martedì 13 aprile 2021

LA TIGRE BIANCA

(The white tiger di Ramin Bahrani, 2021)

Ramin Bahrani è un regista statunitense di origini iraniane finito già diverse volte nel mirino delle giurie festivaliere, con La tigre bianca arriva alla candidatura agli Oscar 2021 nella categoria miglior sceneggiatura non originale, la vicenda narrata è infatti mutuata dal libro omonimo di Aravind Adiga. Sebbene Bahrani non abbia ancora firmato nessun titolo impressosi nella memoria collettiva (e nemmeno questo lo farà) si può comunque già individuare un percorso autoriale all'interno di alcuni episodi della sua filmografia che affrontano un tema ricorrente, quello delle condizioni economiche dei protagonisti, delle differenze tra classi sociali (qui ben evidenziate dalle caste dell'India) e i danni che provocano alle persone l'indigenza economica ma anche quella voglia di riscatto e risalita che può portare ad azioni contrarie all'indole naturale degli stessi protagonisti, riflettendo su come queste dinamiche cambino le persone (in peggio); a sostegno di questa tesi basti vedere 99 homes, anche questo prodotto per Netflix, film che affrontava il tema dei mutui subprime o l'ancor precedente A qualsiasi prezzo. Con La tigre bianca Bahrani compie un passo avanti utilizzando una forma del racconto più accattivante rispetto alle precedenti opere, tratteggiando bene le contraddizioni del protagonista, riprendendolo in diversi momenti della sua vita e riuscendo a trovare la giusta misura tra la voce narrante molto presente e appartenente allo stesso protagonista e ciò che è lasciato alla recitazione di Adarsh Gourav, un volto per il quale non si può non provare empatia fino alla svolta narrativa che scatenerà il dilemma: quanto azioni esecrabili possono essere giustificate dall'esasperazione, dallo sfruttamento e da un desiderio di rivalsa che a un certo punto non può che apparire sacrosanto?

Balram (Adarsh Gourav) nasce in un villaggio dell'India da una povera famiglia comandata a bacchetta dall'anziana nonna: povertà, lavoro duro e pochi soldi che finiscono tutti nelle tasche della vecchia. Anche per il piccolo Balram, il più sveglio tra le nuove generazioni, l'istruzione sarà purtroppo parziale e per uscire dalla miseria bisognerà inventarsi qualcosa. Diventato ormai un ragazzo Balram vede per la prima volta nel suo villaggio il giovane Ashok (Rajkummar Rao), figlio di un boss che tiene in scacco l'intera zona con soprusi e corruzione, si mette in testa di diventare il suo autista e iniziare la scalata sociale mettendosi a servizio della ricca famiglia. Balram diverrà così il servitore di fiducia di Ashok e della sua giovane moglie Pinkie Madam (Priyanka Chopra), una coppia che si ritiene emancipata e moderna e che non approva l'abitudine di maltrattare i servitori adottata dalle generazioni precedenti, la loro educazione sviluppatasi negli Stati Uniti dona loro una visione più illuminata dei rapporti con le altre classi sociali, un'apertura mentale che però rimarrà viva finché non sarà comodo tornare a sfruttare in maniera abietta quel servitore tanto fedele. Dal canto suo Balram, fatto il primo passo verso una condizione migliore, non riuscirà più a uscire dalla gabbia mentale della schiavitù nei confronti del ricco, si troverà imprigionato in quella che lui stesso chiama la "stia per polli", quella condizione per la quale il pollo non si rende conto di essere pronto per essere macellato da un momento all'altro. Solo un evento traumatico potrà smuovere la situazione in via definitiva.

La più grande democrazia del mondo. Giocano molto su questa affermazione sarcastica il protagonista e lo stesso Bahrani, in un Paese dove la corruzione è affare quotidiano ed è l'unico sistema di scambio riconosciuto, dove il sopruso è talmente connaturato da essere accettato anche da chi lo subisce, la parola democrazia è una delle tante espressioni che infarciscono il film di quella vena tragicomica che insieme ad altri elementi rende questa coproduzione indiana molto, molto occidentale. Il film è costruito ad arte per ammiccare allo spettatore di tutte le latitudini, tenendo ben presente il suo mercato di riferimento, la parabola del protagonista è innervata in una visione dell'India che accompagna quella che può essere l'aspettativa dello spettatore occidentale, la voce fuori campo molto confidenziale e cool nel modo di narrare, la costruzione di alcune situazioni riportano a un cinema dei nostri tempi e delle nostre parti, si gioca bene con l'utilizzo della doppia lingua, molto indovinata la scelta di Adarsh Gourav effettivamente molto indicato per il ruolo, divertente la stoccata al The millionaire di Danny Boyle (e come dare torto a Bahrani?), film ancor più studiato di questo, tutti elementi che rendono La tigre bianca un film più furbo che sincero, comunque più che gradevole da guardare. Di onesto rimane forse proprio il focus sull'iter compiuto dal protagonista che affronta un percorso per nulla edificante o consolatorio al quale, questo sì, possiamo anche credere. Siamo ancora lontani dal film memorabile ma almeno questa volta Bahrani si è giocato bene le sue carte.

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