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giovedì 16 agosto 2018

MR. NOBODY

(di Jaco Van Dormael, 2009)

La visione di Mr. Nobody di Jaco Van Dormael potrebbe non rivelarsi troppo semplice. Almeno i primi trenta/quarantacinque minuti, nei quali si ha la netta sensazione di non riuscire a cogliere i fili narrativi della storia e durante i quali si può pensare di non aver capito nulla di ciò che sta accadendo in video, potrebbero indurre diversi spettatori a mollare la presa e abbandonare anzitempo un film comunque complicato piuttosto che no. Non fatelo. Alla fine tutto sarà (un pochino) più chiaro, molti fili si riallacceranno e a qualcuno magari verrà la voglia di riguardare il film una seconda volta per capirne meglio alcune dinamiche, alcuni simbolismi e diversi dei suoi intrecci. Quando al termine delle due ore e mezza di durata di Mr. Nobody tutto si riavvolgerà sulle note di Mr. Sandman e sull'ennesimo concetto scientifico, allora capirete che sarà valsa la pena di guardare questo film fino alla fine e che, fermandosi un attimo a ripensare alla storia messa in piedi da Van Dormael, qui anche sceneggiatore e soggettista, ci si può portare a casa qualcosa di buono per la mente e qualcosa di buono per il cuore.

Dopo aver guardato un paio di film del regista belga sembra chiaro come Van Dormael rifugga la banalità e come su due concetti solo all'apparenza semplici si possa dispiegare un film che in fondo ci dimostra semplicemente come le cose della vita siano dannatamente complicate. I concetti (non gli unici ma i più importanti): ogni cosa è possibile finché non si effettua una scelta, come conseguenza della scelta compiuta si srotola una vita diversa che in ogni caso sarà interessante da vivere o seguire. Le cose sono più complesse di quello che all'apparenza possono sembrare, la semplificazione non sempre risulta essere efficace. E intorno a questi concetti il regista costruisce Mr. Nobody, affidandosi a teorie scientifiche, a scelte estetiche simboliche indirizzate anche dall'uso sapiente di colori e fotografia, alle possibilità multiple, alle storie d'amore, al passato, al presente, al futuro e all'intreccio di questi tempi uno sull'altro. Nel corso della storia di cui Nemo Nobody (Jared Leto) è protagonista, ci troveremo davanti a teorie legate alle realtà alternative (o in maniera più complicata a quella che viene definita interpretazione a molti mondi della realtà), al celebre effetto farfalla (la farfalla sbatte le ali di qua, una tempesta creerà scompiglio di là, insomma, la conoscete), le dinamiche legate alla linearità o meno del tempo, quelle legate agli eventi casuali fino ad arrivare all'espansione e alla contrazione dell'Universo. E poi ci sono quei concetti banalissimi, che potrebbero migliorare sensibilmente le nostre vite e che noi, esseri umani fallibili, spesso vigliacchi, non riusciamo ad applicare: "ho capito una cosa... è che dobbiamo sempre dire ti amo alle persone che amiamo... ti amo", certo le conseguenze non sempre si riveleranno quelle sperate ma potrebbero dar vita a un'esistenza che in ogni caso sarà interessante da vivere. O forse no. E forse stiamo complicando un po' le cose, ma così è la vita. Ti amo, dicevamo. I risvolti sentimentali della storia (delle storie) di Nemo (Jared Leto appunto ma anche Toby Regbo e Thomas Byrne) sono forse le più interessanti del film, soprattutto quella sincera e appassionata vissuta con Anna (Juno Temple e Diane Kruger), coinvolgente e capace di sopravvivere anche al caos. Forse. Una storia d'amore complicata e quasi impossibile che ricorda molto quella splendida, romantica e meravigliosa tra Cate Blanchett e Brad Pitt ne Il curioso caso di Benjamin Button (altro film che vi consiglio di guardare al quale Van Doermel qui strizza l'occhio); la Kruger (bellissima come lo era la Blanchett) e Leto non fanno rimpiangere i due colleghi più celebri.


Proviamoci. Siamo in un remoto futuro asettico, dove la morte è stata sconfitta da qualche tempo, Nemo Nobody (un Jared Leto invecchiato) è l'ultimo mortale, l'unico essere umano destinato alla morte, ha 117 anni e il suo destino tiene con il fiato sospeso l'intera popolazione mondiale. Nemo cerca di ricostruire la sua storia narrandola a un giornalista, i suoi racconti però sono confusi, saltano da un tempo all'altro, si contraddicono, confondono reale e fantasia o forse solo il reale con un'altro reale. L'episodio chiave della vita, o delle vite, di Nemo sembra essere la separazione dei suoi genitori avvenuta quando il giovane Nemo (Thomas Byrne) aveva nove anni e si trovò a dover decidere se andare a vivere con la madre (Natasha Little) o rimanere con il padre (Rhys Ifans). Ma come può un bambino prendere una decisione del genere, una decisione che avrebbe completamente cambiato le sue vite? In più, lo sapevate che prima di nascere noi umani sappiamo tutto del nostro futuro? Nel momento in cui veniamo al mondo gli angeli resettano tutto, in modo da farci avere una vita piena tutta da costruire. Purtroppo, quando arrivò il turno di Nemo gli angeli si dimenticarono di resettare, il giovane quindi si trova ad avere a disposizione sprazzi di cose a venire, con la possibilità di ponderare... sembra complicato vero? Beh, lo è.

Non è facile dare un giudizio secco a Mr. Nobody, però nello scrivere questo breve commento al film (che a tratti mi sembra delirante, il commento intendo, non il film. Beh, forse anche il film) mi sono riguardato alcuni passaggi e li ho trovati ben più interessanti rispetto alla prima visione, ovviamente alla luce della conoscenza completa dell'opera. Non so se consigliarvi di dare un'occasione a questo film, posso però consigliarvi di dargliene due. Ecco, questa mi sembra la giusta chiusura per un commento a Mr. Nobody, una storia non proprio immediata.

martedì 6 marzo 2018

DIO ESISTE E VIVE A BRUXELLES

(Le tout nouveau testament di Jaco Van Dormael, 2015)

Dio è un rozzo bastardo, gretto e meschino e vive a Bruxelles. In principio infatti Dio non creò il cielo e la terra come tutti pensano, Dio semplicemente si annoiava a morte e così, saltando tutte le tappe, creò Bruxelles. Creò le strade, gli alloggi, i cinema, ma ancora mancava qualcosa che alleviasse il suo tedio divino. Provò a popolare la città con giraffe, galline, tigri e struzzi, ma tutto ciò non funzionava, nulla lo divertiva. Allora creò l'uomo e le cose andarono meglio. Creò poi la donna, ancora meglio. Tutti questi tentativi solo per avere qualcuno che valesse la pena tormentare, qualcuno da far soffrire, qualcuno da aizzare contro qualcun'altro per ottenere discordia, guerre, sofferenze... insomma del sano intrattenimento per un Dio onnipotente dalle vedute ristrette. Ora capita che Dio (Benoit Poelvoorde) non fosse proprio solo, in uno squallido alloggio ammobiliato senza porte d'entrata né d'uscita, esso vive con una moglie sottomessa (Yolande Moreau), appassionata di sport e di figurine di baseball, un figlio che si è dato, arrivederci e grazie, di nome (ovviamente) J.C. (David Murgia), e una figlia di cui nessuno parla mai, la piccola Ea (Pili Groyne). Il bastardo domina le vite degli uomini scrivendole al pc, ideando sempre nuove brutture da propinare ai suoi "figli". A questa situazione Ea si ribella, su consiglio del più celebre fratello J.C. che le appare in forma di soprammobile in miniatura, decide di scendere sulla Terra (uscire dall'alloggio in pratica) e trovare sei nuovi apostoli, così da arrivare a un totale di diciotto, numero amato dalla mamma, e scrivere il nuovo Nuovo Testamento.

Dio. Ci ha proprio fatti a sua immagine e somiglianza.

Dio esiste e vive a Bruxelles è pieno di trovate spassose, battute gustose e una serie di situazioni surreali, ora comiche, ora tenere, che rendono il film un oggetto inusuale e particolarmente riuscito. Anche la costruzione della vicenda non è perfettamente lineare, si esplora l'esistenza di Dio e della sua famiglia in una linea narrativa che in seguito darà vita a sei piccole sottotrame, una per ognuno degli apostoli scelti a casaccio da Ea che come prima azione per sovvertire l'ordine creato dal padre decide di comunicare (tramite un banale sms) a tutti gli uomini la data della loro morte, cosa che destabilizzerà ogni equilibrio. Tra gli apostoli scelti da Ea ci sono Jean-Claude (Didier De Neck), un uomo abbruttito dal suo lavoro, il killer François (François Damiens), l'agiata e triste Martine (Catherine Deneuve), la bella Aurélie (Laura Verlinden) dal braccio in silicone, il piccolo Willy (Romaine Gelin), prossimo alla morte e l'erotomane Marc (Serge Larivière). Un gruppo ben assortito, non c'è che dire.

A volte si avverte una sensazione di frammentarietà nella narrazione messa in scena da Jaco Van Dormael, ben contrastata però dall'assurdità di alcune situazioni, da alcune trovate davvero indovinate e da almeno un paio d'attori inappuntabili, e penso principalmente a Poelvoorde, ottimo nei panni di questo Dio in ciabatte e vestaglia, fancazzista e cinico, e alla svampita Moreau, capace di restare abilmente sottotono fino alle battute finali del film. Oltre alla figura ribelle di Ea, sarà proprio quella della madre a dare una svolta a tutta l'umanità in uno sviluppo femminista che ancora una volta, come spesso accade nel Cinema più recente, ci mostra come la via verso la salvezza sia quella tinta di rosa, come la mano femminile, lontana dalle violenze e dalle bassezze maschili, possa portare a un mondo nuovo, più dolce e armonioso, semplicemente più felice. Se poi aggiungiamo quel pizzico di decisione che spesso alle donne non manca (anzi), forse poco sottolineato nel film di Van Dormael, potremmo avere sotto il naso la ricetta per il cambiamento, già compilata e pronta all'uso.

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