(The long walk di Richard Bachman/Stephen King, 1979)
C'era una volta Richard Bachman. Lo scrittore in questione era un tipo schivo, defilato, un uomo nemmeno troppo simpatico si dice; Bachman vantava un passato nella marina mercantile e un paio d'anni di servizio per la Guardia Costiera statunitense, viveva in una fattoria nel New Hampshire e coltivava l'abitudine di scrivere i suoi romanzi durante le ore notturne. Richard Bachman e la moglie Claudia Inez passarono attraverso la tragedia della perdita di un figlio piccolo, morto in seguito a una caduta in un pozzo. A questo dolore, nel 1985, per la povera Claudia si aggiunge anche la perdita del marito, ucciso da tal Steve Brown, uno zelante commesso di una libreria di Washington; quest'ultimo, roso da fondati sospetti, si adoperò per fare alcune ricerche e ottenere diverse informazioni così da scoprire che i diritti d'autore dei libri di Richard Bachman finivano dritti dritti nelle tasche di Stephen King. Rendendo pubblica la notizia Brown uccise di fatto Richard Bachman. In tutto ciò la buona novella è che nessun bambino è caduto davvero nel pozzo e nessuna Claudia Inez in Bachman ne ha dovuto di conseguenza piangere la scomparsa. Come sostiene lo stesso King, Bachman è finito per morire di cancro dello pseudonimo; la seconda buona notizia in questa triste vicenda e che se lo scrittore (King, Bachman, decidete voi) non fosse stato scoperto, chissà quanti di noi i romanzi di Bachman non li avrebbero mai letti, vendendo questi giusto un decimo di quanto vendeva all'epoca uno Stephen King qualsiasi non è detto che la loro diffusione sarebbe stata esattamente la stessa. E quindi ora siamo qui con un catalogo del Re più ricco di ben cinque titoli: Ossessione (1977), La lunga marcia (1979), Uscita per l'inferno (1981), L'uomo in fuga (1982) e L'occhio del male (1984). Nell'introduzione all'edizione tascabile della Sperling de La lunga marcia Stephen King ci racconta un po' di retroscena sulla nascita e sulla morte del suo alter ego e i motivi che lo spinsero a pubblicare questi cinque romanzi a tematica prevalentemente non horror sotto pseudonimo, un'intervento parecchio sfizioso e interessante.In uno slancio di autoanalisi lo scrittore del Maine parla di questo La lunga marcia come di un libro che presenta diversi difetti, un po' pretenzioso in alcuni passaggi, ma che tutto sommato reputa ancor oggi un buon libro al pari di Ossessione, mentre tra i romanzi firmati con il nome di Bachman elegge come migliore L'uomo in fuga e decisamente meno riusciti Uscita per l'inferno e L'occhio del male. Per quanto riguarda questo libro mi sembra che il giudizio dato dallo stesso King si possa considerare onesto e veritiero. I difetti più evidenti da rimarcare possono essere almeno due: il finale affrettato e deludente, cosa che conoscendo l'autore non stupisce più di tanto ma nemmeno intacca il piacere della lettura, e la mancanza di descrizione di un contesto allargato per inquadrare al meglio il mondo in cui si trovano ad agire i protagonisti del libro, il lettore infatti si troverà a seguire una vicenda le cui motivazioni non sono esplicitate e risultano impossibili da comprendere, si lascia alla fantasia del pubblico riempire uno sfondo che sarebbe stato interessante esplorare almeno in minima parte.
In una società che potrebbe essere simile alla nostra ma anche molto diversa, come si diceva poc'anzi non è dato saperne molto, ogni anno si corre la Lunga Marcia, una gara a eliminazione dove cento concorrenti, mediamente giovani e tutti maschi, si sfidano in una gara di resistenza in cui dal momento della partenza è vietato fermarsi, mai, nemmeno per svuotare l'intestino né per mangiare, giorno e notte in marcia, non è necessario correre ma non si può rallentare al di sotto di un'andatura minima, pena l'ammonizione. La gara è seguita e arbitrata dall'esercito capeggiato dal Maggiore, una figura misteriosa e idolatrata, il concorrente che supera le tre ammonizioni si becca il congedo, ed è un congedo permanente dalla vita, il vincitore, uno solo, l'ultimo a rimanere in piedi, la realizzazione di tutti i suoi desideri per il resto della vita. Motivazioni della gara? Impatto sulla società? Non è dato sapere.
Fin dal principio Stephen King ci fa seguire quella che sarà la drammatica esperienza nella Lunga Marcia di uno dei partecipanti, Ray Garraty, un ragazzo originario del Maine con una bella ragazza ad aspettarlo a casa, una madre preoccupata e contraria a questa follia; con il passare delle pagine conosceremo alcuni degli altri partecipanti alla marcia con i loro tratti distintivi: il leale Peter McVries, uno tra i principali compagni di viaggio per Ray, poi Art Baker, Hank Olson, l'enigmatico Stebbins, l'odioso Barkovitch e altri ancora con i quali il protagonista farà conoscenza lungo il cammino, legami destinati a spezzarsi nel giro di ore, forse giorni, in base alla resistenza di ognuno dei ragazzi. King non ci presenta tutti i partecipanti ma si concentra sulle reazioni di una selezione di questi alla straordinaria e pericolosa situazione, sui loro racconti, sulle dinamiche di gruppo ma soprattutto sul rapporto di ognuno di loro con la scelta compiuta, quella di partecipare a un gioco al massacro, sulle motivazioni che li hanno mossi a un atto quasi certamente suicida e sul rapporto degli stessi con il valore che danno alla vita e con il desiderio di sopravvivenza che sarà in tutti più forte di quello per il premio finale. I temi sono alti, lo sviluppo non così semplice e nel complesso non troppo approfondito né illuminante, però rimane di fondo una buona storia che, seguendo il ritmo della corsa, non permette rallentamenti e il libro infatti si divora in pochi giorni. Sono pochi gli elementi in campo: i concorrenti, l'esercito, la folla acclamante, la strada. Tutto si regge sul confronto tra i ragazzi, sui loro pensieri, sui rapporti tra i concorrenti, quello che può avvenire il lettore più o meno può immaginarlo, la curiosità sta tutta nel come.
È un buon libro La lunga marcia, come dice King funziona bene ancora oggi, non è sicuramente tra i migliori esiti del Re, indubbiamente avrebbe avuto bisogno di un maggior ricamo di contorno e di un finale meno ermetico, però, scritto da un Richard Bachman qualsiasi e piazzato sugli scaffali degli autogrill...
Pensa che questo è stato il mio primo King. Acquistato alla fine delle scuole medie, quando ancora non avevo idea esistesse un Richard Bachman, mi ha conquistata dall'inizio alla fine e l'ho distrutto a forza di rileggerlo, spingendomi a diventare una fan del Re.
RispondiEliminaL'ho riletto qualche mese fa e, hai ragione, il finale è un po' "buttato lì" ed ermetico ma è sempre una bella lettura, angosciante quanto basta.
Guarda, io sono uno che non dà troppa importanza ai finali, l'importante è il viaggio, amo il re ma ammetto che sulle chiusure spesso pecca un po'come in questo libro. Però la lettura è piacevolissima e proprio come accade ai protagonisti non ci si può mai fermare. Un altro libro riuscito di King.
EliminaTi dirò che a me sta bene anche quel finale, anche se la rivelazione su Stebbins è tutto sommato abbastanza telefonata.
RispondiEliminaA me i romanzi giovanili di King scritti sotto pseudonimo piacciono quasi tutti, anche L'uomo in fuga e Ossessione li adoro.
Si, come scrivevo in risposta a Babol anche per me il finale non inficia il valore di un libro, anche i vari Bachman ricordo di averli letti tutti con piacere, L'uomo in fuga il migliore però a me era piaciuto anche Uscita per l'inferno che secondo King è tra i suoi peggiori, io non ne ho un cattivo ricordo sebbene sia passato davvero molto tempo dalla lettura. Di questi targati Bachman mi manca ancora L'occhio del male.
EliminaNon i migliore del Re, vero, però lo ritengo ancora oggi un ottimo romanzo - poi in quel periodo lessi tantissimo di suo, ci sono titoli a cui sono affezionatissimo proprio per quello. E il finale invece mi sembra efficace, visto quanto descritto prima...
RispondiEliminaIndubbiamente un buon romanzo, tutto sommato piace ancora parecchio anche al Re, il finale l'ho trovato un po' così, ma pazienza, va bene lo stesso, val bene una lettura.
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