sabato 19 giugno 2021

AL DI LÀ DELLE MONTAGNE

(Shānhé gùrén di Jia Zhang-ke, 2015)

Lo sguardo di Jia Zhang-ke torna ai mutamenti economici e culturali che travolgono la Cina del nuovo millennio e i suoi abitanti, discorso già intavolato in passato con altre opere come Still life del 2006, lo fa con un film tripartito che in più momenti e soprattutto sul finale riesce a commuovere nonostante una chiusa molto ironica a riprendere l'apertura del film e che dona alle note di Go west dei Pet Shop Boys un valore decisamente sardonico se non addirittura molto amaro. Tre tempi diversi, tutti prossimi al nostro presente, ognuno di questi ritratto con un formato cinematografico proprio, cosa che soprattutto all'inizio, nel segmento che torna al 4/3 abbandonato ormai da qualche anno, crea un po' di spaesamento visivo, acuito da alcune scelte del regista che gioca con i colori e con vari effetti di sfocatura dell'immagine con un ritorno straniante ma allo stesso tempo molto interessante. Si parte dal 1999, siamo alla svolta, Macao sta per tornare sotto il dominio cinese, il tanto decantato duemila è alle porte, la Cina vi si approccia con uno slancio sempre più proteso al capitale, al benessere fondato su un modello occidentale che per essere realizzato cozza e inevitabilmente abbatte cultura e tradizioni millenarie.

A Fenyang la giovane Tao (Zhao Tao) è oggetto dell'amore di due amici: Zhang Jinsheng (Zhang Yi), proprietario di una piccola stazione di servizio e deciso a sfruttare l'opportunità della nuova ondata capitalista, e il più modesto e timido Liangzi (Liang Jing-dong) che lavora come custode in una miniera. I tre sono amici da tempo, un'amicizia che si guasta proprio a causa della rivalità in amore tra i due ragazzi, Zhang con fare prepotente pretende che l'amico si faccia da parte, Tao dal canto suo fatica a scegliere, lo farà poi in favore del piccolo imprenditore destinato ad arricchirsi, questi comprerà anche la miniera dove lavora Liangzi rivelandosi un amico decisamente poco sincero. In questi tre personaggi c'è una più o meno velata metafora della situazione della Cina (Tao) contesa tra capitalismo occidentale (Zhang) e tradizione (Liangzi), la scelta che porta verso il capitale andrà a discapito dell'identità culturale del Paese e delle sue tradizioni destinate a sparire poco a poco proprio come accadrà al personaggio di Liangzi nel corso del film, Tao non troverà la felicità, il matrimonio è destinato a fallire, mentre il capitale si rivelerà cieco e autocelebrativo, disumanizzante, Zhang chiamerà il figlio che avrà da Tao con il nome emblematico di Dollar (Dong Zijan).

Salto di quindici anni in avanti, siamo nel 2014, Tao è separata da Zhang che sta pensando di portare il piccolo Dollar a vivere in Australia, la separazione dalla Cina è definitiva, così come apparentemente sarà quella del bimbo dalla sua mamma, la generazione successiva rischia di non conoscere le tradizioni e il valore del proprio Paese, nel frattempo Liangzi è stato costretto ad andare a lavorare al di là delle montagne, in Afghanistan, dove lo aspetterà un figlio e qualche brutta sorpresa. Il tempo corre come l'acqua che passa sotto i ponti, elemento già usato in passato da Jia Zhang-ke come metafora del cambiamento, i legami si sfilacciano.

In un 2025 del tutto simile al nostro presente Dollar vive in Australia, parla solo inglese e ha perso ogni legame con il suo passato, non vede la madre da quando aveva otto anni, è insoddisfatto della vita infiocchettata per lui dal padre che è ormai in odore di fallimento, viene sottolineata la mancanza di comunicazione tra le generazioni dove un padre che non parla inglese è impossibilitato a comunicare con un figlio a cui è stata negata l'educazione delle proprie origini e che parla invece solo inglese, il regista ci mostra la realtà terribile dei due consanguinei che non parlano la stessa lingua e che si affidano ad una tecnologia fallace per potersi comprendere. La situazione è esplosiva e in effetti esploderà, come quelle cariche usate in miniera e che lo stesso Zhang era pronto ad adoperare per far valere le proprie ragioni, con violenza e prepotenza, come l'arroganza del capitale comanda. E poi i Pet Shop Boys.

Altro film molto bello di Jia Zhang-ke, regista da approfondire che persegue una sua poetica e un suo discorso che ha radici profonde nel proprio Paese, il cinema del regista cinese è stato osteggiato dal suo stesso governo proprio per la palese denuncia verso uno smantellamento culturale ma anche fisico (come si vede in Still Life) della Cina e delle sue tradizioni che è ormai divenuto sistematico nell'inseguire il sogno del capitale e una modernità che rischia di essere pagata a caro prezzo.

Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...