(di Martin Scorsese, 2023)
Il cinema ci ha mostrato in più occasioni come le fondamenta degli Stati Uniti d'America e del loro glorioso sistema del capitale siano imbevute di violenza e sangue; lo stesso Scorsese ce ne ha lasciato testimonianza con alcune opere che tornano alla gioventù della nazione (Gangs of New York) e con altre che ne esplorano le derive violente e criminose più moderne (Casinò, Quei bravi ragazzi, Mean streets); Scorsese non è stato di certo l'unico ad affrontare l'argomento, opere monumentali hanno detto la loro a questo riguardo, prendiamone una per tutte come esempio approfittandone per citare ancora una volta il fluviale I cancelli del cielo di Michael Cimino, film incompreso che distrusse la reputazione di un grande regista solo in seguito rivalutata insieme a quella del film. Con Killers of the flower moon Scorsese torna a battere su quel chiodo dando giustizia a un fatto sottaciuto della storia americana e rendendo onore e giusta considerazione alla popolazione Osage dell'Oklahoma che subì da parte dei bianchi una sottile, viscida e premeditata decimazione volta a sottrarre loro il controllo delle loro terre e relative ricchezze aumentate a dismisura dopo la scoperta nel territorio Osage di grandi quantità di petrolio, allora come oggi fonte di sconfinata prosperità. La base di partenza è il saggio dello scrittore David Grann dal titolo Gli assassini della terra rossa, adattato poi dalla sceneggiatura dello stesso regista e di Eric Roth, immancabile l'apporto musicale di Robbie Robertson, collaboratore ormai storico di Scorsese e scomparso purtroppo proprio lo scorso anno.A Fairfax in Oklahoma il reduce Ernest Burkhart (Leonardo Di Caprio) torna a casa dopo aver combattuto durante la Prima Guerra Mondiale; il giovane trova ospitalità presso lo zio William Hale (Robert De Niro), uomo molto influente nella zona e, almeno di facciata, amico del popolo Osage. Questi indiani d'America sono i proprietari di molte terre nella zona di Fairfax, terre nelle quali in tempi recenti sono stati scoperti numerosi giacimenti di petrolio che hanno portato gli Osage ad arricchirsi e a provocare le invidie e le mire di molti uomini bianchi. Burkhart inizia a lavorare come autista, le automobili vanno diffondendosi e non sono più così rare nella contea di Osage; grazie al suo lavoro l'uomo conosce Mollie Kyle (Lily Gladstone), una donna Osage appartenente a una famiglia ora molto ricca. Lo zio Hale caldeggia un'unione tra il nipote e Mollie, l'idea che il patrimonio indiano inizi a fluire verso le casse della sua famiglia solletica l'avidità dell'anziano profittatore; dal canto suo Burkhart è un vizioso al quale i soldi non fanno certo schifo, inoltre prova in effetti un'attrazione in qualche modo reale per la donna indiana, così i presupposti per una relazione duratura ci sono tutti. Nel frattempo diversi appartenenti al popolo Osage trovano la morte: strani casi di "consunzione", incidenti, morti violente. La supremazia bianca, qui puramente economica, cerca la sua strada a discapito di un popolo fin troppo ingenuo che dovrà subire l'asservimento al dio denaro dell'avido e subdolo uomo bianco.
Se The irishman poteva essere considerato una sorta di tramonto su quell'epica criminale che a più riprese Scorsese aveva portato al cinema (regalandoci tra l'altro dei veri capolavori), Killers of the flower moon potrebbe esserne l'alba o almeno manifestarsi come uno dei tasselli fondativi di un modo di fare e pensare criminale e violento che troverà terreno fertile nella costruzione dei moderni States. La sopraffazione, la violenza, l'avidità, il vizio (del gioco) sono elementi già ben presenti in questo Killers of the flower moon (ambientato prima di molte altre pellicole del Nostro), tutte caratteristiche che porteranno poi l'America e il cinema di Scorsese a essere ciò che oggi ben conosciamo; se i temi sono gli stessi trattati in più opere dal regista newyorkese, quest'ultimo film è però asciugato da quell'epica criminale che ammantava alcuni degli esiti più celebri e riusciti di Scorsese. Il film è denso, antispettacolare, corposo, costruito in maniera studiata e forte scena dopo scena, non ci sono aperture e deviazioni dalla tragedia del possesso a tutti i costi, del "tutto questo deve essere mio, deve essere nostro", la visione per una parte di pubblico potrebbe finanche risultare un poco faticosa (e la durata non aiuta). Ne esce un film di certo più potente che agile, più significativo che brillante, in questo caso il cinema di Scorsese sembra essere pensato "a tema", ci illustra un pezzo di storia poco noto e tramite quello, ancora una volta, ci porta a notare le macchie di sangue che bagnano la sua terra (intesa come Paese), ci ricorda il sacrificio degli innocenti sull'altare del dio denaro e la forza dei prepotenti. Il personaggio interpretato da De Niro è una delle più detestabili incarnazioni di quel "manifest destiny" del quale agli americani è da sempre piaciuto riempirsi la bocca, un concetto traviato e asservito alle logiche del capitale e dell'avidità, Di Caprio rappresenta un tipo di male diverso, vizioso e manipolabile, debole e altrettanto nocivo. Si salvano gli oppressi che trovano in Lily Gladstone un'ottima rappresentante probabilmente lanciata verso l'Oscar. Scorsese mette da parte lo spettacolo, non è più tempo di "divertirsi", forse è ora di cominciare a riflettere.
Concordo su tutta la linea. Ottimo lo spunto sull'alba della criminalità all'interno della sua filmografia.
RispondiEliminaGrazie Elfo, Martin non tradisce mai.
EliminaChiusa finale magnifica.
RispondiEliminaPersonalmente, l'ho adorato.
Tremo al sol pensiero che artisti come Scorsese tra un po' di anni non ci delizieranno più con le loro opere.
EliminaPubblicata oggi la recensione, di un film grande e di un regista altrettanto grande.
RispondiEliminaMostro Sacro.
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