giovedì 29 marzo 2012

BRADIPIT 11

Quella del Bradipo è un filosofia di vita. Un vivere piano. Anche noi ci adeguiamo, la solita frase introduttiva arriverà quindi con tutta calma giovedì prossimo.


Clicca sull'immagine per ingrandire.

Aiutaci a diffondere il verbo del Bradipo linkandolo. Fallo tu perché il Bradipo fa n'caz.

mercoledì 28 marzo 2012

CENERENTOLA E GLI 007 NANI

(Happily N'ever after, di Paul J. Bolger, 2007) Inutilmente inutile. Non c'è molto altro da dire. Avete bambini? Se la risposta è no allora tenetevi lontanI da questo prodotto. La risposta è si? Ok, tenetevi lontani da questo prodotto. Siete accaniti fan dei film in animazione digitale? Ok, tenetevi lontani da questo prodotto. Vi sono sempre piaciute le fiabe? Ok, tenetevi lontani da questo prodotto. State cominciando a odiarmi? Ok, tenetevi lontani da questo prodotto. Siete per caso interessati a (mettere a scelta una tra le prime duecento cose che vi vengono in mente)? Ok, tenetevi lontano da questo prodotto. Siete irrimediabilmente senza speranza? Ok, allora continuate a leggere. Diciamo che in fondo ai bambini potrebbe pure piacere, specie se avete delle femminucce innammorate delle principesse Disney e simili. Ennesima rielaborazione in salsa divertente (almeno nelle intenzioni) di alcune tra le più famose favole. La parte del leone viene qui affidata a una Cenerentola lontana anche graficamente (è bruna) dalla controparte classica. Cenerentola e gli 007 nani. Passi per Cenerentola ma i nani si vedranno si e no per circa due minuti in tutto il film. Contando che il titolo originale dovrebbe suonare come qualcosa tipo Mai più felici e contenti, mi chiedo: ma questi signori che adattano i titoli dei film in lingua italiana vengono anche pagati? No giusto per sapere, perché in questo periodo sempre più concreta sta diventando la possibilità di dover cercare un nuovo lavoro. Io quasi quasi mi propongo. Potrò mica riuscire a far di peggio? Non credo sia nelle mie capacità, perché se lo fosse avrei di sicuro una carriera garantita. Per i curiosi: un moderno stregone è incaricato di sorvegliare la bilancia magica che garantisce a tutte le fiabe il giusto svolgimento. Ma anche gli stregoni dopo tanto lavoro hanno diritto alle meritate vacanze. In assenza del capo la gestione della bilancia passa nelle mani dei suoi due aiutanti Mambo e Munk. Quest'ultimo, per virare un cicinin dalla solita monotonia, incasina un po' le cose. Nel parapiglia la perfida madrina Frieda approfitta della situazione facendo pendere la bilancia a favore del male. Starà a Ella (diminutivo di Cenerella) sistemare le cose ma non con l'aiuto di quel perfetto imbecille di un Prinipe Azzurro bensì con quello del lavapiatti Rick, segretamente innamorato di Ella. Comparsate di una serie di altri protagonisti provenienti da varie fiabe tra i quali i nani inspiegabilmente piazzati nel titolo. Avete del tempo da perdere? Ok, tenetevi lontano da questo prodotto. Ok, tenetevi lontano da questo prodotto periodico (in senso matematico, quello col trattino). PS: c'è pure un seguito, probabilmente a breve su questi teleschermi. No, non sono masochista, potere dell'amore di un padre per la propria bambina. Scherzi? Nel seguito c'è Biancaneve. Sticazzi.

lunedì 26 marzo 2012

AN EVENING WITH: ENNIO MORRICONE

Quella del concerto diretto da Ennio Morricone è stata un'esperienza insolita ed emozionante. Ma andiamo con ordine. Torino, Auditorium Rai, galleria, ultima fila proprio in linea con le spalle del Maestro, ottima visuale nonostante la distanza, acustica perfetta, giusto per inquadrare la situazione. Prima dell'inizio del concerto i numerosi orchestrali provano tutti nello stesso momento ma ognuno per conto proprio, parti di temi famosi che si accavallano, suoni che si rincorrono, un caos straniante e affascinante allo stesso tempo. Si dà uno sguardo al programma, ci si mette comodi, le luci si abbassano e qui accade la prima cosa strana. Entra in scena Ennio Morricone (e ovviamente non è questa la cosa strana). Piccola digressione. Pur conoscendo, come molti di voi suppongo, tanti dei temi musicali composti dal Maestro grazie ai film di cui i pezzi sono l'immenso accompagnamento musicale, non ho mai seguito la carriera del compositore con l'attenzione del fan o dello studioso. Eppure il veder salire sul palco Morricone ha creato quella sensazione di tuffo al cuore, quell'emozione che molti musicisti di cui sono fan non mi avevano trasmesso. Così, senza fare niente, solo con la su presenza. Questo mi è sembrato strano, non riesco a spiegarmelo. Applausi, saluti e si va a incominciare. Una prima parte di concerto letteralmente da brividi. Si inizia con un brano dedicato a Falcone e Borsellino (Varianti su un segnale di polizia) per proseguire con la suite intitolata Fogli sparsi grazie alla quale il pubblico ascolterà i temi tratti dai film H2S, Il clan dei siciliani, Metti una sera a cena e Maddalena. A questo punto c'era già stata l'estasi, non quella dell'oro ma la mia. Una suite fantastica al termine della quale non potevo fare a meno di pormi alcune domande e fare delle considerazioni. Tra le domande principalmente la seguente: "Come può un uomo riuscire a concepire tutto questo? Pensare a tutti questi suoni, avere in testa tutti questi strumenti, armonizzarne le combinazioni e creare tali meraviglie?". "Come riesce a continuare a farlo a 84 suonati?". Una cosa immensa di cui ci si rende conto solo quando ci si trova davanti tutta l'orchestra apparecchiata e questo grandissimo Signore, ma proprio un Gran Signore, a dirigerla. Magia, cos'altro? Tra le considerazioni il fatto di non aver mai capito a fondo la musica e di non aver tutti i mezzi per farlo. La consapevolezza di non capirla ma la certezza di amarla, e per ora mi basta. Comunque il meglio ancora deve arrivare. E arriva. Perché in fondo aspettavo il vecchio west, quello di Leone, così sporco nelle immagine quanto soave nei suoni. Partono le note de Il buono, il brutto e il cattivo e arriva la pelle d'oca. Sensazioni impossibili da descrivere con C'era una volta il west ma soprattutto con l'inarrivabile sequenza tratta da Giù la testa, roba da lacrime. E finalmente L'estasi dell'oro senza sentire minimamente la mancanza dell'attacco dirompente dei Metallica. Commozione pura e intervallo tra scrosci infiniti d'applausi (meritatissimi). Splendida la voce del soprano solista Susanna Rigacci. Altra considerazione durante l'intervallo: questi splendidi musicisti, davanti a eventi come questo, come fanno a non cagarsi addosso? Se sbagli un attacco, una nota, fai una cappella davanti a Morricone. Come si regge a quest'emozione? I coristi, lo stesso soprano che sarà una professionista esagerata, ma come fanno? Probabilmente sono mostri, mi cagavo addosso io per loro! Devo dire che non c'è stata la minima sbavatura e se c'è stata io non me ne sono accorto (e forse non ne sarei in grado). Film d'impegno nella seconda parte con una suite contenente il celebre tema tratto da Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto ma anche brani da Sostiene Pereira, La classe operaia va in Paradiso, La battaglia di Algeri, Sacco e Vanzetti, Vittime di guerra e Queimada. A seguire una selezione da Baaria dedicata a Tornatore. Ci si avvia apparentemente al finale con Il deserto dei tartari, Riccardo III e il celebre tema di Mission. Dico apparentemente perché questo giovincello classe 1928, nonostante ora ed età esce e rientra sul palco subissato da applausi e standing ovation almeno quattro o cinque volte per concedere i bis non dimenticando mai di ringraziare musici e pubblico. Trovano spazio altre emozioni e brani dal capolavoro C'era una volta in America. Un'emozione veramente difficile da spiegare a parole, un'esperienza unica. Se il ragazzo (che ha anche fatto sfigurare Fassino che vicino a lui sembrava suo nonno) passasse dalle vostre parti non ci pensate due volte, non ci pensate neanche mezzo secondo, piuttosto digiunate qualche giorno e mettete da parte i soldi (i biglietti non erano neanche cari visti i prezzi di oggi) e andatelo a sentire. Un ringraziamento particolare a mia moglie che mi ha regalato il biglietto e con poca lungimiranza non l'ha preso anche per lei. Aaaarghhh!

venerdì 23 marzo 2012

HARD CANDY

(di David Slade, 2005) Hard Candy è un film che vuole trattare tematiche problematiche in maniera originale ma che si stempera pian piano in un impianto da thriller più canonico, giocato sulla tensione e sul confronto tra i due protagonisti. Protagonisti interpretati ottimamente da Patrick Wilson ma soprattutto da una determinata Ellen Page, vero centro di tutto il film. Hayley (la Page) e il fotografo professionista Jeff (Wilson) si conoscono su una chat. Dopo circa tre settimane i due si incontrano, lui è un uomo maturo, lei una quattordicenne minuta ma molto sveglia. Dopo i primi approcci durante i quali la ragazzina si dimostra vagamente provocatoria, la scena si sposta a casa di Jeff. Per nulla intimorita Hayley inizia a mettersi a proprio agio e pian piano lo spettatore si trova di fronte a un punto di vista invertito. Quella che ci si aspetta sia la vittima si rivela essere un piccolo e sadico carnefice. Da questo punto in avanti l'ambiguità potenziale del film inizia a sbiadire mutandosi in una narrazione più canonica vicina al thriller o al semplice racconto di vendetta. Il regista compie comunque un buon lavoro soprattutto nella direzione dei due attori potendosi avvalere di una Page decisamente in grande forma. Scordatevi la ragazzina carina di Juno, qui vi troverete di fronte una tipetta decisamente priva di scrupoli (o quasi). Forse Slade non ha il coraggio di andare fino in fondo con alcune scelte o in alcune sequenze e lascia in sospeso alcuni spunti che francamente non hanno nessun peso nell'economia generale della pellicola; riesce però a portare a casa un film che si lascia guardare fino all'ultima, comunque interessante, sequenza. La prima parte è la migliore, quando poi si inizia a giocare a carte scoperte l'interesse scema ma alla storia rimane comunque un discreta tensione di fondo che me ne ha fatto apprezzare il risultato. Mi ero avvicinato alla visione di Hard Candy con qualche riserva viste le bottigliate riservate al film da Mr. Ford poco tempo fa, forse proprio grazie a un'aspettativa non esagerata sono riuscito ad apprezzarne il risultato finale. L'aspetto psicologico e morale della vicenda, nonostante si vada un po' a perdere con l'incedere della storia (ma mai del tutto), lascia parecchi spunti di riflessione che vengono riproposti anche nella scelta davanti alla quale i protagonisti si trovano sul finale della pellicola. Una possibilità a questo film e a Slade (regista anche di 30 giorni di buio) la darei, non fosse altro per la bella prova della Page, un giovane e sadico Cappuccetto rosso. PS: questo film non è mai arrivato nei cinema italiani. Con tutto quello che ci propinano la domanda nasce spontanea. Ma perché?

giovedì 22 marzo 2012

BRADIPIT 10

Indiscrezioni dal nostro inviato negli U.S.A. Per la prossima campagna elettorale, vista la lentissima (non) ripresa economica del paese, il presidente Obama cambierà il suo slogan da Yes we can a Yes we Brad. Clicca sull'immagine per ingrandire. Aiutaci a diffondere il verbo del Bradipo linkandolo. Fallo tu perché il Bradipo fa n'caz.

martedì 20 marzo 2012

VISIONI 35

Xue Wang è una giovane artista cinese, classe 1980, formatasi nel campo della moda e reinventatasi come artista e pittrice in quel di Londra.

La sua arte è ispirata da tutto quello che riguarda il mondo dei bambini con contaminazioni dalla cultura popolare: bambole, giocattoli, favole, luna park, scenografie, oggetti strani ma anche moda, cinema e immagini vintage.

Sul suo sito maggiori informazioni e una nutrita gallery di immagini.

A stitch in time


Intimate thoughts


On closer observation


Rude awakenings


The talking cure


Smoke screen


Thou shalt dance

lunedì 19 marzo 2012

A-Z: AA.VV - SHREK THE THIRD

La scorsa settimana ho iniziato la mia vita da pendolare. L'azienda, con una mossa degna del miglior giocoliere sulla piazza, ha trasferito la sede a 30 km dal posto in cui la maggior parte dei lavoratori si è costruito una vita. Lo possono fare, la legge lo consente, ci sono situazioni peggiori e tutto quello che volete. Intanto le persone, che da noi lavorano quasi tutti a 4 ore (io sono già tra i fortunati), sono state costrette a fare ancora una volta i salti mortali. Stare fuori casa 7/8 ore per lavorarne 4, guadagnare 600 euro e spenderne 150/200 di benzina, dover combattere per riuscire a tenersi un eventuale secondo part-time e cose del genere. Ma a chi importa? In fondo GIA' ti pagano lo stipendio, non ti basta? Mica pensate che basti lavorare per averlo? Che siete, scemi?

Comunque non è di questo che volevo parlarvi, bensì di musica. Visto che la nuova vita iniziava con un po' di nervosismo, ho pensato di usare la musica come cura. Infilo il giubbotto, esco di casa, cuffia R nell'orecchio destro, cuffia L in quello sinistro. Accendo il lettore, regolo il volume e inizio a camminare. Bus, metro, treno, navetta.

Per allietare questo primo giorno avevo bisogno di una musica allegra, divertente, priva di toni cupi e passaggi troppo assordanti. Avevo già in programma di parlare della soundtrack del film Shrek the third, saga che cinematograficamente ho iniziato a detestare. Ricordavo però un album scanzonato, energico e divertente. Devo dire che ha svolto bene il suo compito, sono arrivato a lavoro rilassato e ritemprato.

L'attacco funziona al meglio, la freschezza delle inconfondibili sonorità degli Eels, i loro stacchetti e i suoni campionati, uniti ad alcuni dei loro versi, mettono buonumore.

I'm just tryin' to get by/With my pride a little bit intact/And they're all insane/Such a royal pain in the neck.

Certo non è facile di questi tempi andare avanti con l'orgoglio intatto ma almeno ci si prova, ce la si mette tutta facendo quel che ci sembra giusto.

La sferzata d'energia arriva dai Ramones con la loro Do you remember Rock 'n' Roll Radio? dove il combo modifica il tipico 1/2/3/casino e lascia spazio al sax che sostituisce in qualche modo il riff di chitarra. Un pezzo just for fan che ci riporta direttamente alla fine dei '70. Il riffone di Immigrant song degli Zeppelin riporta a inizio dello stesso decennio, un brano ormai mitico che continua l'opera di ricarica. Ancora energia confermata dal timbro potente di Fergie nell' hard rock Barracuda e nell'incedere noto a tutti di Live and let die di McCartney.

When you were young and your heart
was an open book
You used to say live and let live
But if this ever changin world
in which we live in
makes you give in and cry
Say live and let die
Live and let die

Non mancano episodi più sdolcinati e ruffianelli come la Best days di Matt White o Other ways di Trevor Hall ma si rientra subito in carreggiata con la potente Joker and the thief degli australiani Wolfmother.



Attenzione particolare al brano Cats in the cradle di Harry Chapin che io ricordavo nella versione Ugly Kid Joe. Una ballata amara narrata da un padre che non trova il tempo da dedicare al proprio figlio, un figlio che cresce però nel mito del padre e vuole diventare proprio come lui. Diventerà infatti un figlio che non troverà più il tempo da dedicare al proprio padre.
Un brano sentito e toccante soprattutto per chi nella società frenetica odierna ha la fortuna di essere genitore (oggi ad esempio io non riuscirò a essere alla festa del papà all'asilo di mia figlia, sempre grazie alla meravigliosa azienda di cui sopra).

E ancora Eels, Macy Gray, il funk di Sly and the Family Stone reinterpretato da Banderas e Eddie Murphy in maniera tutto sommato divertente, una compilation che garantisce un ascolto rinfrescante e ritemprante, una manciate di belle canzoni, con qualche calo di tono, che si fanno ascoltare ben più di quanto ormai l'orco si faccia guardare.



My child arrived just the other day
He came to the world in the usual way
But there were planes to catch and bills to pay
He learned to walk while I was away
And he was talkin' 'fore I knew it, and as he grew
He'd say "I'm gonna be like you dad
You know I'm gonna be like you"

And the cat's in the cradle and the silver spoon
Little boy blue and the man on the moon
When you comin' home dad?
I don't know when, but we'll get together then son
You know we'll have a good time then

My son turned ten just the other day
He said, "Thanks for the ball, Dad, come on let's play
Can you teach me to throw", I said "Not today
I got a lot to do", he said, "That's ok"
And he walked away but his smile never dimmed
And said, "I'm gonna be like him, yeah
You know I'm gonna be like him"

And the cat's in the cradle and the silver spoon
Little boy blue and the man on the moon
When you comin' home son?
I don't know when, but we'll get together then son
You know we'll have a good time then

Well, he came home from college just the other day
So much like a man I just had to say
"Son, I'm proud of you, can you sit for a while?"
He shook his head and said with a smile
"What I'd really like, Dad, is to borrow the car keys
See you later, can I have them please?"

And the cat's in the cradle and the silver spoon
Little boy blue and the man on the moon
When you comin' home son?
I don't know when, but we'll get together then son
You know we'll have a good time then

I've long since retired, my son's moved away
I called him up just the other day
I said, "I'd like to see you if you don't mind"
He said, "I'd love to, Dad, if I can find the time
You see my new job's a hassle and kids have the flu
But it's sure nice talking to you, Dad
It's been sure nice talking to you"

And as I hung up the phone it occurred to me
He'd grown up just like me
My boy was just like me

And the cat's in the cradle and the silver spoon
Little boy blue and the man on the moon
When you comin' home son?
I don't know when, but we'll get together then son
You know we'll have a good time then

sabato 17 marzo 2012

MARVEL VINTAGE 6

Puntate precedenti

Ci eravamo lasciati la volta scorsa con l'abbandono della Timely da parte di Simon e Kirby. Purtroppo le defezioni per la casa editrice non si fermano qui. Dopo l'attacco di Pearl Harbour molti autori partono per il fronte. Tra loro nomi come Stan Lee, Bill Everett e Carl Burgos.

Nei comics, i giapponesi iniziano ad affiancare i nazisti nel ruolo del cattivo di tuno.

Cover di Captain America Comics 13 datata aprile '42 di Al Avison.

Goodman mise all'opera un gruppo di artisti per creare nuove testate a tema umoristico che andassero ad affiancare gli albi dedicati ai supereroi. Il gruppo venne coordinato da Vince Fago (Vincenzo Francisco Gennaro Di Fago) che sostituì anche Stan Lee nel ruolo di editor durante l'assenza del sorridente impegnato con i suoi obblighi con l'esercito statunitense.

In aprile del 1942 uscì Joker Comics 1, testata alla quale collaborò in seguito anche Harvey Kurtzman, futuro creatore di Little Annie Fanny e della rivista Mad.

Joker Comics 1, cover di George Klein e Mike Sekowski.

Tra i personaggi di maggiore successo creati per questa collana spicca Powerhouse Pepper di Basil Wolverton.

Nello stesso mese la testata Daring Mystery Comics diventa Comedy Comics, albo che comincia la sua corsa dal numero nove presentando all'inizio un misto tra humor e supereroi virando decisamente in seguito verso la direzione umoristica. Tra i personaggi principali che esordiranno nell'albo il parodico Super-Rabbit.

Comedy Comics 9, cover di George Klein e Mike Sekowski.


Comedy Comics 14 del marzo '43 (artista sconosciuto) con l'esordio di Super-Rabbit.

Sempre nel 1942, rispettivamente in luglio e in ottobre, esordiscono le collane umoristiche Krazy Komics e Terry-Toons Comics, una rivista che presentava personaggi in licenza provenienti dai cartoni animati distribuiti dalla 20th Century Fox.

Terry-Toons Comics 1 (artista sconosciuto), ottobre 1942.

Unico nuovo volume non umoristico del 1942 in casa Timely fu la ristampa delle strisce di Miss Fury, eroina mascherata creata da Tarpé Mills, già pubblicate in tavole domenicali di un quotidiano dell'epoca.

Cover di Miss Fury 1 di Alex Schomburg (inverno 1942).

Continua...

venerdì 16 marzo 2012

BACK TO THE PAST: 1973 PT. 4

Apriamo questa quarta parte dedicata alla musica proveniente dal 1973 con la lunga suite che chiude il quarto album in studio del gruppo krautrock dei Can. Ultimo album che vede la collaborazione del giapponese Damo Suzuki, il brano si intitola Bel Air.





Componenti dei Jefferson Airplane, il trio Kantner/Slick/Freiberg nel 1973 dà alle stampe l'album Baron Von Tollbooth And The Chrome Nun dal quale è tratta la canzone Sketches of China.



Finisce nel 1973 la collaborazione tra Brian Eno e i Roxy Music di Brian Ferry con l'album For your pleasure del quale questa Do the strand è il brano d'apertura.



Esordio energico per i rocker New York Dolls, che schiacciano sul pedale dell'energia con questa Personality Crisis, suoni ruvidi che hanno avuto un'importante influenza per le sonorità punk a venire.



Chiudiamo con un pezzo che il geniale Kevin Ayers dedicò all'amico Syd Barrett primo e fondamentale leader dei Pink Floyd. Il pezzo che contiene le caratteristiche proprie dell'artista inglese esce come singolo tratto dall'album Bananamour già sul finire del 1972.
Kevin Ayers - Oh wot a dream!

giovedì 15 marzo 2012

BRADIPIT 9

La vostra campagna d'informazione sta funzionando. Il Bradipo è sempre più conosciuto. Sembra che, grazie alle sue peculiari caratteristiche, diventerà a breve il nuovo simbolo di Trenitalia. Clicca sull'immagine per ingrandire. Aiutaci a diffondere il verbo del Bradipo linkandolo. Fallo tu perché il Bradipo fa n'caz.

mercoledì 14 marzo 2012

ACCADDE UNA NOTTE

(It happened one night, di Frank Capra, 1934)

Gli anni trenta sono veramente lontani ormai, un'epoca in cui ancora erano presenti gli ultimi rantoli del proibizionismo, gangsters come Al Capone e Lucky Luciano e i nefasti effetti della grande depressione. Eppure quando si guarda un film come Accadde una notte non si può fare a meno di restare stupefatti davanti alla freschezza di pellicole di questo calibro. Garbo, leggerezza, simpatia, personaggi coinvolgenti, attori in parte, trama semplice semplice quasi inconsistente ma soprattutto nessuno spazio per la noia. Un prodotto che potremmo definire antico ma non vecchio o perlomeno invecchiato molto molto bene. Non si ride mai a crepapelle e ovviamente, com'era uso al tempo, non aspettatevi comicità di grana grossa. Si sorride, si empatizza con i personaggi e si segue con grandissimo piacere e relax la loro vicenda. Incetta di premi alla notte degli Oscar del 1935: miglior film, miglior regia per Frank Capra, miglior attore protagonista a Clark Gable, miglior attrice protagonista a Claudette Colbert e pure miglior sceneggiatura non originale a Robert Riskin. Manca solo il bacio accademico, cosa volete di più? Premi meritati? Ovviamente non so rispondere a questa domanda (e sono anche scemo perché da solo mi faccio domande alle quali non so rispondere), non conosco così bene il cinema di quegli anni per dare una valutazione corretta. So solo che spesso in pellicole così datate trovo qualche lungaggine di troppo o qualche passaggio lento o a vuoto. Qui no, un film on the road che fila via che è una meraviglia.

Ellie Andrews (la Colbert) è la figlia di un uomo molto ricco che disapprova il suo fidanzamento con l'aviatore King Westley. Per raggiungere il suo uomo a New York la ragazza fugge dalle attenzioni paterne per imbarcarsi in un viaggio che parte dalla Florida alla volta della Grande Mela toccando con mano la condizione di povertà (ma anche di libertà) propria della gente comune in quegli anni così difficili (gli anni della grande depressione). In viaggio incontra il giornalista squattrinato Peter Warne (Clark Gable) che aiuterà la ragazza a raggiungere New York in cambio di un'esclusiva sulla sua storia. I due dividono avventure, difficoltà, stanze e via via si conoscono sempre meglio. A voi immaginare le conseguenze. 

Trama semplice e scontata che, grazie alla prova e all'affiatamento dei due attori sulla scena (che pare in realtà non si amassero particolarmente), garantisce comunque un intrattenimento di ottimo livello. Bravi sia la Colbert che Gable. Entrambi diedero di che parlare grazie a un paio di scene in cui lui si mostra a petto nudo e lei sfodera lo stacco di coscia facendo l'autostop, entrambi ardimenti non usuali per l'epoca. Un'altra tacca a favore dell'opera di Capra, regista etichettato spesso come troppo buonista ma capace di lasciare in eredità piacevoli pellicole come questa.
   

lunedì 12 marzo 2012

MUSICA IN VIAGGIO: TORINO-MILANO

Primo post condiviso ospitato da queste parti quello che vi apprestate a leggere. nasce tutto da un'idea del grande Blackswan, punto di riferimento nella blogosfera per quel che concerne la musica, che mi ha proposto un lavoro a quattro mani sul tema musica e viaggio. Penso ne sia uscito qualcosa di davvero carino e sinceramente sentito. Grazie ancora Black ;). Vi lascio ora nelle mani del mio graditissimo ospite: BLACK: DA MILANO A TORINO Ci sono viaggi per i quali non c’è bisogno di spostarsi da casa. Si legge il blog di qualcuno (nello specifico quello di Firma Cangiante), se ne condividono i pensieri, gli interessi, i gusti. Soprattutto, si comprende che di fronte a certe tematiche la condivisione travalica le conoscenze, vive semmai di suggestioni, di languori, di palpiti vissuti con il medesimo trasporto. Io e Firma non ci conosciamo, viviamo a duecento chilometri l’uno dall’altro, abbiamo vite diverse. Ci siamo letti reciprocamente, ci siamo stimati, soprattutto abbiamo pensato che sarebbe stato bello azzerare la distanza che ci separa attraverso il potere evocativo della musica. Un viaggio virtuale, dunque, quello fra Torino e Milano, nel quale l’amato rock è spunto assoluto, prius logico, il carburante nobile che ci ha convinti a raccontare l’esperienza di un on the road che, prima di essere fatto di strade, di macchine e di chilometri, è soprattutto un viaggio dell’anima. Il tema del viaggio, sia esso fuga, errante movimento o raggiungimento di una meta, ha creato da sempre molte suggestioni tanto in ambito letterario (cito per tutti Sulla Strada di Kerouac) che cinematografico (un numero di pellicole esagerate, da Gioventù Bruciata a Into The Wild). Ciò si comprende facilmente per il fatto che a differenza di altre grandi tematiche, Il viaggio è la metafora per eccellenza della vita umana: tra l'inizio e la fine serie impreviste e sorprendenti di eventi formano la vita di un uomo e danno senso alla sua esistenza. C’è una musica che da sempre accompagna il viaggio. Le chiamano road songs, sono canzoni che evocano il movimento, richiamano alla mente grandi spazi, raccontano di avventure, incontri, addi, amori di lontananza. Tutte circostanze di cui il viaggio si arricchisce, perché lo motivano, lo rendono indispensabile, lo giustificano. Citarle tutte sarebbe un’impresa ardua, ma a voler assecondare almeno per un poco il sottile piacere del citazionismo, mi vengono in mente classiconi senza tempo, come Born To Run di Springsteen, Born To Be Wild degli Steppenwolf, Running On Empty di Jackson Browne, On The Road Again dei Canned Heat, Highway To Hell degli Ac/Dc. Altre canzoni, invece, pur non trattando il tema del viaggio, sembrano scritte apposta per essere ascoltate, filando a cento all’ora in autostrada, il finestrino abbassato e un sogno di capelli al vento che fa battere il cuore. Pensate a Sweet Home Alabama dei Lynyrd Skynyrd, e non ci sarà bisogno di altri esempi:l’ascolti e sai che nel preciso istante in cui parte il riff di chitarra, il tuo destino è premere il piede sull’acceleratore, cercare l’orizzonte, puntare lontano.
E a voler continuare a cercare nelle pagine di storia, si scoprirà addirittura l’esistenza di interi dischi composti essenzialmente per accompagnare un viaggio. Mi viene da pensare soprattutto a Autobahn dei Kraftwerk, seminale disco di elettronica, che suona esattamente come lo sfrecciare convulso di automobili in un’autostrada del futuro. Ma il mistero che lega la musica al viaggio, se mi si consente la metafora cinematografica, è soprattutto un’inquadratura in soggettiva. Che, al di là di ogni suggestione squisitamente romantica, ha trovato la sua perfetta realizzazione, attraverso la tecnologia. La considerazione è banale ma ineccepibile: nel corso degli ultimi trentanni è cambiato il nostro modo di ascoltare musica. Al tempo dei vinili ci si accingeva all’ascolto di un disco come alla lettura. Era un’ attività culturale che richiedeva totale dedizione. Ascoltavi un disco e te ne stavi lì, immobile in poltrona, ad attendere note come in chiesa l’omelia del parroco. In seguito, con l’avvento prima del walkman, poi dei lettori mp3, e quindi dell’iPod e dello Smartphone, la musica ha cambiato natura. Da stasi si è trasformata in movimento, ci accompagna ovunque, in qualunque ora del giorno, in qual si voglia circostanza. Non più, dunque, ascolto solo come momento di approfondimento culturale, ma musica come colonna sonora della vita. La musica è con me, ogni ora del giorno. Kerouac esaltava l’epopea del viaggio dicendoci che “L’importante è andare, non importa dove“. I miei viaggi però non hanno nulla di romantico, sono banali, dal momento che sono strettamente legati all’incedere monocorde della mia esistenza. Ma grazie alla musica, riesco a trasformare ogni mio passo, ogni mia scorribanda in macchina od ogni solitaria passeggiata in mountain bike, in un momento che vale la pena ricordare. Le luci della città di notte, le periferie squallide e disagiate della mia Milano, l’imperfetta bellezza della natura padana, che ti aspetta all’alba, dimessa e arruffata come una signora di mezz’età appena sveglia, hanno un fascino particolare anche nel silenzio cadenzato dal mio respiro. Ma una canzone, rinvenuta fra tante grazie a un battito più forte del cuore, ha il potere di rubare quelle immagini all’oblio. Non è la musica che accompagna il viaggio, ma il viaggio che rende più forte il potere evocativo delle note. Perché l’importante è ascoltare, non importa dove.
E ora vi toccherà beccarvi anche la mia versione. FIRMA: DA TORINO A MILANO Qualche giorno fa il buon Blackswan mi ha proposto di scrivere insieme un pezzo (grazie ancora Black) su un tema universale che in qualche modo accomuna un po' tutti quanti: la musica e il viaggio. Un connubio che fa scaturire emozioni e sensazioni dalle quali nessuno è esente, compreso chi non viaggia. Il viaggio nella fattispecie è inteso infatti, almeno da me, in maniera molto ampia, come movimento se vogliamo non solo nello spazio ma anche nel tempo e coinvolge concetti come crescita ed esperienza. E la musica è sempre lì. La musica può accompagnarci all'altro capo del mondo o nel semplice tragitto casa/lavoro, può essere la colonna sonora di magnifiche vacanze come di passeggiate solitarie, di bellissimi momenti e di intime sofferenze. Rimanendo nell'ambito più letterale del viaggio inteso come spostamento nello spazio (tranquilli non vi parlerò di LSD e cose del genere), trovo che il piacere dell'accompagnamento musicale sia un piacere molto solitario. L'entrare in sintonia con le note e allo stesso tempo con l'ambiente che ti circonda, che sia una strada di città o un paesaggio irlandese poco importa, e provare quella sensazione per la quale la musica che ti entra nelle orecchie si diffonde fin nelle gambe facendoti camminare più velocemente o facendoti premere un pochino sul pedale dell'acceleratore non ammette distrazioni. Ci sono momenti in cui la musica diventa un piacere collettivo e non parlo solo di concerti o eventi simili. E' ben radicato dentro di me l'indelebile ricordo di lontani pomeriggi passati nel salotto di casa in compagnia di un paio di amici ad ascoltare dischi mentre gli altri erano fuori a giocare a calcio o in discoteca subissati da ben altri suoni. Tempi e ricordi magnifici, così come lo sono le ideali colonne sonore dei viaggi in compagnia degli amici o della donna che ti ha preso il cuore. Tutto magnifico. Ma la stretta al cuore, la repentina chiusura alla bocca dello stomaco che anche solo due accordi sono capaci di provocare all'improvviso, sono sensazioni ampliate all'ennesima potenza quando si è soli con la musica, quando cammini e l'aria fresca ti tocca il viso con delicatezza, quando quell'azzurro particolare incontra quel determinato tepore, quando quella voce o quelle mani su una chitarra fanno sembrare che in quel luogo e in quel momento tutto sia perfetto e tutto stia andando bene. E magari non è vero niente. Ma questa è la potenza dell'essere soli con la musica. Una potenza che dà forza, per ripartire, per rimettersi in viaggio, in movimento anche solo per affrontare la prossima giornata. Well, I'm so tired of crying, but i'm out/on the road again/I'm on the road again. Canned Heat, On the road again. Di nuovo per strada, di nuovo in gioco. Cuffie nelle orecchie e si riparte, anche quando è dura, anche quando non ne hai voglia puoi sempre trovare la forza nella musica. In viaggio, non necessariamente verso lidi esotici, semplicemente verso il nostro domani, verso la prossima ora. Non importa chi ci accompagna, quale cantante o quale pezzo o quale genere musicale. Ognuno ha i suoi punti fermi, le sue preferenze e uno stato d'animo può scaturire dalle note di (quasi) chiunque. Solitamente per gli spostamenti casa/lavoro io uso il bel tasto Random (in italiano a cazzo), brani casuali pescati da un piccolo lettore da 8G. Ne esce un po' di tutto ma la sensazione è raramente deludente. Non te ne accorgi neanche e il passo accelera, a volte ti si stampa un sorriso ebete sulla faccia e l'unica cosa che ti evita di sentire i commenti della gente intorno a te che dice: "cazzo si ride quell'imbecille" è la musica che hai nelle orecchie (altro grande vantaggio, ti preserva dalle altrui stronzate). Una sensazione impagabile. La musica ci accompagna e il viaggio accompagna la musica. Molti artisti sono stati ispirati e influenzati dalla strada, dal viaggio e le emozioni che la strada ha dato loro vengono riversate nella musica che a sua voltà emozionerà noi, forse proprio sulla strada o durante un viaggio. Magari anche la musica di qualche artista per noi insospettabile. Nei miei ascolti per esempio la musica italiana è stata sempre parecchio marginale eppure quando sento che dal Donegal alle isole Aran/e da Dublino fino al Connemara/dovunque tu stia viaggiando con zingari o re/il cielo d'Irlanda si muove con te/il cielo d'Irlanda è dentro di te, la mente e il cuore non possono che proiettarsi lassù, tra quel verde e sotto quel blu, lassù circa 15 anni fa. E non importa che quel pezzo nello specifico non l'abbia mai ascoltato in Irlanda, è la forza della musica. In quegli anni andavano gli Oasis, tantissimo. In Irlanda e in Scozia, nel '96/'97. Una vera Oasismania. I loro pezzi sono ricordi bellissimi, indimenticabili emozioni vissute, forse proprio per questo ho continuato ad apprezzare la band, probabilmente ben oltre il loro vero valore artistico, una questione di cuore, perché laggiù con noi c'era la loro musica, i loro concerti, i ragazzi e le ragazze con le loro T-shirt, i musicisti da strada in Grafton Street che suonavano le loro canzoni che immancabilmente riempivano anche i vari pub in cui ci si infilava. Semplicemente la colonna sonora di quei viaggi, cosa che ha riservato loro un pezzo in fondo al cuore, forse per sempre. E poi ci sono la strada e la classica road song, quella che ti trasporta in luoghi dove non sei mai stato, quella che acquista valore all'interno di una abitacolo, mani sul volante, sole negli occhi e montagne all'orizzonte. E di montagne all'orizzonte da queste parti ce ne intendiamo. I pulled into Nazareth, I was feelin' about half past dead/I just need some place where I can lay my head./"Hey, mister, can you tell me where a man might find a bed?"/He just grinned and shook my hand, and "No!", was all he said. The Band - The weight. Spazi aperti, libertà e una metà da raggiungere, gli Smiths donano al pezzo un'ottima interpretazione che va a impreziosire le magnifiche sequenze del film Easy Rider. Qui c'è tutta l'emozione che un pezzo può dare, legato a splendide immagini che rimarranno per sempre come un ideale purtroppo spesso irragiungibile. E' quella la sensazione, è la musica, è la libertà. Guardate le immagini, ascoltate il brano, chiudete gli occhi. Tutte le volte che ascolterete quel brano la sensazione tornerà, magia. Pura e semplice magia.
If I leave here tomorrow/Would you still remember me?/For I must be traveling on, now/'Cause there's too many places I've got to see. Lynyrd Synyrd - Freebird. Perché ci sono tanti posti che devo vedere. Magnifico, e che assolo finale ragazzi. La partenza, l'emozione che ti prende quando si lascia qualcosa per andare verso un posto nuovo, ve la ricordate la sensazione che si provava quando dovevate partire per una gita con i compagni di scuola. Chi è che non si portava il Walkman per ascoltare un po' di musica in viaggio? La lista e la proposta di brani a tema potrebbe essere infinita, il nostro connubio potrebbe essere estrapolato da film (Turné, Marrakech Express ad es.), serie tv (Supernatural, la prima che mi viene in mente) e tanto altro ancora. Ognuno di noi potrebbe aggiungere molti tasselli a questo mosaico. Infine, riallaciandomi al titolo del post, c'è il viaggio Torino-Milano che per me, forse più del caro Blackswan, significa in maniera inequivocabile musica. Ho affrontato parecchie volte questo tragitto, in auto e forse ancor più volte in treno. Perché musicalmente qui a Torino siamo sempre stati all'ombra della più grande Milano. La maggior parte degli artisti si esibiva lì, i promotori degli eventi si concentravano principalmente sul capoluogo lombardo. E noi ci si metteva in viaggio. Sulla Torino-Milano ho vissuto l'attesa per il mio primo concerto fuoriporta (Extreme - Three sides of every story al Palasesto) e per il mio ultimo in compagnia dell'amico Viktor di Radio Nowhere (The Wall Tour di Roger Waters proprio a bordo di Radio Nowhere, altro grande incontro tra musica e viaggio). Musica e viaggi sono due tra gli aspetti della nostra vita in grado di regalarci grandi emozioni. Quando si incontrano è tutta un'altra musica. Lord, I was born a ramblin' man/trying to make a livin and doing the best I can/And when is time for leavin'/I hope you'll understand/that I was born a ramblin' man. Ramblin' man - Allman Brothers Band.

domenica 11 marzo 2012

LE SUPERCHICCHE - IL FILM

(The Powerpuff girls movie, di Craig McCracken, 2002) Non lo avrei mai detto ma devo ammettere di aver trovato questo cartone animato fracassone abbastanza divertente. Le Superchicche - Il film è un prodotto d'animazione che si porta sul groppone ormai dieci anni d'età però, non avendo puntato già in origine sull'innovazione, sulla tecnica e sul digitale, se li porta meglio di altri prodotti del genere. Più che altro McCracken (ideatore anche de Il laboratorio di Dexter) e la sua ciurma hanno puntato sul casino totale, casino visivo, casino sonoro, casino a livello di devastazione operata dai personaggi sulle location, casino nella stessa creazione dei protagonisti... insomma, casino. Personaggi che strillano, Superchicche che piangono, palazzi che crollano, scimmie che sputano, scimmie che tirano cacca, auto distrutte e via di questo passo. Ma mettiamo un po' d'ordine in questo casino. Nella cittadina di Townsville il professor Utonium sta conducendo uno dei suoi strani esperimenti. A causa di un fortuito incidente alla cannella e allo zucchero (o qualcosa di simile, non ha importanza) si unisce il componente Chemical X. Dalla seguente esplosione, che investe anche la scimmietta domestica del buon professore, emergeranno tre graziose bimbette che Utonium chiamerà Lolly (rosa), Dolly (azzurra) e Molly (verde). Le bambinelle oltre a essere dolci sono però dotate di superforza, supervelocità e superresistenza. Il primo giorno che si mettono a giocare sul serio distruggono la città. La popolazione le prende in odio e solo l'ex scimmietta del professore ora alterata e ribattezzatasi Mojo Jojo potrà rimetterle in carreggiata. Peccato che delle scimmie non ci si possa fidare, tendono a fare casino. Il tratto dei disegni è elementare ma non infastidisce, personaggi esageratamente tondeggianti o decisamente squadrati, pochi fronzoli, niente orpelli. Date un'occhiata alle immagini del post. Fatto? Prendete foglio e matita e ricopiate. Fatto? Visto che ci riuscite anche voi! Ora prendete la colla vinilica. Scusate, mi sono fatto prendere la mano. Forse meno adatto proprio ai più piccoli per la caciara continua proposta nella pellicola però il prodottino risulta meno noioso di operazioni che hanno richiesto budget più alti spinte da tanta tanta pubblicità. Basta casino, andate a letto voi tre!

sabato 10 marzo 2012

I PUFFI

(The Smurfs, di Raja Gosnell, 2011) La nostalgia per alcuni dei personaggi che hanno caratterizzato la nostra giovinezza a volte può indurci a fare scelte sbagliate. Niente di grave per carità, piccoli e ingenui errori come mettersi a guardare il film realizzato in tecnica mista (animazione digitale/live action) dedicato ai Puffi. Un film non troppo coinvolgente per i bambini più piccoli che faticheranno un po' a comprendere le vicende degli umani coinvolti nella storia (Laura si è addormentata a metà film), insoddisfacente per gli adulti che si trovano si fronte alla solita sbrodolata di buoni sentimenti e moralina finale d'accatto che caratterizza molte pellicole simili. Nostalgia? Ma neanche un po'. Certo se si fosse deciso di fare un bel film sui Puffi DISEGNATO come si deve magari il risultato sarebbe stato diverso. Ma perché non vuole più disegnare nessuno? Ho trovato molto più onesto il film dedicato all'orsetto Pooh di qualche tempo fa, su misura per i piccoli, gli adulti consapevoli della cosa magari si divertono pure. I Puffi realmente protagonisti della vicenda sono pochi: Il Grande Puffo, Puffetta, Tontolone, Quattrocchi, Brontolone e lo scozzese Coraggioso che qualcuno ha pensato bene di inventarsi appositamente per il film. La trovata che dà il via alla storia non è neanche particolarmente originale. A causa della tontolonità di Tontolone, Gargamella (Hank Azaria) e Birba scoprono l'ubicazione del villaggio dei piccoli omini blu. Dopo varie peripezie, come d'incanto, i due viscidoni e i Puffi sopra citati vengono catapultati magicamente a New York. Secondo copione i Puffi finiscono in qualche modo a casa di due umani, una giovane coppia in attesa del primo figlio (in casa c'è anche un cane, inseguimenti garantiti). Patrick (Neil Patrick Harris) è un pubblicitario in attesa di promozione (o di perdere il posto) e Grace (Jayma Mays) la sua allegra mogliettina tutta sorrisi e positività. Dopo le prime iniziali diffidenze, la coppia aiuterà i Puffi a tornare a casa loro e a sfuggire a Gargamella e Birba, i Puffi saranno veicolo di crescità e viaggio verso la maturità per il futuro padre Patrick. L'interazione tra umani e creature digitali non sempre funziona al meglio, spesso si ha l'impressione che i due sposini abbraccino il vuoto invece di stringere gli esserini blu che hanno in grembo, decisamente carina invece la ricostruzione del villaggio dei Puffi. Quello che mi chiedo è questo. Attori che hanno anche una certa esperienza televisiva (Glee, How I met you mother, etc...) quando si riguardano in scene come quella in cui giocano a Guitar Hero con i Puffi emulando i riff di Joe Perry in Walk this way non provano una discreta dose di vergogna?

giovedì 8 marzo 2012

BRADIPIT 8

Scusate il ritardo. In fondo cosa vi aspettavate da un Bradipo? Prima o poi doveva capitare. Anche nella giungla ci si sveglia tardi qualche volta. Clicca sull'immagine per ingrandire. Aiutaci a diffondere il verbo del Bradipo linkandolo. Fallo tu perché il Bradipo fa n'caz.

mercoledì 7 marzo 2012

VISIONI 34

In occasione dell'imminente uscita del nuovo film dedicato agli Avengers, ecco un bella gallery di copertine alternative dedicate al gruppo. Gli autori delle immagini si sono ispirati al lavoro di artisti del passato quali Schiele, Seurat e molti altri o a determinati momenti storici.

Non sono riuscito a trovare tutti i vari riferimenti, lancio a voi la sfida (anche perché al momento sono un po' incasinato).

Julian Totino


Alex Maleev


Christian Nauck


Charles Paul Wilson III


Gabriele Dell'Otto


Greg Horn


Joe Quinones


John Tyler Christopher


Michael Kaluta


Mike Del Mundo


Steffe Schutzee


Stephanie Hans

lunedì 5 marzo 2012

ARCHITETTI MARVEL

Questo articolo è stato scritto per il sito fumettidicarta (e relativo blog)

Da qualche tempo a questa parte alcuni degli autori di punta della casa delle idee sono stati investiti della carica nobiliare di Architetti Marvel (a torto o a ragione questo lo decideremo noi lettori).

Ma chi o che cosa sono sti ARCHITETTIMARVEL! (da pronunciare rigorosamente riempiendosene la bocca!).


Cominciamo con il dire che sono in cinque, sono scrittori, non sono un nuovo supergruppo, non sono gli Illuminati ma forse sono illuminati, si avvalgono dei contibuti anche di altri autori e in teoria dovrebbero tirare le fila di ciò che accade nell'universo Marvel. Buttano giù le idee, sviluppano gli accadimenti delle serie principali, curano le storie dei personaggi più popolari della casa editrice e così via.

Ma in realtà chi sono e cosa stanno combinando questi cinque autori? Quali di questi sono stati sostituiti da Skrull malvagi? Qualcuno di loro è un clone? Chi di loro è il più grasso e chi il più basso? Le risposte a queste domande non hanno prezzo, per tutto il resto c'è Fumetti di Carta.

Ma torniamo a noi. Chiunque segua un minimo le vicende di questo universo narrativo non starà trattenendo il respiro in attesa della grande rivelazione. I loro nomi sono sulla bocca di tutti, proprio l'altro giorno sentivo mia madre che farneticava di un certo Brian Brubaker e della sua discesa all'inferno. Da qui ho capito che forse mamma non era proprio sul pezzo. Sono sicuro però che voi lo siate.

Quindi ve lo dirò una volta sola e non mi ripeterò. Questo è un pezzo per mia madre, non per voi. Poi non venite a dire che non siete stati avvisati. Non vi lamentate perché il Capo poi mi cazzia e io non voglio sentire niente, che di questi tempi non è aria.

Ri-Torniamo a noi. And the nominees are*:

Brian Michael Bendis: Avengers, New Avengers, Moon Knight.
Matt Fraction: Fear Itself, The Mighty Thor, The Invincible Iron Man.
Ed Brubaker: Captain America, Secret Avengers.
Jason Aaron: Wolverine, Schism, The Incredible Hulk.
Jonathan Hickman: Secret Warriors, Fantastic Four/Future Foundation, S.H.I.E.L.D.

* Dall'elenco sono esclusi lavori passati da troppo tempo e quelli legati all'universo Ultimate.

Diamo un'occhiata rapida al lavoro recente svolto da lorsignori per la casa delle idee.

Allora da chi vogliamo partire? Ordine alfabetico? No, perché Aaron voglio lasciarlo per ultimo. Partiamo da Bendis.


Brian Michael Bendis.
E' innegabile che in casa Marvel negli ultimi anni il prezzemolo porti il nome di Brian Bendis. Tra gli architetti Marvel è forse quello che maggiormente divide la platea, c'è chi lo ama e chi lo appenderebbe per i piedi (mia madre era addirittura convinta che fosse disceso agli inferi in compagnia di Virgilio, agente dello S.H.I.E.L.D.).
Lavora da anni per fissare saldamente al centro del Marvel Universe I Vendicatori e pare proprio che ci sia riuscito. Da Avengers Disassembled in poi è stato un continuo crescendo di popolarità. Ora le testate dedicate al gruppo di eroi sono già quattro e pare che non sia finita qui. Nel nostro paese è possibile leggere le avventure del gruppo (o meglio, dei gruppi) su Avengers, New Avengers, Secret Avengers e Avengers Academy. Delle prime due il nostro si occupa personalmente dei testi.

Su Avengers il buon Brian ha riunito quelle che sono le maggiori icone Marvel. Dalla tradizione dei Vendicatori arrivano i fondatori Thor e Iron Man e il nuovo Capitan America (Bucky Barnes). Aggiungiamoci il classico Occhio di Falco e personaggi di primo piano come Spider-Man e Wolverine, una spruzzata di Hulk Rosso, Donna Ragno e Noh-Varr quanto basta e il gioco è fatto. Il tutto con la benedizione di Steve Rogers e la supervisione di Maria Hill. Potevate desiderare formazione migliore?
Due al momento le storyline principali imbastite sulla serie. Il confronto in un forse non troppo remoto futuro con il temibile Ultron e la saga delle gemme dell'infinito. Due saghe tutto sommato piacevoli che mettono in evidenza il lato supereroistico classico della serie. Grandi nemici e grandi scontri. Non sempre all'altezza purtroppo il disegnatore titolare, l'altrove (o meglio l'altroquando) grande John Romita Jr. Le sue tavole risultano spesso poco accurate e frettolose pur mantenendo il riconoscibilissimo tratto dell'autore. Grande attenzione posta invece ai dialoghi, caratteristica costante nello stile di Bendis, grande amante delle teste parlanti.
Intrigante e profetica la tavola mostrata nel quinto numero della serie dove vengono predetti una serie di eventi a venire che coinvolgeranno tutto il Marvel Universe (opera dei sopra citati architetti presumibilmente). Alcuni di essi si sono già avverati dando un aura di fondamento a tutte queste previsioni. L'assedio di Asgard, il ritorno di Cap e le sue visioni, l'era degli eroi, la morte della Torcia Umana, il ritorno di Hope. Altri eventi sono ancora di là da venire come lo Scisma degli X-Men ad esempio. Una piccola e sfiziosa ciliegina sulla torta con la quale arrovellarsi e divertirsi.

Con l'arrivo dell'età degli eroi la testata dei New Avengers riparte da uno. Anche qui Bendis non si fa mancare nulla. Una squadra indipendente al comando di Luke Cage con gli ubiqui Spider-Man e Wolverine (che ormai milita in circa 23 team), Miss Marvel, Mimo e Occhio di Falco, Jessica Jones e Iron Fist. Ingresso in squadra anche per due altri pezzi da 90: La Cosa e il Doctor Strange. A fare da collegamento con Rogers, l'ex vice di Norman Osborn all'H.A.M.M.E.R., Victoria Hand, sviluppo questo che fornirà spunti interessanti alle future storie.
La prima e appassionante run prende una svolta decisamente mistica, i Nuovi Vendicatori affronteranno un inferno sulla Terra di origine magica. Interessante recupero effettuato da Bendis per questa run, arriva infatti Jericho Drumm come nuovo stregone supremo, personaggio meglio conosciuto come Dottor Voodoo, qui coadiuvato anche dall'infernale Daimon Hellstrom, figlio di Satana. Niente male questa partenza coadiuvata splendidamente dai disegni di uno Stuart Immonen in stato di grazia. Il lavoro qui svolto garantirà al disegnatore di ottenere le matite del successivo Marvel evento architettato dagli archittetti (Chi architetterà gli architetti?): Fear Itself. Da applausi l'episodio che verte sulla scelta del domestico del gruppo e della baby-sitter per la figlia della coppia Cage/Jones.
Per la seconda run ancora in corso, una delle operazioni di ret-con (dove ret non sta per rettale) tanto care a Bendis con l'introduzione dei Vendicatori del 1959 guidati da Nick Fury e Dum Dum Dugan. Due timeline affidate a Howard Chaykin (matite del '59) e al buon Mike Deodato (il presente). Qui Bendis dilata forse un po' troppo, introduce nuovi avversari e inizia a introdurre qualche ambiguità da parte della Hand. Si poteva fare di meglio su tutti i fronti, il tratto di Chaykin deve proprio piacere (e a me non piace) e la trama procede lenta. Succose novità in arrivo per qualcuno dei protagonisti.

Di Moon Knight ancora non ci è dato sapere, la sua versione targata Bendis/Maleev ancora non è sbarcata nel bel paese (come l'avrei vista bene sul nuovo mensile di Devil, vabbè).

Tirando le somme, Bendis merita o no di essere uno dei Marvel architects?

Secondo me si. E' uno che sa come muovere le cose, a volte le fa muovere troppo lentamente ma le fa muovere. Lavora con passione, è indubbio. In più ha un talento per i dialoghi che a me piace molto. Per l'universo Marvel ha fatto tantissimo negli ultimi anni, in fondo non lo si può negare. Approvato!


Matt Fraction
Il ragazzo ci sa fare. Non sempre e non dappertutto ma ci sa fare. Dopo aver narrato le vicissitudini dei mutanti sulla storica Uncanny X-Men per più di due anni e senza essersi mai trovato troppo a proprio agio sulla collana (questa almeno è la mia impressione), Fraction si concentra ora sulle testate che riesce a vestire al meglio.

Alla guida dell'armatura dell 'Invincibile Iron Man ormai da tre anni, lo scrittore non mostra ancora segni di stanchezza. Una delle gestioni migliori degli ultimi anni in casa Marvel, aiutata sicuramente dalla grande stabilità del team creativo. Indissolubile il connubio con Salvador Larroca che riesce a riprodurre un Iron Man ipertecnologico e modernissimo. Larroca non è tra i miei disegnatori preferiti ma qui funziona dannatamente bene.
Dopo aver tolto a Tony Stark tutto quello che gli si poteva togliere durante il Dark Reign ecco arrivare la rinascita, un Born again in salsa tecnologica (senza voler azzardare paragoni scomodi). Niente più industrie Stark, niente più soldi, addirittura cervello e ricordi formattati e backuppati. Stark torna alla ribalta come filantropo e con nuove idee per la testa: niente più armi, una nuova compagnia, la Stark Resilient e più energia gratis per tutti. Ovvio che a molti questo nuovo Anthony Stark non piacerà, a partire dal governo U.S.A. e dai concorrenti delle industrie Hammer.
Non pago di tutto ciò la Stark Resilient offre aiuto e consulenze per la ricostruzione, niente meno, della caduta Asgard, sottotrama questa che andrà a sfociare direttamente negli eventi di Fear Itself, nuovo Marvel evento scritto e diretto dallo stesso Fraction.

Grande coerenza e continuità nelle scelte dello scrittore che riesce a legare tra di loro i suoi progetti con mano leggera. Il passaggio da Iron Man a Fear Itself è un attimo. Come tutti i megaeventi anche questo Fear Itself è lontano dall'essere perfetto. La ripetitività degli scontri (tra la miniserie e quelli sui tie-in se ne ha già fin sopra le orecchie) e la storia dei martelli caduti sulla Terra che non intriga, rendono la miniserie un prodotto riuscito solo in parte.
In due parole. Dopo l'offerta di Stark per ricostruire Asgard, torna dal passato il vecchio e terribile Dio della paura del pantheon nordico: il Serpente. Di fronte a questo evento gli asgardiani al seguito di Odino abbandonano la Terra lasciandola al suo destino. Otto martelli cadono su Midgard attirando altrettanti super esseri che, una volta venuti in possesso dei mistici oggetti, porteranno paura e devastazione in tutto il globo.
Niente di eccezionale, anzi. Però Fraction gioca bene con la metafora. La paura che attanaglia la gente comune dell'universo Marvel è la nostra. Non quella per il Serpente, no. Quella per il futuro, quella per un'economia ormai al tracollo, quella che porta a scelte sbagliate a all'individualismo esasperante, quella dell'impotenza di fronte a poteri prepotenti e più grandi di noi. Per una volta la lettura interessante non sta nello scoprire cosa succede ai nostri eroi preferiti ma nel cosa sta succedendo al mondo, il nostro. Davvero la paura sta vincendo? Pare di si, pare di si.
Il lavoro di Immonen, a livelli sempre più alti, regala all'occhio la sua parte. E l'occhio, si sa, la vuole.

Da qualche tempo a questa parte Fraction si occupa anche del tonante, partito con una saga piacevole su Thor ma chiusa in maniera frettolosa, lo scrittore si prende carico del rilancio della testata a partire da The Mighty Thor numero 1. In una run temporalmente ambientata prima dell'evento Fear Itself, Fraction esplora il lato più supereroistico del possente Thor in una piacevolissima saga che vede coinvolti Galactus e il suo araldo Silver Surfer. La buona riuscita della serie è garantita anche dalle matite dell'ottimo Coipel che, se solo stringesse un pelo alcuni volti e alcune anatomie, per me sarebbe quasi perfetto.

A coadiuvare l'autore sulle vicende dei personaggi da lui gestiti altri due studenti di architettura: Kieron Gillen (Thor su Journey Into Mistery) e Nick Spencer (Iron Man 2.0) il quale, per quel poco che ho potuto vedere, deve studiare ancora parecchio.

Che si fa con Fraction, lo si promuove? Io voto a favore, basta che me lo lascino lontano dagli X-Men. Gestire i mega eventi non deve essere semplice, poi con le ingerenze di tutti sti architetti che ti girano intorno sai che stress. Sulle testate regolari il ragazzo dimostra di saperci fare in fondo, abbiamo visto ben di peggio e quindi avanti così.


Ed Brubaker
Il buon Bru è accomunato nel bene e nel male ai due autori di cui sopra. In comune con Bendis il Bru vanta una bellissima gestione del diavolo rosso. Dalla conclusione della sua run per Devil inizierà infatti un lento declino sfociato nella minisaga Shadowland. A dividere le sorti con Fraction invece, una gestione decisamente appannata degli uomini X. Ma questo è il passato ormai, cosa sta combinando ora lo scrittore di Captain America e Secret Avengers?
Semplice. Sta scrivendo Captain America e Secret Avengers. Più o meno (da una paio di numeri S.A. è passata a Nick Spencer che ha imbastito due numeri piuttosto inutili, speriamo nel futuro).

Come prima cosa Brubaker ha sfatato il classico "un capitano, c'è solo un capitano, un capitaaaanooo, c'è solo un capitano". Ci sono due Capitani invece e giocano pure nella stessa squadra. In passato lo scrittore ha ucciso Capitan America (Steve Rogers), ha resuscitato Bucky (cara vecchia ret-con), ha messo Bucky al posto di Rogers nella tutina di Cap, ha resuscitato Rogers, ora SPOILER SPOILER SPOILER ha ucciso Bucky, almeno apparentemente e metterà di nuovo Rogers nella tutina di Cap FINE SPOILER FINE SPOILER FINE SPOILER.

Sembra tutto un tira e molla senza senso ma il Bru, a parte qualche scivolone con la saga della rinascita di Steve Rogers, ha gestito tutto egregiamente. Belle saghe, ben scritte, calate in atmosfere ben calibrate, disegnatori giusti al momento giusto e una buona dose di rinnovamento attorno a un personaggio classico come lo scudiero a stelle e strisce.
E' su Bucky che l'autore si sta concentrando principalmente. Dopo che l'opinione pubblica viene a sapere dei trascorsi del nuovo Capitan America nei panni del Soldato d'Inverno iniziano i guai per James "Bucky" Barnes. Prima subirà un processo su suolo americano durante il quale Rogers tenterà di dimostrare l'involontarietà dei delitti commessi dal Soldato d'Inverno ai tempi della guerra fredda causa controllo mentale da parte dei russi.
Alla fine di questa saga ci sarà ad attendere il povero Bucky l'estradizione in Russia, in vista un poco confortevole soggiorno in un gulag della Grande Madre Rossa.
Alle matite si avvicendano vari artisti. La parte del leone spetta a Butch Guice, coadiuvato dagli ottimi Deodato e Sumnee. Qualità garantita. Dopo l'ottima prova su Devil, Brubaker dimostra di avere un grande talento per i singoli eroi calati il più possibile in realtà urbane che sfiorano solamente il lato più supereroistico dei protagonisti.

Meno convincente il lavoro svolto su Secret Avengers, gruppo eterogeneo di Vendicatori capitanato da Steve Rogers che include gente come Bestia, la Valchiria, la Vedova Nera, War Machine, Moon Knight, Nova, il nuovo Ant-Man e altri innesti vari. Una combriccola che raramente ricorda un team di Vendicatori composto da personaggi che spesso non sono sfruttati a dovere. Qualche spunto interessante nelle trame c'è: il recupero del Life Model Decoy convinto di essere il fratello di Fury, John Steele, etc...

La domanda è? C'era davvero bisogno di quattro collane dei Vendicatori? (No) C'era davvero bisogno di un Cover Action Team dei Vendicatori? (Ancora no).

La Marvel ha davvero bisogno di Ed Brubaker? Si, stavolta dico si. A me Brubaker piace. Ha difficoltà a gestire le serie di gruppo, almeno quelle con i supereroi. Il suo Gotham Central invece era una perla narrativa quasi inarrivabile, altro che serie tv sui distretti di polizia.

E' grandissimo nella gestione dei singoli eroi e nelle atmosfere noir (Criminal docet). Cari signori della Marvel, fategli fare quello. Basta super gruppi, eroi e criminali. Bianco e nero. Basta. Passiamo oltre.


Jonathan Hickman
Forse Jonathan Hickman è l'autore al quale la definizione di architetto Marvel calza meglio, almeno in questo momento. Hickman in effetti è quello che più di tutti dà l'idea di progettare, di inserire in ogni storia dei tasselli di un tutto più ampio, dà l'idea della costruzione di un universo narrativo coerente e della coesione, a volte accennata a volte più evidente, che regna tra le serie che scrive personalmente. E' un po' come se la totalità delle cose scritte da Hickman assumesse un valore maggiore della somma delle sue singole storie. Mi piace Hickman, non è perfetto e a volte sbraca, però ha qualcosa che lo rende parecchio interessante. Riesce a creare storie avvincenti partendo da presupposti a volte anche bislacchi. Non male, non male.

Su Fantastic Four Hickman è partito subito in quarta inserendo nella serie idee e sviluppi che ancora oggi tengono banco nelle storie della Future Foundation, serie che ha preso il posto della classica FF dopo la morte della Torcia Umana. L'idea malsana di Reed di risolvere ogni problema della Terra, il consiglio dei Richards provenienti da differenti realtà alternative, l'importanza sempre crescente data ai bambini coinvolti nelle avventure degli F4, quelli della famiglia ma non solo, il ritorno del padre di Reed e i poteri del piccolo Franklin e tutta una serie di elementi, compresa la risoluzione forse un po' affrettata di quer pasticciaccio brutto de Nu World creato da Millar, che rendono le avventure del quartetto parecchio interessanti.
Alle matite delle prime saghe in alternanza l'ottimo e sempre potente Dale Eaglesham e il più canonico e decisamente meno entusiasmante Neil Edwards.
Se si vuole cercare un difetto a Hickman io opterei per il seguente: il nostro ha la tendenza a sparare grosso, in maniera più credibile e meno tamarra di come è solito fare Millar ad esempio, ma comunque spara grosso, forse troppo. In una delle sue saghe è riuscito a portare alla luce razze e civiltà scomparse di cui nessuno sapeva nulla. La città abbandonata dell'Alto Evoluzionario in grado di rendere intelligenti anche i talpoidi del sottosuolo, la città dei vecchi re atlantidei dei quali Susan Storm diventerà portavoce, la razza degli Inumani universali e il culto della Zona Negativa. Il tutto in quattro numeri. Scritti e disegnati bene, forse un po' esagerato anche per gli F4. Ma non è finita qui.

Con la miniserie S.H.I.E.L.D. Hickman la spara ancor più grossa. La serie ha fascino ma con tutta la buona volontà e tutta la sospensione d'incredulità anche qui sembra che si esageri pur senza mai scadere nella trovata grossolana, nella sparata a effetto. E' un fumetto Marvel, dovete credere all'incredibile e con Hickman dovete farlo su scala più ampia rispetto al solito.
Sotto i marciapiedi di Roma si estende la città immortale sede dello Scudo, il consiglio della società millenaria che noi conosciamo solo per mezzo di una sua piccola estensione: lo Shield di Nick Fury e soci. E non parliamo di una setta in uno scantinato, parliamo di una metropoli. Si ridisegna l'origine dello Shield con la sua fondazione nel 2620 a.c da parte di Imhotep. Tra gli affiliati allo scudo nel corso dei secoli troviamo Newton, Brunelleschi, Leonardo da Vinci, Galileo, Nathaniel Richard, Nostradamus, Howard Stark e personaggi di questo calibro che già nel 1582 sconfissero addirittura Galactus.
Una serie incredibile e complessa con un Dustin Weaver alle matite che rende un onorevole anche se non eccezionale servigio alle trame di Hickman che riesce con maestria a collegare anche alcuni eventi della serie alle vicende dei Fantastici 4.

Nel frattempo la saga 3 sulle pagine di Fantastic Four porta alla morte di Johnny Storm e alla trasformazione della serie in Future Foundation. Qui Hickman lascia ampio spazio alla crescita dei personaggi davanti all'elaborazione del lutto. Sempre più importanti i ragazzi della Future Foundation, Franklin e Valeria Richards ma anche Artie, Pulce, Bentley 23 clone di Wizard e Alex dei Power Pack. Con loro il nuovo ingresso Spider-Man, i tre superstiti dei Fantastici 4, Dragon Man e il Dottor Destino. Hickman riallaccia tutti gli elementi gettati nelle precedenti saghe per imbastire lo scontro con il consiglio dei Richard intessendo le trame ancora una volta con grande abilità. Purtroppo arrivano anche i tie-in di Fear Itself a spezzare il ritmo della narrazione. Alle matite il duo Epting/Kitson, ottimo il primo sempre valido il secondo.

Anche con Secret Warriors l'autore non si risparmia. Anche qui il botto è grosso ma non voglio rivelarvelo. Sappiate che coinvolge lo Shield, quello classico che conosciamo tutti, Nick Fury e organizzazioni criminali come Hydra e Leviathan. Nata come serie su un nuovo e segreto super gruppo comandato da Fury e capitanato sul campo da Daisy Johnson alias Quake (ricordate la guerra segreta?), prende sempre di più direzioni spionistiche con voltafaccia, tradimenti, operazioni segrete e grandi battaglie. Serie in crescendo conclusasi dopo 28 numeri orchestrata anche qui al meglio dal sempre più bravo Hickman, disegni sempre ottimi che battono bandiera italiana grazie ai preziosi contributi di Caselli, Vitti e Gugliotta. Un'ottima maxi-serie da recuperare che lascia spazio per ritorni interessanti.

Detto questo direi che anche Hickman è salvo.


Jason Aaron
E' già da un po' di tempo che si parla di questi architetti Marvel, non è questa una notizia dell'ultima ora. Come ha già ribadito Orlando in qualche suo scritto, noi di FdC non ci preoccupiamo troppo di stare sul pezzo quindi io ho deciso di affrontare l'argomento solo ora. Bene, dopo tanta acqua passata sotto i ponti ancora non ho capito il perché tra questi loschi figuri si aggiri anche il signor Aaron. Forse l'importanza dell'autore è destinata a impennarsi nei prossimi mesi visto che andrà a gestire la nuova miniserie Schism e la rinnovata The Incredible Hulk.

Al momento qui da noi si è potuto valutare il lavoro dello scrittore solo su Wolverine che, pur essendo uno tra i principali character della Marvel donato di ubiquità editoriale, non è al momento il centro di questo universo narrativo.
Aaron ha sicuramente messo in difficoltà l'artigliato canadese spedendo la sua anima all'inferno mentre il suo corpo seminava distruzione sulla Terra manovrato da oscuri demoni. L'organizzazione celata dietro le sventure del canadese, la Rossa Mano Destra, si rivelerà essere un espediente narrativo abusato e poco coinvolgente. Nella stessa run c'è indubbiamente qualche passaggio interessante (l'incontro all'inferno di Logan con suo padre) e una lettura piacevole graziata anche dai disegni di Renato Guedes.
Anche Aaron ha il gusto dell'esagerazione, ben condensato nella creazione di un personaggio come il killer Lord Deathstrike che per ammazzare un tizio in Cina si reca in Argentina e lo uccide con un proiettile che attraversa l'intero globo (non sto scherzando). Ci rendiamo conto?
L'impressione è che Aaron stia cercando di lavorare con passione sul personaggio di Logan con risultati al momento alterni. L'ho lasciato per ultimo perché ho l'impressione che al momento sia l'unico di questi autori a non meritare l'investitura datagli da mamma Marvel. Forse mi ricrederò con i prossimi suoi lavori, in fondo Scisma è dietro l'angolo.

Al momento lo boccio.


Il mio pezzo, che spero non vi abbia stracciato i maroni oltremisura, non ha la pretesa di essere esaustivo. Aspettiamo i vostri commenti per aprire e arricchire il dibattito :)
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...