(di Pedro Costa, 2019)
Non sempre l'emigrazione segna la fine della povertà, del dolore e della marginalità, né per chi parte, né per chi resta. Pedro Costa ci mostra luoghi e miserie poco battuti se non dal suo Cinema, raccontandoci la storia di Vitalina Varela (che qui interpreta sé stessa), una donna capoverdiana di mezza età che in seguito alla morte di suo marito Joaquim arriva a Lisbona nel quartiere di Fontainhas, una sorta di favela dimenticata da Dio insieme a tutti i suoi abitanti. L'uomo sposa Vitalina in gioventù e poi da Capo Verde parte per il Portogallo per cercare lavoro e fortuna; Vitalina aspetta a Capo Verde il biglietto aereo che sarà il mezzo per ricongiungersi al suo amato, lo aspetterà per due decenni e mezzo, il biglietto per l'Europa arriverà solo a marito morto dopo che questi negli ultimi decenni si è rifatto una famiglia e un'altra vita con, ironia della sorte, un'altra Vitalina. Quando Vitalina scende dall'aereo per mettere piede in Portogallo è scalza, i suoi connazionali le consigliano subito di tornare a casa perché in questa nuova terra per lei non c'è più niente. La donna rimane, una forza spropositata indurita dagli anni di abbandono, rimane per sistemare le ultime cose del marito, per rendere agli occhi del mondo onore a un uomo che non lo merita, colma di una dignità immensa rimane per vivere un posto infame, degradato e abbandonato dalla civiltà, rimane per vivere un luogo che non potrà far altro che far nascere rimpianto per quel poco che Vitalina aveva a Capo Verde, rimane per ascoltare una lingua che si rifiuta di parlare.Pedro Costa mostra un profondo rispetto per la gente di Fontainhas, persone che ha conosciuto, con cui ha vissuto, questo rispetto emerge da ogni singola inquadratura di questo film composto da scene per lo più statiche, la macchina da presa non è mai in movimento, in antitesi ai pianosequenza tanto strombazzati a ogni piè sospinto, qui si va di camera fissa, stacco, ripresa successiva con camera fissa, stacco e via di questo passo... molte inquadrature presentano un fuoco centrale scandito da una fotografia nettissima sulle ombre e sulle luci, avvolto da una cornice di buio, e non uso a caso la parola "cornice" in quanto ogni singola ripresa, soprattutto quelle sul volto della protagonista, danno l'impressione di trovarsi davanti a un dipinto o alla sua rappresentazione dal vivo. Tutta l'energia che manca alla narrazione, sicuramente lenta, riflessiva, statica, è compensata da quella scaturita dall'immagine, da quelle fotografie del reale che il regista fissa in maniera formidabile grazie all'aiuto delle luci di Leonardo Simões.
L'incedere del racconto, una serie di stati d'animo e di riflessioni sulla condizione dei più sfortunati, è indubbiamente ostico, Vitalina Varela è un film per appassionati da non approcciare con leggerezza, non perché questo sia troppo pesante in sé ma in quanto lo scarto tra questo film e il mainstream imperante da "prima serata", poco importa se da rete generalista o pescato sulle piattaforme, si fa sentire in maniera pressante. Lo spettatore che decide di affrontare l'opera verrà ripagato dalla messa in scena encomiabile di una dignitosa povertà e da un alto senso morale ben più che dalla storia della protagonista. Dopo aver vinto lo scorso anno Pardo d'oro e il premio per la miglior interpretazione femminile a Locarno, Vitalina Varela è disponibile nella preziosa sezione Fuori Orario di Raiplay.
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