giovedì 27 febbraio 2014

UNA TOMBA PER LE LUCCIOLE

(Hotaru no haka di Isao Takahata, 1988)

Diretto dal co-fondatore dello Studio Ghibli, Una tomba per le lucciole esce lo stesso anno in cui l'altro e più celebre fondatore dello studio, Hayao Miyazaki, dirige uno dei suoi capolavori: Il mio vicino Totoro. E' una grande annata per lo Studio Ghibli, pur se inserita in un contesto e in un ambito completamente diverso, la pellicola di Isao Takahata non ha nulla da invidiare a quella del maestro Miyazaki.

Se ne Il mio vicino Totoro l'elemento fantastico, magico e sognante è predominante e determina in maniera decisa la cifra stilistica dell'intero lungometraggio, Una tomba per le lucciole vive di un crudo realismo, di dolore, morte e assenza di speranza. E' l'immane tragedia della guerra il fulcro della vicenda narrata nel film di Takahata, una tragedia radicata nella cultura del popolo giapponese come in pochi altri.

Sicuramente due film diversi con un pubblico di riferimento differente. La visione di Una tomba per le lucciole mi sembra inadatta a un pubblico di bambini, per temi trattati e per immagini proposte.

Seita e la piccola Setsuko sono fratello e sorella, vivono con la madre a Kobe, città giapponese presa d'assalto da un massiccio bombardamento da parte dell'aviazione statunitense. I drammi che i due ragazzini dovranno affrontare sono innumerevoli, dalla lontananza del padre in servizio con la marina giapponese alla terribile morte della madre a causa dei bombardamenti, dalla distruzione della loro casa allo scarso affetto di parenti privi di amore e non intenzionati ad accollarsi il loro mantenimento.

Oltre alla sofferenza della piccola e tenera Setsuko, Seita dovrà farsi carico della gestione di tutti i bisogni primari, suoi e della sorellina. Cibo, acqua, un tetto dove dormire diventano sfide quasi impossibili da vincere. E poi la morte che accompagna lo spettatore fin dalla sequenza d'apertura del film.



Un film d'animazione duro ma vero e sincero tratto dal libro in parte autobiografico dello scrittore Akiyuki Nosaka. Anche l'animazione si differenzia molto per colori e atmosfere da molta della produzione di Miyazaki, le aperture di luci, i cieli e le distese d'acqua qui lasciano il posto ai toni cupi delle macerie e della distruzione, delle bombe e del fuoco. Nonostante la continua sofferenza che pervade la pellicola è innegabile che questa sia l'ennesimo riuscitissimo e toccante lavoro di uno studio capace di sfornare meraviglie a ciclo continuo. Da vedere assolutamente.

Rimangono accese le luci delle lucciole e quella grande e immensa che riescono a far scaturire in maniera così naturale i bambini troppo spesso vittime degli orrori creati da noi adulti.

BRADIPO(P)

Andy Wharol chi?



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lunedì 24 febbraio 2014

10 VOLTI (19)

Volti mitici per chi ricorda certi anni e soprattutto per chi ha vissuto una determinata passione, non vado oltre perché il tutto mi sembra palese e per non rendere la manche eccessivamente semplice. Dare un nome a questi volti non dovrebbe essere così difficile, scommetto che diversi tra voi potrebbero snocciolarli in un fuoco di fila di pochi secondi.

Per ora siam messi così:
01 La Citata 25 pt.
02 Vincent 17 pt.
03 Bradipo 16 pt.
04 Luigi 16 pt.
05 Luca Lorenzon 14 pt.
06 Babol 13 pt.
07 Urz 13 pt.
08 L'Adri 10 pt.
09 Morgana 9 pt.
10 Eddy M. 8 pt.
11 Poison 8 pt.
12 Cannibal Kid 7 pt.
13 Frank Manila 5 pt.
14 Umberto 4 pt.
15 Elle 4 pt.
16 M4ry 3 pt.
17 Zio Robbo 3 pt.
18 Viktor 2 pt.
19 Beatrix Kiddo 1 pt.
20 Evil Monkeys 1 pt.
21 Ismaele 1 pt.
22 Blackswan 0 pt.
23 El Gae 0 pt.
24 Acalia Fenders 0 pt.


1)



2)



3)



4)



5)



6)



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8)



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10)

sabato 22 febbraio 2014

SHERLOCK - STAGIONE 2

Mi tolgo il cappello, mi alzo in piedi e applaudo, apprezzo e mi inchino davanti al lavoro di scrittura operato per questa seconda stagione di Sherlock dagli autori Steven Moffat e Mark Gatiss. Due episodi splendidi (il primo e il terzo) e uno semplicemente bello (il secondo), almeno due antagonisti strepitosi nel giro di sole tre puntate, interpreti da incorniciare e perfezione dietro l'angolo, non c'è che dire, quando ingranano gli inglesi hanno quella maledetta marcia in più.

Per la seconda stagione del serial gli autori ci propongono gli episodi Scandalo a Belgravia (da Uno scandalo in Boemia), I mastini di Baskerville (da Il mastino dei Baskerville) e Le cascate di Reichenbach (da L'ultima avventura).

Nel primo episodio Moffatt e Gatiss (interprete anche di Mycroft Holmes) introducono uno dei personaggi più affascinanti della serie, la bella prostituta di lusso Irene Adler (Lara Pulver) capace di raccogliere una quantità spropositata di informazioni in grado di compromettere l'esistenza di molte persone influenti e potenti. La donna, come il rapporto del tutto particolare e atipico che instaura con Sherlock Holmes (Benedict Cumberbatch), è tratteggiata in maniera meravigliosa diventando un'antagonista (?) capace di tenere testa anche al famigerato, e spesso sopra le righe, Jim Moriarty (Andrew Scott) fine mente criminale in grado di mettere in seria difficoltà Holmes e Watson (Martin Freeman) e rivaleggiare alla pari per intelligenza con il detective di Baker Street. Un'apertura di serie davvero con il botto.

Lara Pulver nella parte di Irene Adler

Più umana la trasposizione di uno dei racconti più celebri di Conan Doyle. Qui il nome dei Baskerville gode di un'accezione completamente nuova, il talento degli sceneggiatori nell'ammodernare e allo stesso tempo rimanere fedeli alla tradizione è per me fonte di grande ammirazione.

Nel terzo, ultimo e strepitoso episodio arriva al culmine lo scontro tra Sherlock e Moriarty, rimasto  sullo sfondo nei due precedenti episodi. Un adattamento carico di tensione per quella che doveva in realtà essere l'ultima avventura di Sherlock Holmes. Le cascate di Reichenbach sono il luogo dove l'Holmes letterario sarebbe dovuto perire proprio in uno scontro con il suo arcinemico. Nella versione televisiva le cascate hanno una valenza per lo più simbolica, ma la tensione dell'opera televisiva supera forse anche quella dell'originale. Scontro finale, come andrà a finire?

Ottime le prove del cast con un Cumberbatch che non fatica a impersonare uno degli esseri viventi più irritanti di sempre, un Freeman trattenuto e solido di importanza vitale per la serie e un Andrew Scott gigione e folle, un talento al servizio di un Moriarty che, se la memoria non mi inganna, dovrebbe risultare completamente inedito per modi e personalità.

Il pensiero sui titoli di coda dell'ultima puntata di questa serie è stato: "devo incominciare subito la terza, ne voglio ancora". Purtroppo le puntate a disposizione sono poche, meglio godersele con un po' di calma. Come ultima cosa segnalo anche il tema musicale di Sherlock che mi è entrato in testa e non se ne vuole più andare.

PS: se vi capita di guardare questa stagione ricordate che c'è un mini-episodio sfizioso di sette minuti circa che funge da prologo e da teaser promozionale per la terza stagione, da vedere solo (mi raccomando) dopo l'ultimo episodio di questa seconda annata.

giovedì 20 febbraio 2014

BRADI PIT 90

Al Bradi Pit piace... stare appeso al suo ramo preferito!

Oh, non ci avreste mai pensato eh? Vedi che se gira bene facciamo il botto pure noi.



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CARNIVALE - STAGIONE 1

Ha fascino da vendere questa prima stagione di Carnivale, serial tv del 2003 ideato da Daniel Knauf e pensato per svilupparsi su sei stagioni ridotte in seguito a sole due dalla produzione (o dalla direzione se preferite). La vicenda è ambientata nel centro-sud degli Stati Uniti d'America negli anni '30, gli anni duri della grande depressione, molti degli scenari prendono vita nelle numerose zone desertiche colpite dalle grandi tempeste di sabbia scatenatesi proprio in quel decennio. Grandi tempeste che visivamente danno una connotazione molto particolare e originale all'intera serie.

Gli elementi presenti in Carnivale sono davvero numerosi, è facile all'inizio rimanere spiazzati tra sogni, visioni, freaks, preveggenze, entità sovrannaturali, fervore religioso e materie pagane. Gli spunti interessanti non mancano e la narrazione dal ritmo volutamente non rapidissimo riesce a porre la giusta attenzione su ognuno di essi. Il grande fascino della serie viene tutto dai molti protagonisti, dalla dicotomia bene/male e dall'insinuarsi continuo dell'inspiegabile tra i carrozzoni del circo itinerante di Carnivale.

Il giovane Ben Hawkins (Nick Stahl) è maledetto da terribili sogni nei quali viene catapultato in zone di guerra, in mezzo a trincee dove si muovono orsi da circo e corpi mutilati, distingue chiaramente il volto di un soldato mentre rimane sfuggente quello dell'uomo tatuato, misteriosa figura che si muove minacciosa in un notturno campo di grano. E' proprio l'incontro tra Ben e il circo di freaks guidato dal nano Samson (Michael J.Anderson) a dar il via alla vicenda, nano che è anche l'unico a poter parlare con la direzione, sorta di identità incorporea che decide le sorti della compagnia. Una compagnia eterogenea che offre attrazioni di tutti i tipi: Lila, la donna barbuta (Debra Christofferson) impegnata in una relazione con il veggente cieco Lodz (Patrick Bauchau) a sua volta molto interessato alle visioni di Ben e al rapporto privilegiato tra Samson e la direzione. C'è Jonesy (Tim DeKay) il tecnico zoppo innamorato della giovane Sofie (Clea DuVall), cartomante in grado di leggere le carte grazie alle dritte telepatiche della madre Apollonia (Diane Salinger), da tempo immobilizzata a letto e completamente catatonica. Ci sono Rita Sue (Cynthia Ettinger) con le figlie Libby (Carla Gallo) e Dora Mae (Amanda Aday), ballerine e spogliarelliste, l'incantatrice di serpenti Ruthie (Adrienne Barbeau) e il figlio Gabriel (Brian Turk), una sorta di gigante buono e stupido, e ancora l'uomo rettile, le gemelle siamesi e altri personaggi di contorno.



I sogni di Hawkins, i suoi strani poteri e le vicende dei componenti del Carnivale viaggiano in parallelo alla storia del metodista Padre Justin (Clancy Brown), anche lui afflitto da strane visioni. Gli eventi della serie porteranno il personaggio ad assumere la valenza di antagonista di Hawkins e a sopportare dure esperienze che lo conduranno a un inevitabile trasformazione.

Insomma, la carne al fuoco è davvero molta e anche ben cucinata, il cast numeroso ricrea un amalgama affiatato per narrare una vicenda stracolma di spunti ed enigmi. La speranza è che nella seconda stagione Knauf sia riuscito a tirare tutti i fili che avrebbero dovuto dipanarsi per altri quattro anni e a concludere anzitempo la vicenda in maniera convincente, non mancherò di farvi sapere. Una bella serie che certo, non è Twin Peaks, ma che mi ha regalato sicuramente dei bei momenti, davvero un buon recupero.


mercoledì 19 febbraio 2014

VISIONI 53

Per il cinquantatreesimo appuntamento con Visioni vi propongo alcune illustrazioni dell'artista rumeno Daniel Nyary. In questa serie di immagini in cui l'artista gioca con la pop-culture, e che io uso approfittando dell'occasione per proporvi un bel giochino, trovate i volti di una serie di celebri e meno celebri robots. Riuscite ad aiutarmi a identificarne il più possibile? Vi anticipo che non ho le risposte ai miei (e agli eventuali vostri) dubbi, è richiesto quindi un lavoro di ricerca collettivo. Chi sono costoro, sapete dirmelo?








domenica 16 febbraio 2014

TEX IL GRANDE!

(di Claudio Nizzi e Guido Buzzelli, 1988)

Nel 1988 il mito di Tex Willer volava già alto, la bandiera della Sergio Bonelli Editore si apprestava a compiere 40 anni. Un eroe coetaneo di mio padre che tra l'altro ne è sempre stato appassionato come tanti altri della sua generazione, insomma, come non voler bene all'iconica stella del west?

Proprio per festeggiare i quarant'anni del ranger in camicia gialla (ma l'avrà mai cambiata sta camicia?) si mette in piedi un progetto nelle intenzioni, e spesso negli esiti, di profilo davvero alto. Il Tex Speciale presenterà una volta l'anno un'avventura del personaggio e dei suoi pards illustrata in grande formato da un artista della matita spesso estraneo al mondo di Tex. Il grande formato e la foliazione che tra articoli e storia toccherà le 240 pagine, varranno a questa nuova collana il confidenziale e azzeccato soprannome di Texone. Il Texone. Mai soprannome fu più indovinato poiché l'albo è davvero un Texone, puoi sfogliarne le pagine e se ti va infilarci dentro la testa per godere al meglio delle tavole ariose e del grande respiro che trasmettono i paesaggi, le prospettive sulle strade polverose delle cittadine del west, le ombre dei boschi o il buio delle prigioni. Un'esperienza di lettura sicuramente diversa da quella fornita dal classico albo mensile in formato bonellide.

Per il primo di questi appuntamenti che porta il titolo di Tex il grande! troviamo alla sceneggiatura un veterano del Texas Ranger, l'inossidabile Claudio Nizzi che si fa carico, come già ha fatto molte altre volte, di imbastire una bella storia dove Tex e il vecchio Kit Carson possano muoversi a loro agio, compito per altro assolto a meraviglia. Non è la prima volta che lo scrittore si cimenta in storie di così ampio respiro, non ho la pretesa di affermare che la stesura del primo Texone sia stata per Nizzi una passeggiata, l'autore e la sua esperienza sono però garanzia di riuscita certa.

La sfida era in realtà quella di mettere al lavoro un disegnatore atipico in grado di fornire una visione personale del personaggio e mettere insieme più di duecento tavole di ottima fattura. La scelta di Sergio Bonelli per festeggiare i quarant'anni della creatura di suo padre, quasi un suo fratello possiamo dire, e per aprire questa ormai mitica collana è caduta su Guido Buzzelli, romano classe 1927. Buzzelli portà in dote un bagaglio di esperienza nel mondo del fumetto che nasce addirittura prima di Tex, nel 1946 per la precisione, ingentilito o imbastardito a voi giudicare, dalla passione dell'artista per la pittura; come viene fatto notare anche nell'introduzione dell'albo il disegnatore venne in qualche occasione definito "il Goya del fumetto".



I successi del disegnatore/autore arrivano negli anni '70 dove Buzzelli si fa portatore di uno stile ora satirico e parodistico ora visionario e pessimistico, torna invece al classico per la realizzazione di questo primo Texone dove è evidente il rispetto del disegnatore per il lavoro portato avanti in casa Bonelli. Ovviamente non manca un tocco personale che rende questa prima uscita della collana degna di grande attenzione.

La storia è di quelle più classiche. Siamo nelle foreste dell'Oregon dove in molti si guadagnano da vivere con il commercio del legname. La piccola impresa condotta dal signor Thompson e dalla figlia Jane è minacciata dalla masnada di farabutti al soldo dei fratelli Patterson, grossi imprenditori del campo, decisi a rilevare i terreni dei Thompson a qualsiasi costo. L'unico disposto a dare una mano a Thompson è Pat, uno dei suoi boscaioli. Il ragazzo nasconde un asso nella manica essendo grande amico dei due raddrizzatorti più pericolosi del continente: Tex Willer e Kit Carson.

Gli elementi di un classico d'avventura western ci sono tutti: soprusi, scazzottate, inseguimenti, amicizia virile, sparatorie, cavalcate, fughe e un pizzico di ironia per una narrazione scorrevole e fluida che di certo non delude.

Il tratto di Buzzelli rende al meglio l'espressività dei personaggi in particolar modo sulle inquadrature ravvicinate dei volti che risultano credibili e veritieri, incapaci di nascondere un'emozione. Il segno sporco dell'artista riesce a infondere dinamismo alle scene d'azione così come regalare, aiutato anche dal formato, grande respiro a paesaggi e scorci con una capacità tale da dare l'impressione al lettore di vivere la vicenda da vicino. Nel complesso ne esce un albo estremamente godibile e di grande valore che inaugurò in maniera più che degna una delle collane dedicate al ranger ancor oggi più amate dal suo pubblico.

venerdì 14 febbraio 2014

SAN VALENTINO



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giovedì 13 febbraio 2014

FLAGS OF OUR FATHERS

(di Clint Eastwood, 2006)

Flags of our fathers è il primo tassello del dittico che comprende anche Lettere da Iwo Jima, due film che raccontano lo stesso evento analizzato da due punti di vista differenti: la battaglia per la conquista dell'isola vulcanica di Iwo Jima vista in questa pellicola in chiave americana e nella successiva dal punto di vista dei giapponesi.

Dirige Clint Eastwood che compare anche in veste di produttore insieme a Steven Spielberg. Per argomenti trattati e alcune sequenze presenti nel film viene naturale fare un parallelo con Salvate il soldato Ryan dello stesso Spielberg. E' proprio la crudissima sequenza d'apertura del film di Spielberg, che racconta lo sbarco in Normandia, a tornare alla mente guardando questo Flags of our fathers che ci mostra lo sbarco delle truppe dei marines statunitensi sulle coste dell'isola del Pacifico di Iwo Jima. Flags of our fathers manca del furore inaspettato offerto dai primi minuti di Salvate il soldato Ryan pur non lesinando la giusta dose di orrore e assurda crudeltà che ogni guerra è capace di produrre su larga scala. Nonostante il pugno allo stomaco infertoci da Spielberg andasse a segno con maggior vigore in fin dei conti Eastwood ci offre un film complessivamente più onesto, meno retorico e meno buonista di quello del superbuonista e familista Spielberg. Che per carità, non fraintendetemi, va anche bene essere buonista e familista se stai girando E.T. però...

Insomma, per un film di matrice bellica Spielberg sceglie di mostrarci l'isolato gesto nobile di una nazione che ha mandato e continua a mandare a morire migliaia e migliaia dei suoi giovani figli, spesso per motivi egoistici e puramente economici. La guerra è altro.

Eastwood ci mostra, e lo ribadisce per mezzo della voce di uno dei suoi attori, come vanno realmente le cose, quando uno dei marines cade in mare in mezzo a una flotta di navi amiche, dopo le prime risate lo sgomento:
- Non si fermano mica
- Cosa?
- Non si ferma nessuno, non possono
- e dicono "nessuno verrà abbandonato".
(altro che andare a salvare il soldato Ryan)

L'orrore della guerra fa da contrappunto all'ignominia di un governo che si preoccupa più di tirar su dei soldi per lo sforzo bellico, senza preoccuparsi di farlo in modo onorevole, e si occupa molto meno delle vite e della sofferenza dei suoi giovani figli costringendo alcuni di essi, ragazzi che hanno visto il peggio della vita e della morte, a mentire di fronte all'intero paese per questa "nobile" causa.



L'episodio della bandiera U.S.A. issata a Iwo Jima e reso immortale dalla fotografia di Joe Rosenthal costituisce in larga parte un falso storico, al momento dello scatto l'atto era già passato e ricostruito a bella posta per i media che lo utilizzarono per alimentare la propaganda casalinga allo scopo di raccogliere i soldi necessari al proseguio della guerra. Eastwood ci racconta le sorti di tre dei soldati che issarono la seconda bandiera, quella posticcia, e che divennero delle glorie nazionali in gran parte costruite a tavolino. Ragazzi che avevano affrontato il demone della guerra ma assurti al rango di eroi per un episodio falso, con tutti i sensi di colpa che da questo derivano. Sicuramente non il miglior Eastwood che si possa avere, il grande Clint ci ha regalato di meglio. E' indubbio come ancora una volta il regista affronti un tema delicato con grande onestà e con il cuore dalla parte giusta confezionando comunque un buon film affidandosi a un cast privo di prime stelle ma sempre funzionale alla narrazione e sempre in parte.

Come quasi tutti i film del regista anche questo Flags of our fathers è da vedere, se proprio dovete scegliere tra questo e quell'altro... beh, fate voi. Per l'altro tanto di cappello per il primo quarto d'ora però.

BRADI PIT 89

Stupida, stupida semantica.


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martedì 11 febbraio 2014

TRASH MUSIC AND INTERNATIONAL GUESTS



ControSanremo 2014. Si sono chiuse le votazioni per le categorie miglior voce femminile e miglior canzone dedicata a una donna. Al via le votazioni per la peggior voce femminile italiana (trash) e quella per l'ospite straniera.

Come al solito per ascoltare i brani e per votare il riferimento è il blog dell'Orablù.

lunedì 10 febbraio 2014

ANCORA CINQUE LIBRI CHE...

Terza infornata di libri che a questo punto spero vadano via più delle pizze. Dovete regalare un libro? Avete voglia di leggerne uno per voi? Ecco qualche altro ottimo  spunto (a mio parere) da prendere in considerazione. Qui trovate tutti i libri proposti finora, di seguito i prossimi cinque sui quali, come al solito, aspetto i vostri pareri. Via, titolo e sinossi.


1)  Niccolò Ammaniti - Ti prendo e ti porto via
Il mare c'è ma non si vede a Ischiano Scalo, un paesino di quattro case accanto a una laguna piena di zanzare perso nella Maremma tra Lazio e Toscana. Qui vive Pietro, dodicenne timido e sognatore figlio di un pastore psicopatico, segretamente innamorato della sua coetanea Gloria. E qui torna, dopo anni di assenza, anche Graziano Biglia, logoro playboy di provincia che scopre qualcosa di molto simile all'amore con l'enigmatica professoressa Flora Palmieri... Con Ti prendo e ti porto via Niccolò Ammaniti conferma il suo grande talento letterario, regalandoci un lungo, avvincente romanzo che cattura gli aspetti di volta in volta più comici o grotteschi della realtà, un'epopea tenera e crudele sulla scoperta del mondo e su quella lunga ferita che è la giovinezza.




2)  Stephen King - L'ombra dello scorpione
L'errore di un computer, l'incoscienza di pochi uomini e si scatena la fine del mondo. Il morbo sfuggito a un segretissimo laboratorio semina morte e terrore. Il novantanove per cento della popolazione della terra non sopravvive all'apocalittica epidemia e per i pochi scampati c'è una guerra ancora tutta da combattere, una lotta eterna e fatale tra chi ha deciso di seguire il Bene e appoggiarsi alle fragili spalle di Mother Abagail, la veggente ultracentenaria, e chi invece ha scelto di calcare le orme di Randall Flagg dal tremendo sorriso e dai poteri spaventosi, il Senza Volto, il Male, il Signore delle Tenebre.
Nel 1978 Stephen King ha pubblicato una prima versione di questo romanzo; dopo oltre dieci anni, l'autore lo presenta per la prima volta restituito alle forme e alla lunghezza originali, riscrivendo di fatto il romanzo per una nuova generazione di lettori e sviluppando a ruota libera la sua titanica impresa narrativa.



3)  Tom Wolfe - Il falò delle vanità
Sherman McCoy è un giovane finanziere: guadagna un milione di dollari all'anno e vive in un appartamento di quattordici stanze a Manhattan, nel cuore della "città dei bianchi", al riparo dai pericoli e dalle violenze della metropoli multirazziale. Una sera McCoy investe con l'auto un giovane negro del Bronx: la polizia, i giornalisti, i politici e i difensori civici gli sono subito addosso, trasformando l'uomo di successo, il superprivilegiato, nella vittima designata di un'intera città.
Attraverso la "parabola" di McCoy, Wolfe mette in scena un'infinita galleria di personaggi, esplora gli ambienti più disparati, in una grande "commedia umana" che è anche, per noi europei, una visione profetica del nostro futuro.






4)  Luther Blissett - Q
Chi è Q, il confidente di papi e inquisitori, lo spettro nero che sembra possedere la Verità? Ma, soprattutto, chi è il suo sfuggente antagonista, l'uomo dai mille volti, studente, monaco, mercante? Sullo sfondo dell'Europa del Cinquecento, dilaniata dalle guerre di religione e dalle rivolte dei contadini, si dipana la storia, lunga quarant'anni, di un uomo in lotta per la libertà e in fuga per la salvezza. Misteriosa opera narrativa dell'enigmatico Luther Blissett e vero e proprio caso letterario, Q è un affascinante viaggio nel tempo e nello spazio, dalle città tedesche in rivolta alla Roma dei cardinali, da Anversa fino alla lontana Istanbul, tra stampatori e prostitute, spie e banchieri, predicatori e capitani di ventura. Uno straordinario romanzo giallo, in cui l'impeccabile ricostruzione storica si affianca a un ritmo narrativo da grande thriller.




5)  Jonathan Safran Foer - Ogni cosa è illuminata
Con una vecchia fotografia in mano, uno studente ebreo americano, intraprende un viaggio in Ucraina alla ricerca di Augustine, la donna che (forse) cinquant'anni prima ha salvato suo nonno dai nazisti.
Ad accompagnarlo nella ricerca di Trachimbrod, villaggio a tutti sconosciuto, sono gli incaricati della locale agenzia "Viaggi Tradizione": Alex, l'interprete, un giovane ucraino che parla un inglese personalissimo e strampalato, suo nonno - affetto da una cecità psicosomatica ma sempre al volante della scassatissima auto - e una cagnetta puzzolente.
Il racconto esilarante, ma a tratti anche straziato, del loro improbabile viaggio, si alterna a una vera e propria saga ebraica, che ripercorre la storia favolosa di un villaggio ucraino del Settecento fino alla distruzione avvenuta a opera dei nazisti.
Un viaggio immaginoso aggrappato ai fili della memoria, fili impregnati di vita vera, storie d'amore, vicende tragiche o farsesche. Un racconto commovente e profondo, strepitosamente divertente; un modo tutto nuovo di rileggere il passato per illuminare il nostro presente.

sabato 8 febbraio 2014

L'ISOLA DEL TESORO

(Treasure island di Byron Haskin, 1950)

L'isola del tesoro è una fedele trasposizione dell'omonimo romanzo scritto dallo scozzese Robert Louis Stevenson nel 1883. La pellicola è anche il primo tentativo della Walt Disney Productions di cimentarsi con attori in carne e ossa; la scelta non poteva che orientarsi verso uno dei più grandi classici dell'avventura per ragazzi. Siamo negli anni '50, era ancora lontana la tradizione disneyana di proporre a famiglie e bambini personaggi e situazioni che andavano a braccetto con magia e fantasia, caratteristica tra l'altro spesso appannaggio dei film in tecnica mista come Mary Poppins o Pomi d'ottone e manici di scopa. Si guardava all'avventura con film come questo o con personaggi del calibro di Robin Hood, David Crockett e più avanti Zorro.

Per chi non conoscesse la storia, l'eroe con il quale i bambini possono identificarsi è il giovane Jim Hawkins (Bobby Driscoll) figlio dei proprietari della locanda che ospita il vecchio pirata Billy Bones (Finlay Currie). E' proprio quest'ultimo che in punto di morte cederà al piccolo Jim una mappa utile per ritrovare il tesoro dell'ormai defunto Capitano Flint e della sua ciurma di pericolosi pirati. Rivoltosi al Dottor Livesy (Denis O'Dea) per avere aiuto, il piccolo Jim partirà alla volta di una fantastica avventura alla ricerca del tesoro insieme al dottore, all'armatore Trelawney (Walter Fitzgerald) e al Capitano Smollett (Basil Sydney). A loro si unirà l'ambiguo cuoco di bordo, tal Long John Silver (Robert Newton) che si occuperà anche di procurare la ciurma per la spedizione.

Per i bambini d'oggi abituati a rutilanti film d'animazione in CGI non può essere un male tornare ogni tanto a godere del classico film di quelli che si facevano una volta, che presentava avventure sicuramente fuori dall'ordinario ma con un piglio più ancorato alla realtà e con una più immediata facilità d'identificazione (in fondo qui l'unico animale parlante è un pappagallo, cosa che in fin dei conti ci sta tutta). Certo che il ritmo è diverso, è necessario entrare nell'ottica d'idee di una visione più pacata e in alcuni frangenti meno dinamica nonostante qui l'azione non manchi. Azione che porta anche ferite e alla comparsa di un goccio di sangue di tanto in tanto, finalizzati però alla riuscita della narrazione. Un tipo diverso di prodotto che a mio avviso è bene recuperare ogni tanto.

La caratterizzazione di alcuni personaggi, a partire dalle scelte delle voci italiane, è molto marcata così lo spettatore potrà godere di un Long John Silver che non fatica a imporsi sulla scena, così come rimane impressa la comparsa di Ben Gunn (Geoffrey Wilkinson), gli attori sono parte di una vera e propria messa in scena con tutti i crismi. Nel complesso ne vien fuori una discreta trasposizione, un film non eccezionale ma che aprì alla Disney un nuovo mondo e che resta per noi spettatori moderni un'occasione per godere di un cinema più artigianale che oggi si fa sempre più fatica a trovare.

Jim Hawkins, Long John Silver, il Capitano Smollett e Ben Gunn

venerdì 7 febbraio 2014

WILD CARDS I - L'ORIGINE

(Wild cards 1 di George R. R. Martin e AA. VV., 1986)

Sapete quando vi viene la scimmia e una cosa la dovete fare per forza? Ecco, quello. Mi era venuta la scimmia per colpa di Umberto. Umberto è uno che sa un sacco di cose e quando te le racconta ti incanta e ti incuriosisce, così questo libro a cura di George R. R. Martin, di cui non ho mai letto altro, me lo sono dovuto comprare.

Sapete quando vi viene la scimmia? Ecco, pare fosse il settembre del 1983 quando a George Martin (e affanculo la doppia R) venne la scimmia. Come lui stesso racconta nella postfazione al libro, fu allora che Victor Milàn, uno degli scrittori che hanno partecipato alla creazione di questo Wild Card, gli portò in regalo un gioco di ruolo dal titolo SuperWorld. Beh, pare che la scimmia per questo SuperWorld si diffuse, proprio come un virus, a tutto il gruppo di gioco di Martin che comprendeva tra gli altri anche Walter Jon Williams, John J. Miller e Melinda M. Snodgrass, tutti futuri autori del libro in questione del quale alcuni protagonisti videro la loro nascita proprio durante quelle lunghe giornate di gioco risalenti al 1983.

Avrete ormai capito che Wild Cards è un lavoro collettivo, un'antologia di brevi racconti inseriti però in uno scenario comune, ogni racconto va ad arricchire il mosaico generale di una vicenda che si dipana dal secondo dopoguerra fino agli anni '80 del 1900.

Tutto ebbe inizio nel lontano 1946 quando il Dottor Tachyon (questo il nome datogli dai terrestri) arrivò dal pianeta Takis per scongiurare un disastro imminente pronto ad abbattersi sulla nostra Terra. A nulla valsero gli sforzi congiunti dell'alieno, dell'esercito statunitense e finanche di Jetboy, il pilota prodigio dell'aviazione americana, per evitare il peggio. Il 15 settembre del 1946 la nostra Terra cambiò per sempre, larga parte della popolazione americana e non solo, venne alterata se non uccisa. Molti dei sopravvissuti all'evento furono colpiti da mutazioni mostruose e investiti di particolari capacità. Ognuno poteva pescare una carta, la matta, quella in grado di cambiarti la vita per sempre, molto probabilmente rovinandotela. Cosa ti sarebbe toccato? La Regina Nera che porta alla morte? Il Joker capace di renderti una mostruosità? Oppure l'Asso, in grado di elevarti al rango di supereroe, proprio come uno di quelli che si vedono nei fumetti? Fortuna, semplice fortuna. Qualcuno, quelli in seguito chiamati nat, la sfangava e non veniva toccato da questo virus impazzito.

Wild Cards I - L'origine presenta la nascita di una Terra diversa da quella che anche noi viviamo e che, da quel 15 settembre 1946, piega verso una storia divergente ma tutto sommato simile a quella che noi tutti conosciamo. Anche qui ci sono stati Nixon e i Kennedy, il Vietnam e le proteste giovanili, l'era d'oro di Hollywood e la caccia alle streghe del senatore McCarthy. Proprio questo è forse il fascino maggiore di questa raccolta di racconti che riesce a ricreare in maniera viva e credibile l'America delle varie epoche, concentrandosi maggiormente dagli anni '50 ai '70 e inserendo le vicende di alcuni dei cittadini ormai mutati dal virus Wild Card (la matta) nel contesto storico del periodo narrato in ogni racconto.

Diversi sono gli omaggi e i richiami alla Golden Age del fumetto americano, non poche sono le similitudini tra questi racconti e questi personaggi e l'industria dei comics vivace e prolifica presente negli U.S.A.  nei primi anni '50, prima dell'epurazione causata dal professor Wertham e dal suo Seduction of the innocent. Lo stesso personaggio di Jetboy è palesemente (e credo dichiaratamente) ispirato all'Airboy della Hillman Publications così come non mancano gli Assi dediti ad aiutare il proprio governo e alla causa bellica, proprio come accadeva nei fumetti in tempo di guerra.

Personalmente proprio i racconti ambientati negli anni '40 e '50 sono quelli che ho preferito grazie al meglio riuscito (a parer mio) amalgama tra avventura e specchio dei tempi. Poi, come in tutte le raccolte di racconti, c'è quello riuscito meglio e quello meno nonostante il ricorrere di alcuni personaggi e situazioni che legano insieme il corso degli eventi.

Wild Cards può essere un buon libro per chi ama questo genere di narrazione, a chi storce il naso al solo udire la parola supereroe o a chi odia tutto ciò che è fantastico e fantasioso il consiglio è quello di starne alla larga. Non di capolavoro si tratta ma di un discreto passatempo. Gli autori coinvolti sono davvero molti, da segnalare due brevi intermezzi a cura di nientepopodimenoche Tom Wolfe (Il falò delle vanità) che qui scrive nel suo stile Wild Card Chic e quello di Hunter S. Thompson (Paura e delirio a Las Vegas) che si concede un Paura e delirio a Jokertown.

La scimmia è placata. Ma lo sarà davvero? Il materiale a disposizione è infinito, qui da noi è stata tradotta la prima trilogia di Wild Cards, progetto in divenire che conta ormai più di venti volumi e che è stato trasposto in fumetti e, tornando all'origine, in un nuovo gioco di ruolo. Magari, più avanti, un altro giro in questo mondo strampalato potrei anche concedermelo, chissà.

Lista degli autori: Studs Terkel, Howard Waldrop, Roger Zelazny, Walter Jon Williams, Melinda M. Snodgrass, Elizabeth H. Crofton, Michael Cassutt, David D. Levine, George R. R. Martin, Lewis Shiner, Victor Milàn, Tom Wolfe, Edward Bryant, Leanne C. Harper, Hunter S. Thompson, Stephen Leigh, Carrie Vaughn, John J. Miller.

George Martin (e affanculo la doppia R)

giovedì 6 febbraio 2014

BRADI PIT 88

Il nostro caro Bradi Pit è l'emblema e l'elogio della lentezza. Se tutti noi, amici e fan del Bradipo ma anche visitatori occasionali, dovessimo formare una sorta di cricca del Bradi Pit, come minimo servirebbe un po' di immedesimazione e di empatia con il personaggio. Tentiamo un'iniziativa che ho visto funzionare bene su facebbok: rispondete semplicemente al quesito: ti senti lento come il bradipo quando...? Completate voi.



Clicca sull'immagine per ingrandire.

Aiutaci a diffondere il verbo del Bradipo linkandolo. Fallo tu perché il Bradipo fa n'caz.

mercoledì 5 febbraio 2014

SMETTO QUANDO VOGLIO

(di Sydney Sibilia, 2014)

Davvero un bell'esordio quello di Sydney Sibilia che con un materiale di partenza sicuramente non originalissimo se non addirittura derivativo riesce a costruire una commedia ben riuscita e divertente in bilico tra la denuncia della condizione precaria dei giovani italiani di oggi e i film di puro intrattenimento alla Ocean's eleven (giusto per dirne una). I primi minuti della pellicola catapultano lo spettatore nel giusto mood per affrontare la visione grazie alla musica degli Offspring che cantano assolutamente in tema I won't pay e alle riprese dall'alto di una Roma in procinto di conoscere la next big thing nel campo delle droghe sintetiche.

Università La Sapienza. Pietro (Edoardo Leo) è un ricercatore precario in attesa di rinnovo contrattuale, lavora per un professore che gli sventola sotto il naso il miraggio del tempo indeterminato e che vanta agganci in commissione in virtù di vecchie simpatie politiche, tra l'altro campate per aria. Pietro, sfruttato, costretto a dare ripetizioni a studenti figli di papà che non lo pagano con la scusa della crisi, aspetta. Giulia (Valeria Solarino), ragazza di Pietro che lavora per il recupero dei tossicodipendenti, aspetta e fa pressione. Questo contratto a tempo indeterminato arriva o non arriva? Non arriva. Pietro, varcata da molto la soglia dei trenta, rimane a piedi. Ma chi glielo dice a Giulia? Nessuno. Infatti Pietro mente e, colto da rabbia e disperazione, decide di mettere insieme una banda per produrre e spacciare una nuova sostanza stupefacente usando molecole ancora non vietate dal ministero della salute.

Insieme a lui un gruppo di amici, tutti universitari laureati, dei veri geni ognuno nel proprio campo di specializzazione, tutti umiliati e ridotti ai lavori più generici e sottopagati che la nostra società possa offrire. Un archeologo, due chimici, un antropologo, un economista e due latinisti coi controcoglioni tutti uniti nel folle piano di produrre la nuova droga (legale) e spacciarla ai giovani nelle discoteche (un po' meno legale). Ovviamente la nuova impresa genererà sorprese, introiti e molte complicazioni fino a far innervosire la gente sbagliata. L'inesperienza nel campo farà sì che le cose sfuggano di mano alla banda dei laureati.

Nonostante molti degli episodi più divertenti del film vengano proposti nel trailer, come ormai succede sempre più spesso, la pellicola tiene bene per l'intera durata sia nello sviluppo, comprese le chiusure finali all'apparenza un pochino frettolose ma comunque funzionanti, sia nella freschezza e nel divertimento. Si ride molto, spesso con gusto, per tutto l'arco della vicenda. Sibilia assesta diversi colpi bassi e duri alla società imbruttita che abbiamo in qualche modo contribuito a creare, senza mai far perdere il sorriso allo spettatore, comunque costretto a riflettere sulla deriva del paese.

Tanto di cappello a un cast che funziona davvero bene e che gestisce situazioni spesso grottesche e improbabili con una grande capacità di non andare troppo sopra le righe e senza mai cadere nel macchiettismo. Nonostante alcuni sviluppi portati in un contesto reale risultino appunto improbabili, Edoardo Leo rappresenta in modo credibile il bistrattato d'oggi in cerca di rivalsa con una recitazione in equilibrio pressoché perfetta. E' con grande piacere che ritroviamo una parte del cast di Boris, un sempre più simpatico Sermonti (l'antropologo, forse un po' troppo italiano) insieme a Paolo Calabresi (archeologo) e Valerio Aprea (latinista). Menzione particolare per Stefano Fresi (chimico) e Libero De Rienzo (economista), un pizzico sopra agli altri. E' anche l'occasione per vedere un Neri Marcorè in veste di fetente.

Niente da dire, Smetto quando voglio è stata una piacevole sorpresa per un genere di commedia italiana da sostenere. Speriamo Sibilia non la smetta qui.

CONTROFESTIVAL: SI VOTA

Tutto quel che vi serve sapere direttamente dalla bocca del più efferato dei killer del web:

Dopo il successo dello scorso anno non potevamo non provarci un'altra volta. Per cui eccoci qui a lanciare ufficialmente La musica è sempre più blu 2014!
Come nella prima edizione metterò a disposizione un elenco di canzoni da votare per poi selezionarne tre per categoria  e scegliere la canzone vincitrice durante una serata che verrà organizzata a L'OrablùBar.

Ecco in sintesi come funziona:

Scelta dei brani
Abbiamo chiesto ad alcuni blogger e ai diggeis di Radiopanesaleme, che quest'anno diventa la radio ufficiale del Controsanremo, di fornire un elenco di brani divisi per categorie. I brani potranno poi essere votati sul nostro blog.

Tema principale e categorie
Quest'anno, coerenti con il tema da noi scelto da settembre dello scorso anno, le categorie saranno dedicate alle donne per cui si dovrà votare la miglior voce italiana femminile, la miglior canzone italiana dedicata a una donna e la peggior voce femminile italiana
Sarà possibile anche effettuare la scelta dell'ospite straniera.
 
Come votare
Da oggi arà possibile votare grazie al banner predisposto sulla destra del  blog de L'Orablu. Le prime due categoria potranno essere votate fino a domenica 9 febbraio. Il lunedì successivo sarà possibile votare le altre due categorie. Al termine della settimana inizieremo a diffondere le tre canzoni per categorie che andranno alla finale.
 
Serata finale
La serata finale è prevista per sabato 22 febbraio e chi sarà presente a L'OrablùBar potrà essere determinante per la vittoria.

Per cui ora potete votare, votare, votate!!!

Seguite gli aggiornamenti sul blog de L'Orablu e sulle pagine facebook de L'Orablù e di Radiopanesalame.
 
SI VOTA QUI

lunedì 3 febbraio 2014

MARVEL VINTAGE 19 - MARVEL (MISTERY) COMICS

La prima vera pubblicazione attribuibile alla Timely Publication fu l'albo intitolato Marvel Comics dell'ottobre 1939 che cambierà nome già dalla seconda uscita in Marvel Mystery Comics. Dall'albo promozionale Motion Pictures Funnies Weekly furono recuperate la prima storia di Namor il Sub-Mariner di Bill Everett e il personaggio di American Ace di Paul Lauretta che comparirà dal secondo numero di Marvel Mystery Comics.

La copertina di Frank R. Paul mostrava un nuovo eroe destinato a farsi largo nel cuore dei lettori, a contrapporsi a Namor, legato all'elemento dell'acqua, arriva l'androide Torcia Umana e questa volta si puntava sul fuoco. La versione dell'eroe in copertina si presentava diversa da quella alla quale i fan si abitueranno nel corso dei mesi. La copertina inoltre prometteva azione, mistero e avventura anticipando l'avvento della Torcia Umana, dell'Angelo, del Sub-Mariner e di Masked Rider. Inoltre, direttamente dai pulp magazines del catalogo di Martin Goodman, il fortunato lettore avrebbe potuto godere delle avventure del selvaggio Ka-Zar.

Per l'uscita del primo albo della sua nuova casa editrice Goodman decise di andarci con i piedi di piombo stampando una prima tiratura tra le 70.000 e le 80.000 copie che divennero già dal mese successivo, in ristampa, qualcosa come 700.000/800.000 copie, numeri che oggi potrebbero far girare la testa anche ai grossi editori di comic book.

Così, dopo l'arrivo di Namor, vede l'esordio sul primo e unico numero di Marvel Comics il secondo eroe di quella che sarà una sorta di trinità inscindibile del successo dell'era Timely dei supereroi: la Torcia Umana. Creata da Carl Burgos, quella prima versione della Torcia Umana nulla aveva a che spartire con il più celebre e moderno Johnny Storm dei Fantastici 4 che vedrà la luce solo nel più tardo 1961. In origine la Torcia era un androide capace di infiammarsi a contatto con l'ossigeno creato dal dottor Phineas Horton. Nei primi giorni della sua vita editoriale l'androide senziente venne trattato alla stregua del mostro di Frankenstein e reputato una tecnologica minaccia per la comunità. Riscattatosi con il tempo agli occhi dei comuni mortali, l'androide si unì a Namor e Capitan America nella lotta alle forze dell'Asse ed entrò finanche a far parte del corpo di polizia di New York sotto il nome di Jim Hammond.

Qui sotto trovate le tavole che sono riuscito a reperire della versione inglese della storia d'esordio della Torcia Umana originale, più avanti indagheremo sugli altri contenuti di Marvel Comics 1.

Cliccate sulle immagini per ingrandire.





























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