(The Queen's gambit di Scott Frank, 2020)
Si discute spesso di come sia difficile far vivere al meglio alcuni sport al cinema o in televisione, gesti atletici non semplici da trasportare in video senza che perdano la loro spettacolarità o la loro carica agonistica, figuriamoci quindi quanto possa essere stato difficoltoso rendere appassionante un gioco come quello degli scacchi che non presenta nessun elemento di dinamismo se non quello mentale dei due giocatori seduti davanti alla scacchiera e avvincere lo spettatore con una storia dove le partite ricoprono un'importanza rilevante, trasposizione (dal libro di Walter Tevis) non semplice da realizzare quindi, la grande sfida qui non si poneva nell'effettuare le riprese, non così proibitive date le caratteristiche degli scacchi, quanto nel catturare un qualcosa di accattivante nelle dinamiche del gioco, nella vivacità di pensiero dei giocatori, quella della protagonista in primis, e tratteggiare in questo contesto un personaggio molto particolare per il quale lo spettatore potesse arrivare a provare una forte attrazione. Come si diceva compito non semplice, eppure...La regina degli scacchi è una miniserie in sette episodi che si è guadagnata il plauso pressoché unanime di critica e pubblico portandosi a casa due Golden Globe, uno per la miglior miniserie e uno per la migliore attrice, un'eccezionale Anya Taylor-Joy protagonista di un'interpretazione superlativa. Superata qualche perplessità che potrebbe nascere lungo la visione del primo episodio dove viene narrata l'infanzia problematica della protagonista, un'orfana cresciuta in un istituto dove impara a giocare a scacchi sotto la guida del custode tuttofare della struttura, il resto della visione si trasforma poi in una corsa appassionata verso un finale che certamente arriva al termine di una traiettoria forse prevedibile e che non stupisce, ci si arriva però grazie a un viaggio di qualità altissima inserito in una confezione impeccabile, per scrittura ma anche per scenografie e costumi, due aspetti che si trasformano in puro godimento per gli occhi dello spettatore. Se proprio si vuole cercare qualche difetto in una produzione altrimenti piacevolissima e di gran qualità si potrebbe indicare proprio la mancanza di grosse sorprese nello sviluppo sempre coerente a sé stesso e qualche perplessità stimolata dalla visione del primo episodio, un po' meno coinvolgente dei successivi e con qualche situazione che può lasciare non troppo convinto lo spettatore ma che potrebbe trovare ragione d'essere nei comportamenti di un'epoca che non ci appartiene e che può sollevare in noi dubbi magari dettati anche da ignoranza (perché ad esempio imbottire sistematicamente di tranquillanti ragazzi di per sé affatto problematici? Pare fosse prassi comune negli anni 50, questa la risposta). Insomma, qualche dubbio qua e là ma per il resto La regina degli scacchi si conferma una miniserie realmente appassionante.
La giovane Beth Harmon (Anya Taylor-Joy e Isla Johnston da piccola) rimane orfana all'età di nove anni; nell'istituto che la ospita conosce la sua amica Jolene (Moses Ingram) che la introduce alle dinamiche dell'orfanotrofio, e il custode, il signor Shaibel (Bill Camp) dal quale Beth imparerà l'amore per il gioco degli scacchi. A parte il sistematico uso di tranquillanti per tener calmi i ragazzi, sostanza dalla quale Beth diverrà dipendente, la gestione dell'orfanotrofio non è oppressiva, così quando Beth rivelerà una predisposizione per gli scacchi straordinaria in una bambina della sua età, le verrà permesso di partecipare alle partite organizzate dal liceo locale e da qui passare ai primi tornei di Stato. Il mix di predisposizione congenita di Beth per gli scacchi e le reazioni chimiche provocate dai tranquillanti permettono alla ragazzina di rigiocare nella sua mente intere partite che Beth proietta sul soffitto della sua stanza in una sorta di allucinazione psichedelica. Qualche anno più tardi Beth viene adottata dalla signora Wheatley (Marielle Heller) e da suo marito, lei è una donna sulla via della depressione in cerca di una compagnia, di una gioia che pensa di poter trovare nella giovane Beth. Con il passare del tempo il rapporto tra la giovane e la sua nuova mamma diverrà in qualche modo complice e più profondo, ma per Beth aumenteranno anche le dipendenze e l'ossessione per gli scacchi, unico sfogo e ragione di vita in un'esistenza altrimenti parecchio solitaria e con forti problemi di socialità.
Costumi, scenografie, protagonista, queste le tre chiavi di un successo di grandi proporzioni. La vicenda copre un arco temporale che va dalla fine degli anni 50 alla seconda metà degli anni 60, la narrazione è inserita in una cornice storica mai troppo dominante se non per la chiara rivalità che si percepisce tra gli Stati Uniti e quella che era la vecchia U.R.S.S., l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. In questo contesto si muove una protagonista di grande fascino, un'orfana che nel crescere mantiene un'aria fredda, distaccata, immersa completamente nel mondo degli scacchi, realtà che la porterà a viaggiare, ottenere benessere, primeggiare e acquisire sicurezza ma che non le permette di avere una vita normale, di trovare integrazione, quotidianità condivisa, amore, un aspetto sottolineato più volte e molto bene dalla sceneggiatura e dall'interpretazione di una Taylor-Joy eccezionale, una donna non canonicamente bella ma di grande fascino, qui aiutata da un lavoro sui costumi magnifico, il guardaroba sfoggiato dalla protagonista nel corso degli anni, oltre a rispecchiare la moda dell'epoca, è una selezione che farebbe invidia a chiunque sia dotato di un minimo di gusto. Prezioso il lavoro fatto sulla ricostruzione dei set e di tutti gli interni: camere d'albergo, case, saloni dove si svolgono le competizioni, tutto curatissimo senza sbavatura alcuna. Da considerare anche il ruolo della protagonista in quanto donna, un unicum in un mondo di competizioni ad alto livello riservato quasi unicamente all'universo maschile, gli avversari della Harmon, tolta qualche partita al liceo, saranno tutti uomini, la sua sarà un'affermazione personale e di genere che la porterà a competere con i più grandi campioni russi. Sebbene la narrazione come già detto segua solchi già tracciati Beth Harmon, nella sua particolarità, è un personaggio al quale comunque ci si affeziona e mentre si segue con partecipazione la sua parabola non si può far altro che sperare di vederla vincere, ed è proprio grazie a lei che la serie funziona così bene, aiutata dalla scelta dei creatori di rendere molto leggere le sequenze scacchistiche senza mai entrare troppo in tecnicismi che solo gli appassionati avrebbero potuto cogliere.
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