(Le départ di Jerzy Skolimowski, 1967)
Il vergine, datato 1967, è il primo film che il regista Jerzy Skolimowski, polacco nato a Lodz, gira al di fuori del suo Paese, avvicinandosi con questa opera agli stilemi della Nouvelle vague francese pur essendo Il vergine (Le départ in originale) un film di produzione belga girato tra le strade e i luoghi di Bruxelles. Nel corso degli anni abbiamo imparato a conoscere il cinema di Skolimowski come qualcosa di generalmente al di fuori degli approcci più comuni e scontati alla narrazione e, anche se in maniera più giocosa e allegra rispetto ad altre occasioni, anche la struttura de Il vergine non fa certo eccezione a quanto detto poc'anzi. La partitura jazz in colonna sonora a opera del compositore Krzysztof Komeda, polacco anche lui e deceduto prematuramente un paio d'anni dopo l'uscita del film, è l'accompagnamento perfetto alla immagini di un'opera che fa della libertà anarchica il suo vero punto di forza, insieme alla presenza del sempre bravo Jean-Pierre Léaud che non può non riportare la mente dello spettatore in maniera automatica ai film di Truffaut, al suo Antoine Doinel e alle atmosfere della Nouvelle vague in generale. Un film girato con grande acume ma dal tocco leggero e divertente che varrà a Skolimowski anche un forse inaspettato Orso d'oro al Festival di Berlino del 1967, premio che viene assegnato per il miglior film, una bella soddisfazione per un regista che sta affacciandosi ad altre produzioni europee e che in futuro collaborerà con Regno Unito, Germania, Francia fino ad arrivare negli Stati Uniti d'America.Il giovane Marc (Jean-Pierre Léaud) lavora in un elegante salone di parrucchiere a Bruxelles; il ragazzo è appassionato di auto e di tanto in tanto, aiutato da un suo collega, "prende in prestito" la Porsche 911 del suo titolare (Paul Roland). Oltre a questo sistema Marc mette in piedi una serie di altri comici espedienti pur di poter usare delle belle auto sportive per andarsene in giro per la città. Iscrittosi a una gara automobilistica alla quale sarà costretto a gareggiare, per questioni di categoria, con un'auto di un certo livello, Marc pensa di poter far affidamento su uno dei soliti prestiti dell'auto del suo titolare. Mentre si avvicina il momento della gara Marc scopre che in quei giorni il suo capo non andrà a passare il solito weekend fuori città, cosa che impedirà al giovane di sgraffignare la sua auto, non resta che trovare una soluzione alternativa. In questo verrà aiutato dalla bella Michèle (Catherine Duport), una ragazza conosciuta più o meno casualmente che sarà coprotagonista di alcune delle matte avventure di Marc e alla quale il ragazzo tenterà anche di insegnare il mestiere del navigatore (l'aiuto del pilota, non quello del navigatore di mari). Ma la presenza di Michèle sarà l'occasione per questo giovane ancora così immaturo di rivedere la scala delle sue priorità.
Film vivace Le départ di Skolimowski, un'opera che non si interessa troppo di andare a creare una trama strutturata quanto di mettere in evidenza, in forma molto libera, un desiderio giovanile, una vitalità che trascende le regole (le auto si procurano con mezzi sempre arrangiati e poco leciti) e che esula dal possesso ma che si concentra sull'esperienza, sul piacere dell'atto, del desiderio anche superfluo (come capirà Marc sul finale). Dopo i problemi con la censura avuti in Polonia Skolimowski trova in Belgio una libertà rinfrancante con la quale creare un'opera vitale e soprattutto molto dinamica con le sequenze in cui Marc corre su queste auto di lusso su e giù per Bruxelles (alcuni luoghi sono molto riconoscibili) e nei suoi dintorni. Léaud, molto bravo, dona vita a un protagonista immaturo, infantile, poco concentrato sul lavoro e molto sulla sua passione, una passione che potrebbe essere vista anche come un capriccio; poi arriva Michèle e le cose un poco cambiano, non subito, anzi, la ragazza viene coinvolta nelle mattane di Marc, è lei per prima a vedere un possibile interesse per quello scavezzacollo energico e ancora da farsi, alla fine anche lui crescerà e si troverà a rivedere le sue priorità donando a Il vergine il sapore di un'iniziazione, del piccolo e divertente percorso di crescita e formazione. Nel mezzo non mancano le trovate spassose, le scelte di fronte alle quali scappa una sana risata e soprattutto le trovate di regia indovinate, realizzate in un bel bianco e nero efficace. Da riscoprire per trovare uno Skolimowski un po' più leggero del solito.
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