mercoledì 29 giugno 2011

UNA VISITA A: VENARIA REALE

Qualche giorno fa si è deciso di fare un giro alla Reggia di Venaria Reale. Eravamo curiosi e, consci di non aver scelto la giornata più propizia per il nostro giro, ci siamo mossi lo stesso.
Pioggia e schiarite, pioggia e schiarite ma più che altro pioggia. Tutti quei giardini all’aperto, ma sì che si fa lo stesso.
Insomma si arriva in loco, in settimana il parcheggio è gratuito e abbastanza comodo per raggiungere la reggia. Percorrendo un piccolo viale si sbuca sulla Piazza della Repubblica dove si trova l’ingresso del palazzo.

L’aria che si respira è di grandezza europea, un colpo d’occhio bellissimo di fronte al quale non si può fare a meno di chiedersi come sia stato possibile abbandonare all’incuria e al disfacimento questo patrimonio italiano per tutto questo tempo.

Di fronte la facciata della reggia e le scuderie Juvarriane, sulla destra il porticato che divide la piazza dall’altro piazzale, quello delle fontane e dai giardini di Venaria. Sulla sinistra il recuperato borgo antico, un gran lavoro di recupero non c’è che dire.

All’interno della Reggia purtroppo non vi sono più arredi, tutto è andato perso o venduto negli anni della decadenza, nelle stanze è presente un nuovo allestimento che ripercorre la dinastia Sabauda e la storia del complesso, ci sono quadri, video, ricostruzioni della vita d’epoca e quant’altro.
E’ possibile ancora vedere almeno un paio di sale che ricordano antichi splendori, bellissima la galleria grande.

La parte più interessante è la visita alla mostra La bella Italia sita nelle scuderie, una visita strutturata partendo dalle principali città italiane che offre opere d’arte di artisti importanti quali Hayez (con Il bacio), Canaletto, Tiziano, Guido Reni, Vanvittelli, Rubens, Tiepolo, Canova, Bellotto, Leonardo e altro ancora. Da non perdere.

Caratteristico anche il Borgo Antico, una vecchia strada con relativa piazza dove sono sorte alcune botteghe, bar e qualche ristorante.


L’impressione è quella di un piccolo mondo a parte. Unica delusione, complice forse la cattiva giornata, sono stati i giardini. All’apparenza poco curati e spogli, privi di un servizio navetta o di personale incaricato di dare qualche informazione ai turisti. La distanza e la pioggia ci hanno scoraggiati dall’arrivare all’altro capo dei giardini dove dovrebbe trovarsi il pezzo forte all’aria aperta: il Potager Royale. Magari sarà per la prossima volta.

PS: Le foto le ho fatte io, per vedere quelle decenti visitate il sito ufficiale (link in alto).

martedì 28 giugno 2011

CARS 2

(di Brad Lewis e John Lasseter, 2011) 

Sembra ormai una tendenza progressiva senza soluzione di continuità. Pixar da una parte e bambini dall’altra. Questa volta con l’aggravante di non avere nemmeno realizzato un grande film d’animazione per adulti. Per carità, la tecnica c’è, soprattutto per quel che riguarda le scenografie, le ambientazioni e il design dei personaggi. Ma nel complesso questo Cars 2 è un passo avanti o un passo indietro rispetto al primo episodio della saga? Il punto è questo: i protagonisti di Cars vengono proiettati all’interno di una spy-story troppo complicata per i bambini e non così interessante per gli adulti. Forse gode di un ritmo maggiore rispetto al primo episodio che nella parte centrale avevo trovato un po’ lento, si perde però in questo plot assolutamente troppo complicato per i più piccoli. La prima sequenza, comunque riuscita e divertente, riprende le scene d’apertura tutte action dei vari film di James Bond. L’auto segreta Finn McMissile sta cercando informazioni su una particolare telecamera nel bel mezzo dell’oceano su un complesso di piattaforme petrolifere. Nel frattempo un difensore dei combustibili ecologici organizza una competizione strutturata su tre gare dove le auto gareggeranno solo grazie a energia pulita. Saetta McQueen accompagnato dal suo amico Carl Attrezzi accetterà la sfida così come farà Francesco Bernoulli, l’auto del momento, una F1 di origini italiane.
   
Sorvoliamo sul fatto che l’auto italiana venga doppiata con accento napoletano, quasi fosse un obbligo bandire le cadenze neutre quando nei film stranieri ci sono protagonisti italiani (e io tra l’altro ho pure origini napoletane e amo il suono di quel dialetto, però...) La spy-story si ingarbuglia e Carl Attrezzi viene scambiato da Finn e dall'agente Holley Shiftwell per una spia alleata in possesso di preziose informazioni. Tra complotti con in ballo interessi economici legati al petrolio, equivoci, incidenti sospetti sui tracciati della competizione e scene d'azione le due trame (le corse e le spie) si incrociano. La trama spionistica prende il sopravvento anche sull'amicizia tra Carl (vero protagonista di questo episodio) e Saetta, Cars si rivela essere un brand più debole (o peggio gestito) rispetto ad altri prodotti targati Pixar, colosso dell'animazione che però dovrebbe cominciare a dare un occhio più attento a cosa combina la concorrenza che almeno quest'anno supera questo Cars 2 sul rettilineo finale.
   

lunedì 27 giugno 2011

L’ERBA DEL VICINO E’ SEMPRE PIU’ VERDE

(The grass is greener di Stanley Donen, 1960)

Quando le commedie romantiche si giravano con garbo, ironia e godevano dell’interpretazione di grandi attori. Si fa ancora così? Forse si, sarà che ci troviamo di fronte a quello che non è il mio genere d’elezione però raramente rimango soddisfatto dalle commedie moderne.
Devo ammettere che preferisco di gran lunga i drammi, magari la colpa è anche un poco mia.

Da dove partiamo? Partiamo da Stanley Donen. Noto principalmente per le sue commedie musicali, il regista è sinonimo di garanzia. Firma con Gene Kelly Un giorno a New York e il bellissimo Cantando sotto la pioggia, suoi anche i successi Sette spose per sette fratelli, Arabesque e Sciarada.

In questa pellicola il regista mette in scena due star del calibro di Cary Grant e Robert Mitchum. Proprio il confronto tra questi due attori risulta essere l’elemento di maggior interesse del film. Le due attrici, Deborah Kerr e Jean Simmons, soccombono alla bravura dei due protagonisti maschili.

E’ un periodo di magra per i coniugi Ryhall (Grant e Kerr), la loro nobile famiglia inglese non naviga nell’oro e così alla coppia non resta che aprire al pubblico la loro bellissima residenza.
Proprio in una di queste visite il signor Delacro (Mitchum) entra apparentemente per errore nelle stanze private dei coniugi e vi incontra la signora Ryhall. Da qui inizia una corte serrata dell’uomo nei confronti della padrona di casa.

Una bella sferzata di vita in un menage matrimoniale ormai stanco, la signora Kerr si mostra infastidita ma anche lusingata, Delacro insiste e Victor (nome del signor Ryhall) subodora qualcosa.

Insomma, il giorno seguente la signora Ryhall con una scusa si reca a Londra e vi incontra proprio Charles Delacro. Victor capisce di rischiare di perdere sua moglie ed escogita un piano per correre ai ripari.

Trama che più lineare non si può, attori in stato di grazia, scambi di battute ironici e pungenti e qualche momento in cui si osa qualcosa che all’epoca non era così scontato.
Nella sequenza londinese vengono inquadrati vari luoghi nei quali i due nuovi amici potrebbero trovarsi e inevitabilmente il regista ce li mostra vuoti.
Si finisce nella camera d'albergo del signor Delacro ma prima che la telecamera riesca ad entrarvi la porta si chiude. Non si mostra ovviamente nulla ma il regista ci dice chiaramente cosa sta succedendo.

Come già detto restano impagabili i duetti Grant/Mitchum, le scenografie ci riportano indietro nel tempo e si assapora al meglio quella che è una delle magie del cinema: il salto nel tempo e nello spazio.

E pensare che questa (forse) non è neanche una delle migliori commedie del periodo.

venerdì 24 giugno 2011

GP COMICS

Questo articolo è stato scritto per il sito fumettidicarta (e relativo blog)

Oltre a essere un appassionato di fumetto sono da sempre un grande amante della lettura in senso più ampio. Da qualche anno ormai sono anche papà di una bimba alla quale sto cercando di trasmettere l’amore per le storie e per i libri.

Poteva quindi mancare l’occasione per leggere alla mia piccola qualche bel fumetto? La risposta, come avrete potuto intuire da soli, è ovviamente no.

Di conseguenza non ci siamo fatti sfuggire l’occasione di dare un’occhiata alla nuova collana da edicola della GP Comics: GP Twilight che presenta racconti ispirati ai maggiori successi della Dreamworks.

Al momento sono disponibili già quattro uscite due delle quali hanno come protagonista il supervillain Megamind e due l’orco puzzone noto a tutti come Shrek.

La proposta è rivolta a un pubblico di bambini o giovani ragazzini e questo breve scritto potrà interessare prevalentemente i più giovani o i genitori in cerca di letture da fare insieme ai propri figli.

Per i lettori di comics o fumetto d’autore duri e puri… non so, forse se siete degli irriducibili fan dei personaggi targati Dreamworks.

La confezione è ben curata, oltreoceano la licenza di questi popolari brand ai quali (forse) in futuro potrebbero affiancarsi i protagonisti di Kung Fu Panda e altro ancora, è affidata alla Wildstorm Productions, le potenzialità quindi non mancano di certo.

Qui in Italia la GP propone queste storie in un albetto mensile di 48 pp. colore al prezzo di 3 euro.

Mensile che poi proprio mensile non è, il primo numero è del Gennaio 2011 e ora siamo al quarto, poco male comunque. Negli albi si alternano storie più corpose a storielle d’appendice più brevi.

Per il numero d’esordio e il successivo la scelta è caduta su Megamind.

Nel numero uno potremo assistere all’Esperienza Megamind, un lungo reportage di quelle che sono state (a detta del cattivo con la testa blu) le sue più grandi vittorie ai danni di Metroman, protettore di Metro City (in realtà sono sonore batoste). Imprese tutte caratterizzate dal rapimento della bella giornalista Roxanne Ritchi, emulo della più famosa Lois Lane. In appendice l’evoluzione di Minion, pesciolino con corpo da gorilla, grande amico e aiutante di Megamind.

Le due storie del secondo numero sono ambientate in fasi diverse della vita del nostro testone blu.

Nella prima vedremo Megamind e Minion alle prese con il ballo di fine anno del liceo, liceo frequentato ovviamente anche da Roxanne e da Metroman. La seconda narra vicende ambientate dopo la conversione di Megamind a nuovo protettore di Metro City. Proprio così, in fondo dietro questa coppia di criminali si nascondono due anime molto gentili.

Le storie sono divertenti, adatte ai bambini come si diceva prima, il primo episodio che forse risulta essere anche il più riuscito è scritto da Joe Kelly, autore noto ai fan dei comics, la parte grafica prevalentemente in stile cartoon è a opera di una squadra di disegnatori proveniente da Dreamworks e Wildstorm che riesce a portare a casa un risultato adeguato al tipo di storie proposte.

Passiamo a Shrek al quale dovrebbe essere dedicato anche il prossimo numero (mentre per il sesto è stato annunciato il ritorno di Megamind).

Pur non nutrendo più una particolare simpatia per l’orco (mi ha un po’ stancato) devo dire che i numeri dedicati a questo personaggio sono riusciti anche meglio dei primi.

Lo stile è maggiormente fiabesco come si addice alle atmosfere legate a questi personaggi, i disegni di conseguenza più morbidi, caratterizzati da grande pulizia e tratti molto netti (come nella storia d’appendice dedicata a Zenzy ad esempio).

Le storie sono davvero simpatiche, personaggi come Ciuchino e il Gatto con gli stivali contribuiscono con la loro verve al divertimento dei piccoli. Ai testi e ai disegni si alternano una serie di autori sempre in grado di confezionare un prodotto dignitoso. Decisamente buone anche le cover dei due albi.

C’era una volta nel regno di Molto, molto lontano… un ometto di nome Tremotino che, per dar vita a una vendetta per questioni che non sto qui a spiegarvi, decide di rovinare la vita a Shrek sfoggiando l’arte del fallimento reiterato. E ancora una nuova versione della fiaba del pifferaio magico e una storia dedicata a Zenzy, il biscotto di pan di zenzero.

Nel secondo numero Shrek e Ciuchino si trovano invischiati all’interno di una storia che omaggia per molti versi La fabbrica di cioccolato con l’unica differenza che qui si tratta di una fabbrica di cereali e che i visitatori vengono trasformati in sorpresine. Poteva mancare la foresta infestata? No, c’è anche quella. C’è il drago e ci sono gli elementi noti ai fan del mondo dell’orco puzzone.

In conclusione ci troviamo di fronte a dei buoni prodotti, e lo dico ancora una volta, rivolti a un pubblico di bambini.

Ma in fondo che cosa siamo tutti noi?

mercoledì 22 giugno 2011

AMERICAN SPLENDOR

(di Shari Springer Berman e Robert Pulcini, 2003) 

American Splendor è l’incrocio di più arti con la vita vera, è fumetto, è cinema, è in parte documentario e totalmente biografia, accenna a teatro e televisione, mette in contrapposizione lo spettacolo per il grande pubblico con la più genuina cultura underground. Quasi dimenticavo: è anche un ottimo film. Un film in cui l’accavallarsi dei sopra citati veicoli culturali è pressoché continuo e nonostante tutto è cinema al 100%. American Splendor è la vita di Harvey Pekar, uomo comune, rappresentante della classe proletaria in quel di Cleveland, un lavoro da archivista in ospedale, tendenza al pessimismo. Fin dalla sequenza iniziale Harvey mette le cose in chiaro, lui non è speciale, è solo Harvey, uno del vicinato. Questa mentalità sarà la linea portante della sua arte e ciò che lo porterà al successo come fumettista della scena underground. Harvey non è nel suo periodo migliore, disturbi alle corde vocali, vita monotona, la moglie lo lascia, lavoro ripetitivo e cose del genere. Colleziona dischi e fumetti, gira per le strade di Cleveland e sopravvive. Un giorno l’incontro con Robert Crumb, aspirante fumettista che sta tentando di farsi largo nella scena underground. Harvey vede i suoi lavori e ne rimane entusiasmato. Nascono così un’amicizia e una determinazione nel creare qualcosa per dare un senso alla propria vita. Anche Harvey comincerà a scrivere fumetti (di disegnarli non se ne parla) proponendo una trasposizione della sua vita, la vita di un uomo comune, i piccoli inconvenienti di tutti i giorni, le piccole brutture, i vicini di casa, i colleghi strambi o nerd, le chiavi di casa dimenticate per l’ennesima volta e cose del genere, senza indulgere in falsi aggiustamenti. Ironicamente il racconto di queste quotidiane miserie andrà sotto il nome di American Splendor, garantendo ad Harvey Pekar una certa popolarità portandolo a contatto con realtà decisamente distanti dalla sua come quella del David Letterman Show e a un duraturo matrimonio con Hope Davis. Nonostante questo Harvey continuerà a lavorare in ospedale, la sua vita avrà alti e bassi, avrà delle soddisfazioni e affronterà la malattia. Verrà riconosciuto come un importante esponente del fumetto indipendente americano. Quello che rende il film ancora più interessante è la scelta stilistica dei registi e dello stesso Pekar. Le immagini spesso sono incorniciate dalle classiche tavole dei comics, alla narrazione cinematografica si sovrappongono le didascalie del fumetto, in alcune sequenze sono addirittura presenti i personaggi cartacei a interagire con gli interpreti della pellicola. Cinema e fumetto a braccetto, ma non solo. Si accavallano anche protagonista e interprete. Pekar è un efficacissimo Paul Giamatti, splendido nell’interpretazione dell’icona proletaria. Ma Pekar è anche e soprattutto Harvey Pekar che compare in prima persona in molte scene del film e in alcune immagini di repertorio (quelle al David Letterman). C’è anche un attore che interpreta a teatro la parte che Giamatti interpreta nel film che è interpretata anche da Pekar che interpreta Harvey Pekar. Insomma ci siamo capiti. Originale, interessante, anche commovente se vogliamo. Gli appassionati di comics non devono lasciarselo scappare, a tutti gli altri comunque consigliatissimo. Dedico questo post all'amico Urz che mi ha consigliato il film e che sospetto aspetti con curiosità queste righe.

martedì 21 giugno 2011

NOSTALGIA 7: LE FIGU

Ah, le figu, come le chiamavamo noi. Probabilmente anche i ragazzini di oggi chiamano le figurine adesive figu. Ma anche no magari, perché l'album delle figurine ha il sapore di passatempo d'altri tempi e quantomeno dubito che i ragazzini di oggi le figu se le giochino a numero più alto o a colletto o alla lunga. Non so se mi spiego, in caso negativo ditemelo e provvederò a farlo meglio. Magari siete troppo giovani (o anche troppo vecchi) o semplicemente in altre zone usavano giochi diversi o ancor più semplicemente nomi diversi. Chi non ha mai fatto l'album dei calciatori Panini? E si diceva proprio fare l'album. Non la raccolta, non la collezione. Faccio l'album dei calciatori, neanche fossimo galline che fanno l'uovo. Poi ricordo quello dei paninari, un album tamarrissimo. Quelli degli animali, quelli sulla geografia, quelli dei cartoni animati. Le mie prime card, sulla Formula 1 se non ricordo male. Ora con mia figlia (io la uso sempre come scusa ma va da sé che mi diverto un sacco anche io) stiamo facendo l'album dei cucciolotti e quello della Pixar/Esselunga. Che figo! Certo che ste figu costano.

venerdì 17 giugno 2011

BACK TO THE PAST: 1971 PT. 1

Nella compilazione della tracklist dell'annata 1971 ho avuto qualche difficoltà a ottenere una divisione per generi omogenei. Navigheremo quindi un po' a vista, inevitabile aprire con uno dei pezzi più celebri di tutti i tempi. Nel 1971 a Beatles ormai sciolti, John Lennon crea quello che sarà uno dei brani più conosciuti e popolari anche ai giorni nostri. Accostato da sempre a movimenti pacifisti, il messaggio lasciato da Imagine, come possiamo constatare tutti i giorni, è rimasto purtroppo inascoltato.



Passiamo a un altro tipo di pop-music. Simili a prima vista alla Jackson Family, il gruppo The Osmonds, composto anche questo da numerosi fratelli, arriva in cima alle classifiche a cavallo tra '70 e '71 con il pezzo One Bad Apple. Il compositore del brano che curiosamente di cognome fa proprio Jackson, scrisse il pezzo ispirandosi alla musica dei Jackson Five.



Carole King, più celebre come songwriter che non come interprete, vanta un numero incredibile di pezzi da classifica. Il suo album Tapestry dal quale è tratta questa I feel the Earth move, è andato in cima alle classifiche U.S.A. rimanendo nei paini alti per 15 settimane. Ha impiegato più di sei anni a uscirne.



Nota per essere stata inserita da Quentin Tarantino nella colonna sonora di Pulp Fiction, la canzone Let's stay togheter di Al Green risale proprio al 1971. Successo immediato, gode anche di una celebre versione successiva a opera di Tina Turner.

mercoledì 15 giugno 2011

VISIONI 21

Torno dopo qualche tempo a postare alcuni tra i miei soggetti preferiti. Le aree urbane, le strade, paesaggi statunitensi dai quali vengo immediatamente attratto, colpa (o merito) presumibilmente di tanto cinema americano.

Come si fa, guardando le opere di Robert Bechtle, a non pensare a Steve McQueen alla guida della sua Mustang in Bullit o a La donna che visse due volte di Hitchcock.

Bechtle è considerato uno dei primi iperrealisti statunitensi, originario della zona di San Francisco farà proprio di questa città, delle sue strade, delle sue auto, la sua primaria fonte d'ispirazione.

In rete non ho trovato un sito di riferimento dell'autore da segnalarvi, gironzolate per il web e troverete molte validissime opere di questo artista.

Ve ne propongo qualcuna:

Frisco Nova

Portrero intersection. 20th and Arkansas

'46 Chevy

'60 Chevies

'61 Pontiac

Foster's Freeze

Vincente Avenue Intersection

martedì 14 giugno 2011

PULSANTI

Questo post nasce dalla necessità di trovare una risposta a una domanda. Non parliamo di grandi domande e tanto meno di massimi sistemi. Come avete potuto notare da qualche giorno ho inserito sul blog i pulsanti di condivisione e il tasto +1 di Google che vanno ad affiancare (o almeno dovrebbero) l'iconcina di Wikio già presente da qualche tempo. I pulsanti di condivisione dovrebbero permettervi di postare i contenuti di questo blog che vi interessano particolarmente su Facebook, Twitter, altri blog o inviarli via mail. Il tasto +1 dovrebbe dare maggiore visibilità alle pagine di questo blog che ritenete interessanti sul motore di ricerca di Google. Se qualcosa davvero vi piace, dateci un click e vedremo se funziona davvero (io cercherò di farlo con altri blog). Il tasto di Wikio dovrebbe fare la stessa cosa per il circuito omonimo (cliccate anche lì :). Ora la domanda è: qualcuno mi sa dire come allineare il tasto Wikio a quelli di condivisione? Per carità funziona tutto lo stesso ma il mio occhio gradirebbe vederli allineati. Ho fatto varie prove tramite istruzioni trovate sul web ma niente. Idee?

lunedì 13 giugno 2011

PIOVONO POLPETTE

(Cloudy with a chance of meatball di Phil Lord e Chris Miller, 2009) 

Week-end di febbre per la piccola Lauretta, non resta che riposarsi sul divano in compagnia di un bel film d’animazione. In questo caso la scelta è caduta su Piovono polpette, produzione della Sony Pictures Animation dalla quale arrivarono anche Boog & Elliot e Surf’s Up. Swallowmarina è una piccola isoletta situata nell’Oceano Atlantico la cui economia si basa sulla pesca e sull’esportazione di sardine. Improvvisamente la popolazione mondiale prende coscienza del fatto che le sardine fanno schifo e così tutta l’economia dell’isola crolla. A Swallowmarina abita Flint Lockwood, un ragazzo tanto geniale quanto pasticcione che ha sempre voluto fare l’inventore fin da quando era bambino. Le sue trovate non sono però mai risultate vincenti tanto che il padre comincia a fare pressioni affinché Flint inizi a lavorare nell’attività di famiglia. Va da sé che questa è una rivendita di sardine in scatola. Per superare la crisi che ha costretto gli abitanti dell'isola a cibarsi di sole sardine, il sindaco Shelbourne investe il suo budget per trasformare Swallowmarina in un parco divertimenti a tema. Il tema è ovviamente la sardina. Contemporaneamente Flint inventa un macchinario per trasformare l'acqua in cibo in modo da permettere ai suoi concittadini di avere finalmente un'alimentazione più varia. Ovviamente i due eventi collideranno in maniera disastrosa, Flint verrà incolpato di tutto e la sua invenzione finirà persa su nel cielo. E poi piove. Lassù nel cielo la macchina che trasforma l'acqua in cibo è ancora attiva. Piovono Hamburger. Da qui in avanti il disastro assumerà toni sempre più catastrofici. 

Proprio del genere catastrofico Piovono polpette è un'originale e divertente parodia. Oltre ai buoni sentimenti di cui la maggior parte dei film d'animazione è intrisa, ci sono anche molte trovate originali. La situazione inedita di cibo che piove dal cielo è divertente e inquietante allo stesso tempo. Inizialmente tutto ciò risolleva l'economia dell'isola, poi diventa un fenomeno sempre più difficile da gestire. Davvero particolari le scene nelle strade della cittadina dove la gente passeggia mentre bistecche cadono loro sulla testa o sui tetti delle case. Durante la visione domestica nasce la curiosità di sapere come rendeva quella pioggia di polpette giganti nelle sale 3D. Avvicinandosi al finale le citazioni e le situazioni catastrofiche aumentano rendendo l'invasione da cibo decisamente claustrofobica. Probabilmente un passo avanti per la sezione della Sony dedicata all'animazione rispetto alle pellicole precedenti. Prossima fatica il film degli ometti blu alti due mele o poco più versione digitale che potrebbe toccarmi andare a vedere al cinema.
   

domenica 12 giugno 2011

MUSIC BOX 9

Non parlerò di referendum, sono già andato a votare e spero che i mie quattro Si, sommati a quegli degli altri italiani, siano sufficienti a dare l'ennesimo segnale che è ora di cambiare qualcosa.

In questa giornata nella quale finalmente abbiamo parte attiva in decisioni che ci riguardano molto da vicino, vi propongo una risposta più energica e positiva al problema dello scorrere del tempo affrontato nello scorso Music Box.

Una reazione, una posizione più attiva, una presa di coscienza, una forma mentale che già da oggi (speriamo) potrebbe portare dei frutti.

Il pezzo è Take the time dei Dream Theater, gruppo che ho amato e seguito in passato e che ho abbandonato in preda alla noia da parecchi anni a questa parte.

Il loro album Images and words del 1992 dal quale è tratto il pezzo proposto, rimane comunque un punto fermo del Prog-Metal consigliato a tutti.



"Hold it now...
wait a minute...
come on... whew..."

Just let me catch my breath...
I've heard the promises
I've seen the mistakes
I've had my fair share of tough breaks
I need a new voice, a new law, a new way
Take the time, reevaluate
It's time to pick up the pieces,
Go back to square one
I think it's time for a change

There is something that I feel
To be something that is real
I feel the heat within my mind
And craft new changes with my eyes
Giving freely wandering promises
A place with decisions I'll fashion
I won't waste another breath

You can feel the waves coming on
(It's time to take the time)
Let them destroy you or carry you on
(It's time to take the time)
You're fighting the weight of the world
But no one can save you this time
Close your eyes
You can find all you need in your mind

The unbroken spirit
Obscured and disquiet
Finds clearness this trial demands
And at the end of this day sighs an anxious relief
For the fortune lies still in his hands

If there's a pensive fear, a wasted year
A man must learn to cope
If his obsession's real,
Suppression that he feels must turn to hope

Life is no more assuring than love
(It's time to take the time)
There are no answers from voices above
(It's time to take the time)
You're fighting the weight of the world
And no one can save you this time
Close your eyes
You can find all that you need in your mind

I close my eyes
And feel the water rise around me
Drown the beat of time
Let my senses fall away
I can see much clearer now, I'm blind

"Ora che ho perso la vista,
Ci vedo di più"

Find all you need in your mind
If you take the time
Find all you need in your mind
If you take the time

venerdì 10 giugno 2011

DR. MORGUE

Questo articolo è stato scritto per il sito fumettidicarta (e relativo blog)

Sul versante italiano di casa Star Comics c’è fermento. Due le nuove miniserie lanciate questa primavera (The Secret e Dr. Morgue) alle quali se ne aggiungeranno un altro paio dopo l’estate: Nuvole nere e Legion 75.

Nelle prossime righe mi soffermerò sull’albo d’esordio che ha come protagonista Yorick Malatesta, il Dr. Morgue del titolo.

Da moltissimi anni oramai i dottori hanno invaso i nostri teleschermi grazie (o per colpa, a seconda dei gusti) ai serial Tv importati da U.S.A. e Gran Bretagna.

Dai fascinosi medici come il Dottor Ross di E.R. interpretato da George Clooney o il Dottor Stranamore di Grey’s anatomy che porta il volto di Patrick Dempsey fino all’irascibile e farmaco-dipendente Dr. House, i medici hanno impazzato nei nostri salotti. Non dimentichiamo il più grande di tutti, un dottore sui generis caro ai molti amanti di storie tendenti al fantastico, il mitico Doctor Who.

Ora possiamo dire che anche il fumetto vuole la sua parte ed ecco quindi il Dr. Morgue, coroner del dipartimento di polizia di Montreal.

Un tipo strano: decisamente alto, inquietante, un cicatrice a sfigurargli il volto da sotto l’occhio destro fino alla parte bassa della guancia sinistra, a vederlo da lontano sembra l’Undertaker del Wrestling (molto meno massiccio però).

A suscitare interesse, oltre alla strana figura, la personalità di questo atipico dottore. Affetto da Sindrome di Asperger, ha difficoltà nei rapporti sociali, fatica a riconoscere i codici del linguaggio non verbale, una sorta di autismo che non ne compromette però l’intelligenza né le sue capacità sul lavoro. Misogino e spesso scontroso non risparmia frasi caustiche a colleghi e collaboratori soprattutto se queste sono di sesso femminile, veste di scuro e per i suoi spostamenti usa un carro funebre.

Questi elementi, oltre ad alcuni nodi da sciogliere sul suo passato, le sedute con uno psicologo e una strana relazione con una prostituta, ne fanno un personaggio insolito e quantomeno interessante.

Proprio il protagonista risulta quindi essere l’elemento più intrigante di questo nuovo bimestrale di casa Star. Infatti lo sviluppo della storia d’esordio risulta nel suo insieme decisamente più convenzionale del suo primo attore.

Il cast di comprimari è quello della classica storia poliziesca, non potrebbe essere altrimenti facendo essi parte di un distretto di polizia. L’ispettore Warren, comandante della squadra, il sergente Wong bersaglio preferito di Malatesta verso il quale indirizzare le sue frecciate. Frecciate che non risparmia neanche alla sua assistente di laboratorio Mia.

Il plot segue la classica sequenza di cadaveri morti in circostanze simili per i quali si dovrà cercare il denominatore comune. Inutile dire che il grosso del lavoro verrà fatto grazie alle intuizioni di questo originale coroner.

E forse proprio qui sta il problema. Dopo varie osservazioni e perizie da parte del nostro, sfoggio di termini tecnici e medici degni di C.S.I. e simili, arriva l’intuizione giusta.

La risoluzione della vicenda sembra un po’ semplicistica e la parte che ha in essa il nostro Dr. Morgue (che mai viene chiamato così nell’albo) appare un po’ tirata per i capelli.

Non di meno ho trovato il personaggio convincente e meritevole di un’occasione. La trama resta comunque scorrevole per tutta la sua durata, alcune battute del protagonista risultano davvero ironiche soprattutto considerando che le due autrici, Rita Porretto e Silvia Mericone, spesso le indirizzano verso il loro sesso di appartenenza.

Ho apprezzato parecchio anche i disegni di Francesco Bonanno sempre efficaci e con un ottimo uso e dosaggio dei neri. Bonanno è anche il creatore grafico del Dr. Morgue e anche su questo versante l’esito è ottimo.

Devo dire che questo albo, nonostante il plot convenzionale, mi ha intrigato decisamente più del primo numero di The Secret, l’altra mini edita da Star Comics che pur mettendo in gioco un maggior numero di elementi e influenze non è riuscita a creare in me la giusta aspettativa.

Al contrario di ciò che accadrà con quest’ultima serie, sicuramente ai prossimi numeri del Dr. Morgue darò un’opportunità.


Dr Morgue n. 1, bimestrale, 96 pp. b/n, 2,70 euro – Star Comics

lunedì 6 giugno 2011

MUSIC BOX 8

Ho sempre avuto un'approccio alla musica istintivo, emotivo, viscerale, se così vogliamo definirlo. La maggior parte dei miei ascolti si orientano, a parte qualche rara eccezione, verso gruppi/autori/cantanti di lingua estera. Quasi sempre l'emozione, qualsiasi essa sia, suscitata in me da un brano musicale prescinde dal testo del brano stesso.
Ho sempre reputato questa la grande magia della musica, il fatto di riuscire ad entrare in sintonia con un pezzo, magari sentendoci dentro tutt'altro da quello che l'autore voleva trasmettere, senza bisogno di conoscerne il significato dei versi (spesso deludenti tra l'altro).
Non dico di non aver mai studiato alcuni tra i miei pezzi preferiti, album interi in diversi casi. Purtroppo è un'attività legata a periodi in cui la quantità di tempo libero a mia disposizione era decisamente superiore, le modalità di fruizione della musica sicuramente migliori.

In ogni caso ci sono testi che mi hanno colpito e hanno esercitato quella funzione di valore aggiunto che mi ha fatto apprezzare il brano in misura ancor maggiore.

Uno di questi è il testo di Time dei Pink Floyd.
Testo semplice eppure evocativo, denso anche di quella malinconia dal forte sapore inglese che da sempre apprezzo.

Non è solo il tempo che passa messo in relazione all'età anagrafica. Non sono i capelli che ingrigiscono, la stanchezza, le notti insonni. Non è questo. Non solo.

E' più che altro la sensazione terribilmente irritante che il tempo scivoli via inesorabile tra le dita, sempre più. Che gli attimi non si concretizzino in qualcosa di produttivo. La sensazione che spesso questo tempo (o il suo impiego) non ti porti da nessuna parte.
Il dubbio che avresti potuto spenderlo meglio o più intensamente.

E poi un giorno realizzi che dieci anni sono passati,
nessuno ti ha detto quando iniziare a correre e tu ti sei perso il segnale di via...


Il tempo passa, i sogni accantonati, i progetti non realizzati... un passaggio insieme amaro e bellissimo

Ogni anno diventa più breve, sembra non ci sia mai tempo, progetti che si risolvono in nulla o in una mezza pagina di righe scribacchiate, aspettando in preda a una quieta disperazione, è lo stile inglese, il tempo è andato, la canzone finita, pensavo avrei avuto qualcosa in più da dire.

Shorter of breath and one day closer to death



Ticking away the moments that make up a dull day
Fritter and waste the hours in an offhand way
Kicking around on a piece of ground in your home town
Waiting for someone or something to show you the way

Tired of lying in the sunshine staying home to watch the rain
And you are young and life is long and there is time to kill today
And then one day you find ten years have got behind you
No one told you when to run, you missed the starting gun

And you run and you run to catch up with the sun, but it's sinking
Racing around to come up behind you again
The sun is the same in a relative way, but you're older
Shorter of breath and one day closer to death

Every year is getting shorter, never seem to find the time
Plans that either come to naught or half a page of scribbled lines
Hanging on quiet desperation is the English way
The time is gone, the song is over, thought I'd something more to say

sabato 4 giugno 2011

NEL PAESE DELLE CREATURE SELVAGGE

(Where the wild things are, di Spike Jonze, 2009) 

Questo film è stato una valida alternativa al classico cartone animato o film d’animazione che dir si voglia, che solitamente guardiamo insieme alla nostra bimba che da poco ha compiuto cinque anni. Devo dire che inizialmente avevo qualche dubbio al riguardo. Spike Jonze è il regista di Essere John Malkovich (già che ci siamo ve lo consiglio) e de Il ladro di orchidee, film che non ho mai visto. Poteva un suo film essere adatto alla visione da parte di una bimba di cinque anni? Inoltre i pupazzi protagonisti della vicenda avevano un’aria vagamente inquietante. Poi questo film mi fu consigliato anche da Luigi che mi rassicurò fugando i miei dubbi. Così ieri abbiamo finalmente deciso di guardarcelo.
   
La visione è stata decisamente piacevole sia per me che per Laura che ha anche partecipato con trasporto in occasione di alcune sequenze elargendo ammonimenti e consigli agli strambi pupazzoni, abitanti del paese delle creature selvagge. I temi toccati dalla pellicola sono tutt’altro che banali, probabilmente anche molto vicini a un discreto numero di ragazzi che contano qualche primavera in più rispetto alla mia bambina. Ci sono solitudine e disagio alla base di questa storia tratta dal libro di Dave Eggers che stranamente è composto unicamente da una manciata di frasi a corredo di alcune pagine illustrate. Solitudine e disagio spesso sfogate tramite una forte aggressività da parte di Max, il bambino protagonista del film, che cresce in una famiglia dove non è presente la figura paterna, la madre è impegnata con il suo lavoro e la sorella maggiore trascura il fratello più piccolo per uscire con i suoi coetanei. Una sera la madre porta a casa Mark Ruffalo, un amico la cui presenza Max non accetta di buon grado. Ne nasce un diverbio al termine del quale Max scappa di casa. Nel suo vagare il bambino raggiunge le sponde di quello che inizialmente sembra un fiume dove trova attraccata una piccola barca.
   
Con questa, al termine di un viaggio dal sapore irreale, Max approda su di una terra sconosciuta popolata da grosse creature del tutto particolari. Max incontra questi strani esseri in un momento difficile. Il loro gruppo si sta sfaldando a causa del senso di solitudine e della tristezza. Una di loro, KK, ha già lasciato il gruppo e Carol, uno degli strani esseri al quale Max si legherà maggiormente, comincia a patire la cosa. Per ricreare l’armonia nel gruppo Max fa credere a tutti di essere un re in grado di sistemare le cose per il meglio. Ma la gestione dei caratteri di questi grossi esseri, dei loro desideri e delle loro paure non è sempre così semplice. E anche qui l’aggressività è dietro la porta. Max si troverà così a gestire situazioni difficili speculari a quelle che lui stesso provocava in casa sua durante i frequenti scatti di rabbia. Una bella riflessione a portata dei ragazzi e situazioni non estranee neanche al mondo degli adulti. Ottima la messa in scena e la realizzazione di questi grossi pupazzi creati senza l’ausilio del computer ma in maniera tradizionale e del tutto artigianale. A ciò si uniscono scenografie e fotografia di grande suggestione. Sicuramente una scelta coraggiosa da parte del regista e della produzione che si è dimostrata vincente per la sua originalità e per la sua buona riuscita. Una favola più matura del solito godibile a tutte le altezze.
   

venerdì 3 giugno 2011

INDOVINA CHI? 21

Ventunesima manche alla quale (spero) parteciperà anche l'amico Gennaro, bella firma di Fumetti di carta, che da qualche tempo finalmente riesce a postare commenti su questo blog.
Come benvenuto per torno a inserire il regolamento e offro a tutti una manche speciale.
Infatti è qui presente un Inside joke, un giochino aggiuntivo sul quale non vi dò nessun indizio. Sappiate che c'è, da subito. cominciate a pensarci.

LA SOLUZIONE DI QUESTO INSIDE JOKE SI POTRA' POSTARE SOLO DOPO CHE TUTTI I 10 PERSONAGGI SARANNO STATI INDIVIDUATI E DARA' 2 PUNTI AGGIUNTIVI A CHI INDOVINERA' DI COSA SI TRATTA.

Le altre regole sono sempre le solite. Almeno un paio i volti decisamente difficili, ci avviciniamo a fine torneo e voi siete sempre più bravi.

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