(di Jacques Demy, 1964)
Nel 1964 il regista francese Jacques Demy arriva al suo quarto lungometraggio con Les parapluis de Cherbourg, film che diede popolarità duratura al suo autore e che ottenne anche la Palma d’oro al Festival di Cannes del ‘64. Ancora oggi la visione de Les parapluies de Cherbourg rimane un’esperienza quantomeno originale; il film poggia infatti su un impianto da musical (è completamente cantato dall’inizio alla fine) ma non presenta le classiche coreografie tipiche del genere né numeri misti di ballo e canto, tutti i protagonisti si limitano semplicemente a recitare le loro battute cantandole, scelta artistica che dona un tocco inusuale alla pellicola e a tutto l’impianto recitativo immerso in quella che a conti fatti è una storia d’amore come ce ne sono tante, graziata dalla presenza di una giovanissima e deliziosa Catherine Deneuve e dal nostro Nino Castelnuovo (per chi non lo conoscesse è quel bell’uomo che ha saltato per anni la staccionata negli spot pubblicitari dell’olio Cuore ma che ha recitato anche in capi d’opera della storia del cinema come Rocco e i suoi fratelli, tanto per dirne una). Quello che lo spettatore deve aspettarsi dal film è una storia romantica, sofferta, candida e pulita giocata sula ripartizione di più momenti e di tre fasi: la partenza, l’assenza e il ritorno. Le scelte cromatiche e quelle di scenografia sembrano sospendere la storia di Les parapluis de Cherbourg in una sorta di limbo che sta a metà strada tra realtà e racconto finzionale, tra verità e fiaba, impressione dettata dal contrasto tra le riprese in esterno a Cherbourg (oggi Cherbourg-Octeville in Normandia) e quelle in interno caratterizzate da arredi, colori, tappezzerie a tinte pastello che forse mai si troverebbero (o si sarebbero trovate) tra le mura di una casa o di un negozio reale.Les parapluis de Cherbourg può fregiarsi di un’originalità non comune per come presenta questo miscuglio di melò e musical, scelta di per sé già poco battuta, rafforzata da una messa in scena coloratissima che Demy impreziosisce con alcune trovate di regia indovinate e sfiziose come quella messa in atto nella sequenza iniziale. Vista sul porto di Cherbourg; la camera in posizione elevata rispetto al terreno ruota verso il basso e riprende l’acciottolato della strada. Inizia a piovere, le persone che passeggiano, ciclisti, ragazze, marinai, aprono i loro ombrelli: rossi, azzurri, bordeaux, blu; prima uno alla volta, poi insieme in fila… e ancora, bianco, giallo, grigio, granata, persone zuppe di pioggia, impermeabili e ancora marinai, rosso, blu, bianco, una famiglia di neri in fila. La camera torna nella posizione iniziale, incomincia la prima parte: le départ. Alla regia di Demy si unisce la partitura musicale vivace e jazzata di Michel Legrand, da lì un cantato pressoché continuo. Il film, sequenza d’apertura a parte, si apre e si chiude con una vista sull’officina in cui lavora Guy, una circolarità che torna anche nel rapporto con Geneviève seppur con valenze ed esiti differenti. Quella tra Geneviève e Guy è una storia d’amore triste, ammantata di nostalgia e di rimpianto, che mette sotto i riflettori il dolore delle storie spezzate, non compiute e non vissute pienamente fino in fondo. A un primo impatto Les parapluis de Cherbourg può sembrare artificioso ma con il passare dei minuti il film permette allo spettatore di mettersi comodo, di godere della visione e di arrivare a soffrire un poco, sotto la neve questa volta, per una amore che avrebbe potuto essere e che invece non è stato, almeno non del tutto. C’è un po’ di vita, c’è un po’ di finzione, c'è...
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