domenica 31 agosto 2014

RALLYE MONTE-CARLO

Alcuni mesi or sono, parlando dei fumetti dedicati a Michel Vaillant, accennavo a come mi sarebbe piaciuto usarli come spunto per creare qualche post un po' insolito per questo blog. Chi mi segue da qualche tempo o chi mi conosce personalmente sa che non nutro una particolare passione per le automobili, cedo però volentieri al fascino del design proveniente dal passato e a quello delle vecchie auto. Tenendo anche conto che l'unico post dedicato al mondo dei motori presente in questo blog continua a essere tra i più apprezzati e visitati ho deciso di proporre qualcos'altro a tema.

Nella prima breve storia in cui Jean Graton ci presentava il suo eroe, il pilota Michel Vaillant, la sfida da affrontare era proprio quella offerta dal Rally di Monte Carlo (Rallye in francese, da qui il titolo del post).

Il Rallye Monte-Carlo nasce nel 1911 per volere di Alberto I e nelle sue prime edizioni più che una vera gara sportiva aveva la funzione di passerella e di attrazione per convogliare verso Monaco l'elite europea e i suoi esponenti. I partecipanti partivano da diverse località europee per terminare la loro corsa nel Principato di Monaco. Ad avvalorare la flebile appartenenza alla categoria degli avvenimenti sportivi propriamente detti c'era un regolamento che mischiava il piazzamento delle vetture (media oraria) a giudizi arbitrari quali eleganza, condizioni dell'auto all'arrivo e cose simili. Il regolamento cambierà nel corso degli anni trasformando questa gara nel rally più conosciuto e rispettato nell'intero circuito del Mondiale Rally.

Non esente da qualche polemica dovuta al regolamento di cui sopra, la prima edizione datata 1911 se la aggiudica il francese Henri Rougier su Turcat-Mery 25HP partito da Parigi e trionfante su una rosa di 23 partecipanti.

1911 - Henri Rougier su Turcat-Mery 25HP


L'edizione dell'anno seguente, non ancora inquadrabile come competizione sportiva vera e propria, se la aggiudica il francese Jean Beutler a bordo di una Berliet 16HP. Proprio a causa del regolamento e dell'organizzazione approssimativa il Rallye Monte-Carlo viene cancellato fino alla sua ripresa nel 1924.

1912 - Jean Beutler su Berliet 16HP


Dopo una pausa di dodici anni il Rallye Monte-Carlo torna per restare, con un regolamento che anno dopo anno verrà modificato per evitare che le migliorie tecniche e meccaniche delle auto lo rendano una corsa troppo semplice. Il percorso montano, che si svolge in gran parte più a Nord del Principato di Monaco, e la percorrenza dello stesso in inverno (Gennaio) sono tra le caratteristiche che hanno reso celebre questa corsa. Nei primi anni il regolamento punta più sulla regolarità della prestazione che non sulla mera velocità. Sia come sia alla ripresa, nel 1924, ad aggiudicarsi la prova è il belga Jacques Edouard Ledure su Bignan.

1924 - Jacques Edouard Ledure su Bignan


Nel 1925 è l'ingegniere francese Francois Repusseau a portarsi a casa il titolo su una Renault 40CV partita da Tunisi, a 4500 chilometri dal punto di ritrovo parigino.

1925 - Francois Repusseau su Renault 40CV


In questi anni vengono introdotte anche alcune sottocategorie che andranno a formare classifiche separate, come la Coppa delle Dame alla quale partecipano equipaggi con donne a far da navigatore e classifiche per cilindrate minori. Nel 1926 arriva la prima vittoria britannica a opera dell'onorevole Victor Bruce accompagnato dalla moglie Mildred anch'essa abile pilota nonché celebre aviatrice. L'auto era una AC.

1926 - Victor Bruce su AC


Nel 1927 è un nome di tutto rispetto ad aggiudicarsi il Rallye Monte-Carlo. Il nome di André Lefèbvre forse non è noto ai più ma appartiene all'ingegnere francese che insieme al nostro Flaminio Bertoni progetterà in seguito la Citroen DS e prima ancora la Citroen 2CV (scusate se è poco). All'epoca della sua vittoria guidava una Amilcar 1.1 di cui non ho trovato foto storiche. Il 1928 vede trionfante un'auto italiana pilotata dal costruttore francese Jacques Bignan che in questa occasione non pilota un'auto appartenente alla sua scuderia bensì una Fiat 509, prima utilitaria prodotta negli stabilimenti del Lingotto a Torino.

1928 - Jacques Bignan su Fiat 509


Nel 1929 vince quello che diventerà un veterano della competizione con ben quindici presenze al rallye, parliamo dell'olandese Sprenger Van Eijk che si aggiudica questo titolo su Graham-Paige 27CV.

1929 - Sprenger Van Eijk su Graham-Paige 27CV


Ancora francese la vittoria che apre il nuovo decennio, il 1930 vede trionfare il pilota Hector Petit alla guida di una Corre-La-Licorne torpedo.

1930 - Hector Petit su Corre-La-Licorne


Donald Healey, ingegnere aeronautico prima e automobilistico poi, dopo un'avventurosa carriera trascorsa al servizio dell'aviazione inglese in tempo di guerra, diverrà progettista per la Triumph. Nel 1931 si concede la vittoria del Rallye Monte-Carlo a bordo dell'Invicta type S 4.5.

1931 - Donald Healey su Invicta


Primo pilota a infilare una bella doppietta a Montecarlo è il francese Maurice Vasselle che si aggiudica le edizioni 1932/33 entrambe a bordo di due Hotchkiss, prima sul modello AM2 e poi sul modello AM80S.

1932 - Maurice Vasselle su Hotchkiss AM2

1933 - Maurice Vasselle su Hotchkiss AM80


L'anno seguente vince il francese Louis Gas anche lui su Hotchkiss AM80 (foto assente) mentre il 1935 vede trionfare la Renault Nerva Grand Sport pilotata dal francese Charles Lahaye.

1935 - Charles Lahaye su Renault Nerva Grand Sport


Nel 1936 un team ben affiatato porta a casa la vittoria, si tratta del rumeno Ion Zamfirescu, in precedenza campione nel suo paese in ambito motociclistico e Petre G. Cristea che vincerà in carriera più di trenta competizioni automobilistiche. Partiti da Atene per la parte di avvicinamento a Monaco, si narra che il duo viaggiasse con tanto di revolver al seguito perché in alcune zone del tracciato non era impossibile incontrare gruppi di lupi famelici, verità o leggenda? L'auto a disposizione dei due piloti rumeni era una Ford V8.

1936 - Zamfirescu/Cristea su Ford V8


Nel 1937, in seguito alla squalifica per problemi d'omologazione alla vettura dello stesso Cristea, la vittoria torna ai francesi con il futuro vice presidente dell'Associazione Francese dei Piloti Automobilistici: René Le Bègue. L'auto era una Delahaye 135 MS Spéciale, auto che nel suo segmento ebbe un grande successo commerciale di vendite.

1937 - René Le Bègue su Delahaye 135 MS


Altro vincitore, olandese questa volta, partito da Atene. A bordo di una Ford V8 coupé sarà Gerard Bakker Schut ad aggiudicarsi l'edizione 1938.

1938 - Gerard Bakker Schut su Ford V8 Coupé


Chiudiamo questa prima carrellata salutando gli anni '30 che vedono, per la prima e unica volta, una vittoria a parimerito. A bordo di una Hotchkiss 686 GS troviamo l'allora già veterano delle corse Jean Trévoux, vincitore poi di ben quattro Rallye Monte-Carlo, su Dalahaye 135 M trionfa invece Joseph Paul, entrambi i piloti sono di nazionalità francese.

1939 - Jean Trévoux su Hotchkiss 686 GS

1939 - Joseph Paul su Delahaye 135 M


Spero che questo excursus, tutt'altro che completo ed esauriente, abbia suscitato l'interesse di qualcuno di voi lettori, fatemi sapere se post di questo genere sono di vostro interesse e gradimento anche perché reperire foto e informazioni di questo tipo richiede un impegno non indifferente almeno in termini di tempo. Più che altro la creazione di questi post è l'occasione per ammirare dei fantastici modelli d'auto retrò, mi sono lanciato quindi nel reperimento di immagini più moderne dei modelli sopra citati. Penso di aver trovato diverse immagini interessanti, tenete conto che le auto iscritte ai vari rallye a volte differivano per qualche piccolo particolare: la posizione dei fanali, i paraurti, etc... ammiriamole ora in tutto il loro splendore (almeno quelle che sono riuscito a trovare).

Renault 40CV vincitrice nel 1925


AC vincitrice nel 1926


Amilcar 1.1 vincitrice nel 1927 (foto storica assente)


Fiat 509 vincitrice nel 1928


Graham-Paige 27CV vincitrice nel 1929


Corre-La-Licorne vincitrice nel 1930


Invicta Type S vincitrice nel 1931


Hotchkiss AM2 vincitrice nel 1932


Hotchkiss AM80 vincitrice nel 1933


Renault Nervasport vincitrice nel 1935


Ford V8 vincitrice nel 1938


Delahaye 135 M vincitrice ex aequo nel 1939


Hotchkiss 686 vincitrice ex aequo nel 1939

Nel caso qualcuno volesse integrare con info e immagini siete i benvenuti.

giovedì 28 agosto 2014

DEAD OR ALIVE

(Deddo oa araibu: Hanzaisha di Takashi Miike, 1999)

Dando un'occhiata in giro per la rete mi è sembrato che a proposito di Dead or alive di Takashi Miike non si possa fare a meno di parlare della tonitruante sequenza iniziale del film e della sorprendente (per idiozia?) scena conclusiva. Questo perché probabilmente tutto quello che sta nel mezzo non è poi così degno di nota, dovute eccezioni a parte ovviamente. Non sapevo cosa aspettarmi dal cinema di Miike, lo sapevo eccessivo ma al momento l'unica visione che mi ero concesso tra le numerosissime opere del regista giapponese era stata quella di un episodio (quello si bello tosto) della serie collettiva Masters of horror.

Partiamo dall'inizio allora. L'apertura, in effetti originale, vede i due antagonisti e protagonisti del film, Ryuchi (Riki Takeuchi) e Jojima (Sho Aikawa) accovacciati sulla sponda di un fiume cittadino nell'atto di declamare un breve conto alla rovescia alla fine del quale parte, supportata da una colonna sonora incalzante e tamarra, la scena iniziale di cui sopra. Montaggio (post?)moderno, ritmi sincopati, saturazione dell'eccesso per un risultato d'effetto che mi è sembrato però più stucchevole che provocatorio o realmente disturbante, una composizione barocca non nella migliore accezione del termine. In sei minuti sei abbiamo: omicidi, defenestrazioni, sangue, morti, droga, sesso, criminali tamarri, locali di lap dance, prepotenze, streap tease, musica, coca, cibo, sodomia, sgozzamenti, ancora sangue, sparatorie, distruzione, schifo e almeno una battuta d'effetto. Tutto scandito dal ritmo della musica e dal montaggio di cui sopra, una sorta di dichiarazione d'intenti estrema che solo in minima parte verrà mantenuta nel corso del film. Il tono spesso grottesco di immagini e situazioni stemperano la ferocia del contesto, con il passare dei minuti il film si normalizza (e questo non sarebbe neanche un male) lasciando campo all'intreccio e alle vicende personali dei due protagonisti, in particolar modo a quelle dell'ispettore di polizia Jojima.


Ryuchi è un cane sciolto d'origine cinese che con i suoi amici tenta la scalata al potere nell'ambiente della malavita. Di fronte si troverà un'alleanza tra yakuza giapponesi e triadi cinesi. Abituati ad avere campo libero, le varie forze del male si indispettiranno per le intrusioni dell'ispettore Jojima. Lo scontro tra i due avversari sarà inevitabile e tutto si risolverà nella già citata scena finale. Nel mezzo un po' di caratterizzazione spicciola dei protagonisti, qualche scena forte almeno nelle intenzioni e anche qualche sprazzo di noia probabilmente dovuta all'accumulo.

Poi c'è quella scena finale che ha veramente del demente, non ve la anticipo tranquilli, mal realizzata visivamente e con un paio di uscite da manicomio, una di quelle scene che ti fa lanciare il telecomando urlando un bel "ma va a cagare, va!".

La ciliegina sulla torta. Spulcio su wikipedia per leggermi due dati, nomi degli attori, etc... e cosa leggo? Attenzione, testuali parole: Dead or alive, nelle intenzioni dei produttori, doveva essere la versione giapponese di Heat - La sfida. Coooooooooosa? Vabbè, ora vi lascio, vado in bagno a creare la mia versione personale della cioccolata Venchi.


PSYCONEGOZIO

(Psycoshop di Alfred Bester e Roger Zelazny, 1998)


Caso forse più unico che raro di romanzo doppiamente postumo, creazione letteraria dalla vita travagliata. Alfred Bester, classe 1913, è l'ideatore della trama fantasiosa che dà corpo al romanzo Psyconegozio, autore Newyorkese noto principalmente per il suo L'uomo disintegrato. Purtroppo, nel 1987, Bester scompare lasciando la sua ultima fatica incompiuta. A portare a termine il suo lavoro viene chiamato un altro nome autorevole della sci-fi e del suo lato più fantasioso: Roger Zelazny. Ancora una volta la mala sorte si abbatte sull'autore che lavora al progetto, nel 1995 anche Zelazny passa a miglior vita, solo dopo aver però portato a termine il romanzo iniziato dal collega Bester. Psyconegozio viene dato alle stampe per la prima volta nel 1998, libro che esce quindi doppiamente e tristemente postumo.

La prima cosa che si può notare è come il lavoro dei due autori si sia amalgamato in maniera perfetta, la lettura non risente di particolari stacchi e cambi di stile, impossibile per me sapere se ciò sia attribuibile alla particolare bravura di Zelazny nell'adattarsi allo stile del suo predecessore, al lavoro di un editor particolarmente omogeneizzante o alla mano sicura di G. L. Staffilano, traduttore italiano dell'opera.

Alfred Bester

Detto questo non faticherò nel dirvi che Psyconegozio non è stata proprio la mia lettura ideale, tutt'altro. Non sono state poche le volte in cui, alla fine di un capitolo, ho lanciato con fastidio il libro sulla poltrona della sala. Una bella poltrona, almeno una volta lo era, nera, modellabile, tipo quella sulla quale non riusciva a sedersi il Rag. Ugo Fantozzi, avete presente? Diciamo che su nove capitoli avrò effettuato il lancio infastidito almeno in quattro o cinque occasioni.

E' presente in Psyconegozio un accumulo troppo esagerato di situazioni fantasiose e strampalate, molte delle quali non conducono in definitiva da nessuna parte, tale da fiaccare la mia seppur generosa pazienza. Ne vien fuori una sorta di mosaico di incontri, personaggi e accadimenti dei quali solo alcuni funzionali all'avanzamento della trama portante che avrà anche la sua coerenza ma che fatica ad avvincere, sorprendere, divertire o finanche a incuriosire un minimo il lettore (soprattutto se il lettore in questione sono io). Finito il libro la mia più grande soddisfazione è stata quella di poter passare ad altro.

Ora rimarrebbe da dire due parole sulla trama e fare una piccola considerazione. Temo però che per me il primo diventi un compito un pochino arduo in questo momento (clicca sull'immagine in alto), proviamo con il secondo. Qualche tempo fa la collana Urania prese a ristampare al ritmo di un libro ogni due mesi quelli che vengono considerati, almeno a detta della redazione, dei classici moderni della fantascienza ormai difficili da reperire nel nostro paese. Ottima cosa, parlai anche della prima uscita tempo addietro, lettura che non mi esaltò in maniera particolare ma che reputo comunque decisamente migliore di questa. Ovviamente due indizi in questo caso non possono fare una prova, il mio gusto è solo mio e agli altri lettori questi libri saranno magari piaciuti un sacco, considerando che ho acquistato anche le successive ristampe mi chiedo... avrò riposto troppa fiducia in questa iniziativa editoriale? Ditemi di no, please!

Roger Zelazny

martedì 26 agosto 2014

VISIONI 56

Pawel Kuczynski è un artista polacco dal cognome difficile pronunciare ma capace di creare un'arte estremamente d'attualità capace di far pensare e, se ci si sofferma un poco sopra, anche di far un pochino tremare.

Nato nella città polacca che noi chiamiamo Stettino e i polacchi Szczecin, Pawel Kuczynski è stato già insignito di numerosissimi premi grazie alla sua vena satirica, qui sotto potete ammirare una serie di disegni dove l'autore ironizza sul ruolo assunto da Facebook nella società odierna.
























lunedì 25 agosto 2014

LA BELLEZZA DEL DEMONIO

(di Tiziano Sclavi e Gustavo Trigo)

Ah, il vecchio patto con il diavolo, una firmetta e si ottiene tutto quel che si vuole. Certo c'è da pagare un piccolo prezzo, ma di quello si parlerà più avanti. Prima o poi, con un diavolo o con un altro, anche al buon indagatore dell'incubo doveva capitare d'averci a che fare; così come, in una maniera o nell'altra, ebbe a che farci il vecchio Larry Varedo nel lontano 1945. La guerra aveva cambiato molte cose e anche una rispettabile professione come quella del killer a pagamento aveva ormai perso lustro e significato, l'omicidio era divenuto un affare di massa in mano a qualsiasi tipo di cialtrone. Ma Larry Varedo era un uomo d'altri tempi, il tipo che potrebbe ricordare un Philip Marlowe dall'altra parte della barricata, un uomo cresciuto e vestito alla scuola dei duri, un esule dell'hard boiled per modi e parlata, un sopravvissuto vicino alla fine. Cosa resta da fare a un uomo ormai sorpassato dal tempo se non un patto col diavolo? Ma invece che un diavolo, a togliere le castagne dal fuoco al nostro Larry si presenta nulla più che un povero diavolo, un ometto portatore degli elementi mancanti al perfetto hard boiled: soldi, ingaggio e l'irresistibile femme fatale. Con questi presupposti potrà mai una storia avere un lieto fine?

E il nostro eroe dalla camicia rossa? Ce lo siamo dimenticati forse? No di certo, noi avidi lettori non l'abbiamo dimenticato, proprio come Varedo non ha dimenticato quello strano ometto e come non ha dimenticato la mozzafiato Mala. Trentadue anni dopo l'incontro tra il killer e il povero diavolo starà a Dylan Dog entrare in gioco per sbrogliare il bandolo di un'intricata matassa.


Ancora una volta Tiziano Sclavi riesce a imbastire una trama ricca di spunti, giocata su più piani temporali nella quale anche il suo protagonista principale si aggira spaesato. Oltre a regalarci un accenno ai primi passi della carriera dell'Ispettore Bloch, Sclavi ci offre un'interpretazioni affascinante quanto angosciante dell'inferno e del diavolo, o almeno di uno di essi. Angosciante perché... e se l'inferno non fosse poi così dissimile dalla routine più noiosa delle nostre vite? L'intesa tra lo scrittore e il lavoro del disegnatore Gustavo Trigo si concretizza in un risultato meglio riuscito rispetto a quello che la stessa coppia d'autori aveva ottenuto con il secondo numero della serie, Jack lo squartatore. Le sequenze più visionarie ben si amalgamano a quelle realistiche così come quelle ambientate nel passato a quelle moderne. Nel frattempo il culto dell'indagatore dell'incubo iniziava a crescere...


10 VOLTI (22)

E' già da un pochino che non si gioca più insieme con i 10 volti, precisamente da quell'edizione mundial del 22 giugno. Torniamo a una manche classica, volti misti provenienti un po' da tutte le parti e prima di iniziare a giocare guardiamo come di consueto la classifica:

01 La Citata 28 pt.
02 Bradipo 26 pt.
03 Luca Lorenzon 21 pt.
04 Luigi 20 pt.
05 Poison 20 pt.
06 Vincent 17 pt.
07 Babol 13 pt.
08 Urz 13 pt.
09 L'Adri 10 pt.
10 Morgana 9 pt.
11 Eddy M. 8 pt.
12 Cannibal Kid 8 pt.
13 Frank Manila 5 pt.
14 Umberto 4 pt.
15 Elle 4 pt.
16 Michele Borgogni 4 pt.
17 M4ry 3 pt.
18 Zio Robbo 3 pt.
19 Viktor 2 pt.
20 Evil Monkeys 2 pt.
21 Beatrix Kiddo 1 pt.
22 Ismaele 1 pt.
23 Brusapa Jon 1 pt.
24 Blackswan 0 pt.
25 El Gae 0 pt.
26 Acalia Fenders 0 pt.

Ed ecco a voi i nuovi volti:

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