giovedì 31 dicembre 2020

FIRMA AWARDS 2020 - FILM CLASSICI E LIBRI

Pronti per l'appuntamento annuale con gli Awards più sghembi della blogosfera? Partiamo con due notizie, volete prima la buona o la cattiva? Ok partiamo dalla cattiva: quest'anno la categoria principale, quella dedicata ai Film che io ho visto quest'anno, partoriti dal 2000 in avanti, si allargherà di cinque posizioni andandone a comprendere venti in totale, quindi dovrete avere un minimo di pazienza in più! La buona notizia (per voi) è che per scarsità di visioni la categoria Animazione finirà insieme a quella dei film, quella sui Serial TV si ridurrà a qualche segnalazione sparsa per lo stesso motivo di prima, onde per cui vi risparmierete addirittura un intero post!

Chi conosce il blog già sa, come lascia presagire anche l'immagine qui a fianco, che da queste parti si è spesso orientati al passato, girati al contrario, voltati di schiena, insomma, figuratevi un po' la situazione con l'immagine che vi è più congeniale, indi per cui i Firma Awards presenteranno il meglio di ciò che ho visto, letto, detto, fatto, baciato, lettera e testamento in questo 2020, roba che magari è stata prodotta il secolo scorso, qui non ci si formalizza e si prende il buono da ogni dove. Non il meglio del 2020 ma il meglio di tutto ciò che è passato su queste pagine virtuali (ma anche no) in quest'annus horribilis.

Partiamo con le segnalazioni sparse, varie ed eventuali, alle quali si accennava sopra. Questione Serial tv, a differenza di molti devo ammettere di non essermi stracciato le vesti per la prima stagione di The Mandalorian, un buon prodotto che si guarda volentieri, una creatura tenera che ispira simpatia ma (OMG!) non così interessante, dai suvvia! Invece quest'anno mi sento di consigliare, per chi non le avesse ancora viste, le sei stagioni di Downton Abbey (il film è superfluo), bellissimo period drama con un'ottima ricostruzione, un bel cast, dinamiche e personaggi sempre ben scritti. Altra segnalazione per l'interessante serie fantascientifica Tales from the loop da molti criticata per il ritmo non troppo elevato, vero, però dietro i ritmi più pacati si nascondono riflessioni su temi importanti, a mio avviso da recuperare.

Quest'anno ho anche colmato un buco in campo fumettistico che pesava, finalmente sono riuscito a leggere L'Eternauta di Héctor German Oesterheld e Francisco Solano Lopez, fatevi questo regalo, non solo per la bella storia di fantascienza in sé, ma anche per le implicazioni politiche che l'opera ebbe in relazione alla dittatura in Argentina e sulla sorte, purtroppo nefasta, della famiglia di Oesterheld e dello stesso autore.

Passiamo ora alle categorie vere e proprie, due classici podi con tre posizioni ciascuna, vale sempre la stessa regola: non quanto prodotto nel 2020 ma ciò che mi è passato tra le mani nel 2020, fosse anche un osso di dinosauro del mesozoico. Andiamo alla categoria FILM CLASSICI, qui prenderò in considerazione solo film usciti prima del 2000 e che ovviamente ho visto quest'anno per la prima volta (o quasi), scelta non semplice in quanto effettuata comunque su un numero di un venticinque titoli totali. E ora potrei dire "il bello della diretta, amici!" in quanto sto compilando le classifiche mentre inizio a buttare giù questo post e magicamente il podio si allarga a cinque posizioni, perché un paio di esclusioni mi sarebbero state proprio sul gozzo! Ovviamente la scelta va ponderata sul gusto personale, sulla differenza di epoche di provenienza dei vari film, ora non fate che prendete le posizioni proprio per oro colato...

Quinto classificato
Vivere e morire a Los Angeles di William Friedkin  (1985)
Dopo aver siglato film come Il braccio violento della legge Friedkin negli anni 80 torna al noir metropolitano abbattendo le barriere tra legge e crimine. Da riscoprire!



Quarto classificato:
La morte corre sul fiume di Charles Laughton  (1955)
Grande prova di un Robert Mitchum pericoloso e sopra le righe, luci e ombre, immagini d'impatto che guardano alla corrente espressionista, film particolare e sghembo come il suo protagonista. Da vedere.



Terzo classificato:
Gatto nero, gatto bianco di Emir Kusturica  (1998)
Divertentissima commedia gitana, tra tradizione, piccola criminalità e tanto tanto festoso caos, un Kusturica finalmente gioioso e trascinante.



Secondo classificato:
Duel di Steven Spielberg  (1971)
Esordio folgorante con un film realizzato per la televisione e girato davvero con quattro soldi, si vede già il genio di Spielberg e la sua capacità di andare a segno ben prima delle grandi produzioni hollywoodiane. Un must.



Primo classificato:
Stalker di Andrej Tarkovskij  (1979)
Film mastodontico che rimane a sedimentare per giorni, da affrontare con cautela e giusta predisposizione d'animo, non semplice ma ripaga di tutto, nonostante gli ottimi rappresentanti di questo podio, Stalker è una cosa semplicemente diversa.



Devo dire che con il Cinema classico quest'anno è andata molto bene, ho visto delle bellissime pellicole (roba di quando ancora non c'era il digitale), sono rimasti fuori da questa classifica alcuni film molto meritevoli, chissà che il prossimo anno non si possa allargare questa categoria a qualche posizione in più.



Passiamo ora alla categoria LIBRI, poco più di una quindicina di libri letti quest'anno tra cui scegliere. Devo dire che a questo giro mi è mancato il capolavoro, il grande libro, quell'opera mastodontica per contenuti capace di farti innamorare di un'autore, di una prosa o semplicemente di una storia. Ho letto dei buoni libri, alcuni molto belli, altri di semplice intrattenimento, è mancata però l'opera per cui ti cade la mascella, non so se mi spiego... andiamo a vedere!

Terzo classificato:
Verdi colline d'Africa di Ernest Hemingway  (1935)
Non pensavo che i resoconti delle battute di caccia dell'autore, le descrizioni dei paesaggi e della fauna del Continente Nero potessero essere una lettura avvincente, invece mi hanno fatto ottima compagnia nelle ore passate sul balcone durante il primo lockdown. Sottovalutato!



Secondo classificato:
Paris trance di Geoff Dyer  (1998)
Libro particolare questo di Dyer, storia d'amore, di cambiamento, di crescita, della ricerca di una vita diversa, di luoghi diversi, di persone diverse... e di insoddisfazione! Perché le cose in fondo non puoi viverle per sempre!



Primo classificato:
Cattedrale di Raymond Carver  (1983)
L'autore è considerato uno dei (il?) massimi esponenti del racconto breve, nelle storie di vita quotidiana di Carver, apparentemente ordinarie, c'è sempre un momento, un evento, un catalizzatore per cui le cose cambiano, spesso e purtroppo non per il meglio. Da conservare.




Per ora è tutto, nei prossimi giorni la classifica dei venti migliori film post 2000 visti in questo 2020, la compilazione sarà una piacevole faticaccia! A presto e buon anno a tutti!.

mercoledì 30 dicembre 2020

DUMBO

(di Tim Burton, 2019)

Per trasporre uno dei primi classici d'animazione di casa Disney Tim Burton è costretto ad allungare, ripulire, sovvertire (più di) un poco la materia d'origine, non fosse altro che per quegli esigui sessantaquattro minuti del cartone animato qui divenuti centododici. Le differenze tra le due versioni della storia dell'elefantino volante sono parecchie, se nell'originale di Walt Disney la mutazione, chiamiamola così, del protagonista diventava per il piccolo Dumbo motivo di scherno e di emarginazione a opera degli stessi componenti del circo, dei più cattivi elementi del pubblico, qui l'unico ad avversare l'elefantino, e poi in fondo nemmeno sul serio, è il direttore del circo dei Fratelli Medici, nella fattispecie Max (l'altro non esiste) interpretato da Danny DeVito, che vedendo le orecchie del piccolo di mamma Jumbo teme di non poterlo esibire a causa della sua diversità. Ma, come si accennava pocanzi, questa volta Dumbo è un diverso tra diversi, il circo dei Fratelli Medici è un circo di freaks, il suo direttore è un uomo molto piccolo, il forzuto è un sentimentalone che non ha poi questa gran forza (forse), ci sono poi una sirena sovrappeso, un cavallerizzo con un solo braccio, l'uomo dei serpenti, Dumbo è qui in buona compagnia, nessuno ha grandi motivi per schernirlo, anzi, presto il cucciolo si conquisterà l'affetto di tutti, dovendo trovare il suo ruolo più che nel mondo all'interno dello spettacolo.

La versione di Burton inizia con la presentazione di questo circo itinerante, una città dopo l'altra, una stazione dopo l'altra, poi il ritorno dalla guerra di una delle grandi attrazioni dello spettacolo dei Fratelli Medici, il cowboy Holt Farrier (Colin Farrell) che finalmente si ricongiunge ai suoi due figli, Milly e Joe, ormai orfani di madre. Purtroppo in guerra l'uomo ha perso un braccio, viene così declassato a badante degli elefanti da Max, diverrà ben presto l'addestratore del nuovo arrivato Dumbo. Separato a causa di una serie di sfortunati eventi dalla madre, l'elefantino trova come punto di riferimento la famiglia Farrier, dal momento in cui questi scopriranno la capacità di Dumbo di spiccare il volo, il piccolo elefantino prenderà il ruolo di attrazione principale dello spettacolo. Quando la notizia delle abilità peculiari del nostro inizia a circolare, l'avido affarista Vandevere (Michael Keaton) cercherà di inglobare le attrazioni del circo Medici, Dumbo in testa, in una sorta di Disneyland sfavillante di nome Dreamland, con Dumbo si esibirà la bella trapezista Colette (Eva Green).

Burton costruisce una favola molto classica, adattata all'inclusione e al buonismo che oggi Disney impone, lo fa però senza rinunciare al suo talento nella messa in scena, nella scelta dei colori, in alcuni tocchi che ricordano il vecchio Burton (penso prevalentemente a Dreamland), visivamente il film regali moltissimi bei momenti, la danza degli elefanti rosa, questa volta sobria e non dettata dall'alcool (non sia mai) è effettivamente bellissima da guardare; al netto dell'operazione di pulizia nella narrazione la favola funziona e pur rientrando in quella fetta di Cinema sognante, più accattivante per i bambini che non per gli adulti, alla fine Dumbo funziona meglio di molte delle opere dell'ultima fase della filmografia del regista di Burbank che inoltre ha la possibilità di contornarsi sempre di nomi di un certo richiamo tra i quali qui emerge un Danny DeVito una spanna sopra tutti. Tempo di feste, Dumbo è la pellicola che può soddisfare tutta la famiglia, libera l'elefante e ingabbia le scelte narrative nell'aria che tira (il destino del circo è emblematico), ma tutto sommato si lascia guardare con piacere.

domenica 27 dicembre 2020

B.P.R.D. - LA MACCHINA UNIVERSALE

(B.P.R.D. The universal machine di Mike Mignola, John Arcudi e Guy Davis, 2006)

Con le prime tre tavole di questa nuova miniserie del Bureau for Paranormal Research and Defense Mignola e Arcudi chiudono la vicenda legata alla "piaga di rane" per lanciarsi in una nuova avventura che muove da una delle conseguenze della mini precedente (segue qualche spoiler per chi non avesse letto il volume La Fiamma Nera). Data la natura corale della serie gli autori sviluppano qui tre linee narrative, quella portante vede la Dottoressa Corrigan, storica del folklore ed eventi insoliti, intraprendere un viaggio in Francia, nel borgo di Ableben, alla ricerca del Flamma Reconditus, antico e introvabile volume arcano che dovrebbe contenere le istruzioni per ridare la vita agli omuncoli, la speranza è quella di poter portare indietro Roger, all'apparenza irrimediabilmente distrutto nell'episodio precedente. Ad accompagnarla alla ricerca del vecchio collezionista che dovrebbe essere in possesso del manoscritto c'è l'agente Andrew Devon, un novellino sul campo, ma l'azione del Bureau questa volta non sembra presentare rischi, in fondo si tratta di portare a termine con esito favorevole la trattativa con un privato per l'acquisizione del libro. La seconda linea narrativa, sviluppata in poche pagine, vede ancora una volta il fondamentale Abe Sapiens in disparte, demotivato, avvilito e in preda agli spettri del suo passato, ancora tutto da costruire, con l'andare della storia si unirà ai restanti membri del gruppo per quella che è una sorta di seduta di autoanalisi, dove ognuno dei personaggi affronta il suo rapporto con la relatività della morte con cui molti dei componenti del B.P.R.D. hanno già avuto a che fare. Mentre in Francia si svolge l'azione vera, questa terza linea narrativa permette a Mignola e Arcudi di ricamare e costruire ancora meglio i loro personaggi, ponendo un focus sul Capitano Benjamin Daimo, pur sempre l'ultimo arrivato, che ci racconta l'episodio che ha portato a quei tre giorni durante i quali in passato è stato dichiarato morto, una vicenda nella quale sono coinvolti l'esercito, la giungla boliviana, delle suore morte e il misterioso culto del giaguaro. Per Liz Sherman sarà l'occasione di tornare ancora una volta ai ricordi della sua famiglia e alla parte che lei stessa ha avuto nella loro morte, Abe racconterà invece una storia non personale in cui compare anche Hellboy, persistendo così nel suo mood poco collaborativo, infine Johann Krauss rievocherà il ricordo di un amore ultraterreno e moderatamente morboso.

La macchina universale è uno dei migliori volumi del B.P.R.D letti finora, Mignola e Arcudi raggiungono una sintonia perfetta alternando atmosfere misteriose e orrorifiche intrise di un'ottima calibrazione della suspense a narrazioni che toccano i toni più disparati nei racconti dei membri rimasti in Colorado nella sede del Bureau, Guy Davis ormai è il B.P.R.D. come Mignola è Hellboy, i suoi disegni accompagnano la progressione della storia in maniera sempre efficace e naturale, sebbene di naturale nelle storie di Mignola ci sia davvero poco. La lettura di questo volume risulta appassionante (anche la rilettura), introduce nel Mignolaverse il Marchese De Fabre e la storia del suo castello legata a quella degli abitanti del borgo, un piccolo paesino francese che ospita uno dei negozi antiquari più affascinanti e pericolosi del vecchio continente. Molto buona l'idea di introdurre l'agente Devon che rappresenta qui il corpo estraneo alle solite dinamiche del Bureau e che si troverà quindi ad aver a che fare con forze molto più grandi di lui di fronte alle quali dovrà lottare anche solo per riportare la pellaccia a casa, tutto sommato il ragazzo non se la caverà male. Conosciamo un poco meglio anche Daimo, alla fine possiamo dire come la morte temporanea non l'abbia cambiato più di tanto, sebbene qualsiasi esperienza capace di portarti via mezza faccia debba essere per forza traumatica, Daimo tosto e irascibile era prima, tosto e irascibile rimane ora, ma sinceramente addolorato per la sorte toccata a Roger l'omuncolo.

Questo sesto volume dedicato alle avventure del B.P.R.D. si conferma uno dei migliori tasselli del Mignolaverse, universo narrativo il cui recupero inizia ad essere un poco problematico visto l'alto numero di volumi che iniziano a comporre l'opera dedicata ai personaggi creati da Mignola. Ci proviamo!

sabato 26 dicembre 2020

L'INCREDIBILE STORIA DE L'ISOLA DELLE ROSE

(di Sydney Sibilia, 2020)

Dopo la trilogia di Smetto quando voglio la commedia di Sydney Sibilia si "normalizza" e trova una via più classica alla materia che permette a L'incredibile storia de L'isola delle rose di avere un respiro più ampio, meno ridanciano nel senso più stretto del termine, ma sicuramente capace di travalicare più confini, sia di genere sia in termini di commerciabilità di un prodotto adatto veramente a tutti e che in potenza potrebbe arrivare ovunque, esce purtroppo nel periodo di serrata delle sale cinematografiche, quindi per ora la distribuzione è "solo" quella di Netflix. Per questa nuova opera si sceglie di raccontare una storia vera, tutta italiana mantenendo l'aderenza ai fatti principali ma concedendosi diverse libertà narrative al fine di rendere la vicenda più fruibile dal pubblico.

Siamo nel 1968, mentre a Parigi si consuma il maggio francese a Bologna Giorgio Rosa (Elio Germano) si laurea in ingegneria, poca voglia di seguire i binari che società e famiglia vorrebbero già programmati per lui, nel cuore ancora la bella Gabriella (Matilda De Angelis), storia ormai ex causa la propensione di Giorgio a vivere in un mondo tutto suo, scollato da ciò che impongono le strutture sociali, la scuola, la volontà paterna e le leggi dello Stato dalle quali è già stato in passato redarguito per piccole alzate d'ingegno non propriamente lecite anche se sempre innocue. In parte per una voglia di libertà che aleggia in quegli anni nelle teste di molti giovani, in parte per la sua indole non conforme e in (gran) parte per colpire e riconquistare Gabriella, Giorgio decide di costruirselo davvero un mondo tutto suo, con l'aiuto e le finanze del ricco amico Maurizio (Leonardo Lidi) assemblerà una piattaforma marina in acque internazionali, poco oltre il confine delle acque territoriali italiane, con l'intento di dichiarare la struttura - che prenderà il nome di Isola delle Rose - nazione indipendente. Ben presto a Giorgio e Maurizio si uniranno il naufrago Pietro Bernardini (Alberto Astorri), la giovane barista in dolce attesa Franca (Violetta Zironi), che potrebbe dare alla luce il primo nativo dell'isola, e l'apolide Neumann (Tom Wlaschiha), grande organizzatore di eventi sui lidi della riviera romagnola. Ben presto la fama del posto cresce, iniziano ad arrivare turisti interessati a questo strano esperimento al fine di divertirsi in un luogo non soggetto alle leggi italiane, intanto i cinque abitanti dell'isola creano una forma di governo, scelgono una lingua ufficiale (l'esperanto), si industriano per coniare moneta, emettere francobolli e Giorgio Rosa tenterà di fare di tutto, sempre con Gabriella in testa, per far riconoscere l'isola, tanto da arrivare al Consiglio d'Europa di Strasburgo.

Il film visivamente richiama molto bene le estati degli anni 60, scenografie e fotografia propongono luci e colori indovinati per l'epoca rappresentata, il salto nel passato funziona, ben contrastato dall'incipit invernale in quel di Strasburgo, l'impianto tecnico è quello di un film girato con tutti i crismi per funzionare anche all'estero, la storia potrebbe essere universale e piacere a tutti, compresi gli americani, in fondo, soprattutto sul finale, qualche libertà rispetto agli eventi reali in sceneggiatura è stata presa, per garantire quel giusto pathos e costruire almeno una scena madre al fine di strizzare l'occhio al pubblico. Dietro questa scelta c'è indubbiamente la volontà di sottolineare l'importanza del sogno e dell'utopia purtroppo, come successo in gran parte per i sogni nati proprio negli anni Sessanta, destinati a essere smontati pezzo per pezzo da realtà molto legate (e che legano) a burocrazie, gerarchie, inquadramenti e dinamiche di sfruttamento per le quali ogni moto di libertà e indipendenza può destare sospetto e divenire presto pericoloso per lo status quo, un po' come accadde all'Isola delle rose che presto divenne motivo di imbarazzo per lo Stato Italiano. Anche sul versante della commedia è proprio il contrasto tra l'idea di Rosa e lo Stato a garantire i momenti di maggior divertimento, quando la politica inizia a interessarsi alla vicenda ecco salire in cattedra un ottimo Luca Zingaretti (nei panni di Giovanni Leone) ma soprattutto un Fabrizio Bentivoglio esilarante nella parte di Franco Restivo a rappresentare l'idiozia di una politica da farsetta, i duetti tra i due sono impagabili, eclissano anche le buone prove di Germano e compagnia bella. A condire il tutto la giusta dose di sottotrama rosa con la storia d'amore, quasi sempre a distanza, tra Giorgio e Gabriella.

Il Sibilia post trilogia si conferma una bella realtà del Cinema italiano, tenendo conto anche della collaborazione con il produttore Matteo Rovere, anch'egli regista e figura interessata a un'idea di Cinema eclettica, tutto sommato non si può che essere fiduciosi anche per i lavori a venire.

venerdì 25 dicembre 2020

REGALI 2020

Iniziamo con i consueti post di fine anno, come ormai è divenuta tradizione da un po' di anni a questa parte, partiamo quindi con il classico post sui regali di Natale. Intanto mi auguro che per chiunque legga questo post il Natale sia stato sereno, purtroppo quest'anno è stato quello che è stato, la situazione è complicata per tutti, per qualcuno purtroppo è stata anche dolorosa, spero che le feste possano contribuire a dare un poco di sollievo a tutti quanti e approfitto qui per farvi gli auguri di buon proseguimento. 

Allora, come già sa chi segue il blog da un po' di tempo, da queste parti piacciono i regali frivoli, poi per carità, si apprezza tutto, ma ciò che veramente fa piacere ricevere (e che di solito si finisce per comprarsi da soli) è ciò che viene reputato di norma "inutile" o che va ad alimentare le nostre passioni. Da questo punto di vista... andiamo a vedere insieme:

Partiamo dalle cose più "utili" per andare verso quelle meno "utili" ma più interessanti...

Lockdown per tutti e chissà nei prossimi mesi quanto ancora dovremo stare in casa, in smart working, in zona rossa, arancione, gialla e chissà che altro ancora, insomma, quasi sicuramente saranno parecchie le ore che dovremo passare tra le quattro mura domestiche, isolati ma indubbiamente comodi, perciò comodi e quindi... tuta!




Vi risparmio le cose banali come agende, calzini e minuzie varie, rimaniamo ancora nell'ambito dell'abbigliamento, settore che solitamente non mi interessa neanche un po', si rientra nel discorso di quelle robe utili ma che probabilmente in molti non desiderano davvero, qui però un'eccezione perché questo regalo inaspettato devo dire di averlo trovato molto carino e divertente...




Altra curiosità da sfruttare nei prossimi viaggi, se mai potremo tornare a farne, è questo bell'aggeggino che incorpora in un unico oggetto una serie di prese adattabili in diversi paesi europei, dall'usb, all'attacco con tre ingressi alla nostra classica presa, evita la rottura di palle di dover cercare in loco gli adattatori, si chiama Lancet HHT202.



Fortunatamente un paio di libri non mancano mai, mio fratello che non sa mai cosa regalarmi attinge da una mia personale wishlist infinita che non avrà mai fondo se non nel giorno della mia morte probabilmente, quindi so che almeno la gioia della lettura sotto le feste non mancherà mai! Quest'anno...





Aggiungo infine un paio di regali che in realtà sono di mia figlia ma che alla fine faranno sicuramente compagnia a tutta la famiglia, il primo è il cartone della Pixar Onward che quest'anno avevamo bucato in sala per i motivi che tutti conosciamo.



Finiamo con la prima espansione di Villanous, un gioco da tavola dove ogni giocatore impersona uno dei cattivi Disney in una sfida uno contro l'altro dalla quale solo uno uscirà vincitore, ai personaggi della scatola originale (Ursula, Malefica, Re Giovanni, Capitan Uncino, la Regina di Cuori e Jafar) questo nuovo Wicked to the core (qualcosa tipo Cattivi fino al midollo) aggiunge ancora la matrigna Grimilde, Ade e il Dr. Facilier, nuove dinamiche, compatibilità con la scatola originale e ottima giocabilità anche questa volta (lo abbiamo già provato e ovviamente Papo ha vinto :)



Anche per quest'anno è tutto. Ancora buone feste a tutti!

mercoledì 23 dicembre 2020

ANCORA AUGURI PER LA TUA MORTE

(Happy death day 2u di Christopher Landon)

Per il secondo episodio della saga Auguri per la tua morte Christopher Landon si allontana ancora un poco dalle venature horror del primo film, già piuttosto blande, per avvicinarsi maggiormente al lato umoristico e scanzonato della vicenda, mixandolo per quanto possibile con il genere fantascientifico garantito dalle teorie sul loop temporale. Nonostante le ripetizioni, volute e cercate come da copione, anche questo sequel pur non brillando d'originalità riesce a risultare divertente nella giusta misura, alla fine, dopo due film passati insieme (due film e giorni e giorni e giorni) non ci si può che affezionare alla bella Tree (Jessica Rothe), tanto che la ventilata minaccia di un terzo capitolo non ci sembra poi così cattiva come idea, anzi...

Per apprezzare al meglio questo secondo capitolo è necessario aver visto Auguri per la tua morte e non averlo completamente cancellato dalla memoria, in caso contrario meglio entrare in modalità loop e riguardare il primo film per poi proseguire con la visione di questo sequel, situazioni e personaggi sono altamente ricorrenti, per massimizzare l'esperienza si consiglia la maratona, magari nel giorno del vostro compleanno. Ci eravamo lasciati con le cose tornate a una rassicurante normalità, riprendiamo dal momento in cui Ryan (Phi Vu) entra nella stanza del suo amico Carter (Israel Broussard) per sapere se è riuscito a farsi quella figa bionda, che poi sarebbe Tree, ma questa volta è proprio la giornata di Ryan che seguiamo, i piccoli gesti prima di arrivare da Carter, l'esperimento di scienze con gli amici Samar (Suraj Sharma) e Dre (Sarah Yarkin), lo scontro con il Preside Bronson (Steve Sissis) e infine la morte per mano di un maniaco con la maschera della mascotte del college. Quando Ryan si trova a rivivere di nuovo la stessa giornata, chiede aiuto a Carter e Tree la quale, ovviamente, avendo già maturato un po' d'esperienza nel campo sa come muoversi. Fatto sta che per riparare all'incresciosa situazione, sfruttando anche le conoscenze scientifiche di Ryan e soci, il loop si sposta in una dimensione parallela e per Tree l'incubo ricomincia da capo (ogni somiglianza ad altri titoli di film è puramente casuale) al netto di nuove variabili.

Landon trova il modo di incastrare ancora una volta la sua protagonista in un loop temporale, per farlo deve scombinare un poco le carte, riprendere molti elementi del film precedente (tornano il professore, Lori, Danielle) e inserirli in un contesto capace di proporre qualche nuova variante, da qui la svolta fantascientifica. Anche nei toni si punta più sull'ironico, parecchio divertente la sequenza nella quale Tree sperimenta nuovi modi per porre fine alla sua giornata, l'horror è solo una facciata per mettere in scena una commedia seriale, Jessica Rothe è perfetta per questa parte, sembra molto a sua agio sul versante della commedia come su quello che fa riferimento allo slasher, il suo personaggio affronta qui anche qualche dilemma legato non al ciclo di morte e resurrezione, quanto all'importanza e al dolore che alcune scelte possono portare con sé, nulla di troppo profondo ma le varie parti che compongono il film girano a dovere per far si che si mantenga un giusto equilibrio, tale da far risultare anche Ancora auguri per la tua morte Christopher Landon si allontana ancora un poco dalle venature horror del primo film, già piuttosto blande, per avvicinarsi maggiormente al lato umoristico e scanzonato della vicenda... aaaaaahhhhhh!!!!!

domenica 20 dicembre 2020

WELCOME TO COLLINWOOD

(di Anthony e Joe Russo, 2002)

Per noi italiani, almeno per quelli un minimo legati alla storia del nostro Cinema, può risultare più difficile che per altri dare un giudizio obiettivo su questo Welcome to Collinwood, remake di uno dei capi d'opera del grande Mario Monicelli: I soliti ignoti. Tra i due film, lasciando da parte i giustificati campanilismi, c'è uno scarto non indifferente. Quella di Monicelli è una commedia molto divertente graziata dalle prestazioni straordinarie di un gruppo d'attori indimenticabili, ma è anche e soprattutto un ritratto d'epoca spesso indicato come ideale nascita della commedia all'italiana, ne I soliti ignoti, oltre alla storia di un gruppo di criminali da quattro soldi, viene mostrata in maniera credibile e realistica, forse come mai fatto prima in una commedia, la situazione di miseria in cui versava il popolo delle borgate romane, in ripresa dalla fine della Guerra Mondiale eppure ancora estraneo ai benefici economici dell'industrializzazione nascente e dell'arrivo incombente della società dei consumi, qui emerge forte la condizione di disagio di famiglie povere segnate da uomini senza lavoro e dediti a piccoli crimini per tirare avanti, in una scena emblematica (e divertentissima) del film quella sagoma di Capannelle (Carlo Pisacane), cercando un altro dei protagonisti in una borgata di periferia, chiede a un ragazzino che gioca per strada se conoscesse un certo Mario. "Qua di Mario ce ne stanno cento" risponde il ragazzino, Capannelle allora lascia intendere al piccolo che il Mario che cerca lui fa il ladro, e il ragazzino con grande naturalezza gli risponde: "e sempre cento so' ". Questa dimensione, importantissima nell'originale, si perde completamente in Welcome to Collinwood che si concentra sull'aspetto più comico della vicenda, quello dell'impresa della banda del buco. Preso da questo punto di vista, accantonata quindi la valenza sociale del capostipite, Welcome to Collinwood è una commedia simpatica che inanella alcuni momenti di comicità ben riusciti, recitata da un bel gruppo di attori e che senza lungaggini chiude la vicenda nel giro di un'oretta e mezza scarsa garantendo allo spettatore una visione piacevole e senza pensieri.

Siamo a Collinwood, quartiere operaio di Cleveland, non di certo la zona più ricca della città, storicamente abitata da minoranze: italiani, est europei, afroamericani. Cosimo (Luis Guzmán) ha un bel colpo per le mani, quello che in gergo si chiama Bellini, il colpo che può cambiarti la vita, peccato che al momento non sia in grado di portarlo a termine in quanto ospite delle patrie galere. Nel tentativo di trovare un capro espiatorio per uscire di galera, l'italiano incarica la sua compagna Rosalind (Patricia Clarkson) di muoversi all'esterno del carcere, così facendo purtroppo per Cosimo la storia del Bellini si diffonde e raggiunge diverse paia di orecchie, in particolare quelle di Pero (Sam Rockwell) un perdente dal piglio intraprendente che si approprierà del piano per svaligiare la cassaforte di una gioielleria usando il classico espediente del buco; con lui lo scalcagnato Toto (Michael Jeter), il padre di famiglia Riley (William H. Macy) con poppante al seguito e il giovane Basil (Andy Davoli) che si innamorerà della sorella di Leon (Isaia Washington), cosa che scombinerà un po' i piani di tutta la banda. A complicare ulteriormente le cose la bella Carmela (Jennifer Esposito) che da lasciapassare inconsapevole per la realizzazione del piano diventa un chiodo fisso per il sentimentale Pero.

La trama della costruzione e della realizzazione del colpo ricalca molto fedelmente il plot de I soliti ignoti di cui, a parte le differenze sopra descritte, Welcome to Collinwood è un rifacimento parecchio rispettoso. Anche i personaggi ricalcano pedissequamente gli originali, si segnala la partecipazione di un George Clooney in sedia a rotelle nella parte che fu di Totò a insegnare al gruppo come scassinare una cassaforte, su un tetto, tra i panni stesi, proprio come accadeva nel film di Monicelli. Il ruolo principale che fu di Gassmann qui sta a un sempre bravo Sam Rockwell, ma anche tutti gli altri protagonisti attingono fedelmente ai corrispettivi italiani. Il film è veloce, ha un buon ritmo, gode di alcuni momenti esilaranti che attingono anche alla slapstick comedy, il cast è di tutto rispetto, basterebbe già il trio Clooney, Rockwell, Macy a garantire la buona riuscita di un film che va preso per quel che è, un omaggio divertito a un classico inarrivabile, in questo Welcome to Collinwood funziona a dovere e non delude, bisogna sforzarsi di non fare paragoni che per il film dei fratelli Russo non potrebbero che rivelarsi ingloriosi, non si deve pensare a Gassmann, Mastroianni, Totò, Murgia, Carotenuto e compagnia bella né al contesto sociale, tenendo presente quanto appena detto, allora si può guardare Welcome to Collinwood e passare un'ora e mezza senza pensieri.

giovedì 17 dicembre 2020

L'EROE DELLA STRADA

(Hard times di Walter Hill, 1975)

L'eroe della strada è un film parecchio ordinario che ha al suo arco alcune buone frecce da scoccare, una su tutte quella di aver segnato l'esordio alla regia di Walter Hill, regista che ha saputo crearsi un piccolo alone di culto presso un gruppo molto nutrito di amanti di un certo tipo di Cinema: diretto, artigianale, spesso muscolare, lontano dalle produzioni enormi di Hollywood ma che ha saputo ritagliarsi anche diversi successi commerciali. Grazie a Walter Hill possiamo godere di un film cult indimenticabile come I guerrieri della notte, abbiamo assistito all'esordio di Eddie Murphy nel buddy movie 48 ore e abbiamo a disposizione un'interessante filmografia che spazia dalla metà dei Settanta fino ad arrivare ai giorni nostri. L'eroe della strada traghetta quindi Hill dalla sceneggiatura (già sue quelle di Getaway! e Detective Harper: acqua alla gola) alla macchina da presa, sotto quest'ultimo punto di vista il film si lascia ammirare per il ritratto di un'America in difficoltà, schiacciata dagli anni della Grande Depressione, in particolare ci mostra una New Orleans periferica, impoverita, specchio di un intero Paese, dove si cerca di tirare su i soldi per arrivare a fine giornata in mezzo alla strada, lungo gli snodi ferroviari, nei magazzini, cercando di sfruttare ogni mezzo possibile.

Proprio da uno di quegli scali ferroviari arriva Chaney (Charles Bronson), fermatosi in una piccola cittadina assiste a un incontro clandestino che ha molto del pugilato a mani nude, ibridato a mere tecniche da rissa da bar e un'unica regola: non si colpisce chi è a terra. A uscirne in quell'occasione perdente sarà l'uomo di Speed (James Coburn), organizzatore di incontri, manager, scommettitore. Cheney, già avanti con l'età, è uno che sa il fatto suo, si propone a Speed come suo nuovo combattente e facilmente vince il suo primo incontro. Dopo una prima conoscenza tra due tipi in antitesi, Cheney serioso e di pochissime parole, Speed un maneggione scanzonato e cialtrone, la piccola società in affari si trasferirà a New Orleans per entrare in un giro più grosso (e più pericoloso) al fine di garantirsi guadagni più interessanti, occasione per Cheney di tirare il fiato e pensare a un'esistenza più tranquilla. Da qui l'incontro con la bella Lucy (Jill Ireland, moglie dello stesso Bronson per molti anni) e un'escalation nel mondo dei combattimenti clandestini contro avversari sempre più preparati.

Sceneggiatura molto lineare, anche troppo, evidenzia le difficoltà di una società colpita da una grande crisi economica, situazione di disagio sottolineata anche dal degrado di alcune location, tutto però resta in superficie così come non vengono approfonditi alcuni personaggi di contorno né la sottotrama sentimentale tra Cheney e Lucy, personaggio di cui si apprezza per lo più la bellezza dell'interprete Jill Ireland e poco altro. L'uomo della strada ha l'incedere del Cinema dei 70, compassato, oggi i vari step finalizzati agli incontri di Cheney avrebbero visto un montaggio forsennato a riassumere incontri su incontri proiettando il protagonista verso la sfida finale, qui abbiamo tre sfide di numero con impegno a salire senza troppa spettacolarità (e questo non è un male) ma senza neanche troppo pathos. Diciamo che fa piacere vedere due scuole di recitazione così diverse in contrapposizione, la faccia di bronzo di Bronson e l'istrionismo di un Coburn dal ghigno sempre accattivante, già insieme in film decisamente più memorabili (La grande fuga, I magnifici sette) e che forse ora capiamo da dove arriva la micidiale cartella dello zingaro interpretato da Brad Pitt in Snatch - Lo strappo. In fin dei conti un buon esordio che apre la strada a opere che da lì a qualche anno lasceranno il segno nei cuori di molti appassionati e lancia Walter Hill iscrivendolo nel registro di quei registi a cui voler bene.

mercoledì 16 dicembre 2020

VITALINA VARELA

(di Pedro Costa, 2019)

Non sempre l'emigrazione segna la fine della povertà, del dolore e della marginalità, né per chi parte, né per chi resta. Pedro Costa ci mostra luoghi e miserie poco battuti se non dal suo Cinema, raccontandoci la storia di Vitalina Varela (che qui interpreta sé stessa), una donna capoverdiana di mezza età che  in seguito alla morte di suo marito Joaquim arriva a Lisbona nel quartiere di Fontainhas, una sorta di favela dimenticata da Dio insieme a tutti i suoi abitanti. L'uomo sposa Vitalina in gioventù e poi da Capo Verde parte per il Portogallo per cercare lavoro e fortuna; Vitalina aspetta a Capo Verde il biglietto aereo che sarà il mezzo per ricongiungersi al suo amato, lo aspetterà per due decenni e mezzo, il biglietto per l'Europa arriverà solo a marito morto dopo che questi negli ultimi decenni si è rifatto una famiglia e un'altra vita con, ironia della sorte, un'altra Vitalina. Quando Vitalina scende dall'aereo per mettere piede in Portogallo è scalza, i suoi connazionali le consigliano subito di tornare a casa perché in questa nuova terra per lei non c'è più niente. La donna rimane, una forza spropositata indurita dagli anni di abbandono, rimane per sistemare le ultime cose del marito, per rendere agli occhi del mondo onore a un uomo che non lo merita, colma di una dignità immensa rimane per vivere un posto infame, degradato e abbandonato dalla civiltà, rimane per vivere un luogo che non potrà far altro che far nascere rimpianto per quel poco che Vitalina aveva a Capo Verde, rimane per ascoltare una lingua che si rifiuta di parlare.

Pedro Costa mostra un profondo rispetto per la gente di Fontainhas, persone che ha conosciuto, con cui ha vissuto, questo rispetto emerge da ogni singola inquadratura di questo film composto da scene per lo più statiche, la macchina da presa non è mai in movimento, in antitesi ai pianosequenza tanto strombazzati a ogni piè sospinto, qui si va di camera fissa, stacco, ripresa successiva con camera fissa, stacco e via di questo passo... molte inquadrature presentano un fuoco centrale scandito da una fotografia nettissima sulle ombre e sulle luci, avvolto da una cornice di buio, e non uso a caso la parola "cornice" in quanto ogni singola ripresa, soprattutto quelle sul volto della protagonista, danno l'impressione di trovarsi davanti a un dipinto o alla sua rappresentazione dal vivo. Tutta l'energia che manca alla narrazione, sicuramente lenta, riflessiva, statica, è compensata da quella scaturita dall'immagine, da quelle fotografie del reale che il regista fissa in maniera formidabile grazie all'aiuto delle luci di Leonardo Simões.

L'incedere del racconto, una serie di stati d'animo e di riflessioni sulla condizione dei più sfortunati, è indubbiamente ostico, Vitalina Varela è un film per appassionati da non approcciare con leggerezza, non perché questo sia troppo pesante in sé ma in quanto lo scarto tra questo film e il mainstream imperante da "prima serata", poco importa se da rete generalista o pescato sulle piattaforme, si fa sentire in maniera pressante. Lo spettatore che decide di affrontare l'opera verrà ripagato dalla messa in scena encomiabile di una dignitosa povertà e da un alto senso morale ben più che dalla storia della protagonista. Dopo aver vinto lo scorso anno Pardo d'oro e il premio per la miglior interpretazione femminile a Locarno, Vitalina Varela è disponibile nella preziosa sezione Fuori Orario di Raiplay.

lunedì 14 dicembre 2020

ENOLA HOLMES

(di Harry Bradbeer, 2020)

Mettiamo fin da subito le carte in tavola, con Enola Holmes andiamo a parlare di un film rivolto ai ragazzi e pensato per loro, che poi Netflix nelle intenzioni volesse raggiungere il pubblico più vasto possibile (cosa che tra l'altro sembra gli sia riuscita) è un altro discorso che qui non interessa, è quindi in quest'ottica che andiamo a esaminare questo prodotto. Enola Holmes non è certamente il primo film che guarda all'immaginario creato da Conan Doyle con uno sguardo alternativo, ogni generazione sembra destinata ad avere la sua versione cinematografica di Holmes da legare agli anni dell'adolescenza, per i miei coetanei è stato indubbiamente il giovane Sherlock di Piramide di paura, per i nostri figli potrebbe essere proprio questa Enola Holmes, che altri non è se non la sorellina minore di Sherlock e Mycroft. È un diritto dei ragazzi che ci siano film a loro rivolti e che questi siano curati e costruiti per venire incontro alle loro esigenze, sotto questo punto di vista Enola Holmes assolve bene al suo compito, se alcune caratteristiche del film potrebbero annoiare un adulto - le ripetizioni, gli escamotage faciloni, il tradimento della figura di Sherlock - queste passano in secondo piano per un giovane alla ricerca di figure coetanee con le quali immedesimarsi o empatizzare, ed è proprio sotto questo aspetto che il film funziona al meglio.

Mycroft (Sam Claflin) e Sherlock (Henri Cavill) ormai da tempo hanno intrapreso le loro carriere, nella magione un poco decadente di Ferndell Hall la giovane Enola Holmes (Millie Bobby Brown) cresce con l'amata madre Eudoria (Helena Bonham Carter) che per la figlia ricopre anche le veci di istitutrice instradandola verso un'educazione molto completa ma decisamente anticonvenzionale per l'epoca, divisa equamente tra grandi scorpacciate di letteratura, lezioni di autodifesa e conoscenza delle discipline più disparate, sopra a tutto la madre insegna a Enola l'indipendenza e l'autostima e le inculca la convinzione di poter divenire ciò che vuole senza attenersi a regole prestabilite da altri. Al compimento del sedicesimo anno di età Enola viene apparentemente abbandonata dalla madre che lascia alla figlia un regalo che si rivelerà contenere una serie di indizi utili per ritrovarla; per l'occasione fanno ritorno a casa i fratelli maggiori Sherlock, intenzionato a cercare la madre, e Mycroft ora tutore legale della sorellina, uomo vecchio stampo che vorrebbe per Enola un bel collegio e un'educazione tradizionale, in barba ai desideri della ragazza. Interpretati gli indizi lasciati dalla madre, Enola fuggirà da casa lanciandosi alla ricerca della donna, durante il suo viaggio si imbatterà nel giovane Tewkesbury (Louis Partridge), marchese di Basilwether, altro ragazzo in fuga ma con un killer alle calcagna. Tra la ricerca della madre, l'inopportuna ottusità di Mycroft nei suoi confronti e l'affetto per il giovane nuovo amico che Enola sente di dover aiutare e proteggere, la ragazza una volta arrivata a Londra avrà il suo bel da fare.

Enola, che al contrario si legge alone, è una ragazzina sveglia e indipendente, educata appunto a cavarsela da sola, porta il volto di Millie Bobby Brown già idolo dei ragazzini (e di molti adulti) grazie al ruolo di Eleven nel serial Stranger Things, si è andati abbastanza sul sicuro quindi cucendo il film addosso a questa giovane e brava attrice il cui personaggio risulta essere l'unico scritto in maniera degna mentre tutto il coté che gira a lei intorno è superficialmente tratteggiato, a partire dall'ingombrante figura di Sherlock, poco vicina alla tradizione e interpretata da Cavill a dire il vero senza molta energia. La rottura della quarta parete da parte della protagonista che ammicca molto spesso al suo pubblico (forse anche troppo) dimostra ormai da parte della Brown una scafata confidenza con la macchina da presa, l'escamotage unito alla regia abbastanza briosa dell'esordiente Harry Bradbeer (che però ha molta, molta televisione alle spalle) aiuta a mantenere il film adeguatamente vivace anche per un pubblico meno in target (gli adulti) sebbene per questi ultimi non sia esente il rischio noia. L'impianto è molto volto al femminile, con un messaggio di rivendicazione di libertà e forza che può servire sia alle giovani ragazze per avere dei modelli positivi con i quali riconoscersi sia ai ragazzi che è bene si abituino a vedere non solo eroi ma anche eroine capaci di portare avanti da protagoniste storie avvincenti per un adolescente. Ottima la confezione: scenografie, costumi e la creazione delle location, rimandano allo spettatore l'impressione di un prodotto curato e realizzato con professionalità.

Enola Holmes è tratto da una serie di romanzi, The Enola Holmes Mysteries di Nancy Springer, visto il buon riscontro di critica e pubblico sulla piattaforma, non stupirebbe vederne realizzato un sequel in tempi brevi, tutto sommato per il pubblico dei più giovani non potrebbe che essere una buona notizia.

mercoledì 9 dicembre 2020

THE GENTLEMEN

(di Guy Ritchie, 2020)

Guy Ritchie torna al suo genere d'elezione, quel gangster movie imbevuto di un'afflato di post-moderno, fatto di personaggi cool, narrazione a incastro, presentazione dei protagonisti a effetto, struttura corale sorretta da un cast indovinato, soundtrack trascinante e buone dosi di sano divertimento. Dal folgorante esordio Lock & Stock - Pazzi scatenati sono passati più di vent'anni, dopo i primi due riuscitissimi film (il secondo è Snatch - Lo strappo) il percorso del regista perde un po' di forza, per rimanere sui suoi film di genere Revolver presenta molti difetti e una seriosità che a Ritchie non appartiene, con Rock 'n rolla inizia una fase di ripresa, il film è molto divertente ma quello che doveva essere un progetto articolato su più episodi (si parlava di trilogia) si arresta. The Gentlemen si inserisce in maniera più che dignitosa nel filone; assodato come il suo meglio Ritchie l'abbia già dato a inizio carriera - e non aspettiamo altro da lui che una cocente smentita - ci si può approcciare a questa sua nuova fatica senza il timore di rimanere delusi nonostante The gentlemen qualche problema in effetti lo presenti.

I ragazzacci di Ritchie sono cresciuti, hanno abbandonato i quartieri periferici di Londra, gli incontri clandestini tra cani, i campi nomadi e la suburbia più squallida della capitale inglese per approdare finalmente nel giro che conta, dove la grana scorre copiosa e garantisce un livello di vita molto, molto alto; ora indossano abiti firmati, frequentano i salotti buoni, hanno delle belle mogli e splendide case ma ancora non si tirano indietro quando c'è da infilare le braccia nella merda fino al gomito. Mickey Pearson (Matthew McConaughey) è un giovane americano che grazie a una borsa di studio si forma all'Università di Oxford, qui inizia a vendere erba ai suoi compagni ricchi, col passare degli anni Mickey diventa il gestore di un impero economico basato sulla coltivazione della marijuana, col tempo ha abbandonato ogni metodo violento e sta meditando di ritirarsi dal giro, passare ad attività legali e godersi la vita insieme alla sua amata moglie Rosalind (Michelle Dockery), per far questo sta trattando la cessione del suo impero economico all'imprenditore, chiamiamolo così, Matthew Berger (Jeremy Strong). Nel frattempo il braccio destro di Mickey, Raymond Smith (Charlie Hunnam) riceve la visita del viscido investigatore privato Fletcher (Hugh Grant) che lo informa di avere un bel dossier sugli ultimi movimenti di Mickey, una serie di informazioni compromettenti che l'investigatore ha rielaborato sotto forma di sceneggiatura cinematografica da vendere alla Miramax (casa di produzione di The gentlemen tra l'altro) e con la quale vuole ricattarlo chiedendo una cifra di ben 20 milioni di sterline. Da qui inizia a dipanarsi un racconto che coinvolge un gruppo di combattenti neri amanti dei video musicali allenati dall'esplosivo Coach (Colin Farrell), un giro di ricconi indebitati, l'importante editore Big Dave (Eddie Marsan) e il suo ego smisurato, la mafia russa, la malavita cinese rappresentata dall'eccentrico e spavaldo Occhio asciutto (Henry Golding) e altri elementi ancora, il tutto porterà al climax finale caro al regista inglese.

Partiamo dai difetti. L'espediente usato per costruire la vicenda, ovvero il resoconto degli eventi che Fletcher fa a Raymond mentre si intrattiene nella sua lussuosa dimora, se da un lato offre a Hugh Grant la possibilità di esprimersi magistralmente nel ruolo del viscidone (una delle due scelte di casting più indovinate) infilando diversi momenti davvero buoni come quello con il discorso sulle tecniche analogiche nel Cinema, dall'altro risulta nella prima parte un poco farraginoso, il ritmo e la piega che il film prende nelle prime battute lascia temere il peggio e sembra presagire uno sviluppo che farà fatica a decollare, fortunatamente con il passare dei minuti il film ingrana, quando si impara a conoscere un po' i personaggi e si entra nella dinamica della storia alla fine ci si diverte parecchio. Manca anche un po' di quella visceralità che i primi personaggi di Ritchie avevano, manca un Vinnie Jones, lo zingaro di Brad Pitt o addirittura il russo di Snatch, qui è tutto più pulito ma per fortuna ci viene incontro almeno la seconda mossa indovinata a livello di casting (vi avevo detto che erano due) con il personaggio del Coach, un Colin Farrell davvero in palla, attore che solitamente non apprezzo, è qui l'unico a riportare l'aspetto recitativo ai fasti dei primi film del regista, già sui titoli di testa un presagio, quelle quattro dita alzate che fanno tornare alla mente il Frankie Quattro Dita di Benicio Del Toro, i due personaggi non hanno nessun legame tra loro, ma si sa, a volte la mente associa un po' quel che le pare. A parte questi particolari e un impianto un pelo più ingessato rispetto a quanto fatto in passato, quando ingrana il film riserva diversi momenti molto godibili, si rimane nel campo del puro divertimento, quello che a Ritchie riesce meglio, fortunatamente si va in crescendo e da un certo punto in poi il film avvinghia lo spettatore per lasciarlo solo sui titoli di coda. Nel complesso The gentlemen è stata una bella sorpresa, viste le ultime scelte di Ritchie riguardo i film da dirigere negli ultimi anni, questa uscita è stata un inaspettato ritorno a casa che porta con sé la speranza che il regista ora ci resti, almeno per un po'.

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