Morso da un bradipo radioattivo il giovane Bradi Pit acquisisce fantastici poteri: lentezza e sonnolenza proporzionali di un bradypus e la favolosa capacità di aderire ai rami. Inoltre il suo peculiare senso di bradipo gli permette di percepire eventuali minacce e di fottersene altamente. Poco dopo aver acquisito le sue nuove capacità il giovane Bradi non fece in tempo (non chiediamoci il perché) a fermare il giaguaro cattivo che uccise suo zio Ben. Arrovellandosi per l'impotenza di fronte all'immane tragedia al giovane tornano in mente alcune parole che soleva ripetergli lo zio Ben: "Ricorda, da poteri di merda derivano soltano rotture di coglioni!".
Clicca sull'immagine per ingrandire.
Aiutaci a diffondere il verbo del Bradipo linkandolo. Fallo tu perché il Bradipo fa n'caz.
giovedì 28 febbraio 2013
martedì 26 febbraio 2013
LA PORTA!
Avete imparato tutti ad apprezzare il lavoro di Giuseppe, papà del Bradi Pit nazionale, ma forse non tutti sanno che... non di soli bradipi vive Giuseppe. Vive sempre in termini bradipici ma non di soli bradipi. L'estate scorsa mi capitò di assistere alla creazione di una divertente e breve serie di vignette che mi sembrava un peccato non proporvi. Inoltre oggi le userò come rimedio contro l'incazzatura feroce che prima o poi rischierà di portarmi all'altro mondo.
Eccovele:
Eccovele:
lunedì 25 febbraio 2013
BOB MORANE
Negli ultimi mesi dell'anno scorso anche l'Editoriale Aurea si è lanciata nella proposta del fumetto franco-belga a prezzi popolari. Con una buona intuizione ha ingrandito di qualche cm il formato bonellide rendendo più leggibili le tavole in origine pensate per un formato più grande. Anche qui niente colore ne redazionali. Due al momento le proposte: il thriller spionistico XIII e l'avventura classica da pulp magazine di Bob Morane, ed è proprio su quest'ultima uscita che vorrei spendere due parole.
Dopo aver letto il primo numero delle avventure di Bob Morane sono rimasto spiazzato, e dopo vi dirò perché. Sono andato allora alla ricerca di qualche informazione in rete e incredibilmente mi si è aperto un mondo. Non so voi, mai io di questo personaggio non avevo sentito mai parlare eppure in Francia deve essere una specie di gloria nazionale.
Apprendo che al personaggio, nato nel lontano 1953 per mano dello scrittore Henri Vernes, sono stati dedicati nel corso degli anni la bellezza di circa 230 (duecentotrenta) romanzi, editi originariamente in una collana di tascabili dell'editrice Marabout. Il probabile successo del personaggio ha dato vita in seguito a un film nel 1960, a una serie tv nel 1963 e a una a cartoni animati nel 1998. A Tournais in Belgio c'è addirittura una via Bob Morane dedicata al popolare eroe.
Dovrebbero essere circa un centinaio invece le avventure rese in forma di fumetto pubblicate nel corso degli anni da diverse case editrici d'oltralpe.
L'Aurea ci introduce al mondo dell'eroe francese con l'episodio La spada del paladino, primo dell'epoca Dargaud. In precedenza però l'eroe era stato protagonista di altri sette albi editi da Marabout nei quali probabilmente il personaggio era stato presentato ai lettori.
Ci si trova un po' spiazzati leggendo il numero uno di questa nuova collana. I protagonisti sono il francese Bob Morane e il suo amico scozzese Bill Ballantine, non è chiaro quale sia il rapporto che lega i due amici che sembrano molto affiatati, unico indizio il fatto che Ballantine chiami spesso Morane con l'appellativo di Comandante, il che lascia supporre un passato militare per i due. Dopo un paio di pagine siamo già nel pieno della storia, il Professor Hunter, conoscente di Morane, chiede alla coppia di amici di testare per suo conto una macchina del tempo a scopo di verificarne l'effettivo funzionamento. La cosa fantastica è che i due accettano senza porsi nessun problema, una soluzione narrativa dall'ingenuità disarmante, quasi da rimanerne stupiti leggendo le pagine del racconto. Finiranno nella Francia del XIV secolo insieme a un avversario imbucatosi di nascosto nella loro navicella. Impressionante come questi due personaggi, dei quali sappiamo poco e niente, riescano a far di tutto, non si pongano nessun problema di fronte a qualsiasi situazione e si gettino a capofitto nei risvolti della Storia, arrivando ad aver a che fare con Carlo Magno, col paladino Rolando e con Re Carlo V. La narrazione è classica e di pura avventura, l'ingenuità a livelli quasi imbarazzanti. A questo punto questo potrebbe sembrare un commento decisamente negativo al fumetto in questione. E invece no. Proprio questa naturalezza nella narrazione, questa dose massiccia di sospensione d'incredulità, insieme alle matite chiare e precise di Gérard Forton, donano alla lettura un fascino incredibile, d'altri tempi.
Certo avrebbe giovato una proposta cronologicamente più accurata, nonostante questo le varie avventure sono leggibili anche singolarmente. Già dal secondo albo l'Aurea procede al recupero di un paio di episodi dell'era Marabout (gli episodi 6 e 7) anche se non i primi.
Dopo la scorribanda nella Francia del XIV secolo la coppia di avventurieri dovrà vedersela con una razza evoluta e con il loro satellite artificiale in orbita sopra la Terra, in un racconto dalle atmosfere Bondiane con tanto di bad girl e agenzia criminale che qui presenta l'appellativo di S.M.O.G. Anche le matite, qui ad opera di William Vance, si adoperano per adattarsi al meglio alle nuove atmosfere.
Nel secondo numero, mantenendo costante lo stile della narrazione, avremo di che godere in un'avventura dai toni esotici e in una vagamente western. Proprio la semplicità è uno dei punti di forza della serie, talmente ingenua che risulta impossibile non apprezzarla. La speranza è che l'Aurea non lasci grossi buchi nella pubblicazione e presenti il maggior numero di avventure possibili dedicate a questo strampalato duo.
Questo articolo è pubblicato anche sul blog Fumettopènia.
Dopo aver letto il primo numero delle avventure di Bob Morane sono rimasto spiazzato, e dopo vi dirò perché. Sono andato allora alla ricerca di qualche informazione in rete e incredibilmente mi si è aperto un mondo. Non so voi, mai io di questo personaggio non avevo sentito mai parlare eppure in Francia deve essere una specie di gloria nazionale.
Apprendo che al personaggio, nato nel lontano 1953 per mano dello scrittore Henri Vernes, sono stati dedicati nel corso degli anni la bellezza di circa 230 (duecentotrenta) romanzi, editi originariamente in una collana di tascabili dell'editrice Marabout. Il probabile successo del personaggio ha dato vita in seguito a un film nel 1960, a una serie tv nel 1963 e a una a cartoni animati nel 1998. A Tournais in Belgio c'è addirittura una via Bob Morane dedicata al popolare eroe.
Dovrebbero essere circa un centinaio invece le avventure rese in forma di fumetto pubblicate nel corso degli anni da diverse case editrici d'oltralpe.
L'Aurea ci introduce al mondo dell'eroe francese con l'episodio La spada del paladino, primo dell'epoca Dargaud. In precedenza però l'eroe era stato protagonista di altri sette albi editi da Marabout nei quali probabilmente il personaggio era stato presentato ai lettori.
Sull'edizione Aurea tavole in B/N |
Certo avrebbe giovato una proposta cronologicamente più accurata, nonostante questo le varie avventure sono leggibili anche singolarmente. Già dal secondo albo l'Aurea procede al recupero di un paio di episodi dell'era Marabout (gli episodi 6 e 7) anche se non i primi.
Dopo la scorribanda nella Francia del XIV secolo la coppia di avventurieri dovrà vedersela con una razza evoluta e con il loro satellite artificiale in orbita sopra la Terra, in un racconto dalle atmosfere Bondiane con tanto di bad girl e agenzia criminale che qui presenta l'appellativo di S.M.O.G. Anche le matite, qui ad opera di William Vance, si adoperano per adattarsi al meglio alle nuove atmosfere.
Nel secondo numero, mantenendo costante lo stile della narrazione, avremo di che godere in un'avventura dai toni esotici e in una vagamente western. Proprio la semplicità è uno dei punti di forza della serie, talmente ingenua che risulta impossibile non apprezzarla. La speranza è che l'Aurea non lasci grossi buchi nella pubblicazione e presenti il maggior numero di avventure possibili dedicate a questo strampalato duo.
Sull'edizione Aurea tavole in B/N |
Questo articolo è pubblicato anche sul blog Fumettopènia.
sabato 23 febbraio 2013
A-Z: BARRY ADAMSON - MOSS SIDE STORY
Siamo nel 1989 quando esce l'album Moss side story, sorta di colonna sonora ideale per un'altrettanto ideale e mai realizzato film noir. Ma la carriera di Barry Adamson, nonostante questo sia il suo album d'esordio, non inizia certo qui. Nel curriculum del compositore polistrumentista compaiono trascorsi con i Magazine (al basso), con i Visage di Midge Ure già nella formazione originale e a metà degli anni '80 con i Bed Seeds di Nick Cave. Il pallino per il genere noir cinematografico muove Adamson verso una carriera solista come compositore di colonne sonore. In questa veste collabora con David Lynch (Strade perdute insieme a Trent Reznor) e Oliver Stone (Natural born killers).
Adamson è originario del Moss Side, quartiere di Manchester nel quale ambienta, grazie a questa sua prima opera, l'immaginario film noir che sarà filo conduttore di tutto l'album. Non c'è trama, non c'è film. Ci sono i titoli e c'è la musica, un'ottima composizione anche se non accompagnata da immagini, lontana dal classico score cinematografico. Il nome dell'album nasce da una commistione tra il quartiere del Moss Side e il titolo del musical West Side Story.
L'apertura con The wrong side of relaxation scatena l'immaginario dell'ascoltatore, a ognuno il suo: una grande città, vicoli bui, esterno notte, fumo bianco che fuoriesce dalle grate sull'asfalto, una donna che fugge terrorizzata (con il contributo di Diamanda Galas), tacchi che battono sul cemento, una presenza impalpabile e inquietante alle spalle. O forse non è così: "lei non ha nulla di cui preoccuparsi Mr. Adamson". La femme fatale?
Le composizioni mischiano influenze industriali a strumenti caldi, passaggi più classici a svisate sperimentali senza mai inficiare la fruibilità d'ascolto. Ritmiche insistenti come inseguimenti d'auto, stralci di misteriose telefonate, richiami a grandi compositori come Badalamenti e Mancini, scarti improvvisi come l'ingresso del sax su di un'inquieto panorama industriale su Sounds from the big house e pezzi di quelli che da un'initenzione noir non ti aspetti altro (Suck on the honey of love).
Momenti cupi, aperture romantiche e un finale aperto a tutto, un aereo in decollo e un lieto fine. O forse no?
Nelle bonus track una Alfred Hitchcock Presents con improvvisazione e The man with the golden arm.
Moss side story, 1989 - Mute Records
Barry Adamson - Tutti gli altri strumenti, campionature
Seamus Beaghen - Hammond, piano, chitarra ritmica, marimba
Audrey Riley - violoncello
Chris Tombling - violino
Philippa Holland - violino
Sonya Slany - violino
Diamanda Galas - voce
Gary Barnacle - sassofono
Marcia Schofield - tastiere, sassofono
Joe Sax - sassofono
Rowland S. Howard - chitarre
John Doyle - percussioni
Annie Hogan - vibrafono
Chris Pitsillides - viola
Enrico Tomasso - tromba
Tracklist:
01 On the wrong side of relaxation
02 Under wraps
03 Central control
04 Round up the usual suspects
05 Sounds from the big house
06 Suck on the honey of love
07 Everyting happens to me
08 The swinging detective
09 Autodestruction
10 Intensive care
11 The most beautiful girl in the world
12 Free at last
13 Alfred Hitchcock presents
14 Chocolate milkshake
15 The man with the golden arm
Adamson è originario del Moss Side, quartiere di Manchester nel quale ambienta, grazie a questa sua prima opera, l'immaginario film noir che sarà filo conduttore di tutto l'album. Non c'è trama, non c'è film. Ci sono i titoli e c'è la musica, un'ottima composizione anche se non accompagnata da immagini, lontana dal classico score cinematografico. Il nome dell'album nasce da una commistione tra il quartiere del Moss Side e il titolo del musical West Side Story.
L'apertura con The wrong side of relaxation scatena l'immaginario dell'ascoltatore, a ognuno il suo: una grande città, vicoli bui, esterno notte, fumo bianco che fuoriesce dalle grate sull'asfalto, una donna che fugge terrorizzata (con il contributo di Diamanda Galas), tacchi che battono sul cemento, una presenza impalpabile e inquietante alle spalle. O forse non è così: "lei non ha nulla di cui preoccuparsi Mr. Adamson". La femme fatale?
Le composizioni mischiano influenze industriali a strumenti caldi, passaggi più classici a svisate sperimentali senza mai inficiare la fruibilità d'ascolto. Ritmiche insistenti come inseguimenti d'auto, stralci di misteriose telefonate, richiami a grandi compositori come Badalamenti e Mancini, scarti improvvisi come l'ingresso del sax su di un'inquieto panorama industriale su Sounds from the big house e pezzi di quelli che da un'initenzione noir non ti aspetti altro (Suck on the honey of love).
Momenti cupi, aperture romantiche e un finale aperto a tutto, un aereo in decollo e un lieto fine. O forse no?
Nelle bonus track una Alfred Hitchcock Presents con improvvisazione e The man with the golden arm.
Moss side story, 1989 - Mute Records
Barry Adamson - Tutti gli altri strumenti, campionature
Seamus Beaghen - Hammond, piano, chitarra ritmica, marimba
Audrey Riley - violoncello
Chris Tombling - violino
Philippa Holland - violino
Sonya Slany - violino
Diamanda Galas - voce
Gary Barnacle - sassofono
Marcia Schofield - tastiere, sassofono
Joe Sax - sassofono
Rowland S. Howard - chitarre
John Doyle - percussioni
Annie Hogan - vibrafono
Chris Pitsillides - viola
Enrico Tomasso - tromba
Tracklist:
01 On the wrong side of relaxation
02 Under wraps
03 Central control
04 Round up the usual suspects
05 Sounds from the big house
06 Suck on the honey of love
07 Everyting happens to me
08 The swinging detective
09 Autodestruction
10 Intensive care
11 The most beautiful girl in the world
12 Free at last
13 Alfred Hitchcock presents
14 Chocolate milkshake
15 The man with the golden arm
giovedì 21 febbraio 2013
LA SCOPA DEL SISTEMA
(The broom of the system di David Foster Wallace, 1987)
David Foster Wallace a detta di molti è uno degli scrittori più brillanti e innovativi della sua generazione, spesso accostato ad altri grandi nomi della letteratura e con essi inserito in correnti e movimenti disparati. Una mente geniale che ha portato alla stesura di due soli romanzi (questo e Infinite Jest), raccolte di racconti e saggi su vari argomenti. La carriera di Wallace si conclude prematuramente con un terzo romanzo incompiuto (Il re pallido), lavoro ancora in corso d'opera nel momento in cui lo scrittore si toglie la vita nel settembre del 2008.
Non è così semplice parlare del romanzo d'esordio di un autore di questo calibro, non tanto per riverenza o a causa della sindrome del mostro sacro, non è semplice perché semplicemente non è semplice. Non per questo libro almeno e mi dicono che a volerlo fare, per Infinite Jest, la cosa sarebbe cento volte più difficile.
Fughiamo subito qualche dubbio, il romanzo è accessibile, divertente e godibile, non è un romanzone ultrasfidante come pare invece sia il suo successore. Ci sono personaggi delineati e costruiti in maniera quantomeno spassosa, situazioni grottesche e al limite del ridicolo, strani interrogativi, ottimi dialoghi e descrizioni fuori dal comune. Nonostante questo manca una trama tradizionale, cosa che potrebbe spiazzare chi in un libro cerca la risposta a tutte le domande. Inoltre l'autore usa una prosa, resa apparentemente in maniera davvero buona dal traduttore (Sergio Claudio Perroni), fatta di lunghissime dissertazioni e pensieri durante i quali viene bandito il punto come segno di interpunzione. Inoltre il gusto particolare per la costruzione di alcune frasi richiede un discreto livello di attenzione. Tutto ciò è presente ne La scopa del sistema ma non ne è la regola, il romanzo non pecca di pesantezza eccessiva a causa di queste scelte stilistiche, anzi, certo è che non è come leggere un romanzo di Agatha Christie.
Detto questo, in questo libro cosa accade? Qual'è la trama? La trama? Beh, si c'è una trama, forse flebile ma c'è. E poi ci sono i nomi dei protagonisti e le situazioni più assurde. Ma andiamo, se possibile, con ordine. Saltiamo il prologo e arriviamo al 1990.
Lenore Beadsman lavora al centralino della Frequent & Vigorous, casa editrice che non pubblica praticamente nulla, e porta avanti una relazione sentimentale sui generis con uno dei proprietari della suddetta, precisamente con il signor Rick Vigourous dal quale spesso Lenore si fa narrare storie inviate dagli aspiranti scrittori alla casa editrice. Un bel dì, andando a trovare la sua bisnonna di nome Lenore Beadsman nel centro per anziani in cui è ricoverata (in una camera mantenuta alla temperatura costante di 37°C), Lenore apprende dal signor Bloemker e dalla sua barba che l'anziana signora è scomparsa insieme a parecchi altri residenti, diversi inservienti e alcuni familiari degli stessi. Parecchi a dirla tutta. Inoltre il centralino del Bombardini Building, palazzo nel quale è situata la Frequent & Vigorous, impazzisce, complicando ulteriormente la vita a Lenore e alla sua collega/coinquilina Candy Mandible entrambe a loro volta coinquiline di Vlad L'impalatore.
Dove sarà finita la bisnonna di Lenore? Il padre della ragazza, Stonecipher Beadsman (re degli omogenizzati) la cerca. Non resta che chiedere l'aiuto di Stonecipher LaVache Beadsman e alla sua gamba. Le ricerche potrebbero puntare verso il DIO, l'artificiale Deserto Incommensurabile dell'Ohio.
Ne vale la pena, fosse solo per la prosa di Wallace e, se l'assurdo non vi spaventa... ma... ma... non sentite odore di breccia?
David Foster Wallace a detta di molti è uno degli scrittori più brillanti e innovativi della sua generazione, spesso accostato ad altri grandi nomi della letteratura e con essi inserito in correnti e movimenti disparati. Una mente geniale che ha portato alla stesura di due soli romanzi (questo e Infinite Jest), raccolte di racconti e saggi su vari argomenti. La carriera di Wallace si conclude prematuramente con un terzo romanzo incompiuto (Il re pallido), lavoro ancora in corso d'opera nel momento in cui lo scrittore si toglie la vita nel settembre del 2008.
Non è così semplice parlare del romanzo d'esordio di un autore di questo calibro, non tanto per riverenza o a causa della sindrome del mostro sacro, non è semplice perché semplicemente non è semplice. Non per questo libro almeno e mi dicono che a volerlo fare, per Infinite Jest, la cosa sarebbe cento volte più difficile.
Fughiamo subito qualche dubbio, il romanzo è accessibile, divertente e godibile, non è un romanzone ultrasfidante come pare invece sia il suo successore. Ci sono personaggi delineati e costruiti in maniera quantomeno spassosa, situazioni grottesche e al limite del ridicolo, strani interrogativi, ottimi dialoghi e descrizioni fuori dal comune. Nonostante questo manca una trama tradizionale, cosa che potrebbe spiazzare chi in un libro cerca la risposta a tutte le domande. Inoltre l'autore usa una prosa, resa apparentemente in maniera davvero buona dal traduttore (Sergio Claudio Perroni), fatta di lunghissime dissertazioni e pensieri durante i quali viene bandito il punto come segno di interpunzione. Inoltre il gusto particolare per la costruzione di alcune frasi richiede un discreto livello di attenzione. Tutto ciò è presente ne La scopa del sistema ma non ne è la regola, il romanzo non pecca di pesantezza eccessiva a causa di queste scelte stilistiche, anzi, certo è che non è come leggere un romanzo di Agatha Christie.
Detto questo, in questo libro cosa accade? Qual'è la trama? La trama? Beh, si c'è una trama, forse flebile ma c'è. E poi ci sono i nomi dei protagonisti e le situazioni più assurde. Ma andiamo, se possibile, con ordine. Saltiamo il prologo e arriviamo al 1990.
Lenore Beadsman lavora al centralino della Frequent & Vigorous, casa editrice che non pubblica praticamente nulla, e porta avanti una relazione sentimentale sui generis con uno dei proprietari della suddetta, precisamente con il signor Rick Vigourous dal quale spesso Lenore si fa narrare storie inviate dagli aspiranti scrittori alla casa editrice. Un bel dì, andando a trovare la sua bisnonna di nome Lenore Beadsman nel centro per anziani in cui è ricoverata (in una camera mantenuta alla temperatura costante di 37°C), Lenore apprende dal signor Bloemker e dalla sua barba che l'anziana signora è scomparsa insieme a parecchi altri residenti, diversi inservienti e alcuni familiari degli stessi. Parecchi a dirla tutta. Inoltre il centralino del Bombardini Building, palazzo nel quale è situata la Frequent & Vigorous, impazzisce, complicando ulteriormente la vita a Lenore e alla sua collega/coinquilina Candy Mandible entrambe a loro volta coinquiline di Vlad L'impalatore.
Dove sarà finita la bisnonna di Lenore? Il padre della ragazza, Stonecipher Beadsman (re degli omogenizzati) la cerca. Non resta che chiedere l'aiuto di Stonecipher LaVache Beadsman e alla sua gamba. Le ricerche potrebbero puntare verso il DIO, l'artificiale Deserto Incommensurabile dell'Ohio.
Ne vale la pena, fosse solo per la prosa di Wallace e, se l'assurdo non vi spaventa... ma... ma... non sentite odore di breccia?
David Foster Wallace |
BRADI PIT 54
Torna il Bradi in versione classica e torna con i cari vecchi rimedi, quelli di una volta.
Clicca sull'immagine per ingrandire.
Aiutaci a diffondere il verbo del Bradipo linkandolo. Fallo tu perché il Bradipo fa n'caz.
Clicca sull'immagine per ingrandire.
Aiutaci a diffondere il verbo del Bradipo linkandolo. Fallo tu perché il Bradipo fa n'caz.
martedì 19 febbraio 2013
VISIONI 45
Max Dalton è un'artista di Buenos Aires che ha realizzato comic strip per alcune riviste e ha lavorato nel campo dell'animazione per la televisione. Alcune sue illustrazioni sono state scelte come corredo per articoli vari ed editoriali. Le cose più interessanti di Dalton sono forse i suoi progetti artistici che prendono vita sotto forma di poster ispirati da varie arti: cinema, musica, etc...
DISNEY - I CLASSICI DELLA LETTERATURA
A dicembre dell'anno scorso prese il via una nuova iniziativa del Corriere della Sera dedicata alle parodie di casa Disney dei più celebri romanzi della letteratura classica. Paperi e topi a reinterpretare personaggi indimenticabili radicati ormai nel nostro immaginario collettivo.
Il primo volume della collana uscì in periodo natalizio con il prezzo lancio di solo 1 euro. Visto il periodo non si poteva che iniziare con il rifacimento del celebre Canto di Natale di Charles Dickens. La storia del 1982 sceneggiata da Guido Martina e disegnata da José Colomer Fonts non poteva varare in maniera migliore questa iniziativa. La trasposizione è fedele al racconto, ben disegnata e la vicenda narrata è ormai un must delle feste natalizie, non si può certo sbagliare. Grandi risate per Lauretta durante la lettura del racconto breve Paperino e il canto di Natale del grande Carl Barks, un episodio davvero divertentissimo dove si può ammirare la versione targata 1945 di Paperino realizzata da uno dei più significativi autori di casa Disney. Dello stesso Barks anche Paperino e la fiaba natalizia, racconto più canonico risalente allo stesso anno.
Chiude il volume un altro romanzo imprescindibile, quel Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde che per mano di Caterina Mognato e Valerio Held diventa Il ritratto di Zio Paperone, racconto risalente al 1991 realizzato in maniera evidente con un segno più moderno rispetto ai racconti precedenti. Tenendo presente che in alcuni casi diverse modifiche al racconto originario sono rese necessarie per rendere la lettura adatta anche ai bambini, anche questo episodio si mantiene per lo più fedele all'idea originale rivelandosi anch'esso una lettura molto piacevole. La mia bimba che è un po' fifoncella è riuscita anche a spaventarsi un pochino.
I volumi sono decisamente curati, 192 pp. a colori con tanto di articoli di approfondimento e copertine con risvolti apribili, veste grafica colorata ed elegante. Il primo numero si apre con un articolo sulla letteratura e il fumetto che funge anche un po' da presentazione all'iniziativa per poi passare a un approfondimento sulla prima storia. Una decina di pagine dove vengono illustrate in maniera parallela le similitudini e le differenze tra il romanzo d'origine e la sua parodia Disney. Per meglio evidenziare alcuni passaggi dei racconti sono riportati diversi brani estrapolati dall'opera letteraria. Non mancano le immagini di contorno che rendono la lettura degli articoli più piacevole anche se parecchio spoilerosa, il consiglio è quello di leggere prima la storia a fumetti e poi approfondire con i testi di presentazione.
In fondo al volume i ritratti di alcuni degli autori coinvolti nel volume, sia scrittori che fumettisti. In questo caso la sezione è dedicata a Dickens, a Wilde e a Carl Barks. Buona anche qui la parte iconografica con foto e illustrazioni d'epoca. In fondo questa collana si rivela una bella occasione per leggere del buon materiale targato Disney e iniziare a far conoscere ai più piccoli qualche classico della letteratura.
Il primo volume della collana uscì in periodo natalizio con il prezzo lancio di solo 1 euro. Visto il periodo non si poteva che iniziare con il rifacimento del celebre Canto di Natale di Charles Dickens. La storia del 1982 sceneggiata da Guido Martina e disegnata da José Colomer Fonts non poteva varare in maniera migliore questa iniziativa. La trasposizione è fedele al racconto, ben disegnata e la vicenda narrata è ormai un must delle feste natalizie, non si può certo sbagliare. Grandi risate per Lauretta durante la lettura del racconto breve Paperino e il canto di Natale del grande Carl Barks, un episodio davvero divertentissimo dove si può ammirare la versione targata 1945 di Paperino realizzata da uno dei più significativi autori di casa Disney. Dello stesso Barks anche Paperino e la fiaba natalizia, racconto più canonico risalente allo stesso anno.
Chiude il volume un altro romanzo imprescindibile, quel Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde che per mano di Caterina Mognato e Valerio Held diventa Il ritratto di Zio Paperone, racconto risalente al 1991 realizzato in maniera evidente con un segno più moderno rispetto ai racconti precedenti. Tenendo presente che in alcuni casi diverse modifiche al racconto originario sono rese necessarie per rendere la lettura adatta anche ai bambini, anche questo episodio si mantiene per lo più fedele all'idea originale rivelandosi anch'esso una lettura molto piacevole. La mia bimba che è un po' fifoncella è riuscita anche a spaventarsi un pochino.
I volumi sono decisamente curati, 192 pp. a colori con tanto di articoli di approfondimento e copertine con risvolti apribili, veste grafica colorata ed elegante. Il primo numero si apre con un articolo sulla letteratura e il fumetto che funge anche un po' da presentazione all'iniziativa per poi passare a un approfondimento sulla prima storia. Una decina di pagine dove vengono illustrate in maniera parallela le similitudini e le differenze tra il romanzo d'origine e la sua parodia Disney. Per meglio evidenziare alcuni passaggi dei racconti sono riportati diversi brani estrapolati dall'opera letteraria. Non mancano le immagini di contorno che rendono la lettura degli articoli più piacevole anche se parecchio spoilerosa, il consiglio è quello di leggere prima la storia a fumetti e poi approfondire con i testi di presentazione.
In fondo al volume i ritratti di alcuni degli autori coinvolti nel volume, sia scrittori che fumettisti. In questo caso la sezione è dedicata a Dickens, a Wilde e a Carl Barks. Buona anche qui la parte iconografica con foto e illustrazioni d'epoca. In fondo questa collana si rivela una bella occasione per leggere del buon materiale targato Disney e iniziare a far conoscere ai più piccoli qualche classico della letteratura.
domenica 17 febbraio 2013
10 VOLTI (9)
Eccoci ancora in pista con una manche un pochino particolare di 10 volti, a tema diciamo così. L'ultima volta la classifica si è mossa a favore di Luigi, nonostante la vetta sia ancora lontana, che ha accumulato parecchi punti in una botta sola. Come sempre il regolamento lo trovate sul primo appuntamento di questo giochino (cliccate sul link in alto per visualizzarli tutti). Ecco la situazione:
PS: non barate (vero Umberto? :) così non togliamento divertimento a tutti i partecipanti :)
01 La Citata 16 pt.
02 Luigi 8 pt.
03 Bradipo 7 pt.
04 Urz 7 pt.
05 Vincent 4 pt.
06 Poison 4 pt.
07 L'Adri 4 pt.
08 Umberto 4 pt.
09 Cannibal Kid 3 pt.
10 Elle 3 pt.
11 Viktor 2 pt.
12 Frank Manila 2 pt.
13 Beatrix Kiddo 1 pt.
14 Evil Monkeys 1 pt.
15 Zio Robbo 1 pt.
16 Luca Lorenzon 1 pt.
17 Blackswan 0 pt.
18 Babol 0 pt.
19 El Gae 0 pt.
1)
2)
3)
4)
5)
6)
7)
8)
9)
10)
PS: non barate (vero Umberto? :) così non togliamento divertimento a tutti i partecipanti :)
01 La Citata 16 pt.
02 Luigi 8 pt.
03 Bradipo 7 pt.
04 Urz 7 pt.
05 Vincent 4 pt.
06 Poison 4 pt.
07 L'Adri 4 pt.
08 Umberto 4 pt.
09 Cannibal Kid 3 pt.
10 Elle 3 pt.
11 Viktor 2 pt.
12 Frank Manila 2 pt.
13 Beatrix Kiddo 1 pt.
14 Evil Monkeys 1 pt.
15 Zio Robbo 1 pt.
16 Luca Lorenzon 1 pt.
17 Blackswan 0 pt.
18 Babol 0 pt.
19 El Gae 0 pt.
1)
2)
3)
4)
5)
6)
7)
8)
9)
10)
sabato 16 febbraio 2013
CONTROFESTIVAL IN STREAMING
Eccoci finalmente in diretta con la serata finale del Controfestival (dalle 21.00 circa), dimenticatevi quel teatrino compaesano di quella nota bisca clandestina, qui siamo all'Orablù di Bollate, se ne vedranno delle belle :)
Buon divertimento!
Live streaming by Ustream
Buon divertimento!
venerdì 15 febbraio 2013
STAR TREK: IL FILM
(Star Trek: The motion picture di Robert Wise, 1979)
A San Valentino è d'obbligo la visione di una bella pellicola romantica e il mio tasso di romanticismo nel sangue, tenuto conto anche della serata solitaria, mi ha indirizzato verso il primo lungometraggio targato '79 dell'epopea di Star Trek gentilmente fornitomi dall'Adri, ultimamente divenuto pusher personale di dvd datati e non.
Forse penserete che questo non sia proprio il film adatto all'occasione, nonostante questa si sia presentata in versione solista, ma dovrete ricredervi. Il film offre in fatti una scena moooolto romantica, ma ne parleremo a breve.
Una minaccia di dimensioni oltremodo preoccupanti si avvicina al pianeta Terra. La pericolosità della stessa è testimoniata dalla brutta fine nella quale incappano alcune navi della flotta Klingoniana. L'unica nave della Flotta Stellare in grado di contrastare l'avanzata di questa ignota minaccia è la mitica USS Enterprise ancorata momentaneamente in uno spazioporto in attesa di manutenzione straordinaria. E' passato del tempo da quando l'equipaggio della nave terrestre affrontò la loro ultima avventura, nel frattempo il comando dell'Enterprise è passato al Capitano Willard Decker (Stephen Collins).
Ma per questa particolare missione serve tutta l'esperienza possibile, viene così richiamato in servizio l'ormai Ammiraglio James Kirk (William Shatner) che uno ad uno, chi personalmente chi no, recupera i membri storici del suo equipaggio (quello della serie-tv).
Saranno della partita il Comandante Scott (James Doohan), il Tenente Sulu (George Takei), il Tenente Chekov (Walter Koenig), il Tenente Uhura (Nichelle Nichols), il Dottor McCoy (DeForest Kelley) e in un secondo momento l'immancabile Comandante Spock (Leonard Nimoy).
Quando l'Ammiraglio Kirk raggiunge insieme al Comandante Scott l'Enterprise in riparazione, si assiste forse alla scena migliore del film. Una scena che trasuda amore quasi romantico (ecco la scena di cui parlavo) tra un comandante e la sua nave, ferma a ricordare all'uomo il suo passato, la densità dell'avventurosa vita precedente, una vita arricchita da legami fortissimi. E' una sequenza particolarmente lunga durante la quale Wise indugia sull'epicità del momento e sull'importanza di quello che l'interruzione di quella lontananza significhi per Kirk. Il passaggio è sottolineato in maniera eccelsa dalle musiche superbe di Jerry Goldsmith.
Il regista si prende il suo tempo e i ritmi dilatati permangono costanti per l'intera sequenza del film che è più un viaggio d'esplorazione che non una continua battaglia stellare in difesa della Terra. Personaggi e attori sono quelli noti ai fan della serie con l'eccezione del Capitano Decker fin da subito in rispettoso contrasto con il nuovo comandante della nave. Certo che fa un po' d'effetto vedere nelle sue vesti il pallosissimo reverendo Camden di Settimo cielo, una delle serie tv più indigeste della storia della televisione.
Il film regge bene nonostante la particolare lentezza di alcuni passaggi e il minutaggio abbondante della pellicola, certo è che se cercate il ritmo dello Star Trek di Abrams qui non lo troverete. Questi passaggi sono comunque riscattati da un buon pre-finale e un discreto (concediamoglielo) finale.
Piacevole da guardare anche per quel che riguarda la parte tecnico/visiva nonostante i quasi trentacinque anni sul groppone, molti effetti sono ovviamente sorpassati ma l'effetto curvatura, ops scusate, volevo dire l'effetto vintage rende comunque più che gradevole la visione.
A San Valentino è d'obbligo la visione di una bella pellicola romantica e il mio tasso di romanticismo nel sangue, tenuto conto anche della serata solitaria, mi ha indirizzato verso il primo lungometraggio targato '79 dell'epopea di Star Trek gentilmente fornitomi dall'Adri, ultimamente divenuto pusher personale di dvd datati e non.
Forse penserete che questo non sia proprio il film adatto all'occasione, nonostante questa si sia presentata in versione solista, ma dovrete ricredervi. Il film offre in fatti una scena moooolto romantica, ma ne parleremo a breve.
Una minaccia di dimensioni oltremodo preoccupanti si avvicina al pianeta Terra. La pericolosità della stessa è testimoniata dalla brutta fine nella quale incappano alcune navi della flotta Klingoniana. L'unica nave della Flotta Stellare in grado di contrastare l'avanzata di questa ignota minaccia è la mitica USS Enterprise ancorata momentaneamente in uno spazioporto in attesa di manutenzione straordinaria. E' passato del tempo da quando l'equipaggio della nave terrestre affrontò la loro ultima avventura, nel frattempo il comando dell'Enterprise è passato al Capitano Willard Decker (Stephen Collins).
Ma per questa particolare missione serve tutta l'esperienza possibile, viene così richiamato in servizio l'ormai Ammiraglio James Kirk (William Shatner) che uno ad uno, chi personalmente chi no, recupera i membri storici del suo equipaggio (quello della serie-tv).
Saranno della partita il Comandante Scott (James Doohan), il Tenente Sulu (George Takei), il Tenente Chekov (Walter Koenig), il Tenente Uhura (Nichelle Nichols), il Dottor McCoy (DeForest Kelley) e in un secondo momento l'immancabile Comandante Spock (Leonard Nimoy).
Quando l'Ammiraglio Kirk raggiunge insieme al Comandante Scott l'Enterprise in riparazione, si assiste forse alla scena migliore del film. Una scena che trasuda amore quasi romantico (ecco la scena di cui parlavo) tra un comandante e la sua nave, ferma a ricordare all'uomo il suo passato, la densità dell'avventurosa vita precedente, una vita arricchita da legami fortissimi. E' una sequenza particolarmente lunga durante la quale Wise indugia sull'epicità del momento e sull'importanza di quello che l'interruzione di quella lontananza significhi per Kirk. Il passaggio è sottolineato in maniera eccelsa dalle musiche superbe di Jerry Goldsmith.
Il regista si prende il suo tempo e i ritmi dilatati permangono costanti per l'intera sequenza del film che è più un viaggio d'esplorazione che non una continua battaglia stellare in difesa della Terra. Personaggi e attori sono quelli noti ai fan della serie con l'eccezione del Capitano Decker fin da subito in rispettoso contrasto con il nuovo comandante della nave. Certo che fa un po' d'effetto vedere nelle sue vesti il pallosissimo reverendo Camden di Settimo cielo, una delle serie tv più indigeste della storia della televisione.
Il film regge bene nonostante la particolare lentezza di alcuni passaggi e il minutaggio abbondante della pellicola, certo è che se cercate il ritmo dello Star Trek di Abrams qui non lo troverete. Questi passaggi sono comunque riscattati da un buon pre-finale e un discreto (concediamoglielo) finale.
Piacevole da guardare anche per quel che riguarda la parte tecnico/visiva nonostante i quasi trentacinque anni sul groppone, molti effetti sono ovviamente sorpassati ma l'effetto curvatura, ops scusate, volevo dire l'effetto vintage rende comunque più che gradevole la visione.
giovedì 14 febbraio 2013
SUPER BRADI PIT 1
Per tutti i personaggi dei fumetti arriva il momento del rinnovo, del grande cambiamento (non che Bradi Pit ne avesse davvero bisogno). Ogni eroe che si rispetti deve comunque sottostare alle leggi del mercato. Si, insomma ci vuole il reboot (il rilancio, via). L'ha fatto da poco la DC Comics con tutti i suoi eroi, lo sta facendo la Marvel Comics con quelli della sua parrocchia. Poi mettici l'influenza di Jungle Man e il gioco è fatto. La nuova veste del Bradi ci accompagnerà per un po' di tempo alternandosi con la versione classica, un po' come leggere Batman e Detective Comics. Una volta al mese? Due? Si vedrà, si vedrà. Per ora attendiamo riscontri e che lo sforzo sia con voi!
Clicca sull'immagine per ingrandire.
Aiutaci a diffondere il verbo del Bradipo linkandolo. Fallo tu perché il Bradipo fa n'caz.
AH! CAZZO! OGGI E' PURE SAN VALENTINO!
Va beh, i più romantici si becchino pure questa:
Clicca sull'immagine per ingrandire.
Aiutaci a diffondere il verbo del Bradipo linkandolo. Fallo tu perché il Bradipo fa n'caz.
AH! CAZZO! OGGI E' PURE SAN VALENTINO!
Va beh, i più romantici si becchino pure questa:
mercoledì 13 febbraio 2013
martedì 12 febbraio 2013
ARTHUR E LA VENDETTA DI MALTAZARD
(Arthur et la vengeance de Maltazard di Luc Besson, 2009)
Tanto avevo trovato piacevole e ben costruito il primo episodio della saga di Arthur e dei Minimei tanto ho trovato inutile e noioso questo sequel. L'esordio di Besson nel campo dell'animazione digitale mi aveva lasciato ben sperare per il futuro delle produzioni europee di questo tipo rivolte ai bambini.
Con questo secondo episodio il castello crolla, più che alla vendetta di Maltazard assistiamo alla vendetta, con grasse risate annesse, dell'animazione d'oltreoceano. Intendiamoci, non è che Arthur e il popolo dei Minimei potesse competere ad armi pari con Pixar, Dreamworks, Disney e via discorrendo, però si difendeva bene offrendo un prodotto diverso e di buona fattura.
L'errore più grande è stato quello di far terminare un prodotto rivolto principalmente ai bambini, dopo un'ora e mezzo di niente, con un bel To be continued... To be continued? Ma che davero, davero? E' un film per bambini, suvvia! Mia figlia, sdraiata come al solito per terra, mi guarda con sguardo perso e deluso e fa: "ma papà, finisce cosi?". E sì, perché quel fessacchiotto di Besson ormai c'ha le figlie grandi e non se lo ricorda più che i bimbi non si lasciano così, con la storia a mezzo.
Comunque, tralasciando il non piccolo particolare di cui sopra, non è che tutto quel che succede prima del finale (ah, perché succede qualcosa?) sia poi tanto meglio. Alcuni personaggi, come la Principessa Selenia, sono sacrificati a particine senza importanza e il malvagio Maltazard ha il carisma di una mela cotta. Vuoi anche che non c'è più l'effetto novità e che dal lato tecnico non si sono fatti passi avanti degni di nota la delusione per questo secondo episodio è pressoché totale.
Ormai siamo in ballo e ci riproveremo, che Laura vuol sapere, che MICA UN FILM PER BAMBINI SI FA FINIRE COSI', Besson.
La trama è talmente esile che non me la ricordo. D'altronde wikipedia che ci sta a fare?
Tanto avevo trovato piacevole e ben costruito il primo episodio della saga di Arthur e dei Minimei tanto ho trovato inutile e noioso questo sequel. L'esordio di Besson nel campo dell'animazione digitale mi aveva lasciato ben sperare per il futuro delle produzioni europee di questo tipo rivolte ai bambini.
Con questo secondo episodio il castello crolla, più che alla vendetta di Maltazard assistiamo alla vendetta, con grasse risate annesse, dell'animazione d'oltreoceano. Intendiamoci, non è che Arthur e il popolo dei Minimei potesse competere ad armi pari con Pixar, Dreamworks, Disney e via discorrendo, però si difendeva bene offrendo un prodotto diverso e di buona fattura.
L'errore più grande è stato quello di far terminare un prodotto rivolto principalmente ai bambini, dopo un'ora e mezzo di niente, con un bel To be continued... To be continued? Ma che davero, davero? E' un film per bambini, suvvia! Mia figlia, sdraiata come al solito per terra, mi guarda con sguardo perso e deluso e fa: "ma papà, finisce cosi?". E sì, perché quel fessacchiotto di Besson ormai c'ha le figlie grandi e non se lo ricorda più che i bimbi non si lasciano così, con la storia a mezzo.
Comunque, tralasciando il non piccolo particolare di cui sopra, non è che tutto quel che succede prima del finale (ah, perché succede qualcosa?) sia poi tanto meglio. Alcuni personaggi, come la Principessa Selenia, sono sacrificati a particine senza importanza e il malvagio Maltazard ha il carisma di una mela cotta. Vuoi anche che non c'è più l'effetto novità e che dal lato tecnico non si sono fatti passi avanti degni di nota la delusione per questo secondo episodio è pressoché totale.
Ormai siamo in ballo e ci riproveremo, che Laura vuol sapere, che MICA UN FILM PER BAMBINI SI FA FINIRE COSI', Besson.
La trama è talmente esile che non me la ricordo. D'altronde wikipedia che ci sta a fare?
CONTROFESTIVAL: VERSO LA SERATA FINALE
Amici followers, siamo davvero alla resa dei conti per LA MUSICA E' SEMPRE PIU' BLU!
Le votazioni relative alle tre categorie in gara e alla categoria off-contest dell’ospite straniero sono terminate. Degli oltre 200 pezzi partecipanti, i tre brani di ogni categoria (quattro nei casi di ex aequo) più votati dal popolo del web durante le settimane appena trascorse si sono aggiudicati un posto per la finale e saranno nuovamente giudicati dal pubblico del web e da una giuria in carne ed ossa! La finale infatti si terrà presso i locali dell’OrablùBar di Bollate (MI) la sera di sabato 16 febbraio e il pubblico presente alla serata formerà la giuria di qualità del nostro controfestival, che andrà a sommare i propri voti a quelli espressi dal pubblico del web. Le votazioni web sono quindi nuovamente aperte e potrete ascoltare e votare i pezzi di tutte e tre le categorie in gara su questo e sugli altri blog che hanno contribuito alla buona riuscita di questo controfestival, oltre che naturalmente sul blog dell’Orablù. Come in ogni festival che si rispetti la giuria di qualità assumerà il ruolo di giuria demoscopica, per evitare possibili “brogli”, ed avrà quindi un peso diverso da quello dei voti espressi sul web.
Durante la serata, che - per chi non riuscirà ad essere fisicamente presente all’OrablùBar - sarà visibile in diretta streaming sui diversi blog, saranno riproposte le canzoni finaliste, ed infine saranno decretati i vincitori di ogni categoria. I partecipanti che hanno presentato le canzoni vincitrici riceveranno un premio.
Detto questo è arrivata l’ora di annunciare ufficialmente i pezzi ancora in gara (rigorosamente in ordine alfabetico)!
Per la categoria DODICI ANNI DI MUSICA ALTERNATIVA ITALIANA:
Afterhours - Ballata per la mia piccola iena
Afterhours - Quello che non c'è
Baustelle - La guerra è finita
Offlaga Disco Pax – Robespierre
Per la categoria ITALIAN BEST:
Area - Gioia e rivoluzione
Fiorella Mannoia - Il cielo d'Irlanda
Frankie HI NRG - Quelli che benpensano
Lucio Battisti - Il mio canto libero
Per la categoria ITALIAN TRASH:
Andrea Vantini - Meno male che Silvio c'è
Povia - Vorrei avere il becco
Pupo, Emanuele Filiberto e Luca Canonici - Italia amore mio
Per la categoria L’OSPITE STRANIERO:
Patti Smith - Banga
The Rolling Stones - Doom & Gloom
Wilco - Art of almost
Per tutti i dettagli della serata eccovi la locandina con tutti i riferimenti:
domenica 10 febbraio 2013
THE WALKING DEAD - STAGIONE 1
Sta girando bene dalle mie parti per quel che riguarda le serie TV. Dopo la goduriosa prima stagione di Big Bang Theory eccomi di ritorno sulle serie drammatiche, le mie preferite. Un ritorno con il botto, mi avevano parlato benissimo di The walking dead e ammetto che la visione ha confermato le alte aspettative create dal parere di amici e dalla lettura del fumetto dal quale la serie Tv è tratta.
Per gli amanti del fumetto c'è da dire che la serie, pur rispettando l'idea originale di Robert Kirkman, prende quasi da subito direzioni diverse mettendo in gioco personaggi differenti e sviluppi alternativi senza mai tradire la base del racconto, cioè una narrazione fondata sui personaggi, un gruppo di uomini e donne inseriti in un contesto da fine del mondo che si trova a dover affrontare un'epidemia che trasforma gran parte della popolazione mondiale in zombie. Una serie dove l'evoluzione e l'approfondimento dei caratteri viene prima degli scontri con gli zombi che comunque ci sono (e che scontri).
Diciamo che confrontando il poco che ho potuto leggere del fumetto e questa prima serie di The walking dead, la narrazione procede parallela per la durata del primo episodio del serial iniziando a divergere dal racconto stampato già dalla seconda puntata.
Ma di cosa parliamo? Come scrissi per la versione cartacea (mi autocito), l'incipit della storia richiama parecchio quello di 28 giorni dopo di Danny Boyle, l'agente Rick Grimes si risveglia in un letto d'ospedale dopo un periodo d'incoscienza e si trova catapultato nell'orrore di un ritorno al mondo in compagnia degli zombi. Resosi conto della gravità della situazione il protagonista non può che iniziare a preoccuparsi per la moglie Lori e il figlioletto Carl. L'unica cosa che sembra avere un senso è quella di mettersi alla loro ricerca.
Il primo episodio è fantastico, ha la forza di catapultarti in un altro mondo, spaventoso, terribile, privo di speranza e frastornante. L'impiego dei mezzi messi a disposizione dalla produzione è utilizzato al meglio, le atmosfere che si respirano sono impagabili. Rispetto al fumetto alcune scene, alcuni scarti dalla trama originaria, caricano la vicenda di ulteriore tono drammatico, i vari incontri che l'agente Grimes farà durante il suo viaggio non sono mai lasciati al caso o superflui, tutti lasciano lo spettatore con un senso di qualcosa: pena, timore, dolore e in alcuni casi anche di grande gioia.
Il cast dei protagonisti, che crescerà di numero con l'avanzare della storia, è ben calibrato andando a creare un mix di caratteri che sfocia in relazioni interpersonali davvero intriganti, odiando gli spoiler sto cercando di mantenermi di proposito sul vago.
Visivamente la serie è parecchio forte, le scene splatter non mancano e sono di quelle toste per gli standard si un serial tv. Inoltre le scelte alle quali i protagonisti sono costretti non sono eticamente quelle che potrebbe prendere un'educanda. Se si può spendere l'etichetta di serial per adulti credo che The walking dead la meriti senza dubbio alcuno. Sembra l'inizio di un altro di quegli splendidi viaggi capaci di riempirti positivamente alcune ore, un prodotto per la tv capace di svolgere al meglio il proprio compito. Se siete li li per scegliere la prossima serie da guardare/seguire segnate pure il mio voto a favore per TWD.
sabato 9 febbraio 2013
DJANGO UNCHAINED
(di Quentin Tarantino, 2012)
Forse a qualcuno il cinema di Quentin Tarantino può non piacere, non riesco a capire come questo sia possibile ma nondimeno ritengo che possa succedere. In fondo è sempre questioni di gusti e si sa, non tutti i gusti sono alla menta, come disse il gatto leccandosi sotto la coda.
Dice anche qualcuno che il buon Quinto copia, non è originale e sfrutta il lavoro degli altri, guarda ad altri generi, pesca in altre epoche cinematografiche, fa suonare cose già suonate e via discorrendo.
Questa non è una questione di punti di vista, una cosa sulla quale si possano esprimere giudizi soggettivi. Questa è una pura e semplice bugia. Falsità. Guardiamola dal punto di vista opposto. Non pensiamo per un momento al Tarantino ruba/Tarantino omaggia/Tarantino non ruba, etc...
Ribaltiamo la questione. Esiste qualcosa come il cinema di Quentin Tarantino?
No, non esiste (e se esiste ditemelo che me lo vado a recuperare subito).
In qualsiasi film di Tarantino si possono trovare innumerevoli citazioni, omaggi, strizzate d'occhio e chiamatele come vi pare. Sempre dichiarate, mai nascoste, che poi quando si ruba non lo si fa alla luce del sole. Chissà quanti altri registi, blasonati o meno, hanno attinto di qua e di là magari standosene zitti zittini e nessuno a dire bah.
Ma una volta che questi ingredienti (chiamiamoli così) sono stati impastati dalle mani del sempre più gordo regista, il risultato che ne vien fuori è qualcosa che trasuda una personalità immensa e unica, altro che copie sbiadite o meno, una narrazione tosta e divertente allo stesso tempo come nessuno è in grado di fare. Non parlo in termini assoluti, ci sono registi che possono piacere anche di più ma in modo diverso. Sono registi che non giocano nello stesso campo da gioco, ne nello stesso campionato e nemmeno nello stesso sport.
In questo sport c'è Tarantino. E adesso c'è anche Django Unchained. Come al solito i punti di forza del cinema di Tarantino sono ben presenti. Ottimo cast, citazioni a go go (che non vuol dire copiare...), dialoghi stratosferici, mix calibratissimo di dramma e momenti altamente divertenti, iperviolenza quasi grottesca ma mai oltre i limiti del sopportabile e tanta, grandiosa personalità e tanta straripante e divertita passione.
Per una volta l'andamento della storia è classico, svolgimento lineare, pochi flashback, nessun montaggio impazzito. La vicenda è semplice, ambientata nel 1858 negli stati del sud degli U.S.A. vede l'ormai ex schiavo negro Django (Jamie Foxx) e il cacciatore di taglie tedesco King Schulz (Christoph Waltz) formare una strana coppia di avventurieri, in cerca di taglie prima e al salvataggio della moglie di Django poi, venduta come schiava al proprietario terriero Calvin Candie (Leonardo Di Caprio). Non mi dilungo oltre sulla trama visto che al solito giungo buon ultimo e ormai ne ha parlato anche chi il film non l'ha visto.
Il film alterna momenti epici a smargiassate divertenti, violenza esagerata e sopra le righe a momenti di puro dolore. Incomprensibili le critiche mosse al film riguardo alla questione della schiavitù nei confronti del popolo nero. Il film sta palesemente dalla parte giusta, da quella degli oppressi, le crudeltà sopportate dagli schiavi sono mostrate in maniera rispettosa e toccante soprattutto in quelle scene dove tutto è lasciato all'intuito dello spettatore, le scene davvero dure non sono imbrattate di sangue. Sangue che invece cola copioso a ettolitri durante sparatorie ai limiti del grottesco, uno dei contrasti che fa girare il film così bene. Contrasto vincente anche quello tra il serio Django (la D non si pronuncia) e il gigione Schulz, una prova d'attore ancora una volta impeccabile da parte dell'ottimo Waltz. Gigantesco anche Di Caprio, ormai il meglio che offre la piazza. Tra le comparsate dello stesso Quinto, di Franco Nero, di Don Johnson e di una serie di volti noti posto d'onore per un irriconoscibile Samuel L. Jackson, odioso negro oppressore di negri.
Poi c'è il piacere del western al cinema, piacere per me mai provato prima. Non sono tempi felici per il genere e quindi non mi era capitato ancora di immergermi in questi panorami su grande schermo. Vedere la coppia di pards cavalcare tra la neve è un'emozione che riporta alla mente Il grande silenzio, Corvo rosso e cose del genere. Impagabile. E non dico nulla sulla sequenza finale, una di quelle che ti fanno uscire dalla sala con un sorriso beota stampato in faccia.
Quentin solitamente si fa aspettare, però ne vale sempre la pena.
Forse a qualcuno il cinema di Quentin Tarantino può non piacere, non riesco a capire come questo sia possibile ma nondimeno ritengo che possa succedere. In fondo è sempre questioni di gusti e si sa, non tutti i gusti sono alla menta, come disse il gatto leccandosi sotto la coda.
Dice anche qualcuno che il buon Quinto copia, non è originale e sfrutta il lavoro degli altri, guarda ad altri generi, pesca in altre epoche cinematografiche, fa suonare cose già suonate e via discorrendo.
Questa non è una questione di punti di vista, una cosa sulla quale si possano esprimere giudizi soggettivi. Questa è una pura e semplice bugia. Falsità. Guardiamola dal punto di vista opposto. Non pensiamo per un momento al Tarantino ruba/Tarantino omaggia/Tarantino non ruba, etc...
Ribaltiamo la questione. Esiste qualcosa come il cinema di Quentin Tarantino?
No, non esiste (e se esiste ditemelo che me lo vado a recuperare subito).
In qualsiasi film di Tarantino si possono trovare innumerevoli citazioni, omaggi, strizzate d'occhio e chiamatele come vi pare. Sempre dichiarate, mai nascoste, che poi quando si ruba non lo si fa alla luce del sole. Chissà quanti altri registi, blasonati o meno, hanno attinto di qua e di là magari standosene zitti zittini e nessuno a dire bah.
Ma una volta che questi ingredienti (chiamiamoli così) sono stati impastati dalle mani del sempre più gordo regista, il risultato che ne vien fuori è qualcosa che trasuda una personalità immensa e unica, altro che copie sbiadite o meno, una narrazione tosta e divertente allo stesso tempo come nessuno è in grado di fare. Non parlo in termini assoluti, ci sono registi che possono piacere anche di più ma in modo diverso. Sono registi che non giocano nello stesso campo da gioco, ne nello stesso campionato e nemmeno nello stesso sport.
In questo sport c'è Tarantino. E adesso c'è anche Django Unchained. Come al solito i punti di forza del cinema di Tarantino sono ben presenti. Ottimo cast, citazioni a go go (che non vuol dire copiare...), dialoghi stratosferici, mix calibratissimo di dramma e momenti altamente divertenti, iperviolenza quasi grottesca ma mai oltre i limiti del sopportabile e tanta, grandiosa personalità e tanta straripante e divertita passione.
Per una volta l'andamento della storia è classico, svolgimento lineare, pochi flashback, nessun montaggio impazzito. La vicenda è semplice, ambientata nel 1858 negli stati del sud degli U.S.A. vede l'ormai ex schiavo negro Django (Jamie Foxx) e il cacciatore di taglie tedesco King Schulz (Christoph Waltz) formare una strana coppia di avventurieri, in cerca di taglie prima e al salvataggio della moglie di Django poi, venduta come schiava al proprietario terriero Calvin Candie (Leonardo Di Caprio). Non mi dilungo oltre sulla trama visto che al solito giungo buon ultimo e ormai ne ha parlato anche chi il film non l'ha visto.
Il film alterna momenti epici a smargiassate divertenti, violenza esagerata e sopra le righe a momenti di puro dolore. Incomprensibili le critiche mosse al film riguardo alla questione della schiavitù nei confronti del popolo nero. Il film sta palesemente dalla parte giusta, da quella degli oppressi, le crudeltà sopportate dagli schiavi sono mostrate in maniera rispettosa e toccante soprattutto in quelle scene dove tutto è lasciato all'intuito dello spettatore, le scene davvero dure non sono imbrattate di sangue. Sangue che invece cola copioso a ettolitri durante sparatorie ai limiti del grottesco, uno dei contrasti che fa girare il film così bene. Contrasto vincente anche quello tra il serio Django (la D non si pronuncia) e il gigione Schulz, una prova d'attore ancora una volta impeccabile da parte dell'ottimo Waltz. Gigantesco anche Di Caprio, ormai il meglio che offre la piazza. Tra le comparsate dello stesso Quinto, di Franco Nero, di Don Johnson e di una serie di volti noti posto d'onore per un irriconoscibile Samuel L. Jackson, odioso negro oppressore di negri.
Poi c'è il piacere del western al cinema, piacere per me mai provato prima. Non sono tempi felici per il genere e quindi non mi era capitato ancora di immergermi in questi panorami su grande schermo. Vedere la coppia di pards cavalcare tra la neve è un'emozione che riporta alla mente Il grande silenzio, Corvo rosso e cose del genere. Impagabile. E non dico nulla sulla sequenza finale, una di quelle che ti fanno uscire dalla sala con un sorriso beota stampato in faccia.
Quentin solitamente si fa aspettare, però ne vale sempre la pena.
giovedì 7 febbraio 2013
BIG BANG THEORY - STAGIONE 1
In genere, per quel che riguarda film e serie Tv, sono molto più orientato a favore del drammatico o del prodotto di genere che non alla commedia. Questo più o meno da sempre. Tra le mie serie favorite si annoverano Twin Peaks, Lost, Alias, Doctor Who e cose del genere. Ciò nonostante le sit-com hanno accompagnato la mia vita da spettatore, come la vostra immagino, fin da quando ero bambino. All'epoca le visioni si dividevano appunto tra le sit-com e i telefilm. Tra i primi ricordi ci sono le varie Mork e Mindy, George & Mildred, I Jefferson, Arnold, Sanford and son, Tre cuori in affitto, Happy days e in seguito Casa Keaton, I Robinson, etc...
Con il passare del tempo non ho mai veramente smesso di guardare le sit-com, in anni più recenti abbiamo sicuramente avuto prodotti davvero divertenti, basti pensare a Friends, La vita secondo Jim, Will & Grace, etc... eppure tutte queste sit-com le guardavo ma non le seguivo, se capitava la puntata, se c'erano in tv all'orario giusto... se no pazienza.
Le sit-com sono state ormai soppiantate da anni e anni da prodotti diversi, più avvincenti, con trame orizzontali più o meno serrate ma coinvolgenti, originali e appassionanti. In più, come dicevo, sono per il dramma e quindi ciao ciao sit-com.
Poi ho visto la prima puntata di Big Bang Theory. L'argomento mi prendeva, mia moglie lo voleva vedere e così... Bene, ora, alla fine della prima stagione, Big Bang Theory può essere trasportato di diritto nel primo mini elenco che ho fatto sopra, proprio quello che comincia con Twin Peaks.
E' vero, non c'è dramma, non c'è praticamente nessuna trama orizzontale se non qualche flebile sentimento amoroso che si dipana tra le varie puntate, non c'è genere, non c'è azione.
Ci sono:
1) Un pianerettolo con due appartamenti
2) Una ragazza carina, solo mediamente sveglia, che vuole divertirsi
3) Due coinquilini, uno più intelligente dell'altro, disadattati a un diverso livello, nerd allo stesso.
4) Due amici dei due di sopra, altrettanto nerd e disadattati, forse un pelo meno intelligenti.
5) I quattro personaggi (gli uomini) e le situazioni più divertenti che mi sia capitato di vedere da anni, a questo livello neanche Boris e nemmeno Coliandro.
Puntate intere piegato dalle risate, situazioni comiche a raffica, personaggi azzeccatissimi che non puoi non innamorartene, nel caso remoto dovessi avere in futuro un figlio maschio tenterei di convincere mia moglie a chiamarlo Sheldon (lo sto già facendo con una coppia di amici) o ancora meglio Sheldon come primo nome e Cooper come secondo.
I due coinquilini sono proprio Sheldon Cooper e Leonard Hofstadter, fisico teorico il primo, fisico sperimentale il secondo, entrambi nerd senza speranza (Beh, forse Leonard). Mentre il primo è completamente avulso alla vita sociale, non si interessa alle donne, nutre fino all'eccesso le sue manie ed è privo di qualsiasi senso dell'umorismo, il secondo è quello che fin da subito si innamora di Penny, la nuova vicina di casa, sentendosi spesso inadeguato per qualsiasi prospettiva di relazione.
Penny è un'altro mondo, fa la cameriera, non ha nessun problema nei rapporti sociali e non è interessata al tipo di cose per cui Sheldon o Leonard impazziscono ne al tipo di uomo che Sheldon e Leonard sono (non che di questo a Sheldon freghi qualcosa, sia ben inteso).
A completare il quadro i due amici della coppia di fisici, Howard Wolowitz, ebreo poliglotta, ingegnere aerospaziale, ossessionato dalle donne con le quali tenta l'approccio immancabilmente (con tutte, Penny compresa) e Rajes Koothrappali, astrofisico indiano, incapace di parlare in presenza di donne avvenenti a meno che non sia in preda ai fumi dell'alcool.
Il cast è eccezionale sia per personaggi che per attori, la frequenza media di risate e spaventosamente elevata. Sono conscio che questo pezzo è una calata di braghe ma tenete ben presente che a me solitamente le sit-com NON e dico NON interessano.
Fate Un Po' Voi!
PS: se poi per caso anche voi siete un tantinello nerd, vi piace la fantascienza, vi piacciono i fumetti e quelle cose lì, ah beh, allora... Fate Un Po' Voi!
PS2: Va vista in inglese con sottotitoli, mi raccomando.
Con il passare del tempo non ho mai veramente smesso di guardare le sit-com, in anni più recenti abbiamo sicuramente avuto prodotti davvero divertenti, basti pensare a Friends, La vita secondo Jim, Will & Grace, etc... eppure tutte queste sit-com le guardavo ma non le seguivo, se capitava la puntata, se c'erano in tv all'orario giusto... se no pazienza.
Le sit-com sono state ormai soppiantate da anni e anni da prodotti diversi, più avvincenti, con trame orizzontali più o meno serrate ma coinvolgenti, originali e appassionanti. In più, come dicevo, sono per il dramma e quindi ciao ciao sit-com.
Poi ho visto la prima puntata di Big Bang Theory. L'argomento mi prendeva, mia moglie lo voleva vedere e così... Bene, ora, alla fine della prima stagione, Big Bang Theory può essere trasportato di diritto nel primo mini elenco che ho fatto sopra, proprio quello che comincia con Twin Peaks.
E' vero, non c'è dramma, non c'è praticamente nessuna trama orizzontale se non qualche flebile sentimento amoroso che si dipana tra le varie puntate, non c'è genere, non c'è azione.
Ci sono:
1) Un pianerettolo con due appartamenti
2) Una ragazza carina, solo mediamente sveglia, che vuole divertirsi
3) Due coinquilini, uno più intelligente dell'altro, disadattati a un diverso livello, nerd allo stesso.
4) Due amici dei due di sopra, altrettanto nerd e disadattati, forse un pelo meno intelligenti.
5) I quattro personaggi (gli uomini) e le situazioni più divertenti che mi sia capitato di vedere da anni, a questo livello neanche Boris e nemmeno Coliandro.
Puntate intere piegato dalle risate, situazioni comiche a raffica, personaggi azzeccatissimi che non puoi non innamorartene, nel caso remoto dovessi avere in futuro un figlio maschio tenterei di convincere mia moglie a chiamarlo Sheldon (lo sto già facendo con una coppia di amici) o ancora meglio Sheldon come primo nome e Cooper come secondo.
I due coinquilini sono proprio Sheldon Cooper e Leonard Hofstadter, fisico teorico il primo, fisico sperimentale il secondo, entrambi nerd senza speranza (Beh, forse Leonard). Mentre il primo è completamente avulso alla vita sociale, non si interessa alle donne, nutre fino all'eccesso le sue manie ed è privo di qualsiasi senso dell'umorismo, il secondo è quello che fin da subito si innamora di Penny, la nuova vicina di casa, sentendosi spesso inadeguato per qualsiasi prospettiva di relazione.
Penny è un'altro mondo, fa la cameriera, non ha nessun problema nei rapporti sociali e non è interessata al tipo di cose per cui Sheldon o Leonard impazziscono ne al tipo di uomo che Sheldon e Leonard sono (non che di questo a Sheldon freghi qualcosa, sia ben inteso).
A completare il quadro i due amici della coppia di fisici, Howard Wolowitz, ebreo poliglotta, ingegnere aerospaziale, ossessionato dalle donne con le quali tenta l'approccio immancabilmente (con tutte, Penny compresa) e Rajes Koothrappali, astrofisico indiano, incapace di parlare in presenza di donne avvenenti a meno che non sia in preda ai fumi dell'alcool.
Il cast è eccezionale sia per personaggi che per attori, la frequenza media di risate e spaventosamente elevata. Sono conscio che questo pezzo è una calata di braghe ma tenete ben presente che a me solitamente le sit-com NON e dico NON interessano.
Fate Un Po' Voi!
PS: se poi per caso anche voi siete un tantinello nerd, vi piace la fantascienza, vi piacciono i fumetti e quelle cose lì, ah beh, allora... Fate Un Po' Voi!
PS2: Va vista in inglese con sottotitoli, mi raccomando.
Iscriviti a:
Post (Atom)