(di Edward Yang, 1986)
Siamo nel 1986 quando Edward Yang, regista scomparso a causa di una malattia nel 2007, dirige questo The terrorizers, a due anni di distanza dall'ottimo Taipei story. Siamo ormai in piena New Wave del cinema taiwanese, una corrente che proprio Edward Yang, insieme ad altri registi, contribuì a inaugurare nel 1982 con il film collettivo In our time e della quale il regista divenne uno dei due esponenti di punta insieme al più noto Hou Hsiao-hsien. The terrorizers è l'emblema perfetto di come un cinema fino a pochi anni prima controllato da una sorta di censura di regime sia riuscito non solo a ottenere maggiori libertà nella proposta di stili e contenuti ma finanche a diventare modernissimo (o addirittura post-moderno) nel tempo di un battito di ciglia. Del cinema di Taiwan abbiamo già parlato in maniera più ampia in occasione dei pezzi su Cute girl, The green, green grass of home e I ragazzi di Feng Kuei, tutti di Hou Hsiao-hsien, e in quello su Taipei story dello stesso Yang, non staremo quindi a riassumere di nuovo le vicende che portarono alla nascita della New Wave, limitandoci qui a sottolineare come questo nuovo cinema poté finalmente affrontare temi non solo maturi ma anche scomodi per una società in forte cambiamento (fenomeno comune a molti paesi asiatici) a causa di un'apertura a modelli occidentali basati sul capitale e sul libero commercio capaci di creare nuove possibilità di sviluppo ma anche di destrutturare certezze e causare spaesamento e confusione nelle generazioni più giovani incapaci (o in forte difficoltà) nel trovare una loro via in una società sempre più mobile e confusa, uno spaesamento che traspare in maniera perfetta dalla visione di questo film con il quale Edward Yang riesce a far traballare ogni certezza anche nell'esperienza di visione dello spettatore.In una Taipei moderna e mutata dall'avvento del boom economico un giovanissimo fotografo (Jiaquing Huang) cattura l'immagine di una delinquente in erba (An Wang) fuggita dal luogo di un crimine, la giovane diverrà per il ragazzo una sorta di ossessione che scatenerà il risentimento della sua attuale compagna, Huang Chia-ching, una studentessa amante dei libri e della cultura. Zhou Yufeng (Cora Miao) e Li Lizhong (Lee Li-chun) sono sposati e rinchiusi all'interno di un matrimonio che sta pian piano appassendo: l'uomo, obnubilato dalle nuove possibilità di carriera e guadagno, cercherà con mezzi poco leciti di ottenere una promozione immeritata all'interno dell'ospedale in cui lavora, la donna è una scrittrice frustrata in piena crisi che non riesce a terminare il suo nuovo romanzo e che sta pensando di cambiare lavoro andando a impiegarsi alle dipendenze di un suo ex amante (Chin Shih-chieh). Li è inoltre amico di Gu (Ku Pao-ming), un poliziotto che sta indagando sul caso in cui è coinvolta la ragazza delle foto. In qualche modo le esistenze di questi personaggi si lambiranno in una Taipei che sembra non offrire né conforto né calore.
Quello di The terrorizers, più ancora che in Taipei story, è un cinema della confusione e dell'inafferrabile. In un periodo di mutamenti, di perdita di direzione e di valori da parte non solo dei più giovani, le storie messe in scena da Edward Yang rispecchiano il sentire del Paese, nelle mere vicende narrate ma anche nella struttura che il regista concepisce per le stesse. Non è presente infatti nessun legame forte tra le varie linee narrative di questo film, alcuni contatti tra le stesse sembrano non avere un nesso di causalità (pensiamo alla telefonata della ragazza in fuga a Zhou) bensì di casualità, anche l'incontro tra il giovane fotografo e la ragazza che lui poco a poco idealizza e che ritrae con una serie di fotografie bellissime è poco più di un'illusione, magari concreta, in carne e ossa, comunque evanescente. Lo stesso mosaico di fotografie che nella sua stanza ricrea il volto della giovane donna sembra sgretolarsi in seguito a un semplice alito di vento, è forse la metafora di un disgregamento della realtà per come finora la si era riconosciuta, come se il presente non reggesse e i protagonisti non vedessero più il loro futuro con lucidità, proprio come se avessero del fumo negli occhi (e in sottofondo passa Smoke gets in your eyes dei Platters). The terrorizers è così, un film da godere sequenza dopo sequenza, immerso in una realtà urbana a tratti respingente ma anche molto affascinante; a differenza di quanto mostrato nei primi film di Hou Hsiao-hsien che nutriva una nostalgia per la campagna in contrapposizione alle difficoltà della vita cittadina, per Yang c'è solo la metropoli, Taipei, scenario perfetto dove inscenare lo smarrimento dei nuovi sistemi. Ottimo il dipinto della città e dell'urbanizzazione da parte di Yang che tra suoni e immagini ci descrive un mondo di cemento dal quale sembra difficile trovare una via d'uscita e nel quale sembra impossibile anche solo trovare una via.
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