lunedì 30 marzo 2015

BOOMSTICK AWARD 2015


E' con grande piacere che per il secondo anno consecutivo questo blog piccolo piccolo viene insignito del simpaticissimo Boomstick Award, premio creato da Hell di Book and Negative. A tributarmi questo onore il molto promettente collega di blogging Rento Portento che con ancora pochi post al suo attivo ha già dimostrato di poter dare il suo prezioso contributo alla nostra nutrita comunità.

Per le seguenti parole non posso far altro che ringraziare e ringraziare Portento che è stato fin troppo buono a descrivere così questo spazio virtuale: La Firma Cangiante è stato uno dei primi blog che ho seguito e da quel momento ho letto ogni suo post! Merita di stare qui non solo per gli interessantissimi temi trattati, ma soprattutto perché lo considero un fumettaro che ne sa veramente tante, non a caso i suoi post sui comics sono quelli che preferisco!

Grazie e grazie ancora.


Ed ecco le regole per assegnare il Boomstick vergate a fuoco su carne putrida da Hell:

1 – i premiati sono 7. Non uno di più, non uno di meno. Non sono previste menzioni d’onore
2 – i post con cui viene presentato il premio non devono contenere giustificazioni di sorta da parte del premiante riservate agli esclusi a mo’ di consolazione.
3 – i premi vanno motivati. Non occorre una tesi di laurea. È sufficiente addurre un pretesto.
4 – è vietato riscrivere le regole. Dovete limitarvi a copiarle, così come io le ho concepite.
Inoltre:
a) il premio può essere assegnato dai sette vincitori ad altrettanti blogger meritevoli, contribuendo a creare, come tutti gli anni, una delle più gigantesche catene di sant’antonio che la storia di internet ricordi.
b) premio e banner sono di mia creazione, quindi gradirei essere citato negli articoli relativi.
c) il Boomstick è un premio cazzuto. Se l’avete vinto non siete di sicuro delle mezze cartucce, ma… se non rispetterete le 4 semplici regole che lo caratterizzano, allora mezze cartucce diventerete
e vi beccherete d’ufficio, in quanto tali, il celeberrimo Bitch Please Award che, al contrario, porta grande sfiga e disonore sul malcapitato.



Ma veniamo a noi, sette nomi sette. Quest'anno sto seguendo un corso per manutenzione del verde in seguito al mio passaggio allo status di disoccupato. Nella potatura una delle parole d'ordine è svecchiare, cercherò di segnalare quindi anche qualche blog meritevole che magari seguo da meno tempo rispetto ad altri... vediamo.

Svecchiare si, ma con moderazione. I punti fermi ci vogliono e sono necessari, il blog di Luigi è una lettura imprescindibile, gli interessi comuni rendono sempre piacevoli gli scambi di opinioni, poi con Luigi ci siamo anche incontrati e quindi... insostituibile.

Piacevolissima rivelazione degli ultimi tempi, come già accennato pochi post ma ben pensati che danno vita già a scambi e commenti interessanti. Da seguire.

Sono arrivato molto tardi al seguitissimo blog del Moz, un insieme di proposte e argomenti diretti, sinceri, sometimes cazzari e trasversali, un premio per un blogger di quelli che si sbattono sul serio.

Anche qui approdo su questi pregevoli lidi con colpevole ritardo, come con colpevole ritardo prima o poi riuscirò a leggere i romanzi di Omar, il blog di Omar ormai sto iniziando a usarlo come prezioso riferimento per consigli letterari e non solo (e non è poco, sono esigente io).

Anche se non riesco più a visitare gli spazi di Mary come una volta dalle sue parti si respira sempre un po' l'aria di casa, ci si sente ben accolti e ben voluti ed è sempre bello passare lì ogni tanto per due chiacchiere o per un saluto. Cara Mary, un abbraccio.

Blog che ha scalato innumerevoli posizioni nelle classifiche dei miei blog favoriti per quel che riguarda il fumetto, Luca poi è sempre un passo avanti a me, ogni tanto mi tocca rincorrerlo.

Contenuti interessanti snocciolati sobriamente in un colonnino stretto stretto. Bei gusti, buone segnalazioni, un pizzico di nostalgia e un header che gronda sangue.

domenica 29 marzo 2015

AMERICA'S GOT POWERS

Almeno un paio di motivi hanno destato la mia curiosità nei confronti della miniserie America's got powers edita da Image Comics e portata in Italia da Panini. Innanzitutto la storia è scritta da Jonathan Ross, autore che mi aveva piacevolmente sorpreso con il suo Turf qualche tempo fa. Il secondo motivo di interesse era la disamina in chiave super di quello che è il mondo dei reality show e dei talent, spettacoli televisivi molto in voga anche nel nostro paese e qui smaccatamente richiamati fin dal titolo che si rifà al celebre show America's got talent della NBC. Come ciliegina sulla torta il fatto che Jonathan Ross prima che scrittore di fumetti è un noto comico e presentatore televisivo e quindi molto inserito e competente sulle dinamiche delle produzioni per il piccolo schermo. Mettiamoci pure le matite di Bryan Hitch e il quadro risulta completo.

Diciassette anni fa nella città di San Francisco precipitò uno strano cristallo proveniente dal cielo, quel giorno tutte le donne gravide diedero alla luce i loro bambini, quale che fosse il loro stato di avanzamento della gravidanza i bambini nacquero sani, perfetti e tutti con particolari abilità. Oggi molti di quei ragazzi dotati di poteri ambiscono a far parte del super gruppo Power Generation, unico modo per riuscirci è vincere la nuova edizione del talent show America's got powers che li vedrà scontrarsi per un posto al sole contro i temibili paladini, i letali robots mandati in scena dalla produzione. Il lettore seguirà la vicenda con gli occhi di Tommy Watts, unico di quella generazione di bambini a non aver sviluppato particolari abilità e costretto quindi a lavorare all'interno dell'arena dove si gira il talent invece di parteciparvi.

L'idea di partenza, pur non essendo originale, mi intrigava parecchio, è innegabile come in America's got powers tutta una serie di elementi che vanno a strutturare la vicenda siano assolutamente derivativi, partendo dall'origine dei poteri dei ragazzi presa pari pari da Rising Stars e andando avanti di questo passo (per un elenco più completo vedi il commento al primo episodio scritto dall'amico Luca). Jonathan Ross aveva compiuto un operazione simile già con Turf andando a miscelare insieme diversi elementi noti della narrativa (non necessariamente a fumetti in quel caso) ottenendone un miscuglio originale e molto, molto riuscito ma soprattutto dannatamente divertente. Qui ha guardato prettamente ai comics americani e al mondo dello spettacolo, il risultato ottenuto è di certo meno originale ma comunque ben scritto, intrigante e piacevole.


L'accento viene posto su quel che in questo show attira veramente il pubblico e fa alzare gli indici di ascolto, ossia il conflitto e l'aumento della violenza senza controllo, un po' come accade ed è accaduto negli ultimi anni con la tv gridata dove le dispute tra i partecipanti ai vari reality, l'aumento del becero e delle urla innalzava anche gli indici di ascolto delle varie trasmissioni. Non mancano ovviamente nello sviluppo narrativo gli intrighi nel dietro le quinte dello show, ingerenze di politici, interessi militari e alcune sorprese.

Per il lavoro svolto da Hitch vale quanto detto per Ross, matite sempre curate senza particolari sbavature, stile molto dinamico e cinematografico che chi conosce il disegnatore ha imparato ad apprezzare, anche qui qualche sentore di già visto, in molti volti ad esempio, il look dei partecipanti al torneo mi ha ricordato addirittura il team Europa (si chiamava così?) di Ultimates.

Complessivamente ne esce un racconto ben scritto e ben disegnato con poche vette di originalità ma con comunque parecchi motivi di interesse, per quattro numeri si può anche fare.

venerdì 27 marzo 2015

L'ASTRONAVE DEGLI ESSERI PERDUTI

(Quatermass and the pit di Roy Ward Baker, 1967)

Abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno. Per il terzo episodio cinematografico dedicato alle peripezie (parola grossa) del Dottor Quatermass si passa dal bianco e nero al colore e da Brian Donlevy a Andrew Keir nel ruolo del poco carismatico protagonista. Cambia anche il regista; abbandonato Val Guest qui troviamo dietro la macchina da presa Roy Ward Baker capace a mio avviso di alzare un poco la tensione in alcune sequenze, soprattutto in quelle nelle quali è coinvolta la gente comune, ma non il ritmo che, come succedeva nei film precedenti, rimane molto vicino al rischio sonnolenza.

Come avrete capito già i precedenti capitoli di questa saga cinematografica non mi avevano entusiasmato, non si discosta di molto il mio giudizio per questo terzo episodio nonostante qualcosa di buono ci sia anche qui.

Durante gli scavi per un nuovo tratto della metropolitana di Londra vengono ritrovati i teschi di antichi ominidi dei quali si occuperà l'equipe del Dr. Roney (James Donald). In seguito al ritrovamento di un artefatto metallico scambiato per una bomba viene coinvolto anche l'esercito nella persona del Colonnello Breen (Julian Glover), nuovo e forzato collaboratore del Dr. Quatermass (Andrew Keir) che si recherà sul luogo dei ritrovamenti insieme al nuovo collega. Indagando sull'oggetto metallico saranno diverse le stranezze che si affastelleranno l'una sull'altra dando luogo a veri e propri fenomeni allucinatori e di isteria collettiva che troveranno presto un inquietante fondamento.

Rispetto ai precedenti la trama di questo episodio sembra più costruita e offre qualche divagazione in più (tutta la parte sugli inspiegabili eventi avvenuti in passato nei pressi del sito in questione), il protagonista di contro rimane anche qui piuttosto anonimo, come non mi piaceva Donlevy posso affermare tranquillamente di essermi già dimenticato di Keir (il film l'ho visto stamattina). L'ambientazione londinese e il colore aggiungono un qualcosina all'insieme che però rimane comunque poco interessante, il film si movimenta un poco sul finale dove si ammira anche qualche effetto speciale datato.

Insomma, per appassionati del genere e basta.


giovedì 26 marzo 2015

BRADI PIT - PRIMAVERA

Primavera.


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mercoledì 25 marzo 2015

LA NOTTE

(di Michelangelo Antonioni, 1961)

E' un film cerebrale quello di Antonioni, freddo, che costringe lo spettatore a seguire con attenzione i suoi personaggi, un film che dà molto da pensare su quello che può essere considerato mal di vivere, sul senso di vuoto ma soprattutto sull'erosione dei sentimenti con i quali l'essere vivente (uomo o donna che sia) può facilmente doversi confrontare nel corso della sua vita, specie se questa è inquadrata in una società moderna come la nostra (il film è del '61 ma la situazione non è migliorata da allora, anzi).

E' una coppia benestante ad essere presa in esame nel racconto di una loro giornata, una giornata significativa che si apre con la visita ad un'amico malato e prossimo alla morte ricoverato in un ospedale di una Milano in bilico tra metropoli moderna, asfittica e periferia degradata e umile. Lui è lo scrittore Giovanni Pontano (Marcello Mastroianni) in vista di un nuovo successo, lei sua moglie Lidia (Jeanne Moreau) proveniente da una famiglia agiata. In seguito alle diverse reazioni dei due alla visita in ospedale le strade dei coniugi si separeranno per qualche ora, ore durante le quali Lidia vagherà per una Milano poco conosciuta o semplicemente dimenticata, forse riflettendo, magari annusando un profumo di vita che solo luoghi diversi da quelli battuti quotidianamente possono dare. Ci saranno poi incontri mondani come la presentazione del libro in una nota casa editrice, una triste serata al night e l'invito alla villa dell'industriale Gherardini dove Giovanni avrà modo di conoscere la figlia del padrone di casa, Valentina Gherardini (Monica Vitti).


All'interno della coppia si avverte un senso di distacco e di freddezza, una situazione sentimentale sulla quale Antonioni indaga con onestà poco consolatoria ponendo l'attenzione al dilavamento dei sentimenti che sbiadiscono nella quotidianità. La differente presa di posizione dei due coniugi è un altro elemento interessante del film, se Lidia è capace di una disamina più onesta e sincera di quel che è lo stato delle cose, Giovanni si aggrappa per abitudine o forse codardia a quella che ormai è una pantomima fondata sulla consuetudine. Emblematica la scena finale (che non spoilererò, tranquilli) che offre a questo gelo sentimentale allo stesso tempo conferma e un tentativo riparatore che, vada come vada, non potrà alleviare le sofferenze di nessuno, tantomeno quelle dello spettatore pensante.

Da questo sfascio sentimentale verrà toccata la giovane Valentina, ricca, all'apparenza senza problemi ma anche lei poco felice, felicità che dopo l'incontro con i due coniugi sembrerà un poco più lontana.

Parte centrale di quella che viene definita la trilogia dell'incomunicabilità, La notte arriva dopo L'avventura e precede L'eclissi, probabilmente altri due film meritevoli di una visione, meritevoli come il recupero dell'opera di Antonioni che per il poco che ho potuto vedere (un altro paio di titoli oltre a questo) ha tutt'oggi molte cose da dire.


domenica 22 marzo 2015

OUTCAST

Saldapress ci prova ancora una volta scommettendo sulla nuova serie di Robert The walking dead Kirkman uscita l'anno scorso in America per la sua etichetta Skybound. Nelle idee della casa editrice c'era il progetto di affiancare questa serie proprio al The walking dead in formato bonellide andando a creare un albetto a tinte horror tutto firmato da Kirkman. In seguito alle proteste preventive dei lettori è stato deciso di proporre le due serie in separata sede diminuendo la foliazione e il prezzo per The walking dead e lanciando per il mercato delle edicole un nuovo bimestrale in formato bonellide al prezzo di lancio di un misero euro per 72 pagine.

E' in questa forma che Outcast vede la luce in Italia con la differenza rispetto a quel che succedeva per TWD che quest'ultima fatica di Kirkman e del disegnatore Paul Azaceta è stata in origine realizzata a colori. Ormai sono diversi anni che le case editrici sperimentano con formati, foliazione, colori e bianco e nero per ritagliarsi un posto al sole nell'affollata realtà dell'editoria a fumetti italiana. Il mio gusto personale, pur avallando il formato bonellide in bianco e nero se economico, si è orientato come preferenza verso le scelte intraprese per molte testate dall'editoriale Cosmo che riesce a mantenere costi bassi e proporre il materiale in edizioni molto simili all'originale.

Se però deve essere bianco e nero, bianco e nero sia. L'opera in esame non risente della perdita del colore in maniera eccessiva e rimane leggibile ed evocativa al punto giusto (se non in misura ancora maggiore), in alcune scene particolarmente buie avrei visto bene un alleggerimento dei grigi o una loro totale rimozione che avrebbe reso maggior giustizia alle matite di Azaceta a discapito forse di un po' di atmosfera. In rete si trovano le tavole sia in versione colorata che in b/n desaturato o in scala di grigi, a voi il giudizio finale.


Detto questo magari qualcuno si chiederà anche cosa può trovare di interessante dentro a questo fumetto. Kyle Barnes vive in preda a dolore e depressione in una sorta di isolamento forzato dal quale solo la sua sorella adottiva Megan tenta di farlo uscire. All'origine della situazione di Kyle un terribile fatto sepolto nel passato che ha portato il protagonista a essere accusato di aver brutalmente picchiato sua moglie e la sua piccola bambina. In realtà non tutto è così semplice perché nella provincia del West Virginia si nascondono storie di possessione demoniaca nelle quali Kyle Barnes sembra avere una parte centrale. Quello che sembrava sepolto nel passato ritorna e a farne le spese questa volta sarà il giovane Joshua Austin.

Nelle intenzioni di Kirkman c'è quella di tornare all'orrore privato, alla minaccia strisciante che può coglierti da vicino in maniera subdola spingendo su uno degli argomenti più inquietanti di tutto il filone horror: la possessione demoniaca. Nei primi due episodi, ovviamente introduttivi, lo scrittore inizia già a imbastire una trama con diversi personaggi, relazioni interpersonali, flashback e piani temporali alternati introducendo alcuni misteri, personaggi ambigui e momenti emotivamente forti. E l'impressione è comunque che Kirkman si stia solo scaldando. La trama è ben pensata e induce a proseguire la lettura, il tratto di Azaceta, anche privato del colore, risulta ottimo per atmosfere di questo tipo, forse un poco pesante in alcune tavole l'uso dei grigi scuri e magari si potrebbe sentire un po' la mancanza del rosso sangue. Comunque dettagli che non precludono la possibilità di godere appieno dell'ultimo lavoro di casa Skybound.


sabato 21 marzo 2015

ANNA DEI MIRACOLI

(The miracle worker di Arthur Penn, 1962)

Da piccolo, come sarà capitato a tanti di voi, andavo all'asilo, quello che i bambini di oggi chiamano scuola materna. L'asilo in questione portava il nome di Helen Keller e all'epoca mai mi venne in mente di chiedermi chi fosse questa Helen Keller, per me l'asilo era l'asilo e basta. Solo in seguito venni a sapere chi era stata la donna di cui l'edificio portava il nome e della quale viene raccontato un breve segmento di vita in questo film diretto da Arthur Penn.

Anna dei miracoli è un film commovente, a tratti straziante, forte e duro, capace di trasmettere con la stessa intensità gioia e dolore grazie a una messa in scena perfetta, a un bianco e nero evocativo e alle magnifiche interpretazioni di Anne Bancroft e della giovane Patty Duke entrambe premiate con l'oscar, per la miglior attrice protagonista la prima e non protagonista la seconda. Le emozioni intense si palesano fin dalla prima scena dove due genitori, il Capitano Arthur Keller (Victor Jory) e sua moglie Kate (Inga Swenson) scoprono che la loro bambina è diventata cieca e sorda in seguito a quella che era stata frettolosamente diagnosticata come una congestione di stomaco e cervello. A causa della malattia la piccola Helen (Patty Duke) cresce nel più totale isolamento mentale in seno a una famiglia premurosa ma incapace di gestire la situazione, l'amore della madre soprattutto, ma anche quello del padre, aggiungeranno ai problemi della bambina anche quelli derivanti da una cattiva educazione che porterà la bimba a crescere viziata e senza regole.

Proprio quando la situazione sembra divenire insostenibile i coniugi Keller decidono di ricorrere a un'istitutrice privata, Annie Sullivan (Anne Bancroft), una ragazza giovane anche lei con qualche problema alla vista e che in passato ha vissuto situazioni terribili simili per alcuni versi a quelle patite dalla piccola Helen. La fatica maggiore per Annie sarà quella di stabilire un contatto con la bambina, quella della famiglia sarà data dalla totale fiducia che i suoi membri dovranno accordare a questa insegnante capace di infinita pazienza ma anche di modi e metodi parecchio bruschi.


L'intensità della vicenda viene proiettata sullo spettatore in modo egregio tramite la forza dei sentimenti che da questa scaturiscono ma anche grazie a prove molto fisiche da parte delle attrici protagoniste, il confronto non sarà solo intellettivo, medico o un confronto d'amore ma si risolverà in un vero e proprio conflitto fisico, in una lotta di nervi e pazienza, di decisioni ferme, una lotta contro la spossatezza e l'arrendevolezza. Anne Bancroft risulta interprete fantastica nel portare in scena una donna che cerca di penetrare una corazza all'apparenza impenetrabile tentando d'insegnare il linguaggio a una bambina che non sente e non vede e che non ha la minima idea del concetto di parola e di significato.

Chi ha un minimo di sensibilità correrà il rischio di dover versare calde lacrime durante la visione di un film che però non batte sul pietismo ma piuttosto mostra la forza infinita di un'insegnante decisa ad ottenere quel che si è prefissata per amor proprio e della sua alunna/paziente e quella di una bambina che in qualche modo inizia a capire che per lei la possibilità di una vita migliore in fondo esiste. Il cinema d'altri tempi regala perle a volte poco note a molti giovani spettatori di oggi, il mio consiglio spassionato è quello di farsi prendere dalla curiosità, provare, spulciare e scoprire il maggior numero possibile dei piccoli e grandi tesori come questo che la storia del Cinema ci ha regalato nel corso degli anni.



giovedì 19 marzo 2015

MARVEL'S AGENT CARTER

Ha una sua dignità la miniserie dedicata a Peggy Carter (Hayley Atwell), soprattutto se consideriamo che il serial dedicato all'agente dell'SSR nasce per coprire il buco di palinsesto lasciato dalla pausa di metà stagione di Marvel's Agents of S.H.I.E.L.D.

Uno dei punti di forza di Agent Carter è stata probabilmente la scelta di dare spazio solamente a un'unica trama orizzontale e tralasciare vicende brevi atte a riempire i singoli episodi, decisione questa che ha permesso alla serie di mantenere un buon ritmo con una discreta accelerata nella seconda parte di stagione. Interessante anche lo scenario che colloca le vicende narrate immediatamente dopo la fine della seconda guerra mondiale con una Peggy Carter ancora afflitta per la scomparsa di Capitan America e delusa dal trattamento maschilista e misogino riservatole dai colleghi dell'SSR che vedono in lei una sorta di segretaria buona solo a preparare caffè e comprare pranzi e colazioni.

Riuscito il lavoro sulla ricostruzione d'epoca, sulla fotografia e sulle scenografie, in uno scenario perfettamente credibile l'agente Carter sarà l'unica a difendere l'inventore Howard Stark (Dominic Cooper) accusato dai membri dell'SSR di aver venduto armi e tecnologie avanzate a potenze straniere. A farle da spalla il maggiordomo del magnate e inventore, tal Edwin Jarvis (James D'Arcy), riluttante all'azione e noto a tutti i Marvel fan più scafati.

La trama non presenta particolari elementi di originalità però funziona e non subisce il contraccolpo dell'eccessiva dilatazione della vicenda, il cast offre il meglio con le prove di una Atwell ben calata nella parte e di un James D'Arcy che ha qualcosa da offrire in più rispetto al resto della truppa. Per altro non manca qualche prova forzata, ingessata o sottotono dei vari comprimari ma tant'è... poco danno come si suol dire.

Nata come sorta di tappabuchi mi sento di dire che per quello che ha mostrato finora la seconda stagione di Agents of S.H.I.E.L.D. questo Agent Carter non solo non ne ha fatto sentire la mancanza ma se la serie madre non aggiusterà il tiro sarà quest'ultima a farci rimpiangere la breve avventura di Peggy e soci (Howling Commandos compresi).

Detto questo rimane comunque valida la tesi che questo tipo di proposte risultino decisamente più appetibili per i fan dei comics che non per i profani garantendo comunque anche per questi ultimi un discreto intrattenimento.


BRADI PIT 124

Volete essere bradipi anche voi? Da oggi è possibile con il metodo Bradi Pit, facile ed economico.



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martedì 17 marzo 2015

QUIZ SHOW

(di Robert Redford, 1994)

Cosa c'è di vero e quanto di artefatto nei popolari quiz a premi che ancora oggi riempiono i palinsesti televisivi? Sicuramente per il popolo americano degli anni cinquanta, anni in cui il mezzo televisivo era ancora giovane, prevaleva l'idea del candore e dell'onestà riflessa da conduttori, concorrenti e finanche dagli sponsor delle trasmissioni più quotate del paese. O molto più semplicemente quella che apre questo post era una domanda che nessuno si poneva, era un'epoca più ingenua e i tarli del dubbio conficcati nella mente delle persone molti di meno. Chi se ne preoccupava? In fondo trasmissioni come Twenty One erano un ottimo intrattenimento per famiglie.

Dietro l'immagine cordiale e onesta del programma però già si muovevano gli interessi dettati dagli sponsor (impersonificati qui da Martin Scorsese) e le ossessioni dei produttori Dan Enright (David Paymer) e Albert Freedman (Hank Azaria) per gli indici d'ascolto. Dopo tante puntate di successo quello che sembra il campione imbattibile Herb Stempel (John Turturro), un timido ebreo del Queens, non tira più, il pubblico vuole altro o almeno i dati dello share dicono questo. Cosa può esserci di meglio per sostituire l'impacciato campione che un rampollo di buona famiglia, figlio di scrittori, giovane e telegenico e insegnante alla Columbia University? L'avvicendamento con il nuovo Charles Van Doren (Ralph Fiennes) sembra la soluzione ideale per i produttori ma il timido Herb Stempel ormai assoggettato alla fama e al denaro non ci sta. Sarà questa l'occasione per scoperchiare le magagne di un sistema televisivo artificioso e disonesto grazie anche all'indagine dell'ispettore del Congresso Richard Goodwin (Rob Morrow) che dell'intera faccenda ha colto gli aspetti meno puliti.


Quiz Show racconta in maniera solida e avvincente lo scandalo che nei '50 travolse il programma della NBC Twenty-One che all'epoca godeva di enorme popolarità. Robert Redford si dimostra un regista attento alla vicenda, si contorna di un buon cast nel mezzo del quale spicca la prova di un esuberante John Turturro, doppiamente vittima di questo sistema che lo tradisce e lo ingurgita allo stesso tempo creando in lui una sorta di dipendenza.

Oltre alla vicenda principale ben esposta in questo film di stampo classico, sotto i riflettori ci sono parecchie disamine sull'onestà dell'animo umano, sui rimorsi di coscienza, sul profitto, sulla vergogna, sulla difficoltà di ottenere giustizia nei confronti delle grandi aziende e sull'impossibilità (o quasi) di ottenere per loro una condanna. Ma soprattutto una larga parte di indifferenza verso temi come questo, attuali ancora oggi. In fondo parliamo di spettacolo, tutto può essere finzione, a chi importa se quello che ci mostrano è reale e onesto finché risulta divertente? Non c'è palese reato, nessuno è stato veramente truffato, chi ci ha rimesso? Il tutto si ridurrebbe a una questione di principio, ma in fondo dei principi a chi importa? L'unico vincitore morale, anche se in piccolissima parte, potrebbe considerarsi proprio Charles Van Doren, uno dei personaggi che più ci metterà la faccia alla fine della vicenda, gli altri semplicemente ne escono tutti sconfitti ma in qualche modo tutti quanti vittoriosi.


domenica 15 marzo 2015

CHE PAESE, L'AMERICA

('Tis di Frank McCourt, 1999)

Seguito ideale del più conosciuto Le ceneri di Angela, Che paese, L'America è il secondo libro autobiografico dello scrittore irlandese Frank McCourt. Spesso per chi scrive aggiungere davanti al nome di un autore la sua nazionalità è un espediente per dare una facile connotazione alla persona di cui si sta parlando o semplicemente un modo per far girar bene una frase e renderla più musicale. Può non essere così evidente ma anche per la lingua scritta l'orecchio vuole la sua parte. Nel caso specifico quell'irlandese è quanto mai fondamentale per apprezzare a pieno gli scritti di McCourt, le sue origini e il suo parziale e invadente spaesamento nel nuovo continente misto al fastidioso e incessante presenziare di radici che non lasciano scampo. Questo aspetto è ben sottolineato nel libro da tutte le persone di origini irlandesi che a Frank capita di incontrare in America: ognuna di loro, immancabilmente, pretende di sapere da lui da che parte d'Irlanda provenga (la risposta è Limerick), come se in nessun caso fosse possibile essere semplicemente americano.

Mentre nel libro precedente l'autore narrava la sua infanzia in Irlanda tra miserie assortite, un padre ubriacone e una madre travolta dai sacrifici, attraversandola con gli occhi e l'innocenza del bambino che era allora, qui l'ex bimbo è ormai un ragazzo approdato in America per iniziare una nuova vita. La grande novità di questo libro rispetto al precedente sta nella mancanza della visione della vita filtrata dagli occhi del McCourt bambino, aspetto che aveva reso Le ceneri di Angela quel libro fantastico per il quale l'autore si aggiudicò il premio Pulitzer, un libro divertente e commovente allo stesso tempo, innocente e irriverente solo come i bambini possono essere.

Anche Che paese, l'America rimane una biografia capace di divertire e intristire, narrata però dallo sguardo di un uomo avviato all'età adulta e che la raggiungerà pienamente con il passare delle pagine. Un uomo umile, timido, impacciato con le donne, di quelli a cui viene difficile scostarsi dal proprio posto e che si porta ancora appresso i sensi di colpa derivanti da una dura educazione cattolica. Non sarà facile per il giovane Frank districarsi a New York tra i fantasmi dell'Irlanda, la povertà, il lavoro, l'esercito, le donne, l'università e i suoi sogni di una vita comoda magari nel ruolo di insegnante. Una bella moglie, una buona occupazione, la casetta col giardino, la televisione, lo steccato bianco e il giornale la domenica pomeriggio. un immigrato alla ricerca del suo sogno americano.

Nonostante non raggiunga le vette toccate da Le ceneri di Angela anche questo Che paese, l'America ha molto da offrire al lettore e chi apprezzò l'esordio di McCourt non mancherà di leggere con piacere anche questo secondo capitolo delle sue memorie. Lo stile dell'autore rimane semplice e diretto proprio com'era il bambino di allora e com'è l'uomo timido di oggi. Anche in America a movimentare la sua vita ritroveremo la madre Angela, il papà e i fratelli Malachy, Alphie e Michael. Un bel racconto di vita che si potrà approfondire con il racconto dell'esperienza scolastica di Ehi, Prof!

Frank McCourt

sabato 14 marzo 2015

AN EVENING WITH: JAMES ELLROY

Sono passati più di quattro anni ormai dalla mia ultima e unica sortita al Circolo dei lettori di Torino, all'epoca l'appuntamento era stato con lo scrittore Bret Easton Ellis e l'esperienza non completamente appagante (vedi qui).

Questa volta sono contento di poter dire che tutto è andato per il meglio, a partire dalla simpatica telefonata fatta al circolo per carpire alcune informazioni e che mi ha permesso di parlare con una ragazza davvero cortese la quale mi ha anche un pochino spiegato alcune dinamiche delle serate, buona occasione per farci due risate e sdrammatizzare sull'inspiegabile successo di pubblico conseguito da alcuni incontri rispetto ad altri (ovviamente di maggiore interesse).

Quel che importa realmente è che l'amico Luca ed io siamo riusciti a goderci al meglio la presentazione dell'ultima fatica di James Ellroy: Perfidia. In sala oltre allo scrittore anche l'editor Luca Briasco di Einaudi che ha svolto anche il compito di intervistatore e, ovviamente, la traduttrice.

Dopo tanto tempo e un'occasione mancata qualche anno fa, ecco comparire davanti a me il mio scrittore preferito (o uno dei ma un po' più degli altri). Ben piazzato, camicia hawayana neanche fosse adagiato sotto il sole di Miami, occhialini tondi e quell'aria da parzialmente matto che lo rende così intrigante. Peccato non abbia ululato come ogni tanto gli capita di fare. Nel complesso Ellroy si è rivelato persona capace di intrattenere il pubblico anche con la parola in forma orale oltre che con quella scritta, divertente e disponibile, non per niente sono tornato a casa con una copia di Ricatto autografata e con sopra il nome di mia figlia Laura scritto da Ellroy, una dedica per le generazioni future di fan.

Ma in parole povere cosa ci aspetta in questo Perfidia? Intanto il libro apre una nuova quadrilogia di Los Angeles ambientata questa volta sul finire del 1941 a cavallo dell'attacco di Pearl Harbor da parte dei giapponesi, un attacco capace di cambiare la visione della vita a molti giovani americani e ai nippo-americani presenti su suolo statunitense in quel periodo. Torneranno, nelle loro versioni più giovani, diversi personaggi che i fan di Ellroy hanno imparato ad amare nel corso di tanti anni di letture, un nome su tutti: Dudley Smith. A differenza di quel che accadeva in altri libri dello scrittore il periodo preso in considerazione sarà molto breve, l'intera vicenda (più di 800 pp.) si esaurirà nel giro di un mese. Quattro i personaggi principali e per la prima volta uno di questi sarà una donna, Kay Lake, per la quale lo scrittore ha ritagliato anche una prospettiva sugli eventi in prima persona, una prospettiva che il lettore troverà sotto forma di diario. E poi Lee Blanchard, Mickey Cohen, Buzz Meeks... e ai fan non serve altro.

Viene l'acquolina in bocca al pensiero di ritrovare Ellroy su uno di quei progetti ad ampio respiro nei quali lo scrittore rende al meglio. Non vedo l'ora, prima però dovrò affrontare la lettura di Caccia alle donne e Ricatto (autografato).


giovedì 12 marzo 2015

BRADI ART

Il Bradi nell'arte...


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mercoledì 11 marzo 2015

OPERAZIONE VALCHIRIA

(Valkyrie di Bryan Singer, 2008)

Operazione Valchiria racconta in maniera romanzata il tentativo di attentato (fallito) ai danni di Adolf Hitler (David Bamber) organizzato da alcuni ufficiali dissidenti della stessa Wehrmacht che ebbe luogo il 20 luglio del 1944 a Rastenburg.

Il ruolo del protagonista è affidato a un Tom Cruise duro e implacabile che interpreta la parte del Colonnello von Stauffenberg, reduce delle campagne naziste in nord Africa al termine delle quali tornerà in patria privo di un occhio, di una mano e di due dita della mano rimanente. Già durante i mesi passati in Tunisia il Colonnello mostra una forte insofferenza per la condotta di Hitler nella convinzione che questi stia portando la Germania verso la disfatta e l'Europa tutta verso un'inevitabile e inutile crescendo di distruzione e morte. La sua idea, per la quale non cessa di cercare con discrezione preziosi alleati, è quella di pianificare un'armistizio con le forze avversarie e portare la Germania verso una resa dignitosa atta a impedirne la distruzione e l'onta futura e inevitabile dovuta alla follia e alle barbarie perpetrate dalle SS agli ordini del Fuhrer.

Von Stauffenberg non è il solo ufficiale dell'esercito nazista a volere la caduta di Hitler, già nelle prime battute del film si assiste infatti a un altro tentativo di attentato che non andrà a buon fine organizzato dal Generale Henning Von Tresckow (Kenneth Branagh), e la cospirazione che via via diventa sempre più organizzata coinvolge alti ufficiali, ex militari e figure politiche. L'idea di Von Strauffenberg, sostenuta da alcune figure chiave indispensabili alla buona riuscita del piano, è quella di rivoltare contro le stesse SS tutte le milizie di riserva tedesche stanziate in Germania e nei paesi limitrofi facendo credere a tutti l'attuazione di un colpo di Stato da parte dei vertici delle SS  ai danni di Hitler. Per far questo sarà necessario apportare alcune modifiche al programma Operazione Valchiria che gestisce le milizie di riserva e farle approvare al Fuhrer stesso, fatto questo togliere di mezzo Hitler una volta per tutte.


Nonostante il film racconti la messa in atto di un piano per la cui riuscita molti tasselli devono andare per forza a incastrarsi perfettamente, Singer realizza un film solido e lineare che non si perde in messe in scena intricate ma mantiene sempre lucidità e chiarezza. Tutto il cast, molto nutrito (presente anche Tom Wilkinson), è funzionale alla trama e pochissime sono le distrazioni concesse dalla sceneggiatura che esulano dalla vicenda principale (come l'occhio nella scatola ad esempio). L'impressione è quella di un regista che partito dall'episodio storico procede dritto verso la sua meta senza concedersi divagazione alcuna. Forse ne esce un film non particolarmente coinvolgente ma diretto ed efficace che ha il merito di riproporre un episodio storico magari non noto a tutti, visivamente fin troppo pulito ma graziato da un bel lavoro sul sonoro.

Sotto i riflettori la presenza di molti ufficiali tedeschi contrari all'operato folle e crudele messo in atto dal proprio comandante, preoccupati dalla svolta totalitaria ed espansionistica tedesca, alcuni capaci di dimostrarsi fermi e coraggiosi e altri, come accade in tutti i paesi del mondo e in tutte le situazioni critiche, spaventati e codardi.

Potrete anche consegnarci al boia, ma in tre mesi di tempo, disgustato e distrutto, il popolo ve ne chiederà conto e vi trascinerà vivi nel fango delle strade. Erwin Von Witzleben giustiziato l'8 agosto 1944.


lunedì 9 marzo 2015

LA BUONANOTTE - THE MUSIC - THE PEOPLE

Nell'augurarvi una buona notte...



The Music - The people

dall'album The music del 2002

ERINNI

Mi piacerebbe continuare ad omaggiare il lavoro di Ade Capone spendendo due parole su Erinni, opera più controversa e complessa rispetto a Kor One, miniserie di cui avevamo parlato la volta scorsa. Intanto la serie dedicata alla serial killer Erinni è articolata su dodici atti più due prologhi e un atto finale per una mole complessiva che sfiora le trecento pagine e che quindi ha consentito all'autore maggiori approfondimenti e occasioni di sviluppo.

Ciò non toglie che oltre ai vantaggi della foliazione massiccia, dall'opera emergano anche alcuni difetti o caratteristiche che io recepisco come tali, aspetti del lavoro di Ade Capone che accomunano diverse sue sceneggiature e creature (la mente inevitabilmente torna al caro Lazarus Ledd).

Inquadriamo il personaggio: Erinni è la professoressa universitaria Eleanore Glenn, una donna disinibita che in seguito a misteriosi episodi del suo passato inizia ad uccidere uomini che hanno un rapporto perverso e lascivo con il sesso. Nel far questo l'efferata killer si mette in gioco totalmente portando le sue vittime al massimo del piacere sessuale prima di ucciderle. La tematica sessuale, decisamente forte in quest'opera, dimostra quanto coraggio avesse un Ade Capone, autore che arrivava dal fumetto popolare italiano. Nonostante Erinni veda solo ora gli scaffali delle edicole grazie all'edizione della Cosmo, già nel lontano '96, seppure sotto l'etichetta indipendente della Liberty, questo era un fumetto che poteva considerarsi fuori dagli schemi. Portare temi poco battuti nel fumetto popolare era un pallino di Capone che anche in Lazarus Ledd, prodotto per l'edicola di stampo avventuroso (con tutte le varianti di generi), trattava il tabù sesso con una visione e un piglio più adulto rispetto ad altri albi riconducibili allo stesso segmento commerciale.

Ambienti sordidi, nudi integrali, rapporti omosessuali, fellatio, masturbazione, frigidità, orge, pornografia, rituali saffici e sangue, nulla viene risparmiato in Erinni ma nulla dà l'idea della gratuità e della scena alla ricerca dell'effettaccio. Il tutto è cornice, morbosa e atipica se vogliamo, di una trama thriller con un'assassina braccata dalla polizia e ricattata da un'agente dell'F.B.I. Perché non è la sola Erinni l'unico personaggio interessante della vicenda, c'è il Tenente Magdalene Wellman a condurre le indagini sulla serial killer, una donna frigida che viene colta da violentissimi spasmi da desiderio sessuale incontrollato ogni qual volta Erinni uccide, ci sono l'agente Culver preso dal nuovo Tenente e il volgare e laido agente Rogers e poi, tra gli altri, il Capitano Phil Boneyard che ha scoperto l'identità di Erinni e la ricatta al fine di farle uccidere alcune specifiche persone.

Insomma, carne al fuoco ce n'è ed è di quella un poco atipica, il gusto deve piacere ma la serie indubbiamente si legge bene e i risvolti del thriller non annoiano garantendo la giusta dose di divertimento. Le note dolenti arrivano a mio avviso da quella tendenza dello scrittore a cadere ogni tanto nel discorso retorico, un tantino ridondante e di maniera. Ad esempio tutto il pistolotto presente nell'atto mezzo (uno dei prologhi) a opera di un dj notturno che tanto ricorda il Nightfly di Lazarus Ledd era francamente evitabile, passaggi come questo: la giovinezza che se n'è andata, con la sua spensierata follia. S'invecchia presto, in questo cazzo di mondo, s'invecchia dentro, e quando te ne accorgi è già troppo tardi... giusto per rendere l'idea, artificiosi, superflui, alcune considerazioni spezzano il ritmo e personalmente mi infastidiscono anche un po'.

Come in Kor One le matite del prologo sono affidate ad Alessio Fortunato che anche qui non si smentisce confermandosi uno dei migliori disegnatori tra i collaboratori di Ade. Il secondo prologo, quello col pistolotto del dj, è un episodio natalizio realizzato da Andrea Carnevale che nelle intenzione voleva forse richiamare, senza peraltro riuscirci, l'impatto visivo del Sin City di Frank Miller. Il grosso dell'opera è affidato a Luca Panciroli, disegnatore ufficiale della serie, matitista che non rientra tra i miei preferiti e che qui mette su carta un lavoro discontinuo che alterna tavole più curate ad altre meno riuscite, spigoloso e deformato su molti volti e anatomie garantisce comunque un lavoro fruibile e atmosfere adatte alla storia. Un poco meno gradevoli i due atti finali a opera di Marco Sciame che arrivano forse quando ormai l'occhio si è abituato al tratto di Panciroli. Si chiude in bellezza con l'atto finale a cura di Fabio Bartolini, un grande disegnatore dal tratto forse fin troppo pulito ma che crea uno stacco stilistico e qualitativo con gli episodi precedenti che garantisce una bella chiusura alla serie.

Appuntamento tra qualche tempo con nuove opere scritte da Ade Capone.


sabato 7 marzo 2015

COVER GALLERY - ALL STAR WESTERN

All Star Western 1 - Moritat
Per questo appuntamento con Cover Gallery facciamo una capatina dalle parti del vecchio west, almeno per quel che riguarda l'epoca. Pur avendo letto un solo episodio di questa recente serie lanciata dalla DC Comics con l'ondata dei New 52 del 2011, sono abbastanza certo che le vicende che coinvolgono Jonah Hex e altri personaggi si svolgano in una Gotham di fine '800, molto distante quindi dall'ovest americano.

Da quel che si evince dalle copertine e dall'unica storia da me letta, nonostante All Star Western sia ambientata in un'epoca passata non mancano i collegamenti tra questa e altre serie ambientate nell'universo DC attuale (e questo credo non sia un bene, la testata tra l'altro pare aver chiuso con il numero 34). Crossover sui generis quindi anche con eventi moderni come La notte dei gufi, recente saga che ha visto impegnato Batman e i suoi pards, visite da viaggiatori temporali come Booster Gold e capatine dello stesso Jonah Hex nella Gotham moderna.

A disegnare o dipingere le varie cover della serie si sono avvicendati diversi cartoonist tra i quali nomi di tutto rispetto e molto noti al grande pubblico. Qui sotto potete trovare una selezione dei loro lavori scelti ovviamente a mia discrezione.

Come per gli scorsi appuntamenti e come accadrà nei prossimi, vi chiedo di segnalare le vostre cover preferite (per un massimo di tre) in modo da organizzare un'eventuale mostra virtuale con le migliori illustrazioni proposte nei vari Cover Gallery. Ovviamente il voto è completamente libero, si può giudicare il tratto del disegnatore, la costruzione della copertina, il soggetto, lo stile, l'eventuale citazione, etc..., insomma, quello che più vi piace, non ci sono regole. E magari questo pistolotto ve lo beccherete copincollato tutte le prossime volte, come memento :)

PS: la cover in apertura di post è votabile come le altre.


All Star Western 3 - Rafa



All Star Western 5 - Jose Ladronn



All Star Western 6 - Jose Ladronn



All Star Western 14 - Ariel Olivetti



All Star Western 16 - Walter Simonson



All Star Western 17 - Bill Sienkiewicz



All Star Western 18 - Glenn Fabry



All Star Western 19 - Howard Porter



All Star Western 23 - Howard Porter



All Star Western 24 - Leonardo Manco



All Star Western 32 - Dan Panosian



All Star Western 33 - Dan Johnson

giovedì 5 marzo 2015

BRADI PIT 123

Perché lasciare questi poveri bradipi abbandonati a sè stessi...


Clicca sull'immagine per ingrandire.

Aiutaci a diffondere il verbo del Bradipo linkandolo. Fallo tu perché il Bradipo fa n'caz.

mercoledì 4 marzo 2015

LASCIAMI ENTRARE

(Lat den ratte komma in di Tomas Alfredson, 2008)

Dalla periferia di Stoccolma (anche se il film è stato girato più a nord) arriva un horror atipico e bellissimo, un film a cui sta stretta la reclusione nel genere e che sconfina con grande naturalezza in situazioni ordinarie e universali. Il regista Tomas Alfredson ha la grande abilità di riuscire a portare l'orrore nel quotidiano in maniera molto più naturale della maggior parte dei registi che hanno tentato l'esperimento. Come Van Sant ha mostrato (documentato?) l'esistenza della follia omicida apparentemente banale e inspiegabile con il suo Elephant, allo stesso modo, anche se in maniera diversa, il lavoro di Alfredson riuscirebbe a farci credere all'impossibile se solo alcuni elementi della vicenda non fossero così irrazionali.

Cercherò di argomentare meglio perché non credo che il mio pensiero riportato sopra, colmo di ammirazione, riesca a rendere al meglio l'idea del lavoro compiuto da regista, cast e staff per la realizzazione di questo film. Intanto parlare di horror è davvero riduttivo, il film può considerarsi una storia d'amicizia e amore tra due pre adolescenti (i protagonisti hanno 12 anni) venata da virate orrorifiche rese stranianti proprio dal fatto che protagonisti sono due bambini, almeno uno dei quali conduce una vita pressoché ordinaria. La scelta del regista di non eccedere con il sangue e con le scene truci ma di mantenere un profilo basso sotto questo aspetto è forse la caratteristica che maggiormente rende speciale e riuscito Lasciami entrare poiché tutto sembra riconducibile alla sfera del possibile, tutto sembra assecondare solo una strana devianza della natura, insomma... cose che capitano.

D'altronde il giovane Oskar (Kare Hedebrandt), come tanti altri bambini della sua età, va tutti i giorni a scuola, sopporta stoicamente le prepotenze dei compagni bulli fantasticando in privato di fargliela pagare in maniera violenta, vive con la mamma e porta avanti anche il rapporto con il papà ormai fuoriuscito dal nucleo familiare, frequenta le attività extrascolastiche, partecipa alle gite, etc...

Oskar vive a Blackeberg dove fa freddo, c'è sempre tanta neve, fa buio presto e ogni tanto capita che succeda qualcosa di brutto, ragion per cui anche a scuola si discute con i bambini sui pericoli del mondo esterno. Oskar non ha molti amici, gioca spesso da solo nel cortile davanti al suo palazzo dove sfoga le sue frustrazioni dovute alle prepotenze degli altri bambini, ed è proprio lì, verso sera, che incontra per la prima volta la sua coetanea Eli (Lina Leandersson).


Ad Eli piace uscire la sera, non patisce minimamente il freddo e conduce un'esistenza da reclusa protetta dal suo papà Hakan (Per Ragnar). Lentamente il rapporto tra i due amici si consolida nonostante Eli dimostri di avere qualcosa di particolare e di essere molto diversa dalle altre bambine. Non svelo troppo giusto per i pochi lettori che amano la sorpresa totale e che non sono a conoscenza dell'argomento trattato nel film.

La fotografia dei luoghi, la neve, il senso di paesaggio ovattato contribuiscono a tenere la vicenda straordinaria e a tratti molto, molto dolente sui binari di umanità e comprensione che non fanno mai aprire totalmente la porta verso il fantastico. E questo aspetto è un grande valore aggiunto per questo film.

Non è facile spiegare le sensazioni che si provano guardando Lasciami entrare, se non l'avete ancora fatto guardatelo e poi riuscirete a capire quello che ho qui inutilmente tentato di descrivere.


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