(Kaze no naka no mendori di Yasujirō Ozu, 1948)
Raiplay è uno dei pochi motivi per cui si accetta di buon grado l'atto del farsi togliere dei soldi dalle bollette per giustificare una tv di Stato che di quei soldi (insieme a quelli della pubblicità, certo) ne butta una buona parte in programmi di discutibile utilità. Ma va bene, in fondo bisogna accontentare tutti i palati, anche quelli dal gusto pessimo, possiamo comunque almeno consolarci con il catalogo di Raiplay che offre sempre cose più che interessanti. Ad esempio in questi giorni è attiva una sezione dedicata al cinema di Marco Bellocchio con ben tredici film a disposizione del regista emiliano, c'è sempre la sezione Fuori orario all'interno della quale ci si può sbizzarrire a trovare perle nascoste al di fuori dei soliti percorsi di visione e c'è ora anche una collezione di pellicole dedicate a un maestro del cinema giapponese: Yasujirō Ozu - Undici capolavori restaurati, tra i quali il film più vecchio, datato 1948 e quindi di pochi anni successivo alla fine del secondo conflitto mondiale, è proprio questo Una gallina nel vento, titolo che anche a visione terminata devo ammettere rimanere in qualche modo criptico. Insieme a questo titolo, per alcuni elementi atipico all'interno di una filmografia che negli anni successivi sarà quantomeno più "morbida" e pacata, vengono presentati alcuni dei film più conosciuti di Ozu tra i quali l'immancabile Viaggio a Tokyo (1953), Il gusto del sakè, ultima opera del maestro datata 1962, Il sapore del riso al tè verde (1952), i film dedicati (nei titoli) alle stagioni, per un totale appunto di undici opere messe a disposizione degli spettatori cinefili.Siamo a Tokio immediatamente dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale; Tokiko (Kinuyo Tanaka) vive in condizioni di grande povertà al piano di sopra dell'abitazione della famiglia Satake. Per vivere cerca di raggranellare dei soldi stirando in subaffido e chiedendo aiuto all'amica Akiko (Chieko Murata); di tanto in tanto Tokiko è costretta a prendere qualche oggetto tra i suoi averi personali per rivenderlo. I prezzi sono in continuo aumento, la guerra ha tagliato le gambe al Giappone e di lavoro ce n'è davvero poco, inoltre Tokiko deve crescere il piccolo Hiroshi da sola in attesa che suo marito Shūichi (Shūji Sano) torni dalla guerra. Così, sacrificio dopo sacrificio, non priva di un certo ottimismo, Tokiko cerca di tirare avanti: stira, vende i suoi kimono, si limita ad acquistare solo il necessario alla sopravvivenza; poi un giorno, improvvisamente, Hiroshi si ammala. Il bambino viene portato in ospedale, siamo purtroppo in un'epoca in cui in Giappone non è ancora stata istituita la sanità pubblica, Tokiko si troverà a dover pagare il conto dell'ospedale una volta che Hiroshi, fortunatamente ripresosi bene dalla malattia, verrà rimandato a casa. Ma i soldi non ci sono, tramite l'intercessione di una conoscente (Reiko Mizukami) Tokiko sarà costretta a prostituirsi per saldare il conto dell'ospedale; la donna confesserà tutto all'amica Akiko e poi, una volta tornato dalla guerra, al marito Shūichi che di primo acchito non prenderà affatto bene la decisione presa dalla moglie.
Con pochi accenni, all'interno della breve durata de Una gallina nel vento, Ozu mette in scena alcuni dei temi che torneranno nei suoi film successivi e alcuni che invece abbandonerà per dedicarsi a un cinema più pacato e legato ai movimenti familiari, ai fatti del quotidiano, ai cambiamenti della società visti e affrontati però con una delicatezza e uno sguardo pacificato che poco spazio lasciano a impeti violenti e sanguigni che in questo film, in maniera controllata, sono invece ancora presenti. Negli esterni uno dei pochi accenni all'arrivo della modernità, le case tradizionali giapponesi sono sovrastate da un enorme gasometro, per il resto la vita della protagonista scorre nella semplice povertà. L'impianto narrativo e sociologico, pur probabilmente non essendone né ispirato né ispiratore, ricorda l'approccio alla vita del neorealismo italiano. Nel dramma personale, quello dell'umiliazione della prostituzione ma soprattutto quello del non essere più accettata da un marito che subisce l'onta dell'umiliazione di riflesso (sebbene la moglie non avesse scelta per non far morire il piccolo Hiroshi), c'è il motivo principale del racconto di Ozu come già altrove ripreso con pochissimo movimento di macchina: inquadrature fisse, riprese ad altezza bambino (o tatami come spesso si dice per Ozu) e attenzione a pochi elementi rivelatori che diverranno protagonisti in accompagnamento ai moti dell'animo di Shūichi. Sul finale l'apertura alla speranza, la centralità della famiglia e un atto di resistenza nei confronti di un'esistenza che si prospetta per tutti non semplice ma comunque possibile.
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