(Sanxia haoren di Jia Zhang-ke, 2006)
Nel primo decennio del nuovo millennio la potenza cinese mette in atto cambiamenti radicali volti a traghettare il Paese verso una nuova modernità tale da rendere la Cina sempre più influente e competitiva nei confronti delle altre nazioni e in particolare dell'occidente del mondo, per farlo vengono varate una serie di opere tra le quali una delle più maestose e importanti è la costruzione della Diga delle tre gole sul Fiume Azzurro nella provincia di Hubei. I lavori vengono portati a termine proprio nel 2006, anno di uscita di questo film che varrà a Jia Zhang-ke il Leone d'oro a Venezia, Still life documenta, con un impianto di finzione, in tempo reale i cambiamenti epocali di un Paese che vede letteralmente affondare parte delle sue tradizioni a beneficio di una modernità che sembra però non portare mai reale vantaggio per gli abitanti delle zone coinvolte in queste operazioni. Uno dei villaggi in cui Still life è ambientato, Fengjie, è stato completamente sommerso dalle acque per permettere la costruzione della diga e l'accumulo d'acqua necessario a quello che diventerà uno dei bacini idrici più imponenti al mondo, per capire le proporzioni del cambiamento, che in questo caso esulano dalla narrazione di questo film, per la costruzione della diga sono state sommerse 13 città, più di mille siti archeologici, circa centoquaranta paesi e innumerevoli piccoli villaggi con un esodo che coinvolgerà nel tempo più di quattro milioni di persone. Uno sconvolgimento profondo per chi quella terra l'ha sempre vissuta e vista come la propria casa, Still life è un fermo immagine di un importante momento di passaggio che mette al centro della narrazione la vita di alcuni protagonisti, in particolare quella del minatore Han Sanming (Sanming Han) e quella di una giovane donna di nome Shen Hong (Zhao Tao).Una splendida sequenza iniziale segue l'arrivo in traghetto di Han Sanming nella zona di Fengjie, un viaggio verso sud che il minatore intraprende alla ricerca della moglie, una donna allontanatasi da lui parecchi anni prima insieme alla loro figlia all'epoca molto piccola. Han Sanming è un uomo mite, un buon lavoratore, una volta giunto a Fengjie all'indirizzo lasciatogli dalla moglie trova il villaggio sommerso dall'acqua, i lavori per la costruzione della diga della provincia di Hubei hanno costretto gran parte della popolazione a sfollare. Così Han Sanming si stabilirà in zona e mentre lavora come demolitore di edifici continua la ricerca della moglie, rivolgendosi al fratello della stessa, un battelliere dall'indole poco collaborativa, sembra che la donna si sia spostata ancor più a sud insieme alla figlia dei due. Grazie ad altri incontri il momento del ricongiungimento si avvicinerà sempre più. In parallelo la storia di Shen Hong (Zhao Tao), più disillusa e basata su premesse opposte, lei è alla ricerca del marito impiegato nei lavori di ammodernamento del Paese.
Still life è un film che scorre, come il fluire delle acque del Fiume Azzurro, prendendosi il suo tempo, senza brusche accelerate né curve perigliose, fotografa un momento di passaggio, l'incidere del cambiamento sulle genti di una parte di paese la cui vita dura di prima sarà con tutta probabilità la vita dura di domani. Un racconto lineare, affatto torbido, mosso da almeno tre brevissime incursioni nel surreale delle quali soltanto una umanamente plausibile, simboli da interpretare, uno coinvolge l'orrendo monumento al Progresso e alla Prosperità eretto sulle colline di Fengjie, passaggi di non immediata decifrazione. Lo sguardo di Jia Zhang-ke non è apertamente critico verso le scelte operate da un Paese da sempre incurante della volontà dei suoi cittadini, in fondo il regime cinese non consente troppe libertà, che lo sguardo di un regista sia condizionato in maniera forte dalla censura e da possibili ripercussioni del potere costituito è abbastanza naturale. Il film presenta una vena malinconica molto accentuata veicolata da immagini che oscillano tra la naturale bellezza del paesaggio, inquadrato con un lavoro sulla fotografia mai artificioso e di grande impatto, e la triste concretezza degli accumuli di macerie, simbolo esplicito di una vita che non ci sarà più, non solo nelle abitudini che la modernità cambia e spesso travolge, ma in maniera più traumatica nei luoghi di un'esistenza che diverranno inevitabilmente un rimosso difficilmente colmabile. Il regista cinese scandisce la narrazione in quattro passaggi identificati con oggetti (piaceri?) del quotidiano, poche cose ancora concrete come le sigarette, il tè, i liquori, le caramelle, poche cose che resteranno di un mondo che va a scomparire o quantomeno mutare in maniera irrevocabile. La magia del Cinema è questa, farsi trasportare in altri luoghi, in altri anni, in maniera naturale e percepire almeno qualcosa di situazioni, luoghi e culture che non ci appartengono realmente, o forse, chissà, magari sì.
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