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venerdì 30 luglio 2021

OLD SOUTH

(di Pasquale Ruju e Giampiero Casertano, 2021)

Una volta l'anno fa piacere tornare tra le tavole giganti del sud ovest degli Stati Uniti in compagnia di Tex e dei suoi pards, in questo caso specifico il solo Kit Carson. Il Texone continua a essere un appuntamento speciale anche per quei lettori che come me hanno da tempo abbandonato la frequentazione con il Texas Ranger più amato nel nostro paese (in altri lidi c'è sempre Chuck Norris da tenere in considerazione), la possibilità di vedere all'opera autori solitamente estranei alle vie battute dal Nostro è sempre un'occasione preziosa; se purtroppo diradano i grandi artisti internazionali che accettano di sobbarcarsi l'impresa titanica, in casa nostra non mancano certo gli autori capaci di tenere in mano la matita con grande merito, per quest'anno l'onore è toccato a Giampiero Casertano, già disegnatore Bonelli per Dylan Dog, Martin Mystère e copertinista di Nick Raider. La sceneggiatura tocca questa volta a Pasquale Ruju, scrittore verso il quale sento un feeling particolare e che difficilmente mi delude.

Old South prende le mosse ai tempi della Guerra di Secessione, siamo nel 1864 sul confine tra Arizona e New Mexico, per gli Stati Confederati del Sud le cose si stanno mettendo male, lo squadrone di soldati sudisti comandato dal Capitano Carraway con l'aiuto del Tenente Dubbs e del Sergente Mallory sta attraversando il territorio Apache tirandosi dietro un cannone colmo fino all'orlo di monete d'oro, un bottino che servirà a garantire agli uomini di Carraway un più che dignitoso futuro una volta che i soldati dell'Unione avranno vinto definitivamente la guerra. Mentre una piccola delegazione di soldati nasconde l'oro del cannone per servirsene una volta che le acque si saranno calmate, gli apache attaccano il piccolo contingente che si porterà nella tomba il luogo segreto della sepoltura dell'oro. Diversi anni più tardi, sfuggiti a un attacco indiano, Tex e Carson approdano nella cittadina di Old South, all'apparenza un luogo tranquillo dove Carraway è il Primo Cittadino, Dubbs lo sceriffo e Mallory il suo vice. Old South è effettivamente una cittadina prospera e tranquilla, gli abitanti si difendono dagli apache, almeno da quelli bellicosi (che non sono la maggioranza) e si dedicano ai loro lavori, in realtà il paese è stato fondato nei pressi del luogo in cui è stato sepolto l'oro nella speranza di ritrovarlo, con il passare degli anni però Carraway si è sinceramente affezionato alla sua cittadina e ai suoi abitanti, ritrovare l'oro non gli preme più di tanto, ma non per tutti è così, in vista poi c'è il rischio di una nuova guerra indiana, cosa che Tex e Kit sono decisi a scongiurare.

La matita di Casertano è bella potente, neri decisi dove servono, linee marcate, segni spessi il giusto, volti molto caratterizzati, tutti con segni distintivi, forse il meno interessante è proprio quello di Tex che per forza di cose deve inserirsi nel solco di una tradizione quasi secolare ormai, Casertano si diverte di più con Carson e con gli altri coprotagonisti della storia sui quali può sfogare maggiore creatività. Ottimo l'inserimento dei protagonisti negli spazi, paesaggi con un senso della profondità accentuato, interni e vedute urbane precise e dettagliate, è un disegno quello di Casertano che dà un senso di compiutezza a ogni tavola. Ancora una volta la sceneggiatura di Ruju si legge molto bene e intrattiene senza fatica né punti morti, il trentasettesimo Texone si rivela così un altro bel viaggio nei territori del vecchio west.

mercoledì 3 marzo 2021

5 È IL NUMERO PERFETTO

(di Igort, 2019)

L'idea di trasportare la storia di Peppino Lo Cicero dalle pagine di 5 è il numero perfetto al cinema frullava nella testa di Igort già parecchio tempo fa, all'epoca della riedizione del volume in quella splendida iniziativa che fu Graphic Novel, una serie in dieci tomi che portava in edicola opere di grande spessore, dal Maus di Spiegelman a Blankets di Craig Thompson, da Palestina di Joe Sacco all'adattamento di Città di vetro di Auster da parte di Mazzuchelli e Karasik, l'autore ed editore con la sua Coconino Press accennava, siamo nel 2006, alla possibilità del passaggio dal disegno alla recitazione, con Toni Servillo già impresso in mente per il ruolo principale. Il progetto si concretizza parecchi anni più tardi divenendo un'interessante trasposizione che porta nel suo corpo alcune sensibilità appartenenti alle due diverse arti: la settima e la nona.

Si passa dalla bicromia molto espressiva del fumetto, interamente colorato con toni e sfumature d'azzurro, a una tavolozza di colori più ricca, ma il film, pur offrendo un'esperienza diversa anche se molto adesa alla trama originaria, mantiene molto viva la sua origine cartacea, per alcuni versi, fatti i doverosi ed enormi distinguo, 5 è il numero perfetto mi ha ricordato l'operazione effettuata da Miller e Rodriguez su Sin City nell'approccio di trasposizione fedele di alcune tavole, vedere ad esempio le immagini che scandiscono l'incipit dei cinque capitoli in cui sono suddivise sia la graphic novel che il film. Siamo a Napoli negli anni 60, ma quella dipinta da Igort è una Napoli poco vista, piovosa, cupa, niente sole che vedremo solo nel finale in Parador, niente mare, ma i palazzi del Rione Sanità, i tetti del quartiere, i vicoli, gli interni, e ancora pioggia, pioggia che cade come lacrime napulitane in una delle scenografie più riconoscibili del film, anche la casa dei Lo Cicero viene spostata in zona più urbana rispetto alla più decentrata location del fumetto. Peppino Lo Cicero (Toni Servillo) è un vecchio guappo ormai in pensione, un killer che ha fatto il suo tempo e che ha tramandato il mestiere a suo figlio Nino (Lorenzo Lancellotti). Durante un lavoro per il suo boss, Nino viene ucciso da Mr Ics (Vincenzo Nemolato), anche lui alle chiare dipendenze di qualcuno. Saputa la notizia Peppino inizierà a fare il diavolo a quattro nel quartiere e a sovvertire l'ordine della camorra, insieme a lui il vecchio compagno di una vita, Totò (Carlo Buccirosso), ormai dedito alla coltivazione delle begonie, e un ritorno di fiamma, la bella Rita (Valeria Golino) che ha aspettato Peppino per oltre vent'anni. Le pallottole inizieranno a fioccare, Peppino vuole il killer del figlio, Rita vuole Peppino, Totò vuole (forse) tornare alle sue begonie, le trame del gioco non sono tutte visibili. Infine il Parador.

Rispetto alla sua controparte cartacea il film perde un poco di fluidità, si intuisce un pizzico di frammentarietà data dalla ricerca dell'estetismo, del virtuosismo formale peraltro molto riuscito e accattivante, la bella fotografia, i tagli ricercati sulle ombre, le inquadrature splendide sulla Napoli notturna sembrano di tanto intanto un fermo immagine sulla vicenda che pare trattenere il respiro per un momento per poi ripartire, piccolo scotto da pagare per una resa visiva davvero riuscita da parte di Igort che si rivela al suo esordio regista molto interessante. Si guadagna invece sulla voce off, il timbro caldo e pacato di Servillo a illustrare situazioni e sensazioni si ascolta con grandissimo piacere, è avvolgente e dona quel pizzico di calore in più che forse in qualche tavola del fumetto non si percepisce, perso tra i toni freddi dell'azzurro, mancano le sequenze oniriche mentre molti dei dialoghi sono presi pari pari dal cartaceo, compresa la spiegazione sul perché il 5 sia numero perfetto. A conti fatti un film particolare, distante sia dal noir di scuola classica che dal crime postmoderno ma anche dalla narrazione del sottobosco criminale che usualmente viene associata a Napoli, e già questo potrebbe essere un buon inizio. Perfettibile, ma opere prime come queste sicuramente non si buttano via. Belli i titoli in stile Saul Bass.

domenica 19 luglio 2020

LA VENDETTA DELLE OMBRE

(di Mauro Boselli e Massimo Carnevale, 2020)

Anno ricco per gli amanti del Tex in formato gigante. Causa la lunga gestazione del Texone di Claudio Villa (l'albo, programmato già da tempo, è uscito infine lo scorso febbraio) possiamo godere di una doppia dose dello Speciale Tex - questo il nome ufficiale del Texone -, il mese scorso è stato infatti dato alle stampe anche l'albo programmato per quest'anno e disegnato dal notissimo Massimo Carnevale, illustratore d'eccezione e copertinista di grande talento. Carnevale inizia a lavorare nel campo del fumetto con la Edilfumetto per approdare poi in Eura Editoriale (oggi Aurea) dove è rimasto per lunghissimo tempo cominciando proprio con le copertine di Lanciostory e Skorpio, riviste antologiche ormai storiche che tutti quanti associano immediatamente all'Eura. Negli anni 90 insieme al compianto Lorenzo Bartoli e ad Andrea Domestici lavora su quello che è divenuto un piccolo culto (e un buon successo commerciale): Arthur King. La notorietà aumenta con lo splendido lavoro fatto nel corso degli anni con le copertine della serie Eura John Doe ancora di Bartoli con Roberto Recchioni, proprio tramite quest'ultimo approda in Bonelli, prima su Dylan Dog con uno degli albi più apprezzati della storia recente della serie, Mater Morbi, per arrivare poi a questo Texone.

Boselli imbastisce per il disegnatore romano un'altra ottima sceneggiatura che mescola diversi elementi portando Tex una volta ancora in quei territori ibridi dove la cruda realtà delle pallottole di piombo incontra il mistero etereo degli spiriti. Come elemento di congiunzione troviamo il Carnivale, il carrozzone itinerante che porta alla gente semplice di provincia il sollazzo macabro dei freaks, dei "fenomeni da baraccone" da ammirare e additare con malcelata meraviglia e stupore (a riguardo si consiglia di recuperare la bella serie tv Carnivale). Questo circo errante, composto in prevalenza da artisti con sangue indiano, è diretto dal mefistofelico Jack Shado, il carrozzone indiano unisce le forze per portare a termine un loro piano di vendetta con i fratelli Fortune, due poco di buono sulle cui tracce ci sono Tex, Carson, Kit e Tiger Jack, cosa che rende il loro cognome davvero fuori luogo. Se i due fratelli sono mossi da pura e semplice avidità, gli indiani hanno da lavare un'onta importante e per far questo si serviranno delle spaventose ombre.

Massimo Carnevale mette il suo stile a servizio del west, della narrazione classica texiana, pur confezionando un bellissimo Texone questo è un po' un peccato. Avendo gli occhi ancora illuminati da alcuni splendidi lavori del disegnatore eseguiti per varie copertine, mi aspettavo un approccio al Texone più sperimentale e personale, che è quello che mi aspetto ogni volta che acquisto un Texone e che purtroppo non sempre ritrovo. Sia chiaro, il lavoro di Carnevale e inattaccabile, uso fantastico degli scuri per ombre e notturni di rara inquietudine, studio delle inquadrature per rimarcare al meglio le sequenze più "orrorifiche" e sovrannaturali, graffi sui volti a definirne cumuli di primavere passate, eccessi di cattiveria, lampi di follia, immota testardaggine. Lavoro eccelso sulle atmosfere, nella resa delle condizioni climatiche ma soprattutto una maestria naturale nel donare spessore immediato ai protagonisti dell'Indian Carnival come Tommy Skeleton, Jim Coyote, Storm, Johnny Bear, L'Uomo Tatuato, la bella Tesan-Win e l'inquietante Strega Ragno. Insieme a quello di Villa il Texone di Carnevale costituisce un'accoppiata preziosa, annata ricca come si diceva, il Tex gigante è ormai un must per gli amanti del western che quest'anno hanno trovato pane per i loro denti.

domenica 15 marzo 2020

L'INESORABILE

(di Mauro Boselli e Claudio Villa, 2020)

Per il quarto anno consecutivo a firmare il Texone c'è un artista italiano, in questo caso uno di quelli già visti su Tex a più riprese nonché copertinista di innumerevoli albi del ranger texano. Manca ancora una volta all'albo speciale il nome di richiamo internazionale, l'ultimo visto su queste pagine è stato Enrique Breccia nel 2016, autore di un Texone fantastico, con una visione dei protagonisti davvero originale e inusuale. Ma attenzione, questa volta la mancanza del talento esotico non si farà sentire, alle matite arriva infatti quello che non si può che definire un "vero mostro" del tavolo da disegno, l'inattaccabile Claudio Villa, uno di quelli che avrebbe da insegnare delle cose praticamente a chiunque. L'alchimia con Boselli c'è e si vede, da tempo i due autori sono tra le colonne portanti dell'albo di Tex, Boselli per le sceneggiature, Villa per le copertine e di tanto in tanto per le tavole delle storie, i due mi sembra possano essere indicati come i genitori adottivi dei quattro pards, orfani di Bonelli e Galeppini prima, di Nizzi poi (tranquilli, è ancora con noi, si sta semplicemente dedicando ad altro), questi personaggi trovano nelle cure dei due interpreti un rifugio sicuro per portare avanti le loro imprese nelle lande assolate del sud ovest americano.

La realizzazione de L'inesorabile non è stata semplicissima, la sceneggiatura di Boselli era stata pensata proprio per le matite di Villa ma avrebbe dovuto esser serializzata su più numeri della testata mensile di Tex, poi arrivò la proposta da Sergio Bonelli (parliamo quindi di qualche tempo fa) di trasferire tutto sul Texone, occasione che ovviamente Villa non si fece sfuggire. Lungo la lavorazione del Texone per Villa ci fu del lavoro supplementare, oltre all'impegno per le copertine del mensile, si aggiunse quello delle cover della Collezione storica a colori allegata a Repubblica, un impegno non da poco che ha rallentato la realizzazione delle matite de L'inesorabile. Così, dopo anni di lavorazione, l'atteso Texone di Villa esce solo quest'anno, l'attesa però sembra più che ripagata.

Nonostante l'impegno principale di Villa negli ultimi anni sia stato quello di realizzare le copertine di Tex, illustrazioni di sicuro impatto ma in qualche modo statiche, lontane dall'arte dello storytelling necessario per costruire una narrazione fluida e dotata del giusto ritmo, sembra proprio che il disegnatore lombardo non abbia perso confidenza con le storie lunghe. Al suo servizio trova un'ottima sceneggiatura di Boselli che riprende un tema caro all'epopea del vecchio west, quello delle famiglie criminali, manipoli di tagliagole capeggiati magari da tre o quattro fratelli, uno più balordo dell'altro, in questo caso si tratta dei Logan, uno della loro stirpe, il finora scaltro Henry, sta per assaggiare l'esperienza della forca, controllato a vista dai tutori della legge di Tucson, Arizona. Questi uomini coraggiosi non basteranno a fermare la furia dei Logan, ed è qui che entrano in scena Tex e Carson per tentare di risistemare le cose.

Il Tex Willer di Villa è forse quello che più di tutti dà l'idea della forza, l'immagine dell'uomo granitico, inscalfibile e capace di porre rimedio a qualsiasi angheria. E così è tutto il Texone di Villa, un'opera che trasuda potenza da tutte le tavole, basti guardare nella seconda pagina la prima inquadratura sul volto dello sceriffo Tom Rupert che dà l'idea da subito di un uomo tutto d'un pezzo. Proprio sui volti Villa produce un lavoro egregio, su quello del giovane Steve traspare una nota fuori posto d'eccessiva sicurezza, Harry Logan ha l'aria del figlio di buona donna, Manuel Logan quella del viscido calcolatore e così via... La scansione della storia in vignette ha un passo molto dinamico, scorre che è un piacere, il lettore si trova catapultato in un'avventura insieme a quello che è il Tex che molti di noi hanno in mente quando si pensa al personaggio, quello di Villa, che insieme al suo creatore grafico Aurelio Galeppini è uno degli artisti che l'hanno ritratto più volte. Villa ci regala anche una versione imperiosa di Tiger Jack e un Kit Carson monumentale, figure leggendarie a loro agio sia tra gli spazi aperti del deserto che tra le assi di legno dei saloon più scalcagnati.

Ognuno poi giudicherà secondo il suo gusto, a mio avviso però oggi Tex è il Tex di Villa, la sua interpretazione è quella che aleggia nell'immaginario collettivo, vuoi per la maestria del disegnatore, vuoi perché centinaia di bellissime copertine hanno ridefinito i tratti del personaggio, fedeli all'idea creata da Galep ma indubbiamente più personali e moderni. Nel corso degli anni non tutti i Texoni sono riusciti a confermarsi indimenticabili, questa trentacinquesima uscita è sicuramente una di quelle da tenere da conto.


lunedì 15 luglio 2019

DOC!

(di Mauro Boselli e Laura Zuccheri, 2019)

Ci sono voluti trent'anni ma anche tra le pagine del Texone, la testata più prestigiosa e importante di casa Bonelli, arriva finalmente una donna a illustrare le avventure dei due pards più famosi del west. Per l'occasione lo sceneggiatore Mauro Boselli conduce la disegnatrice Laura Zuccheri e i lettori direttamente nelle terre del mito, coprotagonisti di questa vicenda sono infatti niente meno che Doc Holliday e la sua donna Big Nose Kate, inoltre diversi sono i rimandi alla storica sfida all'OK Corral che vide protagonisti i fratelli Earp. Pur dentro a quello che è uno degli episodi più noti ed emblematici della storia dell'ovest americano, a confronto con personaggi entrati nella leggenda, Tex Willer e Kit Carson sembrano ancora una spanna sopra tutti, per abilità, intelligenza e caratura morale... certo, ogni tanto un poco di debolezza e umanità anche da loro sarebbe lecito aspettarsela, ma Willer e Carson li scrivono così, c'è poco da fare, raddrizzatorti come questi ce ne sono pochi in giro.

Ma che genere di Texone è quello di quest'anno? Purtroppo questa testata era nata con intenzioni molto ambiziose che quasi da subito si sono dimostrate difficili da mantenere. L'idea di portare ogni anno a disegnare le avventure del portabandiera della Sergio Bonelli Editore un artista di grande caratura internazionale non sempre è stata realizzata nel concreto, questo non vuol certo dire che i Texoni in cui mancava la firma prestigiosa siano stati dei brutti Texoni, anzi, quasi mai è stato così, viene però spesso a mancare l'eccezionalità di vedere all'opera sul Tex nomi come quello di Magnus, di Jordi Bernet, di Joe Kubert o di Enrique Breccia e degli altri maestri che si sono cimentati nell'impresa (perché disegnare un Texone è una vera e propria impresa); senza nulla togliere alla Zuccheri che ha realizzato davvero un buon Texone, anche questa volta manca quello stile unico e riconoscibile di un maestro della nona arte, caratteristica che diverse volte in passato ha impreziosito le numerose pagine del Tex Speciale.

Laura Zuccheri fin dalle prime tavole si adatta alla sceneggiatura di Boselli ed entra anche lei nel mito: veduta sulla ghost town, cavalieri al tramonto con l'ultimo sole alle spalle che proietta le loro lunghe ombre, l'interno di un saloon scalcagnato e una serie di inquadrature molto riuscite. Qualche legnosità di troppo nelle prime pagine che si perde con l'arrivo di Willer e Carson, qualche volto non proprio riuscitissimo (espressioni quasi da horror), un paio di belle tavole in toni di grigio e una narrazione che tavola dopo tavola prende la giusta confidenza con l'ambiente e con i personaggi donando il giusto apporto a una storia che si legge con molto piacere. Probabilmente nel Texone di quest'anno la sceneggiatura eclissa un poco il lato artistico, e questo, per una collana nata con gli intenti del Texone, è comunque un problema, fermo restando che il risultato finale resta più che gradevole. Purtroppo Doc! non rimarrà tra i Texoni da ricordare.

Due parole sulla trama: alcuni esponenti del gruppo di fuorilegge noto semplicemente come "i cowboys" vengono fatti fuori; uno in particolare viene torturato e ucciso su una sedia da dentista, sfigurato con le attrezzature che quel genere di medico usava all'epoca per portare a termine i suoi interventi sui pazienti. Vista la sua ex professione e il risaputo odio che prova nei confronti dei cowboys, coinvolti nelle uccisioni dei fratelli Earp, suoi cari amici, i sospetti si indirizzano sul famoso Doc Holliday, ex dentista e tiratore quasi infallibile. Sulla vicenda vengono chiamati a indagare Tex Willer e Kit Carson che hanno qualche dubbio sull'effettivo coinvolgimento di Doc Holliday negli omicidi. C'è una buona sceneggiatura di Boselli, magari prevedibile sotto alcuni aspetti, che ha il merito di pescare episodi che hanno fatto l'epopea del west e piazzarci dentro i due Texas Ranger con molta naturalezza. Non male, però dal Texone ci si aspetta sempre più di questo. Per il capo d'opera aspettiamo ancora un altro anno.

venerdì 3 agosto 2018

I RANGERS DI FINNEGAN

(di Mauro Boselli e Majo, 2018)

Texone importante questo I rangers di Finnegan se non altro almeno in virtù del fatto che vede la luce nell'anno del trentesimo anniversario della collana, inaugurata nell'ormai lontano 1988. Come sempre più spesso accade anche quest'anno a illustrare l'albo più speciale e atteso del personaggio di punta della scuderia Bonelli è stato chiamato un artista italiano, l'ormai veterano Mario Rossi (quasi non ci si crede) a.k.a. Majo. Nonostante porti uno dei nomi più comuni in Italia, l'artista bresciano ribattezzatosi appunto Majo, emerge dall'anonimato già nei primi anni 90 partecipando al progetto Full Moon Project e, a seguire, unendosi a un gruppo di altri artisti nella realizzazione grafica delle avventure del Lazarus Ledd del mai troppo compianto Ade Capone, contribuendo poi a creare l'interessante serie fantascientifica Hammer. Da lì in avanti per il disegnatore si apriranno diverse strade che porteranno Majo a lavorare sia in Italia (Dampyr per Bonelli ad esempio) sia all'estero.

In questo trentatreesimo Texone il focus della vicenda è incentrato sul corpo dei Texas Rangers, quello di cui sono illustri esponenti proprio il duo di pards composto da Tex Willer e Kit Carson. In origine i Texas Rangers non erano un vero e proprio gruppo organizzato; la necessità di avere un manipolo di pistoleri capaci di difendere le terre del Texas nasceva nei primi decenni del 1800 quando le famiglie di coloni stanziatesi nella zona in numero sempre maggiore, iniziavano ad avere sempre più pressante la necessità di difendersi dalle varie tribù di pellerossa e dalle incursioni dei bandidos messicani. Da qui la designazione di un gruppo di uomini a guardia dei confini e delle proprietà dei coloni, gruppi all'inizio sparuti composti da uomini disordinati, spesso poco più che veri e propri farabutti senza onore, indisciplinati, violenti e inclini alla rissa, non proprio un corpo di polizia da guardare con rispetto e riverenza. Dalla loro prima apparizione e per almeno una quindicina d'anni i rangers del Texas furono un gruppo poco più che anarchico, sregolato, comunque utile alla bisogna per arginare le minacce incombenti dall'esterno dei territori di proprietà dei coloni. Solo nel 1838 la legge riconobbe l'ufficialità del corpo dei Texas Rangers che di lì in avanti prese via via un aspetto più istituzionale, organizzato in reggimenti e un pelo più incline a rispettare la legge e (forse e magari non sempre) anche la buona creanza.

Tre indiani di una tribù forestiera si avvicinano ai territori Navajo protetti da Aquila della Notte, nome indiano del Nostro Tex Willer. Sono il capo Pecos, il saggio Kwinhai e il giovane Tuwik, arrivati dai lontani territori dei Comanche per chiedere proprio l'aiuto di Aquila della Notte. Il piccolo manipolo di pellerossa racconta a Tex, Carson, Kit e Tiger Jack una storia dura da digerire per il gruppo di pards: un massacro di indiani innocenti, compresi donne e bambini, perpetrato proprio dal nobile corpo dei Texas Rangers. I quattro compagni sono propensi a pensare più a un'azione organizzata da qualche gruppo di comancheros, commercianti e contrabbandieri spesso in affari con gli stessi Comanche, ma i tre indiani ospiti dei Navajos si sentono di escludere questa ipotesi, convinti della colpevolezza dei rangers: chiedono così ad Aquila della Notte di portare a galla la verità sull'incresciosa faccenda, cosa che un uomo d'onore come Tex non può rifiutarsi di fare. Così Tex e Tiger si metteranno sulle tracce dei comancheros capitanati da Robledo indagando in quella direzione; Carson e Kit si recheranno ad Austin cercando di infiltrare il figlio di Tex tra le fila dei Rangers di Finnegan, un capo carismatico che si è guadagnato la fedeltà dei suoi uomini, qui cercheranno di capire se il manipolo locale dei Texas Rangers ha qualcosa da nascondere.

Mauro Boselli imbastisce una trama funzionale, molto classica e forse un pizzico troppo prevedibile, andando a confezionare l'ennesimo Texone riuscito che però farà fatica a farsi ricordare, perso tra altre prove, molte delle quali dello stesso Boselli, riuscite meglio di questa. Si segnala un'attenzione particolare per Kit Willer, messo sotto i riflettori più di altre volte, un buon incip d'azione in quel di Austin e la solita maestria nel confezionare una buona storia affidandosi al mestiere. L'apporto di Majo all'epopea texiana si rivela sicuramente apprezzabile anche se, pur offrendo una visione inedita del ranger, non lascia il lettore a bocca aperta per lo stupore. Nonostante il disegnatore non sia uso ai territori del western, Majo dimostra di trovarsi completamente a proprio agio tra i territori polverosi dell'Ovest americano, il suo west è impeccabile e si nota soprattutto il suo bel lavoro sugli scuri, sui notturni, meno interessante invece la caratterizzazione dei personaggi comunque in ogni caso resa in maniera sempre più che professionale. Insomma, anche I rangers di Finnegan si rivela un buon Texone, non proprio quell'uscita memorabile che ogni anno dal Texone ci piacerebbe aspettarci.

martedì 31 luglio 2018

KEN PARKER

1977, anno di fermenti, novità, movimenti, eventi; non tutti pacifici, non tutti piacevoli. Un’aria nuova si respirava un po’ in tutti gli aspetti del mondo culturale, così come rivendicazioni, agitazioni e ribellioni segnavano in maniera forte la scena politica e sociale italiana e mondiale. Nel bel mezzo di questo fervore spesso esasperato all'eccesso, anche la scena del fumetto internazionale si muoveva, proponeva vie nuove da testare e all'occorrenza seguire, non sempre vincenti, non tutte elettrizzanti, spesso originali e coraggiose. 

In America, ad esempio, le due più grandi case editrici di comics lanciavano due serie che vedevano protagonisti supereroi di colore: la Marvel Comics dedicava un albo personale al suo primo supereroe nero, Black Panther, nato sulle pagine della serie Fantastic Four già nel 1966 grazie alle menti inesauribili di Stan Lee e Jack Kirby, mentre la concorrente DC Comics dava il via libera al suo Fulmine Nero, creato da Tony Isabella, autore che già aveva lavorato sul Luke Cage di casa Marvel, altro eroe di colore proveniente dal quartiere di Harlem. Entrambe le serie non ebbero grande fortuna e chiusero i battenti abbastanza in fretta. Maggior successo arrise invece al western di Jonah Hex (DC Comics) che collezionò ben novantadue uscite… ma furono soprattutto diverse iniziative targate Marvel Comics a lasciare il segno, serie che gli appassionati del fumetto ricordano ancora oggi a distanza di quarant'anni. La prima è stata il fortunato adattamento del caso cinematografico dell’anno, la serie a fumetti dedicata a Star Wars: proseguì la sua corsa fino al settembre 1986 con centosette uscite all'attivo. Gli amanti del fantasy ricordano invece con indelebile affetto The Savage Sword of Conan e la versione del cimmero creato da Robert E. Howard disegnata dal grande John Buscema, una delle interpretazioni del personaggio più apprezzate di sempre insieme a quella del Conan di Barry Windsor Smith. In ambito supereroico fu ideata la serie What if?, una formula di successo che proponeva versioni alternative dell’universo e dei supereroi Marvel, andando a rispondere a quesiti ipotetici quali: Che cosa sarebbe successo se l’Uomo Ragno si fosse unito ai Fantastici Quattro? oppure, Che cosa sarebbe successo se Hulk avesse avuto il cervello di Bruce Banner?, o ancora, Cosa sarebbe successo se i Vendicatori non si fossero mai formati? e via di questo passo. 


In Inghilterra, figlio dei tempi, debuttava il violento e giustizialista Giudice Dredd insieme alla collana 2000AD, testata storica per il fumetto anglosassone che vide nascere sulle sue pagine alcuni dei maggiori talenti britannici poi emigrati nel mercato Statunitense. Nel dicembre del 1977 prendeva il via anche una delle più celebri e longeve produzioni indipendenti, quel Cerebus che il suo autore, Dave Sim, porterà avanti con successo e tutto da solo per ben trecento numeri, andando a creare un’opera intelligente, sferzante e critica verso diversi aspetti della società, mettendo al centro delle sue storie uno strambo oritteropo parlante che nasceva come caricatura di personaggi fantasy simili a Conan il barbaro per divenire nel corso degli anni qualcosa di unico e irripetibile. 

Sbarca in America la rivista francese Métal Hurlant, qui ribattezzata Heavy Metal, portando oltreoceano l’arte di geni creativi rivoluzionari come Moebius, Enki Bilal, Milo Manara e Tanino Liberatore solo per citarne alcuni. Impossibile qui menzionare cosa accadeva nel 1977 in tutti i mercati internazionali. Ricordiamo ancora che nemmeno il Giappone stava a guardare, proprio quell'anno esordivano due delle opere intramontabili del maestro nipponico Leiji Matsumoto, il celeberrimo Capitan Harlock e la sua serie gemella Galaxy Express 999. Insomma, nonostante la crisi e le chiusure di diverse testate, soprattutto per quel che riguarda il mercato americano, parecchio si muoveva e carne al fuoco ve n’era in abbondanza. 

Ma cosa succedeva in Italia in quel fatidico 1977? Impossibile non citare l’arrivo della Compagnia della Forca, serie ideata da Roberto Raviola in arte Magnus, ma soprattutto quello di uno dei personaggi più importanti e maturi del western nostrano: il Ken Parker di Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo. Montana, 29 dicembre 1868… è qui che inizia l’epopea di Lungo Fucile, al secolo Kenneth “Ken” Parker, una vicenda che se spesso risulterà moderna nella visione e nei contenuti, principia invece come una classicissima storia western. Ken Parker è un trapper che si guadagna da vivere cacciando sulle montagne del Montana, in seguito a una vendita portata a termine insieme al giovane fratello Bill, Ken viene attaccato e derubato da tre ignoti assalitori i quali, oltre a portarsi via il compenso del suo lavoro, uccidono e scalpano il giovane ragazzo. Se la vendetta è il più abusato dei motori per dare il via a una storia western, i due autori, Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo, che per la loro creazione si sono ispirati al Robert Redford di Corvo rosso non avrai il mio scalpo, ci fanno da subito sapere che il loro non sarà un personaggio giustizialista, accecato dalla sete di sangue, e che il loro west sarà molto più strutturato e stratificato sia rispetto a quello del cinema classico americano, che vedeva il cowboy o il militare buono da una parte e l’indiano crudele dall'altra, sia rispetto a quello violento, cinico e bastardo dello spaghetti western. Se vogliamo questo è il western dell’integrazione, che vede il diverso attraverso gli occhi del protagonista esattamente come in uno specchio; un uomo che guarda un altro uomo, a volte può vederci del buono, a volte ci vede il peggiore dei mali. Fin da subito infatti Ken Parker apprende, leggendo le tracce nella neve, come il lavoretto compiuto sul giovane fratello sia opera di tre uomini bianchi che cercano di spacciarsi per indiani. Inizia così una caccia che porterà il trapper nei territori dei Cheyenne, in un avamposto dell’esercito dove anche i tre assassini si sono rifugiati. Per scovarli, a Ken non resterà che arruolarsi e trasformarsi da trapper a scout dell’esercito degli Stati Uniti, mostrando da subito empatia e rispetto per il dignitoso popolo Cheyenne, odio per le prepotenze perpetrate dai suoi stessi commilitoni, e la predisposizione universale a incarnare un ideale di giustizia a spese di uomini bianchi, rossi, neri o gialli indistintamente, sempre con una malcelata avversione per gli inutili spargimenti di sangue. 

I temi presenti nelle pagine del fumetto sono un modo per narrare la società contemporanea: può sembrare scontato sottolineare come molte delle violenze subite dagli uomini bianchi siano state all'epoca, proprio come accade ancora oggi, provocate dal comportamento espansionista, scellerato e incurante degli stessi nei confronti delle popolazioni indigene, con la creazione delle riserve, l’approvvigionamento alle tribù indiane di carni marce e, nel passato più remoto, con la consapevole diffusione di malattie ed epidemie mortali (le famose coperte al vaiolo per esempio). Ken Parker, il personaggio, incarna una scelta morale, etica e politica, che pur luminosa ai nostri occhi, all'apparenza di una giustezza insindacabile, non manca di rovinare più e più volte nella polvere della sconfitta. Proprio per questo il protagonista e la sua scelta ci sembrano così vivi, così veri e sono stati capaci di calamitare su di loro le attenzioni di un pubblico fedele nonostante le avversità narrative ed editoriali che hanno strapazzato nel corso degli anni l’esistenza del nostro eroe. Ken Parker è a tutti gli effetti un ponte tra le culture, tra le razze, tra i generi, tra le minoranze, è l’esempio da seguire nelle situazioni difficili, anche quando sarebbe necessario mettere a repentaglio qualcosa di proprio per cercare di migliorare una situazione, per cercare una convivenza pacifica a vantaggio di tutti, esempio che proprio come accade nella realtà spesso è destinato a cadere nel vuoto. 

Ken Parker, forse più di tutto il resto, è anche la traslazione su carta delle personalità, delle inquietudini e dei dubbi dei suoi due autori, ancora giovani nel 1977, di conseguenza vivono sulla loro pelle tutte le tensioni che animavano un’Italia scossa da fortissime contrapposizioni. Se il protagonista è portatore di sogni e ideali che all'epoca si credeva ancora avrebbero potuto portare a un cambiamento positivo nell'immediato futuro, è anche un uomo che si scontra con problemi simili a quelli delle contemporaneità dei suoi autori. Dopo tante peripezie editoriali, la storia di Ken Parker andò a collidere con quella reale, nella famosa sequenza dello sciopero durante il quale Ken si troverà a togliere la vita a un poliziotto. Nella storia Berardi riversa la tensione e anche il dolore vissuti sulla pelle a causa di anni durissimi e violenti. In un secondo momento arriverà anche un epilogo, amaro e disilluso, e non potrebbe essere altrimenti… chiunque può capire il perché, hanno potuto capirlo i lettori di Ken Parker semplicemente alzando il naso dalle pagine di quell'ultima storia, ancora recente, e dando un occhiata al mondo, ai risultati prodotti dallo sbiadire degli ideali di più generazioni, dall'avanzare del progresso e dai nuovi asset di una società moderna dove ogni sogno e ogni valore sono svaniti… e tutto è indubbiamente molto triste. 

Ken Parker non è Tex Willer, un grande eroe ancorato all'idea del vecchio west. Ken Parker è un uomo di oggi, che è stato ferito da quel che il mondo è diventato, che non ha perso la speranza, che guarda avanti e cerca di fare la cosa giusta, un po’ come fanno tutti i giorni gli uomini integri, che non sono eroi… rimangono solo uomini onesti, coerenti con sé stessi. Sul versante grafico Ken Parker si fa forte delle matite del suo creatore Ivo Milazzo, aiutato nel corso degli anni da disegnatori oggi di indubbia fama come Alessandrini, Ambrosini, Maraffa e Trevisan tra gli altri. Nel dare un’impronta indelebile alla sua creazione, Milazzo realizza i disegni dei primi otto albi, andando solo in seguito ad alternarsi alle matite con i suoi colleghi. È un tratto efficace quello di Milazzo che si risolve in tavole pulite, dettagliate il giusto, con un uso calibrato dei neri, un segno capace con pochi tratti di rendere al meglio l’idea di un paesaggio innevato, del mare come del calore cocente del deserto. Uno stile destinato a evolvere nel corso del tempo, alla ricerca di una sintesi in un percorso assimilabile a quello fatto da altri grandi nomi del fumetto italiano… Hugo Pratt su tutti. Questa ricerca, questa voglia di nuovo, di libertà, ha portato il disegnatore, una volta terminata definitivamente l’avventura Ken Parker, a percorrere strade diverse dal suo amico e sodale Berardi che invece è rimasto affezionato a una concezione di fumetto più artigianale e popolare, creando per la stessa Bonelli (già editrice di Ken Parker quando ancora si chiamava Cepim) il personaggio della criminologa Julia dalle fattezze della splendida Audrey Hepburn. Le recenti ristampe della serie di Ken Parker, a opera di Panini Comics prima e di Mondadori poi (con ben due edizioni all'attivo, una più lussuosa e l’altra più economica), dimostrano quanto il personaggio sia ancora oggi moderno e appetibile ma, soprattutto, quanto gli appassionati siano ancora legati a un personaggio con pochi eguali nella storia del fumetto italiano. Probabilmente Lungo Fucile regalerà nel prossimo futuro ore piacevoli e momenti di riflessione ancora a qualche altra generazione.

lunedì 16 luglio 2018

DEADWOOD DICK

(di Joe R. Lansdale, Michele Masiero e Corrado Mastantuono)

Audace è un marchio prestigioso, un marchio che agli albori della Storia del fumetto nostrano contribuì a diffondere tra gli italiani la passione per la nona arte, un marchio al quale sono legati i prodromi della nascita della Bonelli, quella che ancor oggi è la più importante e popolare casa editrice di fumetti in Italia. L'Audace nasce nel 1934 come rivista della casa editrice SAEV, già dall'anno successivo inizierà a pubblicare fumetti presentando le avventure del Brick Bradford di William Ritt e Clarence Gray, il Broncho Bill di Harry O'Neill e Radio Patrol di Ed Sullivan e Charlie Schmidt; il pezzo forte era il Tarzan di Hal Foster. Con il passare del tempo altri grossi nomi si aggiungeranno alle pubblicazioni della rivista, primo fra tutti il celebre mago Mandrake. Negli anni successivi ai personaggi internazionali si uniscono sulle pagine della rivista lavori creati da autori italiani tra i quali spiccano Carlo Cossio e proprio Gianluigi Bonelli, il futuro papà di Tex Willer. Con l'imporsi dell'ideologia fascista il materiale italiano continuerà ad aumentare a discapito dei personaggi americani, sempre più opportunità si apriranno per gli artisti italiani, la rivista diventerà pressoché autarchica con la sola eccezione di qualche episodio di Popeye, qui ribattezzato Braccio di Ferro. In seguito, per una trentina di numeri, la rivista passerà sotto l'ègida della Mondadori, altri autori si uniranno al gruppo di creativi: Federico Pedrocchi, Rino Albertarelli, Angelo Bioletto e altri ancora. Purtroppo le restrizioni fasciste e i dettami del MinCulPop (Ministero della Cultura Popolare) scombinano le carte in tavola, le vendite scemano, la rivista torna alla SAEV che senza clamore reintroduce fumetti esteri, iniziando proprio dal Tarzan questa volta di Hogarth. Sotto mentite spoglie e attribuito ad autori italiani fa il suo esordio anche il Superman di Siegel e Schuster, ribattezzato Ciclone (solo in seguito sarà Nembo Kid). Negli anni 40, tra varie vicissitudini, L'Audace (ormai solo Audace) finirà nelle mani di Gianluigi Bonelli che trasformerà la rivista in albo aumentando le pagine per numero dedicate a ogni singolo personaggio. Sono questi i primi passi che porteranno alla nascita della Bonelli che oggi tutti noi conosciamo.


Tutta questa introduzione per dire cosa? Solo per dire che Audace è tornata, non come rivista ma come sottoetichetta della Sergio Bonelli Editore, una divisione matura che dovrebbe (se le dichiarazioni d'intenti verranno confermate) presentare fumetti nuovi, freschi, meno legati a quel concetto di avventura popolare che seppur ancora attiri molti lettori, ne tiene lontani altrettanti, lettori magari interessati a un approccio più moderno e stratificato al fumetto. Allora si aprono le danze con Deadwood Dick, personaggio ideato dallo scrittore texano Joe R. Lansdale ispirato a un cowboy realmente esistito, il primo protagonista western di colore della Bonelli che nei tratti ricorda moltissimo il Jamie Foxx del Django Unchained di Tarantino. Lansdale è uno scrittore dai toni pulp, qui tradotto in sceneggiatura da Michele Masiero, l'indole ruspante e genuina dell'autore è confermata anche nell'esordio di questo fumetto che sulla notevole copertina esibisce l'inusuale bollino (almeno in Bonelli) Contenuti espliciti. L'albo si apre con il protagonista inchiodato in "una cazzo di situazione", Dick parla direttamente al lettore e con un flashback provvidenziale inizia a raccontarci la sua storia che prima o poi, lo sappiamo, lo riporterà in quella cazzo di situazione. Il linguaggio è molto diretto, le situazioni anche: Dick è in procinto di arruolarsi nei Buffalo Soldiers, le truppe composte da negri dell'esercito dell'Unione, non per amor di Patria ma per sfuggire a un linciaggio potenziale per il solo motivo d'aver guardato troppo a lungo il culo d'una bella e invitante donna bianca. In un paio di vignette si assiste a un'immaginaria scena di sesso con posizioni e impeto che difficilmente potremmo vedere in un albo di Tex, anche dialoghi, scene e descrizioni sono sopra le righe: "D'altronde negro ci sono nato: nero come un buco di culo in una notte senza Luna, secondo la definizione di mio padre, non un grande poeta, lo ammetto". Lungo le sessantasei pagine di questo primo numero impariamo a conoscere un poco il suo protagonista, un buon diavolo sicuramente non avvantaggiato nella vita dal colore della sua pelle, un uomo capace di un'ironia a volte acuta, più spesso sbracata, che da subito non potrà che risultare accattivante. Conosceremo anche il suo compagno di viaggio, incontrato nel bel mezzo d'una profumata cagata all'aria aperta (anche questa scena abbastanza inedita per il fumetto popolare), altro nero di nome Cullen al quale il Nostro si guarderà bene dallo stringergli la mano, vista l'operazione appena terminata. A controbilanciare le sequenze più divertenti ci sono comunque tematiche serie: lo schiavismo, le conseguenze non sempre facili della liberazione (la fame, la perdita di ruoli), la violenza e la guerra.


Deadwood Dick sembra un miscuglio di temi molto ben bilanciati, resi su carta con maestria innegabile da un Corrado Mastantuono in splendida forma. Le tavole, graziate da un formato leggermente più grande del classico bonelliano, si fanno ammirare per la loro qualità media davvero alta superata inoltre da alcune vignette non ingabbiate dalla griglia rigida della pagina che si aprono su panoramiche di grandissimo fascino. Anche sulla confezione di questo numero d'esordio non c'è proprio nulla di cui potersi lamentare. Salutiamo allora con favore il ritorno del marchio Audace - tra l'altro Deadwood Dick è inserito nella collana (anche questa all'esordio) che richiama un altro nome illustre del fumetto italiano: Collana Orient Express - sperando che anche le prossime proposte Audace si avvaloreranno della stessa qualità di questo avvincente esordio.

giovedì 8 marzo 2018

IL MAGNIFICO FUORILEGGE

(di Mauro Boselli e Stefano Andreucci, 2017)

Con Il magnifico fuorilegge si giunge al termine della lunga carrellata sui Texoni finora prodotti dalla Sergio Bonelli Editore nel corso di questi trent'anni; il primo albo speciale, Tex il grande, risale infatti al 1988 e fu opera portata a termine dall'immarcescibile Claudio Nizzi con i disegni di Guido Buzzelli. Ne è passata di acqua sotto i ponti da allora, il Texone tuttavia gode ancora di buona salute grazie al fascino dei nomi di richiamo arruolati di volta in volta per prendersi cura della parte grafica dell'albo e grazie alle tavole giganti sempre di fortissimo impatto. Quest'anno si taglia l'importante traguardo dei 30 con l'uscita prossima ventura che salvo eccezioni dovrebbe cadere come al solito in Giugno.

A un passo dal trentesimo anniversario in Bonelli, grazie alla sceneggiatura dell'ormai veterano Boselli, si decide di ricorrere al flashback per narrare un'avventura giovanile di Tex ambientata all'epoca in cui il Nostro era ancora considerato dalle autorità un (magnifico) fuorilegge. A illustrarla viene chiamato Stefano Andreucci, autore già noto ai fan della Bonelli grazie ai suoi lavori su Dampyr e Zagor. Nonostante l'impeccabile lavoro portato a termine da Andreucci sulle tavole di questo Texone, a risaltare è proprio la decisione di portare sotto i riflettori un Tex giovane mai visto prima tra le pagine dell'albo gigante. L'occasione si presenta grazie a un bivacco, questa volta non ci sono nemici da affrontare, da ammazzare c'è solo il tempo, così Tex, davanti a un fuoco, racconta al suo pard Carson e al figlio Kit di quella volta in cui incontrò il giovane Will Kramer e tutta la feccia del villaggio di Robbers' Nest.

Forse non tutti sanno che... in origine Tex si fece una bella fama di fuorilegge in seguito alla sparatoria di Culver City, episodio scatenato dal desiderio di vendetta nato nel futuro ranger dopo l'omicidio del fratello Sam, è lo stesso Tex a raccontarci di come però la cosa fu usata da una manica di farabutti per addossare al giovane anche colpe a lui estranee, cosa che un caratterino difficile come quello di Tex non poteva di certo digerire. È proprio nel tentativo di porre rimedio a questo torto che la strada di Tex incontrerà quella del giovane Will Kramer, un buon diavolo, abile con la colt ma ancora immaturo e troppo desideroso di mettersi in mostra, e quella dei desperados di stanza a Robber's Nest, un vero covo di delinquenti dove regna un'anarchia controllata solo dai comandanti di due fazioni avverse, i loschi Schirmer e Mendoza.

È un'ottima sceneggiatura quella di Boselli che ci racconta le peripezie di un giovane Tex Willer per riabilitare almeno in parte il suo nome, Il magnifico fuorilegge è un racconto di stampo classico, dove risaltano valori come onore e amicizia ma dove aleggia anche l'ombra del tradimento. Andreucci disegna tavole spettacolari che donano a Tex un taglio molto moderno, la versione giovane del protagonista fa ben risaltare l'arroganza e la sicumera di un tipo duro in giovane età, le linee sicure richiamano alla mente anche un certo tipo di fumetto americano (mi vengono in mente i Kubert figli ad esempio), la scansione della narrazione risulta molto dinamica e c'è anche una buona varietà di tipi fisici, compresa una certa dimestichezza con la sensualità femminile. Si attende ora fiduciosi il Texone del trentesimo anniversario.


lunedì 1 gennaio 2018

FIRMA AWARDS 2017: SEGNALAZIONI FUMETTO

Ancor più dell'anno scorso mi risulta difficile proporre una classifica seria e ragionata sul quel che di meglio ha avuto da offrirci l'annata appena terminata per quel che riguarda il fumetto. Il mio definitivo allontanamento dal mondo delle fumetterie, dovuto a cause di forza maggiore ed economiche, ha ridotto le mie letture alla fruizione di fumetti reperibili nelle edicole e molto spesso di mero intrattenimento, a parte qualche sporadica eccezione, di grandi capolavori non se ne è vista nemmeno l'ombra, mi limiterò quindi a segnalare qualche serie che ho trovato piacevole e divertente e magari qualche volume che sono riuscito a recuperare qua e là, in realtà questi non sono più nemmeno dei veri awards, giusto qualche piccola segnalazione se qualcuno avesse qualche soldino da investire in qualche recupero sfizioso.

Mischiamo tutto insieme quindi, inediti, ristampe, vecchi recuperi, giusto così per far due chiacchiere, nessuna classifica quindi, segnalazioni in ordine casuale.


Il Texone: proposta inossidabile che continua a regalare soddisfazioni, se un poco vi piace il west, se amate l'avventura più classica, con il Texone difficilmente si cade male. Quest'anno poi ho avuto modo di recuperare i lavori sulla serie di gente come Carlos Gomez, Corrado Roi ed Enrique Breccia, c'è poco da discutere.

DC Universe Rebirth: questo albo speciale orchestrato dal guru di casa DC Geoff Johns rimescola per l'ennesima volta lo status quo dell'Universo Dc Comics, questa volta sembra farlo in maniera realmente rivoluzionaria, ancora una volta c'è Flash tra i protagonisti ma le implicazioni scaturite fuori da questo albo, ottimamente scritto, pregno di momenti davvero ben riusciti e con un colpo di scena da far tremare le gambe (rovinato dai numerosi spoiler in rete), sembrano davvero essere di quelle grosse. Un albo che effettivamente riesce a far nascere la voglia nel lettore di avere altro, peccato che poi le pubblicazioni Lion siano praticamente sparite dalle edicole e quindi niente... (o quasi).

Jessica Blandy: non male la riproposta nel Maxi Lanciostory e Skorpio di questo thriller francese con protagonista la sexy giornalista Jessica Blandy, matite non sempre eccezionali di Renaud ma lo scrittore Dufaux presenta delle buone sceneggiature intrise di intrighi e atmosfere malsane, un buon recupero.

        



Doctor Strange: tra le serie di casa Marvel più fresche e disimpegnate, puro divertimento in gran parte sregolato grazie alle matite di un incontenibile (a volte fino alla fatica) Chris Bachalo, il buon Dottore si ritrova protagonista nell'Universo Marvel in un susseguirsi di minacce capaci di minare alle fondamenta la stessa esistenza della magia. Un'occhiata laterale a un universo narrativo che ormai conosciamo fin troppo bene.

Franz: cito qui Franz perché è forse il lavoro di Altan che più mi ha divertito tra quelli riproposti dall'Editoriale Cosmo nella collana I Maestri del Fumetto, ma anche Ada nella giungla e Macao, come ogni singolo pagina pubblicata nei due volumi dedicati ad Altan, meritano la lettura, ho scoperto il genio di un autore che conoscevo solamente grazie alle sue vignette satiriche. Grandissima rivelazione.

Aliens Defiance: primo impatto per me con il mondo a fumetti dedicato al brand di Alien, i tipi della Saldapress portano in edicola del materiale legato al mondo creato da Ridley Scott al Cinema partendo da questa miniserie tutto sommato ben gestita e divertente. Per chi ama il brand ma anche solo la fantascienza questa miniserie potrebbe riservare qualche oretta di piacevole lettura.

        



Super Eroi Classic: iniziativa legata a diversi quotidiani che ha l'ambizione di ripresentare gran parte del materiale Marvel degli anni 60 (per ora) iniziando proprio dalle primissime storie dei più celebri personaggi della casa delle idee: una bella confezione per assaporare nuovamente (o anche per la prima volta) gli esordi dei Fantastici Quattro, dell'Uomo Ragno, di Iron Man, di Hulk, di Thor, di Devil e dei Vendicatori.

Le Storie: collana antologica di casa Bonelli che riserva sempre qualche piacevole sorpresa, tra alti e bassi comunque una serie che si segue sempre con un certo piacere.

Jonathan: difficile descrivere il lavoro di Cosey, un viaggio quasi spirituale che vale la pena di seguire, ristampato per pochi euro all'interno della Collana Avventura di Gazzetta dello sport. un recupero consigliatissimo vista anche la mole abbastanza ridotta del materiale da recuperare.

        



Alack Sinner: mai abbastanza grati all'Editoriale Cosmo per le sue riproposte, l'integrale dedicato alla creatura di Munoz e Sampayo è stata tra le migliori, peccato che abbiano preso una brutta piega nella gestione dei prezzi degli albi, cosa che mi ha spinto ad abbandonare molte loro proposte. Un vero peccato perché il materiale valido ce l'hanno.

Batman Rebirth: unica collana reperibile dalle mie parti del post Rebirth, Batman è sempre Batman, difficilmente delude e un giro tra le strade buie di Gotham o sui suoi tetti lo si fa sempre più che volentieri, tanto c'è il pipistrello a proteggerci. E ora ci sono anche Gotham e Gotham Girl...

Lazarus Ledd: speciale conclusivo della saga leddiana, portato a termine da Leo Ortolani dopo l'improvvisa morte di Ade Capone. Non un albo eccezionale ma un bel viaggio sul viale dei ricordi, ritrovare tutti quei personaggi dopo tanti anni di lontananza è stato un vero piacere.

domenica 10 dicembre 2017

CAPITAN JACK

(di Tito Faraci e Enrique Breccia, 2016)

Capitan Jack è il genere di Texone che personalmente vorrei sempre vedere in edicola, un'opera che travalica i confini nazionali, esula da tutto ciò che già è stato visto in casa Bonelli, un albo che propone in copertina il nome di un grande maestro del fumetto ma soprattutto presenta tavole al suo interno dalla personalità spiccata, insomma, traducendo in poche parole, è un Texone che ha il vero sapore dell'evento. Lasciamo perdere che la sceneggiatura di Tito Faraci qui non si avvicina nemmeno lontanamente all'essere una delle più interessanti o memorabili partorite per il più noto tra i ranger del Texas, la storia si lascia leggere, accompagna le tavole di Breccia senza particolari sussulti, ma non è questo un problema, certo una bella storia appassionante sarebbe stata meglio, ma di buone storie di Tex se ne trovano tutti i mesi nella serie regolare, nei volumi speciali e nelle varie ristampe dedicate al personaggio, qui è l'interpretazione che conta.

L'approccio di Enrique Breccia al Tex è più caricaturale e caricato di quello cui siamo abituati noi lettori, ciò nonostante il disegnatore argentino, figlio del grande Alberto Breccia, riesce a non togliere forza e ruvidezza al personaggio, anzi, dona a Tex uno sguardo duro e all'occasione il giusto ghigno beffardo. La prima tavola si apre con un campo lungo, vista dall'alto su un tipico ranch di coloni, la scena è osservata da quello che sembra l'occhio spettrale di un gufo, la tavola è armonica, i tantissimi brevi tratti ordinati segnano gli scuri delle vignette, i volti di Elizabeth e di suo padre sono carichi, i nasi accentuati, i tratti forti, Breccia si sofferma sui dettagli del paesaggio, piccoli animali, in vignette d'attesa che dettano i tempi, c'è una grandissima capacità di sguardo, tanto dinamismo, volti ed espressioni magnifiche. Tex compare per la prima volta in questo albo mostrandosi in una vignetta di profilo, massiccio, mento pronunciato, naso aquilino, in tutto il suo vigore, le dinamiche di Breccia sembrano nate per il cinema, angolature molto varie, avanzi da galera della peggior specie, sequenze movimentate, una maestria degna di un grande nell'illustrare la notte, i boschi, le inquadrature strette sulle mani, sugli oggetti, sulle bestie.


In alcuni flashback Breccia cambia tecnica, alleggerisce il tratto, elimina i neri pieni continuando a tenere un altissimo livello di dettaglio, regalandoci tutto il dinamismo di una stampede, il furore delle battaglie, la bellezza della natura, tavole dal sapore più sognante, altre più cruente e terrene. Davvero uno dei pochi casi dove una storia non così memorabile non va a inficiare il lavoro di una artista così personale e riconoscibile. A mio modo di vedere uno dei Texoni più interessanti in assoluto, almeno per quel che concerne il reparto grafico, peccato non sia possibile ogni anno ammirare un'interpretazione del Tex così originale.

venerdì 10 novembre 2017

DRAGONERO ADVENTURES

(di Luca Enoch, Stefano Vietti e Riccardo Crosa, 2017)

È da diverso tempo che la Sergio Bonelli Editore sta diversificando le proprie proposte, muovendosi tra l'avventura classica, le edizioni in allegato ai quotidiani, i libri per fumetteria e librerie di varia, nuovi formati sfruttando la grossa spinta del colore ed esperimenti di vario altro genere, mi vengono in mente la serie The Editor Is In o il film Monolith, giusto per citarne un paio. Si vociferava da tempo di alcuni progetti dedicati alle fasce d'età più giovani, a un pubblico decisamente meno maturo rispetto al classico lettore potenziale di Tex o di Dylan Dog per esempio. Si è partiti alla chetichella con la strip Bonelli Kids proposta su Facebook e poi sullo stesso sito della SBE, esperimento simpatico ma dagli esiti non così riusciti, sia io che mia figlia Laura abbiamo perso presto l'abitudine di andare a guardarci la strip nuova, dopo un iniziale interesse creato soprattutto dalla novità. Sembra che la versione Kids dei più famosi personaggi di casa Bonelli approderà comunque su carta in un futuro progetto, staremo a vedere cosa succederà. Si è poi parlato parecchio della nuova serie ideata da Roberto Recchioni e che sarà rivolta ai bambini/ragazzi, 4 Hoods, probabilmente una sorta di parodia degli archetipi del racconto fantasy. Intanto la prima vera uscita su carta della nuova linea young della Bonelli è stata proprio Dragonero Adventures ad opera di Luca Enoch e Stefano Vietti.

Il prodotto sembra ben confezionato e a partire dal suo aspetto sembra essere stato pensato proprio per i bambini, approccio sicuramente lodevole ma soprattutto utile alla causa del fumetto che in qualche modo, se vuole sopravvivere a tutta la concorrenza tecnologica che gli si para di fronte, deve necessariamente intercettare nuove fasce di pubblico, ovviamente questo pubblico non può che essere quello giovane. Il formato è un pelo più grande del classico bonelliano, l'albo è uno spillato di 64 pp. tutte a colori stampato su carta lucida a un prezzo di 3,50 euro. Guardando la qualità dell'offerta, tralasciando al momento i contenuti, vista soprattutto la bella resa del colore sul tipo di carta scelta, il rapporto qualità/prezzo non sembra male, inoltre l'albo anche sotto l'aspetto redazionale e di presentazione sembra studiato per i giovanissimi: nessun riferimento al Dragonero ufficiale in bianco e nero, un'introduzione molto semplice e via subito nel vivo della vicenda.

La prima reazione di mia figlia alla vista del disegno e dei colori è stata di entusiasmo, durante la lettura di questo primo numero Laura ha espresso più volte apprezzamento per la parte grafica dell'albo, merito soprattutto dei bei colori vivi e nitidi di Paolo Francescutto, le matite di Crosa sono perfette per un target giovanile, dettagliate e professionali con una bella cura nella realizzazione delle ambientazioni, cosa non poi così scontata. Esteticamente non si può dir nulla, Dragonero Adventures, è un bel prodotto. La storia di Enoch ha tutti gli elementi giusti per poter piacere al pubblico a cui è rivolto e risultare una lettura piacevole anche per i genitori che magari vogliono leggere qualcosa insieme ai figli, in quest'ottica l'albo si rivela più che adeguato, i ragazzi possono identificarsi con il giovane Ian, le ragazze con Myrva, la sorella di Ian, e tutti possono apprezzare il lato più scanzonato dell'orco Gmor. Dentro c'è il rapporto tra fratelli, ci sono l'amicizia e i legami familiari, ovviamente tanta avventura, i momenti divertenti, il malvagio di turno e un impianto da cerca fantasy che può appassionare più di un lettore dell'età giusta. Se come ha detto Alfredo Castelli a Lucca parlando dei Bonelli Kids e iniziative simili, questo tipo di prodotti deve essere propedeutico alla lettura, a mio avviso con Dragonero Adventures al momento il bersaglio è stato centrato.

PS: unico appunto di Laura su Gmor: ma chi è questo? Il figlio di Hulk? (effettivamente è uguale a Skaar, e mia figlia Skaar nemmeno lo conosce). Mi sembra che Laura non abbia tutti i torti.

Myrva, Ian e Gmor

sabato 30 settembre 2017

UN VAMPIRO A NEW YORK

(di Alfredo Castelli e Franco Bignotti)

Nei numeri tredici e quattordici della serie dedicata a Martin Mystère, (Un vampiro a New York e La maledizione) si accantonano temporaneamente i grandi enigmi della storia per dedicarsi a una delle figure principe della letteratura e del cinema gotico e horror: parliamo ovviamente del vampiro.

Dopo una sorta di spiegazione scientifica del fenomeno del vampirismo, legata ai sintomi della malattia della rabbia, è l'ispettore Travis a farla da padrone nella prima parte della storia. Dopo essersi consultato con l'amico Martin proprio sull'argomento vampiri, genere di cose che solitamente esulano dal campo d'interesse del concreto poliziotto, Travis torna a occuparsi dell'indagine che sta riempiendo le sue giornate, quella su un assassino seriale ribattezzato l'assassino del pugnale. Però l'interesse quasi maniacale di Travis per la figura del vampiro fa nascere più di un sospetto all'interno del piccolo gruppo composto da Martin, Java e Diana.

La figura del vampiro viene qui descritta da Castelli in maniera più umana e scientifica rispetto a quanto siamo abituati a vedere a proposito di questo tema, crisi d'astinenza, impulsi incontrollabili completamente slegati da qualsivoglia moto di malvagità e sopraffazione, a parte l'argomento trattato la costruzione di questo dittico di storie è abbastanza canonico, rientra nel genere del racconto d'investigazione con alcune immancabili sequenze d'azione, come affermato dallo stesso Castelli nei redazionali dell'albo, vengono accantonate per un paio di mesi quelle che sono le caratteristiche fondanti della serie di Martin Mystère per avvicinarsi un po' di più ad atmosfere che, seppur ripulite, sembrerebbero più adatte al collega Dylan Dog.

Onestamente una coppia d'albi tra i meno interessanti prodotti fino a questo punto per la serie, privi di spunti di interesse realmente degni di nota, anche il lavoro di Bignotti si assesta in una medietà poco entusiasmante, personalmente non amo in modo particolare le tavole di questo disegnatore che, seppur spesso abbastanza adeguate, non colpiscono il mio interesse né lasciano il segno. C'è poco da aggiungere per questa sortita nel mondo del detective dell'impossibile, ancora una volta non si può fare a meno di notare come alcune cose del buon vecchio zio Marty siano implacabilmente invecchiate con il passare degli anni.


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