(The unnamed di Joshua Ferris, 2010)
Opera seconda questo Non conosco il tuo nome per Joshua Ferris, autore che si era affacciato nel circuito delle librerie quattro anni prima con l'ottimo E poi siamo arrivati alla fine, esordio folgorante che in un mix di commedia e momenti più tesi e introspettivi inquadrava un gruppo di persone, tutti colleghi di lavoro, alle prese con le conseguenze della crisi e con la chiusura dello studio nel quale tutti loro sono impiegati e dal quale dipendono economicamente. Non conosco il tuo nome mantiene le aspettative (alte) che si erano create in attesa del nuovo lavoro di questo autore relativamente giovane (36 anni all'epoca dell'uscita del libro), si perdono i toni della commedia, Ferris ci accompagna in un viaggio segnato dalla malattia, una malattia inclassificabile e che non segna precedenti, un viaggio lungo il quale avremo modo di vivere insieme al protagonista Tim le conseguenze che la malattia riversa sul fisico e sulla mente di questo giovane uomo ma anche, e forse soprattutto, quanto questo accanirsi del destino sull'uomo provochi danni nelle relazioni che questi ha con la moglie Jane e con la figlia Becky, rapporto quest'ultimo già difficile di suo vista l'età di passaggio della ragazza. È una sorpresa questo Non conosco il tuo nome e allo stesso tempo la conferma del talento di uno scrittore fresco da tenere d'occhio con il dovuto interesse, combinazione che quando si presenta non può far altro che far piacere.Tim è un giovane avvocato di successo e di bell'aspetto, socio di un prestigioso studio legale di Manhattan e molto apprezzato dai veterani dello studio stesso. Tim è sposato con la bella Jane, un'agente immobiliare che vende case in quartieri in voga di New York, sua figlia Becky sta attraversando l'età dell'adolescenza in bilico tra un'attrazione di troppo per il cibo e una passione per la musica estrema e per la chitarra. Condurrebbe una bella vita Tim se non fosse per quella malattia sconosciuta e inspiegabile che porta il giovane avvocato a camminare e camminare senza sosta; incapace di controllare le sue gambe Tim deve andare, deve mettere un passo dopo l'altro verso nessuna meta, verso un luogo che di volta in volta né lui né le sue gambe possono prevedere, con ogni condizione climatica, a qualsiasi ora del giorno, qualsiasi cosa Tim stia facendo, quando parte l'impulso Tim va e deve andare fino al momento di stramazzare al suolo per la stanchezza, fino a quando quelle maledette gambe non reggono più e finalmente, solo allora, Tim si potrà addormentare. Si potrà addormentare ovunque si trovi: al freddo con il rischio di assideramento, tra i barboni, in quartieri degradati facile preda di malintenzionati, nei boschi, starà a Jane andarlo a recuperare appena passate quelle crisi che hanno una forza incontrollabile, non arginabile e imprevedibile. Alla lunga questa strana condizione di cui i medici non sanno capacitarsi minerà i rapporti dell'uomo con la sua famiglia, con i colleghi, con la sua vita.
Qual è la fonte di questa malattia? È psicologica? È fisica? Ferris si destreggia bene tra le due ipotesi che angosciano il protagonista che in cuor suo, è facile intuirlo, prega di non esser diventato del tutto matto. Non c'è risposta, non c'è causa apparente, rimane allora solo l'ipotesi della metafora, può essere che questa malattia impossibile da veder arrivare possa essere un significante tradotto in parole di un concetto che è semplicemente ogni singolo (e rilevante) imprevisto che la vita ci può presentare? un imprevisto di portata tale da mettere in dubbio un'esistenza per come fino a quel momento era stata concepita. Le cose succedono, magari ci sconvolgono, così, senza nessun motivo, eppure tocca continuare a vivere, "shit happens but life goes on" per dirla con Forrest Gump. È facile ipotizzare come il titolo Non conosco il tuo nome possa far riferimento a questa incomprensibile smania di camminare, una cosa che col tempo si può arrivare ad accettare, l'estensione al "non ne conosco le cause" un po' meno, in questo Ferris è bravo a ritagliarsi tutto il tempo necessario per cercare di farci capire cosa passi nella testa del protagonista nei momenti di crisi, descrive in maniera perfetta il pericolo di sprofondare nella follia che a un certo punto Tim si trova ad affrontare, ci regala alcuni dialoghi e momenti molto sentiti e toccanti ma soprattutto lavora molto bene sui due personaggi comprimari che diventano forse più interessanti dello stesso protagonista: Jane di fronte a una prova d'amore quasi insostenibile all'interno di un rapporto che, involontariamente, le sta comunque rovinando la vita, Becky alle prese con un processo di maturazione che nel corso del romanzo le farà cambiare la prospettiva sulla luce che la malattia ha gettato sul padre. Non è facile cambiare registro tra un primo romanzo di successo e il suo successore andando a segno entrambe le volte, a parer mio Joshua Ferris ce l'ha fatta.
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