martedì 29 giugno 2010

L'ISPETTORE COLIANDRO

Se penso a tutte le serie Tv e alle sit-com che arrivano dall’America o dalla Gran Bretagna e subito dopo alle fiction o alle serie nostrane mi viene tristezza. Una tristezza metaforica ovviamente, in fondo sono ancora libero di scegliere cosa guardare e di evitare le nostrane cagate. Poi mi viene in mente L’Ispettore Coliandro e mi torna il sorriso. Cazzo, loro L’Ispettore Coliandro non ce l’hanno. Per carità, hanno CSI, Lost e prodotti simili, hanno avuto Kojak, Colombo, La signora in giallo, i due tamarri di Miami Vice, quello pseudo investigatore in mutande di Magnum P.I., Starsky & Hutch e chi più ne ha più ne metta ma un cazzone come Coliandro non l’hanno mai avuto. E dico cazzone in senso buono, anzi buonissimo. Giampaolo Morelli, l’attore che interpreta il nostro, è entrato talmente bene nella parte che mi viene da pensare che anche lui sia un cazzone come il personaggio che interpreta e non me ne voglia Morelli (che tanto non leggerà mai queste righe) perché anche questa affermazione vuole essere un complimento e non un’offesa.

Coliandro è un poliziotto casinista e all’apparenza maschilista, razzista e con una propensione al politicamente scorretto. In realtà è un ingenuo dal cuore tenero. Grande fan di Clint Eastwood (come dargli torto) e del suo ispettore Callaghan si trova sempre in situazioni più grandi di lui dalle quali esce quasi sempre grazie a colpi di culo e cocciutaggine. Poi, guardandosi allo specchio è capace di esclamare: “Minchia! Meglio dell’ispettore Callaghan” oppure in situazioni critiche guarda il fetente di turno e l’apostrofa con un bel: “Coraggio, fatti ammazzare!”.

Moderna e veloce la regia dei Manetti Bros e numerose le citazioni cinematografiche. Alcune puntate guardano ai generi, il western ad esempio, creando delle commistioni volutamente esagerate e soluzioni altamente archetipiche (spero si capisca qualcosa di quello che sto scrivendo).
Anche le figure di contorno sono azzeccate e ben interpretate. Le sceneggiature sono di Carlo Lucarelli, ideatore del personaggio protagonista anche di alcuni suoi romanzi. Insomma il divertimento e le risate sono assicurate.

Purtroppo la Rai ha deciso di tagliare i fondi alla produzione della serie che già quest’anno ha presentato solo due puntate invece delle solite quattro. Bene! Così potremo (dico potremo, visto che i soldi del canone sono anche i nostri) pagare qualche cazzone in più (cazzone inteso non come complimento questa volta) per andare sull’isola dei famosi o aumentare il compenso del prossimo presentatore del sempre ottimo Festival di Sanremo.

sabato 26 giugno 2010

PERCHE’ LE GUERRE SEGRETE SONO STATE UNA DELUSIONE

(Questo articolo è stato scritto per il sito fumettidicarta)

Ho sempre amato la figura del supereroe sin da quando ero piccolo. Ricordo ancora chiaramente quando, da bambino, insieme a mio nonno guardavo i cartoni animati di Supergulp! Tra i tanti, il mio personaggio preferito era l’Uomo Ragno. Inoltre su qualche rete privata era possibile godere delle avventure non di un unico supereroe ma bensì di un intero gruppo: “I Superamici”. Certo il nome del cartone animato era ridicolo (per chi non conoscesse la serie i tipi erano niente meno che la Justice League of America al completo di tutti i grossi calibri) ma io impazzivo per quei personaggi e per le loro imprese. Poi c’era il Batman panciuto di Adam West, come dimenticarlo. Insomma, per farla breve, tutte queste visioni, con l’aggiunta di qualche fumetto ogni tanto, mi instradarono verso quella che ancora oggi è una delle mie passioni.
Tra quei fumetti ce ne fu uno che fece scoccare la proverbiale scintilla. La saga pubblicata dalla Labor Comics anni or sono (molti, sigh!) incentrata sullo scontro tra Proteus e gli X-Men. Ancora oggi gli uomini X sono i miei personaggi preferiti e il duo Claremont/Byrne il mio team creativo ideale.
Cominciai a seguire in maniera continuativa questi eroi sulla carta stampata solo all’epoca delle scuole medie. Con la “paghetta” riuscivo a seguire l’albo dell’Uomo Ragno (parliamo dell’era Star Comics) che, con mia grande gioia, in appendice ospitava proprio la serie degli X-Men.
Vi starete chiedendo cosa c’entra questo pistolotto con il titolo di questo pezzo. Ci sto arrivando, abbiate pazienza.
Leggi, leggi un bel dì arrivai a un punto cruciale verso il quale convergevano le serie di diversi eroi. Spidey, gli X-Men e altri eroi ancora, chi in un modo, chi in un altro, andarono tutti ad infilarsi in una specie di “Stargate” piazzato da un essere potentissimo nel bel mezzo di Central Park. Si prospettava un’avventura con i fiocchi. Gli strilloni promettevano lo scontro definitivo, tutti gli eroi Marvel contro tutti i peggio farabutti su un pianeta alieno. Non vedevo l’ora di leggere, ammirare i disegni, sapere come sarebbe andata a finire.
Poi realizzai. La Star Comics avrebbe pubblicato la saga in tre numeri speciali brossurati. Al prezzo di 7.000 lire i primi due e 8.000 lire l’ultimo. 22.000 lire.
Bene, chi cazzo me le avrebbe date queste 22.000 lire? I miei no di sicuro, io lavorare non lavoravo altre soluzioni non se ne vedevano.
Saltai gli speciali e continuai a seguire le serie regolari del periodo senza sapere cosa fosse successo dall’altra parte di quel maledetto “Stargate”. Così l’Uomo Ragno tornò in versione “all black”, gli F4 partirono con un mostro arancione e tornarono con una strafiga verde, Colosso era in preda al dolore di una crisi ormonale soppressa e tutti gli eroi parlavano di esperienze uniche e incredibili. E io mi chiedevo perché.
Il tempo passò e, per un motivo o per l’altro, non ebbi mai modo di recuperare questa maxisaga.



2009. L’anno del contatto. In realtà il film recitava “2010 l’anno del contatto” e in effetti l’albo di cui vado a parlarvi io l’ho letto davvero nel 2010. L’ho acquistato però nel 2009. Dopo quasi vent’anni ce l’avevo fatta, avevo recuperato questa ormai storica saga. La stringevo tra le mani grazie alla collana di ristampe Super-Eroi (Corriere della sera e Gazzetta dello sport in collaborazione con Panini Comics) che sul 15esimo numero presentava proprio le tanto agognate “Guerre Segrete”.
Il primo impatto fu ottimo. Intanto a un supervolumone a soli euro 9,99 contenente ben 12 storie originali non ci si sputa sopra. La copertina di Alex Ross è uno splendido omaggio a quella presentata sul primo volume Star di vent’anni prima. Leggo gli articoli introduttivi e mi rinfresco la memoria.
Mi addentro nelle tavole disegnate…. cavolo riprendono proprio da quel punto lì, quello di vent’anni fa. Leggo l’intero volume in un paio di giorni, forse tre.



La prima osservazione da fare è che gli eroi non ci sono tutti. Quando la Marvel-crew arriva sul pianeta dell’Arcano gli eroi sono una ventina. Sono tanti, sono i più famosi certo, ma io ero rimasto con quell’idea che ci fossero proprio tutti… sì insomma, riunione plenaria al gran completo sfumata. Lo stesso discorso vale per i Villains.
L’aspetto grafico della miniserie si è rivelato una grande delusione.
Pur avendo contribuito a creare pagine di storia Marvel con le sue matite, vedi “L’ultima caccia di Kraven”, “Circolo di sangue” e la stessa “Guerre Segrete”, il lavoro di Zeck su questa miniserie non mi ha convinto. Probabilmente anche le chine di Beatty e in generale l’uso del colore non hanno aiutato le matite di Zeck. In molte tavole le chine sembrano davvero poco definite e i colori oltremodo sbiaditi e slavati (sì, tendo ad usare termini molto tecnici, perdonatemi). L’ultima tavola del primo episodio è un esempio perfetto per capire ciò che intendo ma non è certo l’unica.
Per mio puro gusto personale avrei preferito vedere ai disegni un George Perez o, perché no, il mio idolo d’infanzia John Byrne. Comunque, meglio Zeck che non Layton (autore degli episodi 4 e 5 della saga).
Facciamo un esempio: l’Octopus di Zeck riesce a non sembrare un totale cretino ed è già un fatto. Chi possiede il volume può provare a guardare la prima vignetta di tavola 7 del primo episodio disegnato da Layton. Fatto?
Ok, ora rimane solo da decidere se sembra più imbecille l’Octopus di Layton o Javier Bardem in “Non è un paese per vecchi”.
Ci mette una pezza l’aspetto nostalgico del tutto: il viso di Richards disegnato in quella maniera, un Wolverine rissoso in marrone e oro, Tempesta punk style e via dicendo.

La trama l’ho trovata di una lungaggine sconsiderata. Si parla tanto al giorno d’oggi di decompressione delle trame ma anche Shooter non ha di certo scherzato con queste Guerre Segrete.
Tutti gli avvenimenti importanti che prendono il via sulle pagine di questa saga sono semplici abbozzi che verranno sviluppati al meglio dagli scrittori delle serie regolari di ogni singolo personaggio.
Il caso più lampante è quello di Spidey che ancora oggi si trova a fare i conti con Venom, personaggio derivante dal costume alieno che proprio da Secret Wars muove i primi passi.
Ma in tutto ciò il merito di Secret Wars dove sta? Del simbionte, così come di molte altre sottotrame, si fa solo un rapido accenno lasciando lo sviluppo delle idee ai mensili dei vari eroi.
Per il resto scontri e sganassoni a ripetizione, acquisizioni e perdite di enormi poteri, morti e resurrezioni che non lasciano segno sui personaggi coinvolti. La caratterizzazione di questi ultimi è proprio il punto debole di tutta la saga. Eroi che si portano dietro una storia illustre da protagonisti di primo piano nell’universo Marvel come Tempesta o Nightcrawler sono messi totalmente (o quasi) da parte. L’Uomo Ragno, bandiera della Marvel, non fosse per le poche tavole nelle quali si parla del simbionte, sarebbe potuto tranquillamente rimanere a New York a ridare il bianco a casa e nessuno se ne sarebbe accorto (magari quelli del marketing Marvel).
Wolverine ogni tanto ringhia e l’Hulk versione intelligente sembra invece un’imbecille. Maggiormente approfondite le vicende di Colosso e del suo rapporto con Zsaji, la figura di Magneto e quella di Destino.
Forse “Le Guerre Segrete” non hanno retto al passare del tempo e sono invecchiate male. Sicuramente i miei parametri di giudizio sono cambiati col passare degli anni.
Con tutta probabilità avrei dovuto trovare allora quelle 22.000 lire perché sono sicuro che in quel preciso momento e a quell’età queste “Guerre Segrete” me le sarei godute molto di più.
Se per queste “Secret Wars” citando i Pink Floyd potrei dire “the child is grown, the dream is gone”, fortunatamente ci saranno ancora tantissime Marvel storie a tenere viva la nostra passione.

Le Guerre Segrete. Collana Super-Eroi. Le grandi saghe. La Gazzetta dello Sport/Corriere della Sera in coll. Con Panini Comics. Euro 9,99. 336 pp.

giovedì 24 giugno 2010

SUPERNATURAL: LA CACCIA HA INIZIO

Tempo addietro, commentando un Post del mio amico Zio Robbo, resi nota la VERA storia del serial TV Supernatural. Visto l'interesse suscitato dalla stessa (?) ho deciso di approfondirla nel mio blog prendendo in esame le singole puntate della serie. Prima di lanciarvi nella lettura è indispensabile leggere il post dell'amichevole Zio Robbo di quartiere e relativo mio commento. Li trovate qui.

Ed ecco la VERA storia di Supernatural...

2 novembre 1983. Javier Bardem e la donna vivono in serenità, se non diamo peso al fatto che Bardem è uno scassapalle con i controfiocchi, a Lawrence – Kansas (da non confondere con l’omonimo e più noto gruppo progressive-rock) con i figli Dean Dave di circa 4 anni e Sam di 6 mesi.
Ad un tratto le luci di casa iniziano a tremolare e la donna, ignara del fatto che Bardem non aveva pagato la bolletta della luce poiché si era bevuto i soldi della stessa al pub, va a controllare la culla di Sam e nell’ombra nota una figura che crede essere il marito.
Quando la donna si reca di sotto, vede Bardem, che ahilei è anche suo marito, ubriaco fradicio addormentato con un rivolo di bava alla bocca (che schifo!) davanti alla tv che trasmetteva una specie di “colpo grosso” statunitense. Si precipita nella stanza di Sam per affrontare l’uomo che ovviamente a questo punto non è Bardem. Questi sente gridare la donna ma, essendo ubriaco fradicio, quando ventitre minuti dopo arriva nella camera di Sam, trova la moglie in fiamme impalata al soffitto da un demone ormai dileguatosi (che cazzata…!) .
Bardem si cagò addosso e scappò, Dean Dave ebbe la prontezza di spirito che mancò al padre e portò il fratellino Sam in salvo.

Per i retroscena di questa scena vedere gli Extra sul post di Zio Robbo linkato sopra.

Ventidue anni dopo la morte della donna, Sam Bardem va all’università (o al college o al cazzo che è…) e vive con la sua fidanzata Jessica. Una notte, Dean Dave si intrufola in casa di Sam chiedendogli aiuto poiché il padre, ubriacatosi una volta di troppo, è scomparso da tre settimane.
Dean, essendo stato rifiutato a Giurisprudenza, Economia e Commercio, Scienze politiche e persino Veterinaria, era diventato un cacciatore di demoni. Bardem si spacciava anche lui come tale prima di sparire dalla circolazione. Neanche fosse un negozio di calzolaio a gestione familiare anche Sam conosceva i rudimenti del mestiere.

A questo punto la serie ha rischiato di essere cancellata per la seconda volta (e siamo solo alla prima puntata), per i dettagli vedere gli Extra sul post di Zio Robbo linkato sopra.

Sam e Dean Dave, a bordo di una Chevrolet Impala nera, si recano a Jerico dove il padre (si dice) stava indagando su una fantomatica “donna in bianco” di professione fantasma. Durante le indagini Dean Dave viene arrestato dallo sceriffo dal quale ottiene un diario segreto di Bardem infarcito di cazzate su demoni, fantasmi, troll, folletti e altre puttanate del genere e pieno di numeri di telefono di prostitute e di pizzerie a domicilio. Scopre inoltre che Bardem non ha avuto nessun contatto con la “donna in bianco” ma semplicemente era andato in bianco con una donna (sai che novità). Insomma, Dean Dave fugge, si riunisce a Sam e insieme i ragazzi scoprono che “la donna in bianco” è il fantasma di una pazza che ha ucciso i suoi figli quando era in vita (forse credeva fossero figli di Bardem e mossa a compassione ha preferito ucciderli). Ovviamente i due fratelli, un po’ più svegli del padre, eliminano il fantasma e Sam torna a casa sua. Qui trova Jessica in fiamme impalata al soffitto (eh sì come la mamma! Che cazzata…!) dallo stesso demone che uccise la donna 22 anni prima, i ragazzi a questo punto giurano vendetta, il demone giura di rompergli il culo e cose così…
Forse per lo sconforto, Dean e Sam si convincono che il padre sia davvero un cacciatore di demoni in pericolo, così Sam abbandona l’università (o il college o il cazzo che è…) e la caccia (?) ha inizio.

Tra le canzoni da reparto geriatrico che si possono ascoltare durante la puntata da segnalare Ramblin' Man (Allman Brothers Band), Back in Black (AC/DC) e Highway to Hell (AC/DC).

martedì 22 giugno 2010

L'INCREDIBILE HULK


(The incredible Hulk di Louis Leterrier, 2008)

Anche con L’incredibile Hulk i Marvel Studios hanno cercato di fare le cose in grande. Sostituito il regista Ang Lee con il più artigiano Louis Leterrier, la Marvel si è concentrata sul cast che anche per questa pellicola risulta essere di prim'ordine.

Il bravissimo Edward Norton interpreta Bruce Banner, l’alter ego di Hulk, ed è un Banner decisamente più credibile, anche fisicamente, rispetto alla versione di Eric Bana che lo impersonava nel precedente film dedicato al mastodonte verde.

Betty Ross e suo padre, il generale Ross, sono rispettivamente Liv Tayler e William Hurt. La nemesi di Hulk, il mostruoso Abominio, è interpretato dal grande Tim Roth. Sul piano della recitazione quindi non c’è nulla da dire.

Anche la realizzazione digitale di Hulk è migliorata rispetto allo scorso film. Gli effetti speciali, aiutati anche dalla scelta di regia di mostrare Hulk molto spesso al buio, ci propongono una creatura meno giocattolosa di quella vista nel film diretto da Lee. Ciò non toglie che nella sequenza finale con lo scontro tra Hulk e Abominio si abbia la sensazione di guardare due personaggi di un videogame che si riempiono di botte.

La trama ci mostra un Bruce Banner in fuga e in cerca di una cura per liberarsi di Hulk. Il generale Ross vuole appropriarsi del DNA di Hulk per usarlo come arma. Il plot si sviluppa seguendo lo schema che ci si potrebbe aspettare da premesse come queste. Nulla di originale sotto il sole, semplicemente un buon film d’intrattenimento (se vi piace il genere of course). Ottima la sequenza iniziale ambientata nelle favelas di Rio de Janeiro, con una caccia a Bruce Banner decisamente riuscita.

Non mancano inoltre camei e citazioni per i Marvel fan. In una scena compare il solito Stan Lee, Lou Ferrigno che interpretava l’Hulk televisivo della nostra infanzia ricopre il ruolo di una guardia, si parla di Mr. Green e Mr. Blue tratti direttamente dalla run di Hulk curata da Jones e Deodato Jr., viene citato il siero del super soldato, Samuel Sterns sembra subire una sospetta mutazione… insomma c’è di che divertirsi. I più attenti riconosceranno anche la musica del vecchio serial Tv di Hulk.

Sul finale c’è l’ormai consueta scena che lega questo Incredibile Hulk al progetto che si sta delineando in attesa del film sui Vendicatori. In definitiva un passo avanti rispetto al vecchio Hulk, ancora lontano dai ben più riusciti X-Men 1e2, Iron Man 1e2 e i tre Spider-Man.


lunedì 21 giugno 2010

BACK TO THE PAST: 1962

Nel 1962 gli Isley Brothers escono con il singolo "Twist and shout" reso ancor più celebre, come si evince dal video sotto, dai Beatles qualche tempo dopo. Già nel 1961 ne circolava una versione un po' differente da quella conosciuta da tutti. Eccola...



Lo stesso anno viene inciso proprio il primo singolo del quartetto di Liverpool, singolo che aprirà la carriera al gruppo più popolare di tutti i tempi.




Altro pezzo celebre risalente al 1962 è "Do you love me" dei meno popolari The Contours.



Nel 2008 questi "ragazzini" ripropongono lo stesso pezzo e guardate con che energia.


The Contours - Do You Love Me (High Quality) di goldrausch

sabato 19 giugno 2010

EDWARD BUNKER

Edward Bunker non ha avuto una vita facile, tutt’altro. Per rendersi conto di quanto sia vera questa affermazione è sufficiente leggere il toccante Little Boy Blue, traducibile con piccolo ragazzo triste, autobiografia dello scrittore che copre il periodo dell’infanzia fino ai 17 anni, età alla quale Bunker verrà condannato e rinchiuso a San Quentin ottenendo il primato di più giovane recluso in assoluto del penitenziario.
Nonostante Bunker si sia fatto svariati anni di carcere per errori che realmente ha commesso, non si può non provare pena per quel ragazzino che, azione dopo azione, abuso dopo abuso, errore dopo errore, si trasformerà nella sua versione adulta.
In Little Boy Blue seguiamo l’infanzia di Alex Hammond, alter ego di Bunker stesso, figlio di una madre che di lui si disinteressa completamente e di un padre che, pur affezionato al ragazzo, non riesce a mantenerlo. Così Alex passa da un collegio militare all’altro, cambia famiglie affidatarie e prova l’esperienza dei riformatori. Le crisi violente, manifestazione del rifiuto e del dolore procuratogli da questa situazione, lo portano a dover scontare spesso punizioni da lui ritenute ingiuste. Il ragazzo sviluppa un’avversione per le autorità che gli porterà altro dolore e gli alienerà la possibilità di un reinserimento nella società. Le esperienze che Alex/Bunker dovrà affrontare sono di quelle terribili per un bambino di undici anni o poco più capaci di far male anche al lettore di questo libro. Sul passaggio a San Quentin si chiude l’autobiografia della prima parte della vita di Bunker che verrà in seguito ripresa nel libro Educazione di una canaglia.
Lo stile di Bunker è denso e corposo, non facile ne scorrevole, maturato con la lettura in carcere di moltissimi libri e da una particolare predisposizione dello scrittore per la letteratura russa. I libri di fiction scritti da Bunker hanno qualcosa di indefinibile.
Leggendo Come una bestia feroce, racconto di un’ipotetica seconda possibilità trasformatasi in un tentativo di rapina a mano armata, si ha l’impressione di star leggendo la realtà. Bunker evita ogni spettacolarità, ogni esagerazione, i personaggi sono veri le situazioni veritiere.
Ottima prova anche in Animal factory, romanzo d’ambientazione carceraria. Anche qui la sensazione che si ha leggendo le pagine di Bunker è quella di estremo realismo.
Dopo il successo letterario, arrivato verso la metà degli anni ’70, arriverà anche la possibilità di una vita tranquilla grazie anche ai molteplici incarichi ricevuti come consulente nel settore cinematografico. Il suo volto è ormai diventato popolare grazie all’interpretazione di Mr. Blue ne Le iene di Quentin Tarantino, grande fan dei romanzi di Bunker. Dopo la morte dello scrittore (2005) sono usciti ancora due suoi romanzi postumi, Stark del 2006 e Mia è la vendetta del 2009.

mercoledì 16 giugno 2010

AN EVENING WITH: B.B. KING

Per la prima volta su questo blog (anche perchè nato da poco) vado a inserire un post che non è stato scritto da me. Laura, non la mia bimba di 4 anni, una Laura un pochino più grande, ha lasciato un commento molto bello al mio post sugli Alice in Chains. Un commento che è anche una recensione del concerto di B.B. King a Milano. Visto che si parla di un personaggio ormai leggendario nella storia della musica (che ammetto di non aver mai seguito molto ma rimedierò), ho deciso, per dare maggiore visibilità al commento, di inserirlo in un nuovo post. Eccolo: Un altro concerto a Collegno sotto la pioggia allora! Mi ricorda l'anno scorso con i Deep Purple.. ma sììì che i veri fan non si spaventano per un paio di goccioline d'acqua (leggi temporale apocalittico).
Come già sai invece io ero in quel di Milano al cospetto del Re del Blues al Teatro Arcimboldi, esperienza fantastica nonostante lo sbattone di guidare fino là & ritorno in solitaria e senza neanche uno straccio di navigatore (ma ce l'ho fatta!). Con il mio biglietto da 99 e dico 99€, ero in 32 fila, a una ventina di metri dal palco: che emozione! Non credevo ai miei occhi e alle mie orecchie! B.B. È stato simpaticissimo, ha fatto battute, coinvolto il pubblico facendoci cantare con lui, insomma è stato davvero un grande musicista ed essere umano, si percepiva chiaramente che quello che lo spinge ancora a fare i concerti alla sua veneranda età è la passione vera per la musica e l'amore per il suo pubblico (come ha fatto intendere con la canzone finale Guess Who). Alla fine tutti ci siamo alzati in piedi ad applaudire e mi sono venuti gli occhi lucidi quando ci ha salutati e i suoi fedeli musicisti l'hanno accompagnato dietro le quinte..ebbene sì, mi sono proprio un po' commossa ed ero così felice di aver colto quest'occasione per vedere una tale leggenda vivente, un musicista che resterà nei libri di storia per sempre.. semplicemente fantastico!! Detto questo, rimane ai posteri solo il mio ricordo e questa (qui) foto tristemente buia e sgranata.
Ecco in pratica ho preso in prestito il tuo blog per scrivere la mia recensione del concerto ^__^ io non ce l'ho più un blog, finivo sempre con lo scrivere troppo i cakki miei, cose personali, pensieri, emozioni, e non si sa mai chi li legge (tutto ciò che dirai potrà essere usato contro di te..ecc ecc) così ora lascio spazio alle immagini che forse in qualche modo sono altrettanto “trasparenti” ma almeno son belle da vedere..oddio..non tutte, temo :) Beh, ci si vede al solito posto. E complimenti per il blog. Sì, forse era necessario: adesso so che ci sono almeno un paio di film interessanti che ancora devo vedere! Ciao, 4eLa
Ciao Laura e grazie mille

BLOOD DIAMOND

(Di Edward Zwick, 2006)

L’Africa non è i mondiali di calcio. Non solo. Il continente nero è devastato da piaghe che tutti conosciamo: fame, guerre civili, sfruttamento delle risorse da parte dell’occidente, dittature, violenza, bambini soldato. Edward Zwick con il suo Blood Diamond punta i riflettori sull'industria dei diamanti e proprio sul fenomeno dei bambini soldato.
Danny Archer, interpretato da un ottimo e scolpito Leonardo Di Caprio, è un trafficone ed esperto nel campo dei diamanti. Solomon Vandy un pescatore prigioniero dell’esercito ribelle, il RUF, che porta avanti la guerra civile in Sierra Leone. Jennifer Connelly interpreta la giornalista d’assalto Maddy Bowen.
Ognuno di questi personaggi lotta per i propri scopi. Archer per un raro diamante rosa di inusitata grandezza. La Bowen per i suoi ideali e per un articolo che possa cambiare le cose. Solomon Vandy per riavere la sua famiglia e per sottrarre suo figlio, arruolato come soldato, ai ribelli del RUF.
Il film si dipana come un ottimo film d’azione impreziosito da una serie di spunti che faranno riflettere gli spettatori.
A posteriori, sui contenuti di questo film si possono fare alcune considerazioni. Il fatto che in Africa una pietra valga più di una vita, per gli speculatori africani come per gli industriali occidentali, può non rivelarsi una sorpresa. C’è però un’affermazione presente nel film che mi ha colpito. Quante volte ci è capitato di guardare una vetrina e di ammirare un anello o un qualsiasi gioiello con un diamante? Un gesto per noi tutto sommato normale, al quale diamo pochissima importanza. Quante volte ci è venuto in mente che dietro a quella pietra potrebbe esserci una vita spezzata? O due? O ancora di più. Personalmente non avevo mai pensato ai diamanti in questi termini.


Blood Diamond riesce a mostrarci questo ed altri aspetti del continente nero senza essere troppo retorico o moralista, le vicende dei tre protagonisti vanno a costruire una trama interessante e appassionante che non annoia considerata anche la lunghezza del film (138 min.).
Gli attori sono in parte, bravissimo Djimon Hounsou (Solomon), la fotografia ci restituisce un’Africa di un verde lussureggiante, il ritmo è ottimo, le tematiche importanti. Un film Hollywoodiano che si tiene lontano dalle situazioni a effetto esagerate decisamente ben riuscito.

martedì 15 giugno 2010

FLASHFORWARD

Quando ho cominciato a guardare Flashforward l’ho fatto con una discreta aspettativa. Alcuni articoli ne parlavano come dell’ideale erede di “Lost”, della quale sono stato un fan per i sei anni della sua programmazione. Lo spunto iniziale, illustrato nella prima puntata della serie, mi ha subito coinvolto. Scenario apocalittico, un’incidente di dimensioni smisurate, un’autostrada con auto rovesciate, morti, feriti, sullo sfondo grattacieli in fiamme. Questo scenario si allarga a tutta la città, a tutto il paese, a tutto il mondo. Tutti gli abitanti del pianeta, nello stesso istante, sono svenuti per poco più di due minuti durante i quali hanno visto il loro futuro. Tutti hanno visto il loro 29 aprile 2010 (un salto in avanti di circa sei mesi rispetto agli avvenimenti in tempo reale). Durante i due minuti di black-out morti a non finire. Persone al volante, pedoni investiti, aerei caduti, incidenti di ogni tipo determinano il terrificante scenario con il quale si apre la serie. Cosa ha provocato il black-out? Perché? Come cambierà la vita dei vari personaggi che la serie ci farà seguire da vicino in seguito alla loro visione?. La serie, puntata dopo puntata, ci porterà verso le risposte. Interessante vedere come le scelte del presente, alcune anche molto banali, portino i vari protagonisti verso il loro futuro. Un futuro che però non è ancora scritto. In America la serie, alla fine della prima stagione, è stata cancellata. I fan si stanno mobilitando (tramite alcuni Flash-Mob) per impedirne la soppressione. Gli ascolti la fanno da padrone e, nonostante la buona qualità della serie, la resa sembra ormai cosa fatta. Peccato perché la puntata finale sarebbe stata un’ottima chiusura di stagione. Lascia l’amaro in bocca il fatto che il finale sia stato pensato per rilanciarne una seconda e non per essere una chiusura definitiva. La possibilità di nuovi sviluppi interessanti ci sarebbe, ora la palla passa ai dirigenti della ABC.
   

domenica 13 giugno 2010

FUMETTIDICARTA

Quando ho iniziato a muovere i primi passi nella creazione di questo blog ero all'oscuro anche delle regole fondamentali necessarie alla creazione dello stesso. Ora so giusto quel che mi serve per tenerlo in vita come voi lo vedete.
Durante la ricerca delle informazioni delle quali avevo bisogno, ho contattato l'Orlando Furioso (non credo sia lo stesso dell'Ariosto ma con gli appassionati di fumetto non si sa mai!) curatore dell'ottimo sito fumettidicarta.
Una cosa tira l'altra e l'Orlando mi ha concesso l'onore di comparire con un mio articolo proprio su fumettidicarta. L'articolo potete trovarlo qui, ora devo lasciarvi, in cambio di tutto ciò ho promesso all'Orlando di mettermi subito alla ricerca di Medoro.


80 E NON SENTIRLI

In questo blog mi è già capitato, e ancora mi capiterà, di parlare di cinema.
Non sono un critico e non ho mai studiato a nessun livello alcuna materia legata alla settima arte. Semplicemente amo le storie. Quindi il cinema, come la letteratura o il fumetto, è per me una passione della quale parlo in maniera totalmente soggettiva. Gran parte delle mie conoscenze in materia le ho acquisite leggendo, settimana dopo settimana, quella che per me è la migliore rivista a occuparsi di cinema e televisione. La rivista in questione è Film TV. Probabilmente è l’unica guida ai programmi televisivi (ovviamente si parla di film, serial, qualche fiction e non della “Pupa e il secchione” o altre cazzate simili) dove al posto dei vari gossip, tette e culi e compagnia bella si possono trovare le recensioni dei film in sala, approfondimenti su registi, attori o filmografie ragionate. Oltre a consigliare a tutti gli appassionati di cinema questa rivista volevo segnalarne, e qui mi collego al titolo del post, un’iniziativa dedicata al grandissimo Clint Eastwood che proprio il 30 maggio scorso ha compiuto 80 anni (e cavoli come ci è arrivato, applausi grazie).
Su Film Tv n. 21, oltre a trovare un ottimo articolo dedicato a Eastwood (eletto Guida Morale dalla redazione), vari critici cinematografici hanno scelto un film del Clint regista o attore e hanno redatto una loro breve visione dell’opera selezionata. Queste compaiono sulle pagine dello stesso numero e sono ben 33.
I lettori della rivista sono stati invitati a fare altrettanto. I loro interventi verranno pubblicati una volta al mese per tutto il 2010. In queste speciali occasioni Film TV regalerà la locandina di uno dei film del grande Clint (Gunny nel n. 22) sul retro della quale compariranno proprio alcuni dei contributi dei lettori. Un’iniziativa da non perdere per tutti i fan del signor Kowalski.

giovedì 10 giugno 2010

AN EVENING WITH: ALICE IN CHAINS

Ha fatto tappa anche a Collegno il “Black gives way to blue tour” degli Alice in Chains, band storica del fenomeno Grunge nato nei primi anni novanta a Seattle.
Nonostante l’assenza del carismatico front-man Layne Staley, deceduto nel 2002 a causa di un overdose di eroina, l’occasione era troppo ghiotta per lasciarsela scappare.
La serata piovosa non ha impedito al pubblico di accorrere numeroso e la band, dopo un’attesa prolungata dall’assenza di un gruppo di supporto, è stata accolta con grande calore.
Non avrebbe potuto esserci apertura di concerto migliore, vista la serata piovosa, dell’esecuzione della splendida “Rain when I die”. La band parte con grande energia e il nuovo cantante William Duvall dimostra da subito ottime doti canore e grande carisma. Con un look che sembra preso di peso dal fenomeno della blaxploitation dei seventies, Duvall riesce subito a convincere e coinvolgere il pubblico grazie all’energia e alla passione infuse in ogni pezzo eseguito. Cantrell si dimostra in grande forma e si riserva anche lo spazio per cantare “Your decision”, ballad tratta dall’ultimo album del gruppo. Non sono da meno Kinney e Inez sempre potenti e precisi.
La pioggia aumenta, la band suona e il pubblico apprezza. La scaletta è perfetta, quattro pezzi estratti da “Black gives way to blue” tra i quali l’ottima “Check my brain” e il resto lo fanno i pezzi storici della band. Da “Them bones” a “Damn that river”, pezzi di maggiore atmosfera come “No excuses” e “Rotten apple” si alternano alle trascinanti “Down in a hole” e “Angry chair”. La folla esplode sulle prime note di “Man in the box”. Nonostante i testi cupi e depressi lasciati da Staley in eredità agli Alice, ci troviamo di fronte a un gruppo capace di divertire e soprattutto di divertirsi con eccezionale capacità e grande umiltà. Personalmente non ho mai avuto la possibilità di vedere la band con Staley alla voce (che sempre rimarrà grandissimo), ma posso affermare che questo Duvall non può scontentare nessuno: fascino da vendere, passione, talento…. veramente un figo.
I bis “Would?” e “Rooster” chiudono una serata da non dimenticare sotto una pioggia ancora più insistente. Alla fine del concerto la stima per questa band cresce ulteriormente. Con grande umiltà i componenti del gruppo ringraziano ripetutamente il pubblico che li ha sostenuti nonostante la pioggia in maniera calorosa, regalano un centinaio di plettri, bacchette e quant’altro.
Si torna a casa soddisfatti, unico neo la resa non ottimale dell’acustica che in qualche pezzo faceva risultare i suoni troppo distorti. Sicuramente con questo nuovo front-man la band ha ancora la possibilità di regalarci dell’ottima musica negli anni a venire.

lunedì 7 giugno 2010

BACK TO THE PAST: 1961

Inserire video musicali nel proprio blog sicuramente non è una cosa originale.
Mi piacerebbe farlo però in maniera cronologica. Inserire post dopo post musica e immagini sempre più vicine a noi.
Come punto di partenza ho scelto, e non so neanche io perchè, il 1961.

In quell'anno usciva lo splendido film "Colazione da Tiffany" di Blake Edwards.
Audrey Hepburn alla finestra canta Moon River, brano che vincerà l'oscar come miglior canzone l'anno successivo.



Ecco la versione del brano cantata da Perry Como.




Nello stesso anno viene incisa anche "Hello Mary Lou" di Ricky Nelson.



Venticinque anni dopo, nel 1986, i Queen eseguono la loro versione nell'ormai celebre "Live at Wembley".

sabato 5 giugno 2010

LOST E’ MORTO, VIVA LOST

Pochi giorni or sono, con la messa in onda dell’ultima puntata (doppia) del telefilm, Lost ha chiuso i battenti dopo sei anni di programmazione. L’isola, con tutti i suoi protagonisti, questa volta ci saluta con un addio e non con un semplice arrivederci come è accaduto le scorse stagioni. Ormai dell’epilogo di Lost hanno parlato tutti, fan accaniti, detrattori, giornali e televisioni. Essendo un fan della prima ora di questa serie anche io volevo dire la mia e, nel cercare di farlo, mi piacerebbe parlarne senza anticipare nulla a chi non avesse ancora visto la serie. Lost mi ha entusiasmato fin dall'inizio per tanti motivi. Uno su tutti la strettissima connessione delle puntate tra loro. Le singole puntate sono tutte pezzi del grande mosaico. Esse, una dopo l’altra, hanno la duplice funzione di portare avanti la trama principale (complicandola) e dare spessore ai personaggi naufragati sull'isola. Tantissime volte, all’'apparire della scritta “Lost” in chiusura di puntata, mi è scappato un bel “Cazzo, no!” causa la consapevolezza di dover aspettare una settimana intera per sapere come si sarebbe sviluppata o avviluppata la storia. Alcune puntate le ho trovate geniali, ad esempio la splendida chiusura della terza serie mi ha ispirato addirittura un moto d’invidia per la capacità creativa degli scrittori del serial. Ovviamente ci sono state fasi di stanca come è naturale che sia per una serie dalla vita così lunga.
   

Forse a causa di un calo progressivo di ascolti, forse per una decisione presa sin dall'inizio, forse per carenza di idee i creatori decisero di chiudere “Lost” alla fine della sesta serie. Durante tutti questi anni strani accadimenti e una serie di indizi lanciati nel corso delle prime cinque serie hanno creato nei fan di “Lost” un’attesa spasmodica per la risoluzione degli innumerevoli enigmi che circondavano l’Isola e i suoi abitanti. Alla fine della quinta serie era talmente tanta la carne al fuoco che ho cominciato a dubitare che tutto quel che avevamo visto gli anni precedenti potesse essere spiegato in un’unica ultima stagione. In più, il finale della stagione cinque apriva mille possibilità a nuovi scenari. Durante la sesta serie, puntata dopo puntata, i miei dubbi aumentavano. Prima di guardare l’ultima puntata di "Lost" ho sentito alcuni amici che, pur non raccontandomi nulla del finale della serie (che loro hanno visto prima di me), facevano trasparire la loro delusione per quanto in essa narrato. Ora che ho visto la fine di “Lost” posso dire di essere uscito soddisfatto dall'esperienza. L’ultima doppia puntata ha presentato numerosi momenti molto emozionanti. Il finale “metafisico” della serie era una delle possibilità nel mazzo di carte dei creatori. Era la migliore? Non lo so! Questo è così importante? Forse No! Alcuni fan saranno delusi perché molte cose non sono state spiegate, alcuni pezzi non si sono incastrati. Per me quello che importa è il viaggio. Per sei anni questa serie mi ha divertito tantissimo. Tanto basta. Lost è morto. Viva Lost!
   

giovedì 3 giugno 2010

SOMETIMES THEY COME BACK

Sono tornati! In occasione del compleanno di mia figlia ho scoperto che contengono anche Nutella e marmellata di albicocca.
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