(Ochazuke no aji di Yasujirō Ozu, 1952)
Continuiamo a esplorare quella porzione di catalogo messa a disposizione da Raiplay per i suoi spettatori dedicata al lavoro del maestro del cinema giapponese Yasujirō Ozu; questa volta ci soffermiamo su un film del 1952, Il sapore del riso al tè verde, opera che precede di un solo anno l'uscita del capolavoro unanimemente riconosciuto Viaggio a Tokyo ma che in realtà era già stata pensata e sceneggiata da Ozu e dal suo collaboratore Kōgo Noda già sul finire degli anni Trenta dello scorso secolo. Il progetto, nato in un'epoca in cui il controllo di Stato sulle forme di espressione culturale era più stringente, fu bloccato dalla censura a causa di motivi che oggi potremmo considerare banali o comunque non tali da bloccare l'uscita di un film (che poi è anche un prodotto commerciale): infastidiva il fatto che il matrimonio tradizionale (matrimonio combinato) venisse osteggiato dalla protagonista, la modernità di alcuni comportamenti tenuti dai diversi personaggi e addirittura la scelta di celebrare uno dei passaggi chiave del film con la preparazione del riso al tè verde, piatto considerato troppo umile e povero, visto come non degno di essere accostato a tematiche riguardanti la società giapponese, temi che comunque appartengono alla sfera del personale, del privato, e non a quella politica o di Stato, ciò dimostra come la libertà d'espressione non fosse cosa scontata e l'attenzione a quel che l'arte proponeva esageratamente alta e restrittiva.Taeko (Michiyo Kogure) e Mokichi (Shin Saburi) sono una coppia benestante sposata e senza figli; lei è una donna esigente alla quale piacciono le comodità e i divertimenti, lui è dedito al lavoro e ha una visione della vita più semplice e agli occhi della moglie anche un poco noiosa. Quello tra i due è un matrimonio in crisi, Taeko cerca ogni scusa per allontanarsi da casa e passare del tempo con la sua amica Aya (Chikage Awashima) e con la sua giovane nipote Setsuko (Keiko Tsushima), una ragazza in età per avere delle relazioni serie ma ancora single. In almeno un'occasione, quella di una gita tra amiche alle terme programmata alle spalle del marito, Mokichi sembra intuire la volontà della moglie di allontanarsi da casa ma l'uomo non da troppo peso al comportamento della moglie. Una volta con le amiche, Taeko si sfoga lamentandosi del suo matrimonio, contratto nella tradizione dell'unione combinata, mostrando poco rispetto per il consorte. Quando anche per Setsuko si prospetta la possibilità di un matrimonio combinato la giovane si ribella facendo nascere ulteriori malumori in famiglia; dopo alcune divergenze di vedute la zia Taeko si allontana da casa senza informarne il marito che dovrà partire per un viaggio di lavoro in Uruguay senza poter avvisare e salutare la moglie.
Rispetto ad altre opere del maestro Ozu Il riso al sapore di tè verde presenta una regia e una messa in scena più vivace e dinamica, pur rimanendo su stilemi classici e formalmente compassati. Il film si apre con un'esterna, una ripresa effettuata dall'abitacolo di un'auto tra le strade di una Tokyo moderna, viva, una visione di progresso che torna anche in altre sequenze della pellicola; si percepisce ancor più che in altre occasioni l'influenza della commedia statunitense sul girato di Ozu, altra conferma, oltre a quelle di cui è imbevuto il film, di come la cultura giapponese sia via via sempre più influenzata da quella occidentale, un aspetto che si rispecchia negli abiti delle protagoniste dove i classici outfit occidentali si alternano ai kimono della tradizione nazionale, nella presenza dei film di importazione statunitense che Setsuko alterna volentieri alle serate al teatro kabuki, e ancora nell'interesse per il gioco del baseball, nelle sortite al velodromo, tutti segnali di una quotidianità che si sta ibridando con gli stimoli provenienti da oltreoceano. Il cuore della narrazione sono ancora una volta le donne, donne moderne che pian piano si trovano in contrasto con usanze da loro ritenute ormai vetuste e moralmente sorpassate come quella del matrimonio combinato. La giovane Setsuko è alla ricerca di un'unione d'amore, spontanea, vede l'infelicità della zia Taeko come una conseguenza proprio del suo matrimonio pilotato dalle famiglie. C'è inoltre un primo sentore di un patriarcato in difficoltà, messo in discussione da mogli non più cecamente devote ai doveri coniugali; nonostante questi contrasti, nonostante queste donne che bevono, nascondono le loro azioni ai mariti, giocano a pachinko (un gioco d'azzardo giapponese), le differenze di vedute sono affrontate da Ozu e dai suoi protagonisti sempre con una certa pacatezza e in alcuni casi, come in quello della scontenta Taeko, non è detto che il proprio sentire non ritrovi la via della serenità proprio grazie alla tradizione, grazie a una piccola epifania qui visivamente resa con la splendida sequenza della preparazione improvvisata del riso al tè verde da parte di Taeko e Mokichi. Si rimane sempre in bilico tra l'accettazione del nuovo e la nostalgia per il passato, qui richiamata dall'incontro tra Mokichi e un vecchio commilitone (Chishū Ryū) ora gestore di una sala di pachinko, un uomo sofferente perché convinto che il suo nuovo lavoro, moderno e indirizzato al mero divertimento se non proprio al vizio, sia un'occupazione inutile e indegna nell'ottica della costruzione di una nuova società giapponese. Tanti i temi messi in campo da Ozu, quasi tutti ricorrenti nell'economia del suo corpo d'opera, forse Il sapore del riso al tè verde si può considerare meno incisivo dei film appartenenti alla così detta trilogia di Noriko ma rimane comunque un ulteriore e ottimo tassello da esplorare per conoscere al meglio il prezioso lavoro del regista nipponico.