Continuiamo l’esplorazione della filmografia del maestro Yasujirō Ozu con Crepuscolo di Tokyo, film del 1957 che esce a un solo anno di distanza dal precedente Inizio di primavera. Se più volte nei titoli delle opere di Ozu si è fatto riferimento alle stagioni, metafora dell’incedere inevitabile del tempo, del naturale cambiamento delle cose e delle varie “stagioni” della vita stessa, per questo film si sceglie la parola “crepuscolo” che lascia sopravvenire alla mente l’idea della vicinanza, o almeno del tendere, alla fine di un qualcosa: di una giornata, di un’epoca, di un’esistenza. Facendo una ricerca in rete del termine il primo significato a spuntar fuori è “luminosità limitata e incerta del cielo nei momenti susseguenti al tramonto del sole”. Indubbiamente Crepuscolo di Tokyo è, tra i film analizzati finora, quello che presenta la minor “luminosità”, sia parlando di mera fotografia, sia con riferimento alle situazioni trattate dal regista, più cupe e tragiche di quelle presentate nei film precedenti, seppur permanga anche in Crepuscolo di Tokyo quella messa in scena asciutta ed “educata” alla quale Yasujirō Ozu ci ha già abituati con gli altri film da lui girati in anni anteriori a quel 1957 nel quale Crepuscolo di Tokyo veniva presentato al pubblico. Il tramonto del sole in questo caso può essere visto come specchio del tramonto della famiglia tradizionale come istituzione assoluta e inamovibile, un disfacimento, in atto per vari motivi, che può causare dolore da qualsiasi lato si voglia guardare a un fenomeno sempre più indice dei tempi e forse, in qualche misura, anche inevitabile.
Takako (Setsuko Hara) è una donna ancora giovane, madre della piccola Michiko, una bimba di due anni; il suo matrimonio è in crisi a causa dei disaccordi tra Takako e suo marito Numata (Shin Kinzo), un uomo troppo incline al vizio del bere. Così la donna torna a stare a casa del padre Shūkichi (Chishū Ryū), un impiegato non ancora in pensione; qui vive anche la sorella minore di Takako, Akiko (Ineko Arima), una ragazza dall’animo malinconico e sofferente alla costante ricerca del suo ragazzo Kenji (Masami Taura), un giovane immaturo e preso dalle case da gioco. Le due sorelle sono cresciute fin da piccole con il padre, un uomo abbandonato dalla moglie fuggita anni prima con un altro. Akiko ha molto patito la mancanza di una madre, di fatto la ragazza non ne serba nemmeno ricordo, nonostante l’affetto riversato sulla figlia dal padre la mancanza di una figura materna ha lasciato strascichi sul benessere familiare che in età adulta Akiko ancora subisce. Un giorno, mentre è in cerca di Kenji, Akiko incontra la proprietaria di una sala di mah jong, la signora Kikuko (Isuzu Yamada), la donna dice di conoscere la ragazza fin da quando era piccola, afferma di essere una vecchia vicina di casa, in realtà ad Akiko viene il sospetto che la donna possa essere sua madre. Questa sorta di rivelazione, più l’evento imminente per cui Akiko sta cercando l’irresponsabile Kenji, gettano la ragazza in uno stato di profondo sconforto che avrà conseguenze tragiche per tutta la famiglia.
Crepuscolo di Tokyo è per il regista giapponese una sorta di cambio di rotta, se non proprio nelle tematiche (i problemi familiari e di coppia erano stati già esplorati), almeno nelle atmosfere, qui più pesanti e tragiche di quelle alle quali i film precedenti di Ozu ci avevano abituati. Figure apparentemente predestinate al dolore come quella di Akiko non si erano ancora viste nelle opere dell’ultima parte della filmografia del regista; seppur non venga del tutto esautorata del suo ruolo la speranza, in Crepuscolo di Tokyo si affacciano anche il gesto violento e temi spinosi e delicati (siamo pur sempre nel ‘57, non che oggi non lo siano) come l’aborto, pratica all’epoca in Giappone già consentita in piena legalità. Continua anche qui il discorso sulla disgregazione della famiglia vista con toni ambivalenti: da un lato i danni perpetui che l’abbandono di bambini piccoli può provocare sugli stessi, nonostante l’affetto presente di chi è rimasto, da un lato le infelicità dettate da legami sbagliati o usurati, in questo il cinema di Ozu si conferma essere un classico senza tempo e sempre attuale. Ottimo il lavoro di scrittura sul personaggio di Akiko, una ragazza attanagliata da dubbi, vuoti e preoccupazioni che alla fine la vinceranno, nonostante la vicinanza della sorella e del padre amorevoli, un amore reso inutile dal gesto antico di una madre che qui subisce, soprattutto a opera di Takako, una dura condanna per la sua condotta. Visivamente tornano gli stilemi ormai noti del cinema di Ozu: inquadrature fisse, telecamera ad altezza tatami, interni rigorosi e ordinati, regolari, in contrapposizione agli stacchi in esterno con elementi di architettura moderna, tralicci, luci al neon a indicare una vita più disordinata rispetto a quella che dovrebbe (e qui il condizionale è d’obbligo) aver vita tra le mura domestiche. Crepuscolo di Tokyo si conferma come un altro frammento da ricordare all’interno della filmografia di un grandissimo autore.