venerdì 9 luglio 2021

TAIPEI STORY

(di Edward Yang, 1985)

Nelle scorse settimane ho dedicato diversi post alla nascita della New wave del cinema di Taiwan esaminando per lo più i primi passi mossi dal regista Hou Hsiao-hsien, uno dei nomi di punta di quella che fu un'ondata di vero rinnovamento del cinema dell'isola. L'altro nome forte di questa corrente è stato Edward Yang, regista purtroppo prematuramente scomparso e che arrivò addirittura prima del suo illustre collega alla New wave partecipando al film collettivo In our time che viene di consuetudine indicato come l'opera con cui nasce il movimento. Con Taipei Story, datato 1985, non abbandoniamo però totalmente Hou Hsiao-hsien, in un'ottica di collaborazione tra vari autori decisi a portare nuovi contenuti e tematiche più impegnate nelle sale di Taiwan, il regista qui assume il ruolo di sceneggiatore e si presta al collega Yang anche come corpo attoriale essendo proprio lui a interpretare Lon, il protagonista maschile del film. A differenza del collega suo coetaneo (entrambi classe '47), Yang concentra il suo sguardo sulla modernizzazione della città di Taipei e degli agglomerati urbani tralasciando il parallelo con la vita nelle campagne caro a Hsiao-hsien, il tema è qui quello della spersonalizzazione che la metropoli moderna riversa sull'uomo, nel suo spirito, una spersonalizzazione immateriale che si sostanzia in una perdita di direzione, nello spaesamento così comune ancor oggi nelle società a impronta capitalista; Yang indaga  anche la perdita di personalità nell'architettura delle città, a riprova di ciò la scena dove un progettista urbano afferma di non essere più in grado di riconoscere i palazzi da lui progettati da quelli di altri professionisti causa un'omologazione devastante per la storia del Paese e per chi non riesce ad adeguarsi al nuovo modello, incapace di guardare al buono che lascia indietro, magari cancellandolo.

Lon (Hou Hsiao-hsien) e Qin (Tsai Chin) sono una giovane coppia che cerca il proprio posto nella moderna Taipei, città in fase di crescita e cambiamento, aperta alle logiche economiche dell'occidente. Le nuove generazioni hanno come modello l'America, punto di arrivo ideale della corsa al benessere, e il Giappone, ex potenza coloniale per l'isola di Taiwan, la futura identità del Paese sembra vada cercata altrove piuttosto che nelle radici dell'isola e nel suo passato. Lou invece è molto più legato alle tradizioni, agli uomini della generazione precedente, si rivela un prezioso aiuto per il padre di Qin, più della sua stessa figlia, ama ancora il baseball, sport che praticava in gioventù, fedele al suo piccolo negozio di stoffe, è un uomo lontano dalle tentazioni del facile benessere prospettato dal modello occidentale. Qin invece lavora in una grande azienda, è la segretaria personale del suo capo, una donna di successo, ma come spesso accade nella favolosa società del capitale l'azienda viene venduta e nella successiva riorganizzazione Qin, che aveva appena comprato e ammodernato un'appartamento tutto suo, si trova senza lavoro e senza saper che direzione prendere. Per la donna la speranza diventa il miraggio americano, quello della sorella di Lon che ha sposato uno statunitense, c'è la possibilità di un trasferimento e di entrare nella società del cognato, non tutto è oro quel che luccica però, i destini dei due giovani si complicheranno, la differenza di vedute farà la sua parte, il cambiamento in atto ci metterà il resto.

Le tematiche importanti affrontate da Yang sono diverse, oltre ai mutamenti della società taiwanese e le conseguenti difficoltà a cui i suoi abitanti vanno incontro, nel film si accenna a divorzi, situazioni familiari lontane dall'ottica della tradizione, argomenti difficilmente toccati in precedenza dal cinema di Taiwan, non si lesina sulle critiche a sistemi all'apparenza più moderni e accattivanti, è lo stesso Lon che racconta di come il cognato americano abbia ucciso un nero e ne sia uscito pulito (siamo nel 1985 e la storia è sempre la stessa), ed è lui a non accettare in fondo che questo diventi il suo modello di riferimento, e ancora infedeltà, corruzione, gestione poco limpida delle società, la narrazione di questa New wave assume tutt'altro spessore. Il ritratto che Yang e Hsiao-hsien dipingono è quello dello spaesamento totale dei protagonisti, in Taipei Story infatti non c'è una vera trama, ci sono situazioni, destini e prospettive di vita ai cui personaggi possono tendere senza mai che la situazione si sblocchi veramente, uomini e donne schiacciati dal nuovo che avanza e che perturba le esistenze annichilendo anche il privato dei protagonisti, una metafora di un Paese che ancora non sa in che direzione andare, strattonato da più parti dalle influenze di U.S.A., Cina e Giappone. Dal punto di vista estetico a farla da padrone è la metropoli con il suo caos, il suo sviluppo incontrollato, i palazzoni e alcune riprese notturne molto ben calibrate da Edward Yang, altro regista da studiare per approfondire il discorso sul cinema asiatico.

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