(di Bob Fosse, 1974)
Leonard Alfred Schneider, in arte Lenny Bruce, è stato un cabarettista e comico statunitense di origini ebraiche, attivo negli ultimi anni Cinquanta e nei primi Sessanta del secolo scorso. Lenny Bruce, che attraversò anche un periodo di notevole notorietà, è passato alla storia della comicità per la sua verve irriverente, sboccata e senza pudori, capace, con uscite al vetriolo, di mettere a nudo le ipocrisie di un’America ancora bigotta nella forma, incapace di parlare onestamente dei costumi e delle abitudini nella sostanza praticate dalla maggior parte dei suoi abitanti. L’uomo dietro al comico ebbe il coraggio di sfidare le convenzioni morali e culturali di un Paese perbenista anche a costo della sua stessa libertà. La battaglia di Bruce — di Lenny come titola il film del regista Bob Fosse — perseguì un ideale non violento di libertà d’espressione che gli attirò gli strali del sistema giudiziario statunitense, deciso a perseguitarlo e condannarlo in virtù di una visione morale retrograda e passatista, una visione che di lì a poco sarebbe stata completamente superata, aprendo la strada a una comicità più libera e colorita rispetto a quella consentita all’epoca. La figura di Lenny Bruce ben si sposa con l’indole non troppo conformista di Bob Fosse, anch’egli cresciuto sul palcoscenico ben prima che dietro la macchina da presa Da regista teatrale Fosse sfoggia uno stile moderno e sensuale che in qualche modo trasferisce anche in Lenny; la scelta di Dustin Hoffman come protagonista, all’epoca uno dei maggiori interpreti della New Hollywood, è solo l’ultimo tassello per la buona riuscita di questo amaro biopic.
All’inizio della sua carriera Lenny Bruce (Dustin Hoffman) è un cabarettista alla ricerca del suo posto nel mondo della comicità. Alternando il ruolo di presentatore a quello di comico Lenny gira per locali di poco conto, in uno di questi conosce la bella e sensuale spogliarellista Honey (Valerie Perrine). Dopo una breve frequentazione i due convolano a nozze cercando di barcamenarsi per riuscire a vivere; nel frattempo la comicità di Bruce si sviluppa con una tendenza che la morale dell’epoca non può che vedere come volgare ed eccessiva. In realtà l’intento di Lenny non è mai quello di cercare la battutaccia o l’uscita a effetto fine a sé stessa, il comico cerca con i suoi monologhi di condannare apertamente l’ipocrisia perbenista di una società che reprime, anche in maniera pericolosa a suo dire, la libertà di parola e l’onestà intellettuale del cittadino. Lanciato verso un successo sempre più grande Lenny, insieme a Honey, si lascia trascinare in un vortice di vizi che segnerà la sua vita, portandolo al divorzio e a una serie di problemi ai quali si aggiungerà un sistema giudiziario sempre pronto alla facile condanna. La carriera di Lenny Bruce si spegnerà pian piano fino ad arrivare a un tragico finale.
Bob Fosse parte dal teatro, adatta una pièce di Julian Barry, qui presente anche in veste di sceneggiatore, e affida la ricostruzione della vita di Lenny Bruce alle voci della moglie Honey, di mamma Sally (Jan Miner) e del suo amico e agente Artie Silver (Stanley Beck). Siamo in piena New Hollywood e Fosse gira un film che risulta modernissimo ancora oggi; Lenny è uno dei tanti esempi che stanno lì a testimoniare come il cinema classico hollywoodiano, pur non finito, fosse stato sorpassato a destra da nuovi temi, nuove forme, nuovi personaggi e nuovi modi di recitare. La struttura temporale non è lineare, il bianco e nero dei locali fumosi, magnificamente fotografati da Bruce Surtees, si sposa al meglio al vivace montaggio adottato da Fosse che, in particolare nelle sequenze iniziali, si erge a cifra stilistica e conduce il film fino al suo finale donandogli un ritmo invidiabile. Perfetta l’accoppiata Hoffman/Perrine che mette a disposizione del film e dello spettatore una prova attoriale di gran levatura, tra decisione e sensualità, contro il finto sdegno di un Paese trincerato dietro la sua stessa ipocrisia. Deciso il finale che sottolinea come, anche nel momento della dipartita, le autorità mostrarono scarsissimo rispetto per un uomo che non aveva mai fatto del male se non a sé stesso. Le molte candidature all’Oscar, coronate dalla mancanza totale di vittorie, dimostrano come nel 1974 la figura di Lenny Bruce fosse probabilmente ancora troppo scomoda per un establishment sempre troppo conservatore.







































