(Jiānghú érnǚ di Jia Zhang-ke, 2018)
Bastano pochi film per capire come quello di Jia Zhang-ke sia il percorso di un grandissimo autore, un regista che ancora tutto sommato giovane (classe '70) ha fermato nel tempo i grandi cambiamenti che la Cina e la sua popolazione hanno vissuto a cavallo dei due millenni; quello di Jia Zhang-ke è un viaggio in divenire, come lo sono le storie dei protagonisti dei suoi film, percorsi esistenziali ma anche geografici e che, come per ogni spostamento, non sono esenti da ritorni, riferimenti a temi già trattati, ritorni sui luoghi fisici e nel merito puramente cinematografico ritorni agli stessi attori, su tutti Zhao Tao anche moglie dello stesso regista e presente in diverse sue opere. I figli del fiume giallo è al momento l'ultimo tassello della filmografia del regista cinese, un corpo d'opera che inizia a mostrare rimandi autoreferenziali che aggiungono valore oltre che ai singoli film anche all'esperienza dello spettatore che può creare collegamenti non solo generali su tematiche e argomenti ma anche rimandi ben specifici su volti, singoli episodi e strizzate d'occhio a dare completezza anche al nostro di percorso in quanto fruitori dell'opera.La Jianghu è un'organizzazione criminale locale che si occupa principalmente di gioco d'azzardo alla quale appartengono anche Bin (Liao Fan) e la sua donna Qiao (Zhao Tao), entrambi molto rispettati dagli altri esponenti del gruppo. Bin è una sorta di autorità che riesce a tenere a bada le contese tra vari membri dell'organizzazione nel territorio di Datong, mantenere l'ordine anche tra cani sciolti e altre organizzazioni invece non è sempre semplice, Bing subisce anche un paio di aggressioni durante una delle quali Qiao è costretta a esplodere un colpo di pistola; fermata dalla polizia per possesso d'arma illegale sconterà ben cinque anni in carcere. Uscita di galera Qiao tenterà di rintracciare Bin che nel frattempo si è trasferito a sud nella zona di Fengjie rifacendosi una nuova vita; per Qin sarà un periodo duro durante il quale si troverà a doversi arrangiare con diversi espedienti, il suo passato criminale la aiuterà a sopravvivere giorno dopo giorno. Ma il legame tra Bin e Qiao non è così facile da spezzare nonostante i mutamenti della vita e i cambiamenti che il Paese impone ai suoi cittadini.
A dimostrare quasi una circolarità nel suo cinema Jia Zhang-ke torna sul fiume, alla diga delle Tre Gole dove in Still life proprio Zhao Tao andava alla ricerca del marito perduto, proprio come in I figli del fiume giallo la stessa attrice, in una sequenza che richiama in molti particolari quella del film precedente, raggiunge la città di Fengjie alla ricerca del suo amato Bin. Ma come cambiano i sentimenti dei protagonisti cambia la Cina, la voce sul battello ricorda ai viaggiatori come gradualmente questi luoghi verranno evacuati e sommersi dall'acqua del fiume, sepolti in un bacino idrico che vuole per il popolo nuove esistenze, come quella che suo malgrado sarà costretta a cercare Qiao. Durante la sua ricerca, una volta uscita di galera, c'è un'altra sequenza molto significativa: la donna incontra sul treno un uomo che viaggia verso sud, lui dice di avere un progetto turistico da realizzare, un tour per turisti sui luoghi di avvistamenti Ufo, quando questi chiede a Qiao se crede negli Ufo lei gli risponde di averne visto uno una volta, lo spettatore preparato torna a una delle tre scene surreali di Still life chiudendo un cerchio che verrà ripreso ancora più avanti. Piccoli rimandi che fanno crescere la narrazione che qui è tripartita come in Al di là delle montagne seppur con tempi cronologici più vicini tra loro. C'è un senso di disfacimento che accompagna il (i) film e la Cina tutta, per sopravvivere a Qiao non resta che tornare al passato, cosa che non sarà possibile per tutti (i minatori del nord), Jia Zhang-ke ancora una volta si fa cantore non solo dei suoi protagonisti ma delle trasformazioni del suo Paese che passa dal falso ottimismo un po' farlocco dei Village People alla solitudine dell'abbandono e delle memorie perdute.
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