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venerdì 22 settembre 2023

SOLO GLI AMANTI SOPRAVVIVONO

(Only lovers left alive di Jim Jarmusch, 2013)

Solo gli amanti sopravvivono. Come a dire che oltre all'amore non è rimasto altro. E se è pur vero che i due protagonisti del film, Adam (Tom Hiddleston) ed Eve (Tilda Swinton), si amano, e forse non potrebbe essere altrimenti, Jim Jarmusch amplia il concetto d'amore da quello interpersonale a quello per la vita, per la bellezza, per le arti, per le proprie passioni e per quelle cose che un'umanità ormai gretta e decadente ha prodotto e continua a produrre nonostante lo sfacelo contingente (Adam vive a Detroit, città simbolo della deflagrazione capitalista). Il concetto prezioso di amore per il bello è immerso da Jarmusch in un'atmosfera funerea e deprimente alimentata dalla voglia di morte corteggiata dal personaggio di Adam che solo in Eve, arrivando finalmente a un amore personale ed eterno, trova consolazione e stimolo. Only lovers left alive precede di sei anni The dead don't die del 2019, due titoli bellissimi che dialogano tra loro e che esplorano altrettante figure archetipiche dell'horror; se in I morti non muoiono Jarmusch gioca (divertendosi un mondo) con gli zombi, in questo Solo gli amanti sopravvivono lavora sulla figura del vampiro dandone un'interpretazione seria e affatto scontata, libera da derive young adult che vanno per la maggiore in tema di succhiasangue e riportandoli nel finale a una condizione di normalità sfuggita per tutto l'arco del film, un ritorno al passato, alla passione, alla vita.

Detroit. Adam è un vampiro che vive in totale isolamento; questo essere che ha attraversato i secoli è circondato ora da corruzione e decadenza, vive di una non vita incline alla depressione pur mostrando ancora attaccamento a ricordi del passato e alla bellezza che l'uomo ha saputo creare, come quella riversata nella confezione di chitarre ormai storiche, pezzi d'arte che Adam, anche musicista, riesce ancora ad apprezzare. Gli unici suoi contatti sono quelli con Ian (Anton Yelchin), un giovane che gli procura questi pezzi rari e altro ancora e quello con il Dr. Watson (Jeffrey Wright), un medico corruttibile che fornisce ad Adam riserve di sangue pulito. Tangeri. Eve vive di notte, intrattiene interessanti conversazioni con l'antico drammaturgo Christopher Marlowe (Ian Hurt) ricordando i tempi passati, le esperienze comuni e le celebrità incontrate lungo il loro lungo cammino. La donna è molto legata ad Adam e come lui ama l'arte con una predilezione per la letteratura e nutre profondo rispetto nei confronti della vita umana. In seguito a una conversazione telefonica Eve intuisce il forte stato depressivo di Adam e vola a Detroit per raggiungere il vecchio compagno.

Più affascinante e ben studiato che totalmente riuscito questo Solo gli amanti sopravvivono di Jim Jarmusch, eppure gli elementi intriganti non mancano di certo. Siamo di fronte a un film elegante, per molti versi attraente, rimane l'impressione che in alcuni passaggi giri un po' a vuoto e funga da contenitore per le passioni di Jarmusch più che per gli elementi della storia narrata, però, per alcuni versi, da parte di un regista questa è una scelta che di quando in quando si può anche accettare di buon grado. "Allora è questa la tua selva oscura? Detroit". "Se ne sono andati tutti". "Cos'è quello?". "È lo stabilimento della Packard, una volta costruivano le auto più belle del mondo. Finito". "Ma questo posto si riprenderà di nuovo". "Tu dici?". "Sì, c'è acqua qui. E quando le città del sud bruceranno, questo posto riprenderà vita". Nel dialogo in auto tra Adam ed Eve, in un viaggio tra le strade notturne di Detroit, è evidente la contrapposizione tra i due personaggi, lui in crisi come la città in cui vive, lei più vitale e positiva, lui scuro con una chioma di capelli neri, lei quasi diafana con la sua capigliatura chiarissima, una dicotomia solidale che Jarmusch sottolinea anche con diverse trovate di regia. In questa sequenza, come in tutto il film, c'è una chiara metafora della decadenza della società americana (e mondiale in generale), del capitale, simboleggiata dalla chiusura della Packard, dalle strade abbruttite, da un accenno al surriscaldamento globale (?), dalla trasformazione dello storico Teatro Michigan, culla di cultura, in un vile parcheggio, più in generale dall'impossibilità per i due vampiri di bere sangue umano, ormai mortalmente corrotto. C'è però anche l'amore per l'arte, a Detroit, dice Adam, c'era la grande Motown (ma Eve preferisce la Stax, altra contrapposizione), c'è la casa di Jack White (che anche Eve adora), è qui che Ford iniziò la sua impresa, ci sono tutte le cose e i ricordi che Adam tiene in casa. Jarmusch infarcisce il film di citazioni, da Shakespeare a Mary Wollstonecraft, da Poe a Buster Keaton, da Burroughs a Neil Young, dal Dr. Faust al Dr. Caligari, è tutto il bello, tutta l'arte, tutta la musica, tutta la letteratura che possono servire a farci sopravvivere perché (non) solo gli amanti sopravvivono, e di cose da amare per fortuna ce ne sono ancora tante.

giovedì 21 gennaio 2021

I MORTI NON MUOIONO

(The dead don't die di Jim Jarmusch, 2019)

Fiumi d'inchiostro e cataloghi infiniti d'immagini hanno inondato e rielaborato gli zombi di Romero nel corso dei decenni, giunge ora il tempo anche per Jim Jarmusch di dire la sua sull'argomento, il regista di Akron sceglie di farlo giocando, divertendosi come un pazzo allestendo un film che è un coacervo di citazioni, trovate assurde e slanci metatestuali altrettanto bislacchi che vanno a comporre una storia che non amplia di molto il discorso, anzi, ma che non può che risultare dannatamente divertente. The dead don't die (che bello il titolo originale, provate a pronunciarlo ad alta voce) non presenta l'evoluzione di quegli zombi ormai assurti a metafora del tarlo del consumo, gli zombi di Jarmusch non sono l'evoluzione di quelli di Romero semplicemente perché questi zombi (noi) non si sono evoluti nemmeno un pochino, sono piuttosto una versione uguale a quella vecchia traslata nella realtà di oggi, esseri ciondolanti, ottusi e illuminati solo dalla luce di uno smartphone (emblematica fino al didascalismo la scena dei telefonini), in qualche modo pericolosi, l'assunto non è sottile né mascherato, Jarmusch ce lo spiattella lì, banalmente in evidenza, mentre è impegnato a cazzeggiare con la sua cricca di amici per costruire questo film completamente stralunato.

Centerville è una piccola cittadina con meno di mille anime ad abitarla, Cliff (Bill Murray) e Ronnie (Adam Driver) sono gli unici tutori della legge insieme all'agente Minerva Morrison (Chloë Sevigny), posto tranquillo, poco movimento per la coppia di pards se non per fare qualche controllo su presunti furti di polli da parte del vagabondo del paese (l'eremita Tom Waits, non poteva mancare). Alla radio, in televisione, inizia a diffondersi la notizia che le operazioni di fracking ai due poli della Terra stanno compromettendo l'equilibrio dell'asse terrestre, in contemporanea a Centerville (e presumibilmente in tutto il mondo ma noi non lo vediamo) iniziano a verificarsi strani fenomeni: il buio arriva sempre più tardi, gli animali si allontanano dal centro abitato, fino a che un paio di non morti, tra i quali un Iggy Pop ormai marcescente, saltano fuori dai loro fossi mietendo le prime vittime, con in testa una piccola ossessione per il caffè. Già prima di quest'ultimo episodio Ronnie capisce che "tutta questa storia non andrà a finire bene". Ognuno degli abitanti del paese affronterà il nuovo status quo con un piglio differente: Ronnie con una grande naturalezza mista a inconsapevole cinismo, Cliff è fatalista ma con un tocco di riguardo in più (ma non troppo), Minerva è l'unica giustamente spaventata e sconvolta, Bobby (Caleb Landry Jones), proprietario dell'emporio del paese, cerca di mettere a frutto le sue conoscenze da nerd cinefilo, supportato dal ferramenta Hank (Danny Glover) che ci mette l'attrezzatura. L'inquietante titolare dell'impresa di pompe funebri Zelda Winston (Tilda Swinton), novella Michonne albina, taglia teste a suon di katana, l'allevatore Miller (Steve Buscemi) riversa le sue rozze maniere, prima beneficio dei concittadini, sui caracollanti nuovi arrivati, e via di questo passo.

Jarmusch realizza un puro divertissement, ci mette dentro le canzoni che gli piacciono, persino il titolo è preso pari pari dal brano The dead don't die di Sturgill Simpson, chiama a raccolta i suoi amici tra i quali a Tom Waits, uno di quelli di più lunga data, è affidata la chiosa all'assunto del film, nel caso ci fosse tra gli spettatori qualcuno particolarmente distratto che non ne avesse colto il messaggio ("Che mondo di merda!"), innerva nel racconto citazioni a cose a lui presumibilmente care (su una delle lapidi del cimitero si legge il nome di Samuel Fuller) e offre un bel lavoro di regia scompigliando anche le carte di per sé già ben mescolate con l'aggiunta di autoconsapevolezza attoriale da parte di un paio di personaggi. Insomma, I morti non muoiono è un calderone dove ci finisce dentro un po' di tutto, ma Jarmusch è un cuoco esperto, originale e talentuoso, forse un po' matto, butta però sul piatto solo pezzi da novanta: Adam Driver con la sua presenza fisica atipica è perfetto per questa Centerville, Murray fa Murray e lo conosciamo, impagabile lo zombi di Iggy Pop che qui eclissa anche Tom Waits, Buscemi nel ruolo dello stronzo lamentoso è nel suo, la Swinton è indecifrabile e la Sevigny porta un tocco di sana normalità. Cast di gran classe (e ci sono ancora RZA, Selena Gomez, Danny Glover, Carol Kane), ottima confezione e approccio sufficientemente laterale per far guadagnare un posto di rispetto a I morti non muoiono nell'ormai infinita epopea dei morti viventi.

lunedì 25 maggio 2020

GIMME DANGER

(di Jim Jarmusch, 2016)

In Gimme danger non bisogna cercare l'approccio enciclopedico, quello di Jim Jarmusch verso i The Stooges è più un piccolo atto d'amore che non una ricostruzione filologica, un'ennesima dimostrazione d'affetto del regista nei confronti della band e del suo leader Iggy Pop con il quale Jarmusch collaborò in precedenza già in due occasioni, il frontman degli Stooges compare infatti nelle vesti di attore in Coffee and cigarettes e in Dead man e tornerà a prestare il suo volto al regista anche ne I morti non muoiono. Gimme danger non vuole essere un resoconto completo della carriera dei The Stooges, sembra più che Jarmusch voglia regalare a Iggy e Scott Asheton, storico batterista del gruppo, la possibilità di raccontarsi, di infilare qualche aneddoto, di ripercorrere un po' di cuore, in maniera spontanea, gli anni che hanno portato, con il ritardo che ci è voluto, gli Stooges a essere considerati dei precursori, anche poco capiti ai tempi, di un'ondata di musica, attitudine e cultura ancora di là da venire. Si parte da quella che sembra la fine per il gruppo, quello che sarà effettivamente il capolinea, seppur temporaneo, di una band troppo fuori dagli schemi per essere veramente apprezzata, pur avendo diversi sostenitori e ammiratori, i tre dischi fino ad allora registrati dalla band, The Stooges, Fun house e Raw power, non vendono a sufficienza, gli Stooges vengono scaricati dalla loro casa discografica. I problemi legati agli eccessi e alle droghe, non solo da parte di Iggy, fanno il resto. Proprio su quest'ultimo aspetto Jarmusch si rivela molto indulgente con la band, se il comportamento quantomeno scalmanato e poco urbano dei nostri, mescolato ai problemi con le droghe, furono indubbiamente tra le caratteristiche distintive del gruppo, in Gimme danger questo aspetto viene affrontato solo parzialmente, ovviamente lo si coglie tra le righe, la materia è nota e se proprio non si è a digiuno nel campo non è necessaria l'imbeccata di Jarmusch per tirare i contorni alle figure di Iggy Pop e soci, si preferisce però dare un'impostazione più nostalgica al tutto, un flusso di parole, suoni e immagini sull'onda dei ricordi.


A parlare non è mai l'Iguana, l'interlocutore dello spettatore è sempre James Osterberg Jr., il ragazzo del Michigan ora diventato quello che in Gimme danger sembra un simpatico signore di mezza età in splendida forma (che in realtà al momento dell'uscita del film ha settant'anni, anno più, anno meno). James è affabile, educato, divertente, spesso sentimentale, sembra avere poco di quell'irriverenza ribelle che scatena sul palco ormai da una vita, quello che James racconta è principalmente un percorso di passione, d'amicizia, di libertà e anticonformismo molto naturale, nato per predisposizione più che per rifiuto, James racconta più volte con sincero trasporto il bel rapporto con i genitori, l'affetto che questi avevano per un figlio che li faceva impazzire con la sua batteria (vivevano tutti in una roulotte) e soprattutto l'amore fraterno per gli amici, i fratelli Ron e Scott Asheton, dimostrando anche una vera ammirazione per loro, soprattutto per il primo già venuto a mancare al momento della registrazione di questo documentario (nonostante tra tutti fosse il meno vizioso). Questo approccio libero, fuori dagli schemi, porterà il gruppo a suonare e ad esibirsi senza compromessi, anticipando i tempi e pagando la loro avversione a tutto ciò che suonasse "commerciale" con scarse vendite e una carriera incerta, il successo arriverà solo più tardi per la band, con l'esplosione del movimento punk.


Jarmusch ha un approccio alla materia molto "stiloso" e ironico, la mano del regista si vede nel montaggio e nella scelta delle contrapposizioni in immagini alle parole di James e di Scott, le dichiarazioni dei protagonisti sono molto spesso supportate da estratti di trasmissioni televisive americane anni 50 e 60, di cui è facile pensare Jarmusch sia un intenditore, così come da scene di film delle stesse epoche, il tutto dona ritmo e spirito agli interventi dei protagonisti che raccontano a ruota libera, senza interlocutore, inframmezzati da immagini live d'epoca, vecchie dichiarazioni e appunto filmati scelti dal regista che fanno da contrappunto al contesto di cui si sta discutendo al momento. Quello che ne esce è un ricordo affettuoso di anni passati, narrati dai primi protagonisti ma anche da chi arrivò più tardi a collaborare con Iggy Pop la cui carriera solista è lasciata da parte, anche il rapporto con David Bowie, produttore di Raw Power, viene qui più che altro accennato, perché Gimme danger è un film sugli Stooges e solo loro, dei loro fan, del loro pubblico, non di Iggy Pop ma di James Osterberg. Probabilmente per i cultori qui non ci sono novità rilevanti, c'è qualche immagine inedita magari, l'impianto dell'opera in questo senso sarà più utile per i profani, però c'è un affetto sincero e un lavoro di un regista che probabilmente a questa band vuole bene davvero.

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