martedì 1 dicembre 2020

UN LUOGO CHIAMATO LIBERTA'

(A place called freedom di Ken Follett, 1995)

Ovvero come ho imparato a non preoccuparmi e a disamare Ken Follett

Annosa è la questione su chi meriti essere considerato un Autore con la maiuscola, un grande scrittore, e chi invece la classica firma "commerciale", "di cassetta" o "da supermercato", usate pure la definizione che più vi aggrada. Scrittori di grande abilità narrativa i primi, ma anche fini cesellatori della lingua, portatori sani di un linguaggio così ricco da saper creare atmosfere, sensazioni, luoghi e profumi e far sì che il lettore ci si immerga completamente, artisti capaci di costruire periodi all'interno dei quali è possibile bearsi e godere della forma indipendentemente da quale sia il contenuto, proprietari di uno stile, capaci di osservare il mondo, tradurlo, riportarlo su carta, sovvertirlo, regalare emozioni e ricchezza. I secondi, spesso ottimi narratori, sono a volte carenti sul versante delle idee, magari privi di uno stile personale, perfetti però per dar sfogo a un'esigenza legata al mero intrattenimento, capaci comunque di costruire (occasionalmente) ottime storie. Ogni lettore, in base alle proprie inclinazioni e necessità, sarà portato ad avere una considerazione specifica per ogni autore nella cui opera si imbatterà, farà distinzioni, preferenze, sempre e comunque, le farà anche quel lettore che, in maniera (inconsapevolmente?) poco onesta, asserisce di non privilegiare la letteratura alta a quella commerciale (o viceversa), perché la letteratura è letteratura, e va bene, però Il conte di Montecristo (per rimanere sull'idea di intrattenimento) e Notte sull'acqua, per dirne una, non sono proprio la stessa cosa. 

Perché questa tirata? Tempo addietro, agli albori della mia vita da lettore indipendente, influenzato finalmente più dai gusti personali che non dalla necessità di leggere ciò che passava il convento (da giovani si sa, le risorse sono limitate, le conoscenze molto scarse), apprezzai molto Ken Follett. Erano anni in cui con pochi soldi trovavi in edicola libri su libri, edizioni stracciatissime ma che davano la possibilità di leggere di tutto un po', penso ai Dostoevskij della Biblioteca Economica Newton (BEN), ai Joyce, Poe, Lovecraft, Woolf, o agli autori più moderni pubblicati da I Miti Mondadori tra i quali appunto Follett ma anche King, Grisham, il meno recente Kerouac, e poi Ammaniti e via via scrittori più giovani, iniziative in seguito imitate da altre case editrici con conseguente ampliamento delle possibilità di scelta. A quei tempi, lettore ancora poco rodato per formare giudizi su basi almeno vagamente solide, desideroso di scuotermi di dosso quella che a un occhio ingenuo sembrava la polvere dei classici calati dall'alto dalla scuola (e sempre apprezzati), ebbi modo di imbattermi ne I pilastri della terra, quello che ancor oggi considero il miglior romanzo di Ken Follett tra quelli letti dell'autore britannico. Devo dire che ne serbo ancora un ottimo ricordo, a quello così seguirono tante altre opere dello scrittore, alcune fin da subito mi sembrarono poco più che storiacce (Il martello dell'Eden, Il terzo gemello), altre invece le apprezzai in toto e mi regalarono molte ore di soddisfacente lettura (Una fortuna pericolosa, La cruna dell'ago, Le gazze ladre). Con il passare del tempo le prospettive si ampliarono, la biblioteca personale si arricchì, altri autori fecero capolino a reclamare il loro posto.

Sono tornato più volte a Ken Follett nel corso degli anni e devo ammettere di aver fatto molta fatica a leggerlo in tali occasioni. Eppure anni fa provai una specie di colpo di fulmine per I pilastri della terra. Il problema, credo, non è tanto il fatto di non avere più affinità con lo stile dello scrittore, i gusti cambiano, è naturale, quanto quello di essermi convinto che quello scrittore così apprezzato diversi anni or sono uno stile proprio non l'abbia e che tutto sommato non l'abbia mai avuto. Nel caso di Un luogo chiamato libertà, romanzo leggerissimo e scorrevolissimo, mi sono stupito di quanta poca voglia avessi di tirare su il libro dal comodino (ma incapace di lasciarlo a metà, come con tutti i libri) e di quanto tempo mi ci sia voluto per finirlo. La storia di per sé non è malaccio, non tra le migliori di Follett ma nemmeno tra le peggiori, però non un periodo coinvolgente, un'immagine memorabile, in questo caso un dipanarsi degli eventi anche molto prevedibile. Incredibilmente il romanzo compare in alcune classifiche dei lettori tra i più apprezzati dell'autore, e mi chiedo allora se sono io ad avere qualcosa che non va (mia moglie ogni tanto mi canzona dicendomi di avere la puzza sotto il naso, sarà anche vero, eppure non disdegno di leggere Tex Willer, cosa che non mi arreca nessun disturbo, anzi, così come non evito letture o visioni just for fun, tutt'altro) o se in generale latita la capacità di riconoscere la qualità oggettiva di un'opera, sempre che questa esista davvero. Quindi ditelo voi, grande autore o scrittore di cassetta? Io la risposta non ce l'ho, eppure mi pare che i libri di Ken Follett sugli scaffali del supermercato non stiano poi così male.

PS: alla fine non è che abbia detto molto su Un luogo chiamato libertà, se amate (ancora) Ken Follett alla follia provatelo, vi piacerà, se così non fosse qualcosa di meglio sono sicuro che lo si possa trovare (la nuova serie di Tex Willer ad esempio).

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