giovedì 28 maggio 2015

BRADI PIT 132

Mai lasciare la strada vecchia per la nuova


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mercoledì 27 maggio 2015

DIABOLO IL GRANDE

(di Tiziano Sclavi e Luca Dell'Uomo)

Nonostante il titolo di questo undicesimo episodio dedicato all'indagatore dell'incubo, il diavolo questa volta non ci mette lo zampino. Di cosa parliamo allora? Pura illusione? Prestidigitazione? Semplice follia? La risposta non potrà che arrivare dal grande Diabolo, o meglio, da Diabolo il grande. La tensione inscenata con la consueta maestria da Tiziano Sclavi prende forma nelle inquietanti esibizioni del prestidigitatore Diabolo il cui numero finale consiste nella macabra decapitazione della sua assistente (e amante) Corinna per mezzo di una minacciosa accetta. Ma è da tempo oramai che il pubblico non adora più il grande illusionista, a detta di Erich (fratello? Manager? Assistente?) è la presenza della stessa Corinna a gettare un cattivo ascendente sulla carriera di Diabolo.

L'atmosfera dello spettacolo, il buio dei teatri, il coinvolgimento del pubblico e di Dylan stesso nella vicenda, sono resi in maniera evocativa e precisa dalle matite pulite di Luca Dell'Uomo, protagonista dopo Gli uccisori di un'altra ottima prova.

Sclavi è bravo a creare un intreccio capace di sviare e ingannare il lettore quasi a dimostrare che in fondo, proprio come fa Diabolo nei suoi spettacoli con il suo pubblico, il bello della lettura come quello di altre forme di intrattenimento è quello di lasciarsi illudere, magari ingannare per poi farsi sorprendere sul finale, tentare di intuire, constatare quanto siamo stati bravi (o meno) a capire, a svelare l'inganno, a smascherare il trucco. Insomma, il trucco c'è ma se lo sceneggiatore, come l'illusionista, è bravo, il trucco non si vede. E Sclavi è bravo, ma questo non devo venire di certo io a dirvelo.

Quello che conta è che la morte non è un'illusione. La morte è vera, starà a Dylan Dog capire come e perché questa si verifica, a lui svelare il trucco, a lui scoprire l'inganno.


domenica 24 maggio 2015

GLIFO

(Glyph di Percival Everett, 1999)

Glifo è uno di quei libri che sono riusciti a farmi sentire molto, molto ignorante e anche vagamente stupido. O più semplicemente il suo autore, Percival Everett, è per me troppo colto o troppo intelligente. O ancora più semplicemente troppo colto e troppo intelligente.

Glifo. Il glifo è un segno o parte di esso (semplificando) e come ben sapete il segno è alla base della scrittura, della parola scritta quindi e del linguaggio. Proprio sul linguaggio batte tantissimo la storia vissuta e narrata da Ralph, un bimbo di pochi mesi con un QI da far spavento, tanto alto da renderlo molto più intelligente dei suoi genitori e di moltissimi altri adulti. Un bimbo tanto intelligente da arrivare a pensare di non essere poi così intelligente, perché una persona intelligente è una persona capace di guidare (cosa che lui non può ovviamente fare) o di controllare i suoi bisogni primari (cacca, pipì). Un bimbo in tutto e per tutto, un bimbo intelligentissimo che si rifiuta di parlare (pur potendo farlo) e che ha imparato tutto quel che sa della vita dai libri.

E la sua storia, costellata da visite psicologiche, studi, rapimenti e controrapimenti, ha dell'incredibile. Mentre il piccolo Ralph ci racconta la sua storia non lesina numerose divagazioni e riflessioni che vertono proprio sul linguaggio, sulle sue caratteristiche, sulle sue leggi e sulle varie idee che lui stesso e altri grandi pensatori hanno espresso a riguardo. Linguaggio quindi ma anche filosofia, pensiero critico e un sacco d'altra roba alla quale ammetto di aver fatto molta fatica a stare dietro.

Facciamo un piccolo esempio. Ecco i titoli dei primi dieci paragrafi del libro (non selezionati, in ordine di apparizione): différance, pharmakon, libertà di simulacro, supplemento, bedeuten, spaziatura, ennuyeux, economia libidinale, peccatum originale e ens realissimum (e avanti di questo passo). E poi poesie, note a margine, formule, schemi, note a fondo pagina, elenchi di parole e dissertazioni. Wittgenstein, Talete, Ellison, Aristofane, Barthes.

Una storia non è una finzione, ma una situazione che occupa uno spazio narrativo, dove regna una logica propria, vera solo in relazione a sé stessa.

Di per sé la storia di Ralph si segue bene, grottesca e divertente regala un sacco di spunti e divagazioni interessanti. Solo che per molte delle divagazioni, veri e propri paragrafi a parte e mischiati alla vicenda principale, è necessario essere preparati o armarsi di pazienza e fare alcune ricerche. O prendere tutto per buono. Lettura faticosa (nella stessa misura in cui la prenderete seriamente) ma molto stimolante.

Everett possiede una laurea in filosofia e una in biochimica, insegna letteratura alla University of Southern California, ama il jazz e possiede un mulo di nome Thelonius Monk. Indubbiamente un tipo interessante ma non proprio alla mano.

Percival Everett

giovedì 21 maggio 2015

BRADI PIT 131

Tempus fugit.


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mercoledì 20 maggio 2015

BIG CITY

(di Djamel Bensalah, 2007)

Quella che all'apparenza poteva sembrare una commedia da vedere in famiglia con i bambini, si rivela invece essere un film dalla morale poco consolante e forse, nonostante i protagonisti siano tutti (o quasi) bambini sotto i quattordici anni, non proprio adatto a un pubblico molto giovane. Nonostante l'intera storia narrata da Bensalah sia interpretata da giovanissimi, assoluti protagonisti di Big City, il regista non ci risparmia colpi bassi e questioni spinose sulle quali riflettere. Tutto sembra iniziare come un racconto di fantasia narrato da un nonno alla sua nipotina, una storia scritta da lui stesso, la storia della cittadina di Big City sita nel Far West americano del 1889.

In quell'epoca, in seguito a un attacco indiano ai danni di una carovana di coloni, l'intera popolazione adulta di Big City si assenta per correre in aiuto dei coloni. Quella che doveva essere un'assenza temporanea si protrae nel tempo fino a diventare permanente, a Big City rimangono solo i bambini, lo scemo del villaggio di nome Banjo (Atmen Kelif) e il vecchio ubriacone Tyler (Eddy Mitchell). I primi giorni sono un fiorire di azioni anarchiche in perfetto stile fanciullesco: negozi di caramelle depredati, animali dipinti coi colori dell'arcobaleno, strade invase da schiuma e bolle di sapone, schiamazzi, giochi e bimbi ubriachi. Poi i più saggi (?) tra i bambini si rendono conto che così non può andare avanti a lungo. E' nel momento in cui i bambini decidono di seguire ognuno le orme dei propri genitori che iniziano i guai, perché la mela non cade mai troppo lontana dall'albero. Se non mancano i bambini dal cuore puro e ingenuo come il pistolero James Wayne (Vincent Valladon) o il barman del saloon Luigi (Théo Sentis), sono i cattivi in erba come il ricco proprietario terriero e sindaco William White (Jeremy Denisty) il vero motore della vicenda. Curiose le parti assegnate a Nicole (Charlie Quatrefages), figlia di una prostituta che vende baci sulla guancia a 50 centesimi e sulle labbra a un dollaro (per 25 cents magari becchi un ceffone) o a Jefferson (Samen Télesphore Teunou), inserviente negro discriminato dagli altri bambini.


E' proprio con quest'ultimo aspetto che il regista francese affonda il colpo, la società costruita dai bambini eredita vizi e pregiudizi di quella degli adulti, il nero è discriminato e considerato un bambino di serie b, la crudeltà continua a far parte della vita quotidiana, anche istituzioni deprecabili come quelle del Ku Klux Klan (ovviamente molto edulcorate) sembrano essere destinate a esistere. Neanche il mestiere della prostituta scompare, quello che invece il regista ci porta a credere possa scomparire è la speranza, la speranza che almeno i nostri figli possano cambiare il mondo e il nostro modo di essere e sembra dirci: "attenti perché non è così, i nostri bambini guardano a noi e noi al 99% delle volte diamo loro l'esempio sbagliato".

Solo con un grande sforzo da parte di tutti le cose potranno cambiare. E' un film anomalo questo, un western francese recitato da piccoli grandi attori. Un cast fatto di spontaneità e sincerità, volti giovani davvero in gamba. Quello che appunto poteva essere una commedia divertente lascia invece un retrogusto parecchio amaro e ancora una volta ci mette di fronte in maniera evidente al fatto ineluttabile che siamo tutti sulla strada sbagliata.


lunedì 18 maggio 2015

10 VOLTI (26) - SPECIAL EDITION

Manche speciale di 10 Volti, come potete ben vedere i volti da indovinare sono 25 questa volta, quindi 25 punti in palio per muovere la classifica. Per i nuovi frequentatori del blog: le regole sono semplici. Un punto per ogni volto indovinato, può partecipare chiunque (tranne gli anonimi per problematiche legate al punteggio), abbiamo abolito il numero massimo di tentativi quindi potete provarci quante volte volete senza limiti, un punto bonus se indovinate almeno cinque nomi, due punti bonus se ne indovinate dieci e così via per multipli di cinque. Solo in questa manche due punti bonus in più per chi indovina i due criteri (uno facile, uno solo un po' meno) con i quali i volti sono stati scelti.

Buon divertimento.

Ecco la classifica ad oggi:

01 La Citata 32 pt.
02 Bradipo 29 pt.
03 Luca Lorenzon 24 pt.
04 Poison 21 pt.
05 Luigi 20 pt.
06 Vincent 17 pt.
07 L'Adri 14 pt.
08 Babol 13 pt.
09 Urz 13 pt.
10 Cannibal Kid 11 pt.
11 Viktor 10 pt.
12 Morgana 9 pt.
13 Eddy M. 8 pt.
14 Elle 8 pt.
15 Frank Manila 5 pt.
16 Michele Borgogni 5 pt.
17 Umberto 4 pt.
18 M4ry 3 pt.
19 Zio Robbo 3 pt.
20 Miu Mia 3 pt.
21 Evil Monkeys 2 pt.
22 Alligatore 2 pt.
23 Marco Grande Arbitro 2 pt.
24 Beatrix Kiddo 1 pt.
25 Ismaele 1 pt.
26 Brusapa Jon 1 pt.
27 Blackswan 0 pt.
28 El Gae 0 pt.
29 Acalia Fenders 0 pt.
30 Rento Portento 0 pt.


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domenica 17 maggio 2015

AFFLICTION

(di Paul Schrader, 1998)

Afflizione: stato di tristezza e di angustia cagionato da dolori soprattutto dell'animo (diz. Treccani).

E' l'animo di Wade Whitehouse (Nick Nolte) ad essere afflitto, un'afflizione palesata sullo schermo non solo dalla prova d'attore di un Nolte ispirato ma anche dal paesaggio costantemente innevato e freddo del New Hampshire e dallo score musicale che amplifica i sentimenti cercati da Paul Schrader nella realizzazione della pellicola.

L'inadeguatezza nell'assolvere i compiti necessari per diventare una figura paterna di riferimento è uno dei grossi problemi interiorizzati, con tutte le problematiche che ne conseguono, da Wade. La figlia Jill non desidera passare del tempo con lui, rifugiandosi nella nuova vita della madre Lillian (Mary Beth Hurt), ex moglie di Wade. Allo stesso tempo anche nel ruolo di figlio Wade non si sente sereno, i suoi ricordi spesso tornano al padre violento (James Coburn) e alle prepotenze subite da lui e dal fratello Rolfe (Willem Dafoe) dal gretto genitore in preda ai fumi dell'alcol.

A tenere in carreggiata Wade ci sono il lavoro da poliziotto nella piccola cittadina in cui abita e la relazione con la cameriera Margie (Sissy Spacek). Poi la morte sospetta del sindacalista Twombley (Sean McCann), personaggio scomodo deceduto incidentalmente durante una battuta di caccia, insinua un tarlo nella mente di Wade alimentato anche dal parere del fratello Rolfe.

Più che la vicenda dell'incidente a Schrader interessano le tensioni, gli uomini e le loro sofferenze, le inadeguatezze, i sentimenti, il malessere di vite imperfette, forse troppo. E proprio questo è l'aspetto più interessante del film, un aspetto sottolineato bene da attori in gran forma (Coburn vinse anche l'oscar al miglior attore non protagonista) e da una narrazione densa e molto trattenuta, ovattata come l'atmosfera invernale del New Hampshire.

Nonostante il nome di Paul Schrader torni spesso dove si parla di cinema, finora lo conoscevo più come sceneggiatore (Taxi driver, Toro scatenato, Al di là della vita limitandoci ai titoli scorsesiani) che non come regista. Affliction è un film di quelli che sembrano presentare storie vere (in fondo di deviazioni dalla routine consolidata per abbracciare derive tragiche sono pieni i telegiornali ogni giorno), un film di quelli passati sotto silenzio che chissà in tv quando è possibile vedere, un film d'attori, di dialoghi, un film se possibile da recuperare.


giovedì 14 maggio 2015

BRADI PIT 130

Il verde è il futuro.


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STRADE DI FUOCO

(Streets of fire di Walter Hill, 1984)

Quello che nelle intenzioni avrebbe dovuto essere un blockbuster hollywoodiano da 14,5 milioni di dollari di budget (e siamo nel 1984) sembra trasformarsi in un affascinante b-movie che col passare del tempo assurge nell'empireo dei cult riconosciuti da un certo tipo di fan e da una parte della critica cinematografica. Un percorso che in fondo, conoscendo un minimo l'iter cinematografico di Walter Hill, potrebbe anche non sorprendere più di tanto, se nel curriculum del regista compaiono pellicole più mainstream come Danko, 48 ore o Chi più spende... più guadagna, non mancano veri e propri cult come I guerrieri della notte o interessanti e misconosciute pellicole quali Undisputed o I trasgressori (e tanto altro ancora qui non menzionato).

E' uno strano miscuglio di stili e generi quello adottato per la realizzazione di Strade di fuoco, una favola risaputa, quella della damigella in pericolo tratta in salvo dall'eroe, trasportata ai giorni nostri e imbevuta nell'immaginario degli anni '50 e in quello degli '80 in un amalgama che riesce a non stridere e cozzare ma a fondersi in maniera molto piacevole. Dai '50 arrivano molti costumi, il design di automobili e locali, alcune atmosfere, dagli '80 l'estetica da videoclip, altri costumi, molta musica, alcune location. L'insieme che ne risulta appare straniante, a volte anche posticcio ma efficace.

Ben dosato anche il passaggio dalle location all'aperto (in particolare la Lower Wacker Drive di Chicago) a quelle degli studios della Universal che ben rende i due quartieri principali della vicenda: Richmond e il degradato Battery dal quale provengono i bikers teppisti conosciuti come Bombers capitanati dal truce Raven (Willem Dafoe).


E' proprio Raven ad ordinare il rapimento della bella e famosa cantante Ellen Aim (Diane Lane) con intenti prettamente lussuriosi. La fan Reva (Van Valkenburgh) chiama in aiuto suo fratello Tom (Michael Paré), un reduce di guerra, per salvare la ragazza, ex fidanzata proprio di Tom. La ferita della vecchia relazione è ancora aperta, tanto più che nel seguire la sua vocazione e la sua carriera la bella Ellen si è sistemata con il suo manager Billy Fish (Rick Moranis) che finanzierà la spedizione di Tom nel territorio dei Bombers. Ad aiutare il ragazzo l'ex militare McCoy (Amy Madigan).


I dialoghi sembrano volutamente tagliati con l'accetta, così come i personaggi, come a rendere scambi di battute e caratteri quasi archetipici. Spesso il tutto sembra la forzatura di un gioco che però in fin dei conti funziona. E poi c'è la musica che avvolge il film dall'inizio alla fine, tra i maggiori artefici della soundtrack c'è l'ottimo Ry Cooder con la sua chitarra, poi tanto rock di matrice ottantiana con puntate da gruppo vocale dei vecchi '50, anche qui un miscuglio ben riuscito.

L'esito finale è molto particolare, a voi il giudizio finale su un opera che a mio avviso si è giustamente guadagnata l'etichetta di piccolo cult.


domenica 10 maggio 2015

BOUNCER

(di Alejandro Jodorowsky e Francois Boucq, 2001/2013)

Il Bouncer, ovvero il buttafuori dell'Infierno, uno dei locali peggio frequentati di Barro City, cittadina dalla pessima reputazione sita in un west duro, spietato, amorale, violento e senza speranza come neanche il buon vecchio Peckinpah era riuscito a descrivere (o forse si dai, Peckinpah si). Il Bouncer è un uomo con un certo senso della giustizia, un uomo che arriva da una famiglia di veri figli di puttana, letteralmente. Un uomo monco di un braccio ma capace di usare l'altro in maniera letale. Jodorowski, capace di passare da un genere a un altro con una felicità impressionante, da subito ci racconta il passato del protagonista, il suo rapporto con i due sciagurati fratelli, il Capitano Ralton e Blake, ex pistolero e ora uomo di Dio. E' un'infernale faida familiare che ci trasporta nel mondo di Bouncer, una vicenda che lo stesso monco racconta al nipote Seth che viene così a conoscenza della storia di sua nonna Lola, la baldracca più feroce dell'ovest, dei suoi tre figli e della contesa per l'occhio di Caino, un diamante dalle grandi dimensioni.

Questa lercia saga familiare riempie solo il primo dei quattro volumi dedicati dalla Cosmo a questa bella serie che ha da offrire un'ottima storia, più d'una in realtà, e le spledide tavole di Francois Boucq. Jodorowsky, come è nelle sue corde, non ci risparmia nulla, Ralton è ora al comando di un manipolo di sudisti reduci dalla guerra che non lesina di macchiarsi dei crimini più efferati: esecuzioni, saccheggi, stupri, omicidi a sangue freddo e tutto un vasto campionario di brutture che Boucq non ha timore di ritrarre su carta con una buona dose di grande talento. Ma non è solo Ralton a portare alta la bandiera della scarsa moralità, di personaggi ambigui e malvagi sono piene le pagine di Bouncer a partire dallo sceriffo di Barro City per andare via via verso tutti i fetenti di turno.


Non da meno sono le donne della serie, capaci di tutto per il proprio tornaconto, dal commettere atti di violenza inusitata al concedere sesso e corpo alla bisogna. A tentare di rimanere su una via vagamente retta rimangono il Bouncer e qualche collaboratore come il nano e barman del saloon Infierno Job e la sua compagna indiana Sakajawea.

Non è certo il west molto più edulcorato di Tex Willer quello che ci presenta Jodorowsky che come già visto in Juan Solo mette tra le pagine di Bouncer tutto il suo repertorio con un risultato davvero degno di nota. Se sangue, merda, marciume e cattiveria non vi spaventano questo potrebbe essere il western che fa per voi.


venerdì 8 maggio 2015

LA POLITICA DEL KILLER

Di norma sul blog non mi occupo di politica, l'argomento per quanto importante non fa che provocarmi travasi di bile e procurarmi malumore. Allora perché farsi del male da soli? Eppure siamo a mio avviso in un momento storico dove la perdita di ogni diritto sta passando sotto silenzio, mascherata da ripresa economica (che poi non arriva mai), da partito del fare (e disfare), da politiche di sinistra finte come le tette al silicone di tante showgirl della tv (e che comunque sono sempre meglio delle politiche dell'attuale sinistra, le tette al silicone intendo). Quindi è giusto diffondere argomentazioni e punti di vista con i quali riflettere.

Visto che io di politica non so parlare, non mi sento abbastanza preparato ne adeguatamente informato, lascio la parola al Killer e vi propongo un po' di link a diversi pezzi che vi invito caldamente a leggere.

Partiamo dal post dal titolo Resistere, resistere, resistere che in maniera impeccabile descrive con poche parole la situazione in cui versa al giorno d'oggi il belpaese.

Passiamo poi al nostro presidente del consiglio (che non merita il maiuscolo), tutti si lamentavano, giustamente sia chiaro, delle figure di merda che il nostro ex premier ci ha fatto fare un po' in tutto il mondo. Per fortuna ora ci pensa rensy a dar nuovamente lustro alla nostra immagine nazionale, eccolo qui.

Un'altra mano, ai cittadini intendo, la tende tutto il PD, frange di minoranza comprese che come tanti teneri conigli vanno in aula a compiere il loro dovere dopo aver sbraitato a destra e a manca (però c'è da dire che c'è stato anche un episodio di dimissioni, parola finora non presente nel vocabolario politico italiano). E trovate tutto qui, nel pezzo Rosso vergogna.

La risalita è dietro l'angolo, per fortuna ci viene incontro una manifestazione dai retroscena specchiati e limpidi che, insieme alla condotta di rensy, ci porterà una volta ancora sotto i riflettori. Parliamo dell'Expo di Milano.

Altro tassello che potrà far ben sperare milioni di italiani è il neo eletto (da rensy & Co.) Presidente Mattarella, anche conosciuto come Speedy Penna

I pezzi sono diversi e a leggerli ci andrà qualche minuto, ciò nonostante vi invito a fare lo sforzo.

Ne approfitto per ringraziare per la sua disponibilità il grande Black (che non è quello dei fumetti) autore di tutto il materiale a disposizione.

giovedì 7 maggio 2015

BRADI PIT 129

Promuoviamo la giornata mondiale della lentezza.


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mercoledì 6 maggio 2015

AVENGERS: AGE OF ULTRON

(di Joss Whedon, 2015)

Just another manic monday cantavano le Bangles. Solo un altro fragoroso cinecomics potremmo cantare noi. Nonostante non manchino gli aspetti positivi neanche in questo Age of Ultron il film non regge il confronto con il suo predecessore (e nemmeno con Winter Soldier a dirla tutta). Le scene action non mancano, anzi ci sono quasi solo quelle, e questo potrebbe essere uno dei principali problemi del film, inoltre alcune di queste sequenze sono talmente dinamiche da renderne faticoso coglierne tutti gli aspetti. Pecca ancor più grande l'essere meno ironico, o comunque meno riuscito sotto questo aspetto, del primo film dedicato agli Avengers. Per chi si aspettava da questa uscita il nuovo colpo grosso targato Marvel Comics il pizzico di delusione è pressoché inevitabile, forse il botto è già stato fatto con Guardians of the Galaxy (che ancora non ho visto) e con la serie Netflix dedicata a Daredevil in maniera tra l'altro inaspettata ai più. Poi se si va al cinema per passare una serata così, disimpegnata, con l'aspettativa di sganassoni, effetti speciali e un po' (pochino stavolta) di divertimento anche Age of Ultron può andar bene.

Tanti personaggi, caratterizzazioni minime che si affidano a quanto già visto nei film a solo dei vari eroi, improbabili flirt amorosi e il tentativo evidente di dare un amalgama coeso al Marvel Universe cinematografico, operazione questa riuscita solo in parte. Finché personaggi molto forti come Spider-Man, i Fantastici Quattro e gli X-Men rimarranno in mano a case di produzione diverse (cinematograficamente parlando) dai Marvel Studios le contraddizioni saranno inevitabili, basti vedere alla voce Quicksilver e Scarlet in X-Men: Giorni di un futuro passato (20th Century Fox) e Avengers: Age of Ultron.

A conti fatti ieri sera avrei preferito stare a casa a riposare che oggi si è cominciato uno stage parecchio faticoso, e invece...

La cosa interessante è che, proprio come accade nei fumetti Marvel, non è detto che la formazione degli eroi più potenti della Terra non venga rimaneggiata per i prossimi progetti visto che ora si hanno a disposizione Quicksilver, Scarlet, la Visione e anche War Machine. Potranno i registi Marvel futuri affrontare la minaccia del botteghino senza l'aiuto dei grossi calibri e puntare di più sulle seconde leve?

Intanto questo film ha anche una trama ma cosa ne parliamo a fare, ormai l'avrete letta già ovunque.



sabato 2 maggio 2015

MARVEL 1602

(di Neil Gaiman e Andy Kubert, 2003/2004)

E' lecito pensare che tutte le volte Neil Gaiman metta mano sui personaggi Marvel o Dc Comics i fan si aspettino grandi opere e narrazioni memorabili. Se nella fattispecie non ci troviamo di fronte al capolavoro sperato è indubbio che gli otto numeri di Marvel 1602 garantiscano un sano intrattenimento e compongano un'ottima storia, ben narrata, avvincente quanto interessante e ben supportata dai disegni di Andy Kubert.

L'idea di base non è niente male, Gaiman decide di trasportare alcuni dei più celebri eroi Marvel nel 1602 anticipando di tre secoli e più, all'interno di un corposo What If?, la comparsa dei supereroi, adattandoli per look, nomi e comportamento alla vita del primo Diciassettesimo secolo inglese. Ognuno dei personaggi coinvolti mantiene grossomodo le caratteristiche che l'hanno reso celebre nel Marvel Universe classico, i personaggi non vengono snaturati ma ricontestualizzati.

La regina Elisabetta regna su un'Inghilterra tollerante verso gli occulti, persone con capacità particolari. Al suo fianco Sir Nicholas Fury, una sorta di capo militare e comandante del servizio segreto di sua maestà, e quello che può essere definito sia medico che mago di corte, il Dottor Stephen Strange. Ma la regina avrà vita breve, con la successione al trono di Giacomo VI di Scozia le cose cambieranno, per gli occulti la vita diverrà più dura e non dovranno più guardarsi solo dal Grande Inquisitore Enrico e dai suoi due pupilli: Petros e Sorella Wanda.

Ma non è solo questo a preoccupare Strange e Fury, strani fenomeni meterologici sembrano indicare che la fine del mondo si stia avvicinando con largo anticipo. Solo un vecchio manufatto dei cavalieri templari sembra sia in grado di porre rimedio a questi strani fenomeni, un oggetto in viaggio nell'Europa continentale e ora in possesso di un vecchio, un artefatto che dovrà recuperare il cieco Matthew, incaricato da Fury, accompagnato dalla bella Natasha. Ma sarà davvero quella la chiave di volta per risistemare le cose o avranno un ruolo importante nella vicenda l'indiano Rojhaz e la sua protetta Virginia Dare? E che parte avranno i giovani talentuosi di Carlo Javier e il Conte Otto Von Doom?

Devo ammettere di aver apprezzato parecchio 1602 nonostante io non sia un fan sfegatato delle rivisitazioni in chiave alternativa dei supereroi, ma come sostengo da sempre non sono i personaggi, gli scenari, i generi a fare una buona storia bensì l'autore che la scrive che in questo caso è stato sufficientemente bravo da cancellare ogni mia remora. Ognuno dei personaggi coinvolti, che sono molti ma non troppi (e in questo Gaiman è stato bravo a non eccedere) hanno il giusto spazio e la loro funzione narrativa, i disegni di Kubert, colorati da Isanove saltando il passaggio a china, si adattano bene a epoca e atmosfere narrate da Gaiman. Ne risulta un bel volume, una lettura piacevole inserita in un contesto tutto sommato parecchio interessante. Certo, non una capolavoro ma come si dice... ad avercene.


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