wilder, 1961)

Commedia molto divertente dal ritmo indiavolato quella girata da Billy Wilder a Berlino in tempi tutt'altro che facili, cosa che rende questa pellicola ancor più preziosa. Le riprese iniziarono in un'epoca in cui le due Germanie erano sì divise ma in cui ancora non era stato edificato il famoso muro di Berlino. Tempi di guerra fredda e nervi tesi, la situazione geopolitica si inasprisce rapidamente e la Repubblica Democratica Tedesca (Germania Est) decide di erigere il muro per impedire ai propri cittadini di espatriare nella Repubblica Federale Tedesca (Germania Ovest), tutto questo proprio mentre la troupe di Wilder gira Uno, due, tre!

Quella che doveva essere una commedia con moltissime battute a sfondo politico sui contrasti tra est e ovest si troverà ad approdare sul mercato cinematografico in un momento in cui le cose si sono fatte ben più gravi e tese rispetto ai tempi in cui il film era stato messo in produzione, difficile ridere di situazioni a causa delle quali ora la gente perde la vita nel tentativo di passare da una zona all'altra di Berlino. Questo l'unico motivo di insuccesso ai tempi d'uscita di un film altrimenti riuscitissimo e davvero spassoso.

Protagonista (quasi) assoluto il duro per eccellenza, quel James Cagney dai tratti decisi noto per lo più ai cinefili per i suoi ruoli da canaglia in tanti noir interpretati dagli anni '30 in avanti. Nel campo della commedia il newyorkese si rivela grandissimo mattatore, attore capace di reggere ritmi altissimi e sequenze di battute a ripetizione con una perizia a dir poco notevole, da applausi.

Ed effettivamente la contrapposizione tra est e ovest, ma soprattutto tra i due modelli di vita che guidano gli ideali dei due schieramenti, a dire Capitalismo e Socialismo o America e Russia se preferiamo, è fonte di innumerevoli battibecchi e trovate realmente molto divertenti. E già c'era uno spudorato product placement, però decisamente alla luce del giorno e meno occulto di quello odierno.


Il signor McNamara (James Cagney) è un dirigente della filiale berlinese della Coca Cola (prodotto ovviamente molto invidiato all'est e finanche in Russia). Capita che la figlia del suo principale, il signor Hazeltine (Howard St. John), sia in visita a Berlino e che il principale stesso chieda a McNamara di ospitarla e di darle un'occhiata durante il soggiorno. Quest'ultimo, in attesa di una promozione, coglie l'occasione per ingraziarsi il capo, purtroppo per lui la giovane Rossella (Pamela Tiffin) non sarà così facile da tenere sotto controllo. Da una sua scappatella a Berlino Est tornerà sposata con Otto Piffl (Horst Buchholz), militante comunista con forte spregio dell'America e del capitalismo ma sinceramente innamorato di Rossella. Ma le sorprese non finiranno certo qui.

A dar forza maggiore alla vicenda principale si uniscono le gesta di una serie di comprimari di primordine che vanno dalla moglie di McNamara, Phyllis (Arlene Francis) alla provocante segretaria Ingeborg (Lilo Pulver) fino ad arrivare ai dipendenti della Coca Cola con in testa il collaboratore Schlemmer (Hans Lothar).

Il ritmo è sempre altissimo, non c'è davvero tempo per annoiarsi, inoltre una bella fotografia permette di ammirare al meglio la Porta di Brandeburgo appena prima della chiusura dei confini tra le due Germanie, alcune scene infatti è stato necessario ricrearle in seguito in studio. Billy Wilder è un maestro della commedia americana, Uno, due, tre! ne è soltanto l'ennesima conferma.


domenica 18 ottobre 2015

BATMAN - IL FILM

(Batman: The  movie di Leslie H. Martinson, 1966)

Ben prima della marea dilagante di cinecomics che ormai appestano le sale cinematografiche (spesso anche in senso buono), molto prima del Batman di Tim Burton e finanche prima del Superman interpretato da Christopher Reeve, c'è stato Batman: il film con la mitica e inarrivabile coppia d'attori Adam West (Bats) e Burt Ward (Robin, il ragazzo meraviglia, qui stranamente citato come  prodigio in diverse occasioni).

I due sono, come tutti ben sapranno, la coppia d'assi che ha interpretato il dinamico duo nella famosa serie dal sapore camp degli anni '60, il Batman saturo e colorato dalla spiccata vena faceta che aveva la riconoscibile caratteristica di presentare onomatopeiche nuvolette durante le sequenze di scazzottate con celebri villain e scagnozzi assortiti.

Sul finire della prima stagione, probabilmente per saziare la fame dei fan in crisi d'astinenza, si decise di realizzare un lungometraggio con protagonisti proprio quei Batman e Robin lì, sfruttando l'occasione per metter loro contro il meglio dei villains prodotti dalla serie in un'unica, ma assolutamente poco seria, associazione criminale: quindi abbiamo la sensuale Catwoman (una bellissima Lee Meriwheter), il Joker detto anche Jolly, sigh, (Cesar Romero), il Pinguino (Burgess Meredith) e l'immancabile Enigmista (Frank Gorshin).

A dirigere il tutto il regista di stampo chiaramente televisivo Leslie H. Martinson, cresciuto a pane e telefilm. L'impressione è che per questo film si sia passati dal registro leggero e faceto proprio della serie tv a quello marcatamente cialtrone e demenziale espresso in Batman: Il film. Alcune sequenze sono indizio inconfondibile di questa scelta stilistica, tra tutte le più famose sono quella iniziale  con l'attacco a Batman da parte di uno squalo palesemente di gomma (allontanato con il Bat-repellente per squali) e quella in cui Batman non riesce a disfarsi di una bomba in procinto di esplodere, incapace di trovare un posto privo di persone così da non mettere in pericolo nessuno. La bomba ovviamente è di quelle tonde con la miccia sopra. Tutto è macchiettistico, assurdo e delirante, la trama un pretesto per inanellare sequenze ai limiti del ridicolo che ovviamente sono talmente sceme che non possono non farti sorridere. Il film è dichiaratamente cialtrone, non si nasconde certo dietro a un dito, basti pensare alla soluzione da parte del dinamico duo degli enigmi proposti dall'Enigmista, soluzioni assurde ricavate dalla prima cazzata proposta solitamente da Robin (e sono cazzate enormi) presa poi per buona e che nella stessa assurda maniera porterà alla soluzione dell'enigma stesso. Mi sembra che nel telefilm non si arrivasse mai a tanto.


Il cast è più o meno lo stesso della serie tv (con l'eccezione dell'attrice che interpreta Catwoman), a completarlo ci sono Alfred (Alan Napier), il Commissario Gordon (Neil Hamilton) e il Sergente O'Hara (Stafford Repp). Largo sfoggio anche dei bat-veicoli, dalla stupenda Bat-mobile, al Bat-cottero fino ad arrivare al Bat-scafo e al Bat-sidecar con sganciamento ai limiti del ridicolo.

Film per fan della serie, per i fan di Batman o più semplicemente per i fan delle puttanate a briglia sciolta. Visto in quest'ottica il film ha un suo perché, io e Laura alla fine ci siamo divertiti.

sabato 17 ottobre 2015

I PREDATORI DEL DESERTO

(di Claudio Nizzi e Bruno Brindisi, 2002)

Texone molto particolare questo di Claudio Nizzi e Bruno Brindisi in quanto I predatori del deserto, e non lo scopro di certo io, è un sentito omaggio al maltese più celebre della storia del fumetto (ma forse anche in assoluto) e al suo autore Hugo Pratt. Ovviamente parliamo di Corto Maltese e più nello specifico l'omaggio dei due autori guarda alla prima avventura del personaggio, quella ballata del mare salato da parecchio tempo passata alla storia della nona arte.

Numerosi i rimandi alla ballata, intanto I predatori del deserto si apre col ritrovamento di Kit Willer agonizzante nel deserto a opera di una banda di delinquenti travestiti da giacche blu, così come la ciurma di Rasputin in principio della ballata raccoglieva dal mare i naufraghi Cain e Pandora Groovesnore, a Kit si aggiungerà presto la giovane e bella Liza, sopravvissuta all'eccidio dei membri della sua carovana proprio come la coppia di naufraghi sopravvisse all'affondare della goletta Amsterdam. Tra le fila del falso reggimento che trarrà in salvo Piccolo Falco, con scopi poco nobili proprio come quelli di Rasputin nell'analoga apertura della ballata, ci sono il "Tenente" Monkey e il "Sergente" Kirby, due gaglioffi con la fisionomia rispettivamente di Rasputin e Corto Maltese. Anche il carattere dei due falsi soldati rispecchia quello dei loro più celebri sosia. Inoltre l'interesse lussurioso di Monkey per Liza richiama i pensieri di Rasputin su Pandora, addirittura alcune scene sembrano omaggiare il più illustre racconto. Elemento più significativo, e centrale nello svolgimento della trama come nelle rivelazioni sul finale, la misteriosa presenza di un deus ex-machina che muove i fili delle vicende che, se nella ballata poteva essere identificato nel Monaco, qui il ruolo è ascrivibile al misterioso Predicatore.

L'omaggio diventa quindi la chiave di lettura più sfiziosa e divertente di questo Texone che con l'inserimento di Tex e Kit garantisce ancora una volta un buon intrattenimento. Pur non essendo riusciti a portare sulla testata un artista internazionale di chiara fama, anche il Texone 2002 si gioca bene le sue carte. La mancanza dell'artista internazionale nulla toglie all'ottimo lavoro di Bruno Brindisi, artista dal taglio moderno che personalmente, pur non avendone visionato molti lavori, apprezzo senza riserve. Bellissimi i suoi primi piani e l'uso delle ombre sugli stessi, grande espressività nei volti dei personaggi, soprattutto nelle varie declinazioni della crudeltà di un Monkey dallo sguardo spiritato e cattivissimo e nelle buffe smorfie di Kit Karson. Bravo a rendere al meglio la bellezza innocente di Liza come il piglio deciso di un Tex roccioso, secondo il mio gusto matite da premiare in toto. E così ecco un'altra bella sorpresa proveniente dalle parti dell'Arizona.


giovedì 15 ottobre 2015

FROST/NIXON - IL DUELLO

(Frost/Nixon di Ron Howard, 2008)

Dopo il controverso Il codice Da Vinci, Ron Howard sembra aver raccolto critiche positive sia dal pubblico che dagli addetti ai lavori in occasione dell'uscita del suo Frost/Nixon da noi presentato con il sottotitolo Il duello. Generi completamente diversi, per questo film un impianto classico con una regia solida, un parterre d'attori in ottima forma e un piglio cronachistico per raccontare quello che è stato (e che forse è ancora oggi) l'evento più importante nella storia della televisione americana: le interviste rilasciate dall'ex Presidente Richard Nixon (Frank Langella) al giornalista David Frost (Michael Sheen).

Non sempre questo genere di film riesce a coinvolgere totalmente lo spettatore (questo spettatore almeno), il rischio di guardare molto alla ricostruzione dei fatti può diminuire l'impatto emotivo provocato dalla vicenda, e penso a film visti negli ultimi anni come Milk o La Guerra di Charlie Wilson, non di meno se il film è come questo ben costruito, può risultare un'ottimo veicolo per conoscere o approfondire argomenti che spesso si ricordano solo per sommi capi ma che sono stati di grande importanza per la storia di un Paese se non del mondo intero.

È questo il caso di Frost/Nixon, un film ben recitato, ben girato e ben sceneggiato (ispirato all'omonima opera teatrale) che si guarda con piacere nell'attesa del duello finale tra una personalità fortissima e uno showman d'esperienza. L'esperienza di David Frost è però maturata nel campo dell'intrattenimento, il conduttore britannico è noto soprattutto in patria e in Australia per i suoi show divertenti. Quando, a tre anni dallo scandalo Watergate e dopo le dimissioni del Presidente, si presenta l'occasione di concedere una serie di interviste al presentatore, Nixon e il suo staff intravedono una possibilità di redenzione agli occhi della popolazione americana da concretizzare a scapito dell'inesperienza in campo politico di Frost.


Nelle intenzioni di Frost, ma soprattutto in quelle del suo staff composto dal produttore John Birt (Matthew MacFadyen) e dai giornalisti James Reston (Sam Rockwell) e Bob Zelnick (Oliver Platt), c'è quella di mettere finalmente allo scoperto le colpe di Nixon nei confronti dell'America. Il duello sarà duro per tutti.

Il pregio principale del film è sicuramente il cast, attori tutti in forma con due grandi protagonisti, un Langella che riesce a trasmettere il timore che un Presidente carismatico (seppure ex) può suscitare negli altri, la sua sicurezza e la sua preparazione nelle vesti di uomo pubblico, ma anche il tormento e la fragilità del privato. Ottima prova anche per Michael Sheen, accattivante con il suo sorriso alla Cruise prima maniera ma capace di esprimere dubbi e incertezze causate da una situazione estremamente delicata.

In fin dei conti un film che regala il suo contributo alla memoria, per non dimenticare un'altra pagina di storia che non può far male conoscere.


VINCENZINA 007

... ma nemmeno il bradipo.




Per chi fosse interessato ad acquistare una copia nell'edizione della Red dei libri di Bradi Pit o di Vincenzina potrà richiederla direttamente a Giuseppe contattandolo all'indirizzo email scapigliati@aruba.it

mercoledì 14 ottobre 2015

L'INVERNO DI FRANKIE MACHINE

(The winter of Frankie Machine di Don Winslow, 2006)

L'inverno che Don Winslow cuce addosso al suo Frankie Machine non è di quelli facili, in fondo Frankie, al secolo Frank Machianno, è uno che ama la primavera. E per chi vive a San Diego, a pochi metri dal mare e a un passo dall'età pensionabile, la primavera non dev'essere una brutta stagione. L'ideale per fare ancora del buon surf, passione di gioventù, per fare l'amore con la bella compagna Donna e per sopportare alla meno peggio l'ex moglie Patty, ma anche per dedicarsi a tutta una serie di lavori utili per sbarcare il lunario. È un uomo impegnato Frankie, tra l'attività di vendita esche sul molo di San Diego a quella di fornitura di pesce fresco e servizio lavanderia per i ristoranti, fino ad arrivare alla gestione affitti di alcuni immobili, le sue giornate sono belle piene. I soldi servono per affrontare una vita serena, per mantenere un'ex moglie e per mandare all'università la figlia Jill, insomma, in un modo o nell'altro Frankie se la cava onestamente. Frankie piace a tutti, è cordiale, ha sempre una buona parola per chiunque ed è impegnato nel sociale per la gente del quartiere. Frankie è anche uno dei più efficienti sicari che la mala di San Diego e di tutta la costa ovest abbia mai visto in circolazione.

Frankie Machianno. Frankie Machine. Frankie la macchina. La macchina infallibile. Frankie è fuori dal giro da parecchio tempo, sono passati gli anni della violenza e della malavita, ma si sa, le vecchie storie spesso tornano a bussare alla porta. E alla porta di Frankie, un brutto giorno, viene a bussare Mouse Junior, figlio di uno dei boss della mala locale, della poco influente famiglia di San Diego sottoposta alla comunque poco importante mala di Los Angeles, boss di secondo piano ma comunque boss, gente alla quale è meglio non pestare i piedi.

Dopo averci presentato a fondo il personaggio lungo una quarantina di splendide pagine, Don Winslow precipita Frankie in un vortice di azione e ricordi nel quale sarà suo malgrado preso nel mezzo. Da quel primo incontro le cose inizieranno ad andare maledettamente storte e la narrazione accellererà incredibilmente alternando i tentativi di Frankie di uscire indenne dal pasticcio in cui si è venuto a trovare ai ricordi della sua precedente vita nella mala.

Machianno è uno di quei personaggi con i quali l'autore ti porta a empatizzare, nonostante questi sia stato un lucido assassino, Winslow lo tratteggia come un uomo di grande onore, rispettoso delle donne, amante della famiglia e della buona vita, del buon cibo e dell'educazione. Un tipo d'uomo, e questo è l'unico piccolo neo del libro, che non si sa bene quanto possa essere realistico. Accettato questo aspetto, il libro è un ottimo gangster book (per adattare il più noto termine gangster movie) nel quale Winslow spende molte energie per rendere il suo personaggio un personaggio vero, con una sua vita, una sua etica, una sua quotidianità. La trama, da seguire con attenzione, è meno scontata di quel che si poteva presupporre e i pezzi del puzzle che affonda nel passato andranno pian piano tutti al loro posto.

L'opera di Winslow mi solleticava parecchio e da parecchio, ora sono ben felice di aver trovato un altro autore da tenere sott'occhio.

Don Winslow

lunedì 12 ottobre 2015

FRA LA VITA E LA MORTE

(di Tiziano Sclavi, Luigi Mignacco e Luigi Piccatto)

Probabilmente Sclavi deve essere un grande ammiratore del Frankenstein Jr. di Mel Brooks e in fondo chi può dargli torto? Chi non lo è? Oppure l'omaggio al celebre film con protagonista Gene Wilder è opera del disegnatore Luigi Piccatto che ritrae, all'interno di alcune vignette tra le meglio riuscite dell'intera storia, un senzatetto con le fattezze proprie del celebre attore. Nella breve storia editoriale di Dylan Dog (siamo solo al quattordicesimo numero), è già la seconda volta che si tira in ballo questo film ormai divenuto vero e proprio culto.

La trama poi nulla ha a che spartire con il film e all'apparenza, fino a un certo punto, sembrerebbe avere poco a che spartire anche con l'orrore, virando più verso i temi del sovrannaturale e del dolore (ma ci si rifarà sul finale).

Al London General Hospital si verifica un numero di decessi, all'apparenza dovuti a complicanze cliniche, ben superiore alla media. Quando a rimanere sotto i ferri è il padre dell'infermiera Jill Brady, affatto persuasa dagli eventi, questa si rivolge all'indagatore dell'incubo, forte anche dell'esperienza ultraterrena avuta con il fantasma del genitore appena defunto.

Ovviamente Dylan accetterà il caso che si svilupperà in direzioni quasi cronachistiche affrontando ipotesi più che terrene in odore di malasanità e delirio di onnipotenza dei medici, traffico d'organi e tutto lo scibile possibile tra le corsie di un grande ospedale cittadino. Ma si sa, nelle storie di Dylan Dog l'orrore è sempre in agguato.

La storia imbastita da Sclavi e Mignacco è ben costruita con un buon crescendo di orrore e follia, non è una di quelle destinate a rimanere iscritte nell'albo delle migliori della serie pur toccando temi scottanti e risultando in fin dei conti comunque ben realizzata. In alcuni casi, come in questo per esempio, si potrebbe evitare l'abituale e molto caro all'horror finale con tanto di inaspettato (ma anche no) ritorno della minaccia protagonista. Ogni tanto una chiusura decisa e definitiva aggiungerebbe credibilità a una storia costruita nel campo dell'incredibile.

Il Dylan di Piccatto non mi dispiace affatto, il disegnatore unisce splendidi primi piani e ottimi volti a un tratto essenziale e funzionale, come per la sua prova precedente purtroppo ho trovato il suo lavoro un poco discontinuo con tavole molto riuscite e altre meno, nel complesso però la sua interpretazione del personaggio e dell'orrore non è affatto da buttar via. Intanto, tassello dopo tassello, il mito dell'indagatore dell'incubo cresce e cresce e cresce...


sabato 10 ottobre 2015

I PINGUINI DI MADAGASCAR

(Penguins of Madagascar di Eric Darnell e Simon J. Smith, 2014)

Per la squadra dei pinguini di Madagascar è stata imbastita un'operazione simile a quella che qualche tempo dopo la Illumination Entertainment decise di effettuare con i Minions. Si estrapolano da brand di successo le spalle comiche meglio funzionanti e le si elevano a ruolo di protagonisti assoluti, puntando in prima battuta a un pubblico di bambini e alla vendita di tonnellate e tonnellate di merchandising.

Se per quel che riguarda il film dei Minions lessi critiche fin troppo severe e molti giudizi negativi (che in fin dei conti non condivido), a mio avviso l'esperimento tentato con I pinguini di Madagascar è da considerarsi decisamente meno riuscito.

Quelli che erano realmente i punti di forza della trilogia di Madagascar, i pinguini Skipper, Rico, Kowalski e Soldato, notoriamente teneri e coccolosi, vengono qui precipitati in una storia d'azione che avrebbe dovuto rivelarsi la cornice perfetta per i pinguini, sorta di action team comico capace di assicurare divertimento a tutte le latitudini.

Invece proprio il divertimento latita, a parte alcune gag riuscite a dovere, sulla lunga distanza i pinguini faticano a reggere il peso delle aspettative, la storia per loro imbastita è tutto sommato parecchio fiacca, meglio allora quanto fatto per i Minions dove la trama era meramente un pretesto per inanellare una serie di gag almeno più riuscite e continuative.


Il film si apre con un flashback che narra la nascita di Soldato, il più giovane dei pinguini, e la creazione di questa strana famiglia dal legame indissolubile. Poi ci si sposta in coda a Madagascar 3 e si riparte con l'arrivo di Dave, rancoroso polipo messo in disparte in numerosi zoo proprio a causa del maggiore appeal dei pinguini nei cuori dei visitatori. Per Dave non rimane che allestire un piano di vendetta nei confronti di tutti gli odiati esserini carini e coccolosi con la ferma intenzione di rendere la categoria invisa al grande pubblico. Ma oltre ai nostri pinguini, a contrastare il piano malvagio del polpo, ci sarà Vento del Nord, un team super attrezzato di spie composto dall'husky Segreto, dall'orso bianco Caporale, dalla foca Miccia e dalla civetta Eva capace di infrangere il cuore tenero di Kowalski.

Il film presenta diverse sequenze dinamiche che non riescono però ad arginare la noia, tutto sommato mi è sembrata questa un'occasione sprecata. Per ammirare i pinguini al loro meglio consiglio prove dal minutaggio inferiore come, ad esempio, l'ormai classico I Pinguini di Madagascar: Missione Natale.


giovedì 8 ottobre 2015

10 VOLTI (27)

Son passati diversi mesi dall'ultima volta che abbiamo giocato insieme a 10 volti. Torniamo a farlo con un'edizione a tema, tema che non vi svelerò ma che mi sembra decisamente facile da intuire. Per i nuovi lettori del blog ricordo che giocare a 10 volti è semplicissimo, basta indovinare a chi appartengono le facce dei signori qui sotto e scrivere i loro nomi nei commenti con riferimento al numero della foto. 1 punto per volto, 1 punto bonus ogni cinque volti indovinati.

Qui sotto la classifica aggiornata ad oggi:

01 La Citata 35 pt.
02 Bradipo 29 pt.
03 Luca Lorenzon 28 pt.
04 Poison 27 pt.
05 Luigi 26 pt.
06 Vincent 17 pt.
07 L'Adri 14 pt.
08 Babol 13 pt.
09 Urz 13 pt.
10 Cannibal Kid 11 pt.
11 Viktor 10 pt.
12 Morgana 9 pt.
13 Eddy M. 8 pt.
14 Elle 8 pt.
15 Alligatore 8 pt.
16 Frank Manila 5 pt.
17 Michele Borgogni 5 pt.
18 Umberto 4 pt.
19 Zio Robbo 4 pt.
20 M4ry 3 pt.
21 Miu Mia 3 pt.
22 Evil Monkeys 2 pt.
23 Marco Grande Arbitro 2 pt.
24 Beatrix Kiddo 1 pt.
25 Ismaele 1 pt.
26 Brusapa Jon 1 pt.
27 Glò 1 pt.
28 Blackswan 0 pt.
29 El Gae 0 pt.
30 Acalia Fenders 0 pt.
31 Rento Portento 0 pt.

E ora via!


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