(di Paolo Sorrentino, 2024)
Parthenope è la grande bellezza. Sorrentino lo si può amare e lo si può odiare (anche se non capisco proprio come) eppure quanti sono i registi (gli uomini) capaci di "farci vedere" la bellezza come fa lui? In un passaggio chiave del film, atteso, Silvio Orlando (sempre indiscutibile) nei panni del Professor Marotta, docente universitario, finalmente svela alla sua allieva di tanti anni prima, Parthenope (Celeste Dalla Porta), cosa sia davvero l'antropologia, e la risposta alla domanda è solo all'apparenza semplicissima (tutto qua?), perché l'antropologia è secondo Marotta l'atto del saper vedere. Tutto qua. E noi sappiamo vedere? Siamo in grado di vedere in Parthenope quel che Sorrentino vuol farci vedere? Abbiamo in questo caso almeno un poco di quelle capacità da antropologo necessarie per apprezzare un film come questo Parthenope? La bellezza, perché sembra che qui stia il succo, la sappiamo riconoscere quando l'abbiamo davanti? La riusciamo a vedere? Parthenope è un film di grande bellezza, fatto da molteplici momenti della stessa, alcuni magari artificiosi, sicuramente ricercati, attinenti alla superficie delle cose, non per forza ammantati di profondità e grandi significati (ma magari sì) eppure eccoli lì, magnifici, forse fondamentali, forse accessori, ma sempre pronti per essere ammirati, per esser concupiti con lo sguardo dello spettatore innamorato del cinema, non soltanto di una storia, di una narrazione, ma anche di un'immagine, di un colore, di un movimento, di un miscuglio di musica e luce, di un panorama, in questo caso anche della bellissima Parthenope, di Napoli e di cose meno fisiche come l'eloquio, la prontezza di spirito, anche del vuoto volendo, del grottesco, dell'esagerato, dell'insistito. Della giovinezza, del tempo che passa, del ricordo, di stralci di vita.Parthenope (Celeste Dalla Porta) nasce nell'acqua, legata a questo elemento come la sirena del mito alla fondazione di Napoli (Neapolis); la secondogenita della famiglia Di Sangro ha come padrino l'armatore Achille Lauro (Alfonso Santagata), cosa che permette a tutta la famiglia di vivere una vita agiata. Siamo negli anni Cinquanta e la giovane ragazza cresce dividendosi tra l'amore di tutti i suoi parenti e conoscenti e soprattutto tra quello del fratello maggiore Raimondo (Daniele Rienzo) e quello dell'amico di sempre Sandrino (Dario Aita), entrambi innamorati, in maniera diversa, della bellissima Parthenope. Con il passare degli anni la ragazza diventa una bellezza sempre più ammirata, legata da un amore quasi morboso (o incestuoso) al fratello tiene in sospeso il rapporto con Sandrino per un tempo infinito, si concentra su altre esperienze, sull'arte della battuta ad effetto (sempre pronta), sul percorso universitario durante il quale instaurerà un rapporto di mutuo rispetto con il professor Marotta, sulle frequentazioni con i personaggi più disparati tra i quali ci saranno lo scrittore John Cheever (Gary Oldman), le dive del cinema Flora Malva (Isabella Ferrari) e Greta Cool (Luisa Ranieri) fino ad arrivare all'istrionico cardinale Tesorone (Peppe Lanzetta), incaricato del compiersi del miracolo di San Gennaro. Dopo un evento traumatico Parthenope si allontanerà momentaneamente dagli studi per esplorare nuove strade che la porteranno a conoscere lati diversi di una Napoli sempre vitale in bilico tra riti ancestrali e scenari da cartolina. La vita andrà avanti fino a raggiungere i giorni nostri, la contemporaneità del terzo scudetto vinto dal Napoli.
La bellissima Parthenope, interpretata con la giusta misura da Celeste Dalla Porta, è il centro di attrazione permanente di questo film insieme alle meraviglie naturali offerte dai luoghi di Napoli e dintorni. E forse Parthenope è davvero Napoli, un simbolo, un'appartenenza, una personificazione di alcuni degli aspetti della città e di un popolo che comunque, come ben espresso da una cinica Luisa Ranieri, è molto lontano dall'essere perfetto (monologo di grande effetto su Napoli e i napoletani). Non è semplice inquadrare dove vada Parthenope (il film, non la ragazza), la domanda da farsi potrebbe essere la seguente: "ma è davvero così importante saperlo?". Direi di no; attingendo a un'abusata banalità sembra proprio che questo sia uno di quei casi in cui il viaggio sia più importante e soverchi addirittura la meta, perché è pur vero che da qualche parte (in qualche quando, cioè all'oggi) si arriva, ma ciò che importa davvero è la forma di tutto ciò che sta nel mezzo, dai (pochi) passaggi quasi aberranti come il rito del concepimento pubblico, alla bellezza incontestabile fornita dalla regia di un Sorrentino sempre intrigante e avvolgente. È un film bello da guardare Parthenope, non sarà questo l'approccio critico più costruttivo e profondo all'opera di Sorrentino ma tant'è (e che ce ne fotte direbbero a Napoli), è anche uno dei motivi migliori per "vedere" un film, perché è bello da guardare, perché inanella sequenze una meglio riuscita dell'altra. Dall'eleganza borghese ai bassi della miseria Parthenope attraversa Napoli e la sua vita, il personaggio ha fascino da vendere, un fascino che non emana dalla sola bellezza ma da una curiosità e da una fame di vita incrinate dal dolore, elementi che delineano una protagonista che rimarrà a futura memoria, almeno all'interno del percorso sorrentiniano. Si vola così da un elemento all'altro con l'unico legame forte di una protagonista frizzante e magnetica, qualcuno storcerà il naso ma il talento di Sorrentino rimane innegabile. Potrà non piacere a tutti ma in fondo al mondo c'è anche chi non ama la pizza.
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