lunedì 25 maggio 2020

GIMME DANGER

(di Jim Jarmusch, 2016)

In Gimme danger non bisogna cercare l'approccio enciclopedico, quello di Jim Jarmusch verso i The Stooges è più un piccolo atto d'amore che non una ricostruzione filologica, un'ennesima dimostrazione d'affetto del regista nei confronti della band e del suo leader Iggy Pop con il quale Jarmusch collaborò in precedenza già in due occasioni, il frontman degli Stooges compare infatti nelle vesti di attore in Coffee and cigarettes e in Dead man e tornerà a prestare il suo volto al regista anche ne I morti non muoiono. Gimme danger non vuole essere un resoconto completo della carriera dei The Stooges, sembra più che Jarmusch voglia regalare a Iggy e Scott Asheton, storico batterista del gruppo, la possibilità di raccontarsi, di infilare qualche aneddoto, di ripercorrere un po' di cuore, in maniera spontanea, gli anni che hanno portato, con il ritardo che ci è voluto, gli Stooges a essere considerati dei precursori, anche poco capiti ai tempi, di un'ondata di musica, attitudine e cultura ancora di là da venire. Si parte da quella che sembra la fine per il gruppo, quello che sarà effettivamente il capolinea, seppur temporaneo, di una band troppo fuori dagli schemi per essere veramente apprezzata, pur avendo diversi sostenitori e ammiratori, i tre dischi fino ad allora registrati dalla band, The Stooges, Fun house e Raw power, non vendono a sufficienza, gli Stooges vengono scaricati dalla loro casa discografica. I problemi legati agli eccessi e alle droghe, non solo da parte di Iggy, fanno il resto. Proprio su quest'ultimo aspetto Jarmusch si rivela molto indulgente con la band, se il comportamento quantomeno scalmanato e poco urbano dei nostri, mescolato ai problemi con le droghe, furono indubbiamente tra le caratteristiche distintive del gruppo, in Gimme danger questo aspetto viene affrontato solo parzialmente, ovviamente lo si coglie tra le righe, la materia è nota e se proprio non si è a digiuno nel campo non è necessaria l'imbeccata di Jarmusch per tirare i contorni alle figure di Iggy Pop e soci, si preferisce però dare un'impostazione più nostalgica al tutto, un flusso di parole, suoni e immagini sull'onda dei ricordi.


A parlare non è mai l'Iguana, l'interlocutore dello spettatore è sempre James Osterberg Jr., il ragazzo del Michigan ora diventato quello che in Gimme danger sembra un simpatico signore di mezza età in splendida forma (che in realtà al momento dell'uscita del film ha settant'anni, anno più, anno meno). James è affabile, educato, divertente, spesso sentimentale, sembra avere poco di quell'irriverenza ribelle che scatena sul palco ormai da una vita, quello che James racconta è principalmente un percorso di passione, d'amicizia, di libertà e anticonformismo molto naturale, nato per predisposizione più che per rifiuto, James racconta più volte con sincero trasporto il bel rapporto con i genitori, l'affetto che questi avevano per un figlio che li faceva impazzire con la sua batteria (vivevano tutti in una roulotte) e soprattutto l'amore fraterno per gli amici, i fratelli Ron e Scott Asheton, dimostrando anche una vera ammirazione per loro, soprattutto per il primo già venuto a mancare al momento della registrazione di questo documentario (nonostante tra tutti fosse il meno vizioso). Questo approccio libero, fuori dagli schemi, porterà il gruppo a suonare e ad esibirsi senza compromessi, anticipando i tempi e pagando la loro avversione a tutto ciò che suonasse "commerciale" con scarse vendite e una carriera incerta, il successo arriverà solo più tardi per la band, con l'esplosione del movimento punk.


Jarmusch ha un approccio alla materia molto "stiloso" e ironico, la mano del regista si vede nel montaggio e nella scelta delle contrapposizioni in immagini alle parole di James e di Scott, le dichiarazioni dei protagonisti sono molto spesso supportate da estratti di trasmissioni televisive americane anni 50 e 60, di cui è facile pensare Jarmusch sia un intenditore, così come da scene di film delle stesse epoche, il tutto dona ritmo e spirito agli interventi dei protagonisti che raccontano a ruota libera, senza interlocutore, inframmezzati da immagini live d'epoca, vecchie dichiarazioni e appunto filmati scelti dal regista che fanno da contrappunto al contesto di cui si sta discutendo al momento. Quello che ne esce è un ricordo affettuoso di anni passati, narrati dai primi protagonisti ma anche da chi arrivò più tardi a collaborare con Iggy Pop la cui carriera solista è lasciata da parte, anche il rapporto con David Bowie, produttore di Raw Power, viene qui più che altro accennato, perché Gimme danger è un film sugli Stooges e solo loro, dei loro fan, del loro pubblico, non di Iggy Pop ma di James Osterberg. Probabilmente per i cultori qui non ci sono novità rilevanti, c'è qualche immagine inedita magari, l'impianto dell'opera in questo senso sarà più utile per i profani, però c'è un affetto sincero e un lavoro di un regista che probabilmente a questa band vuole bene davvero.

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