(Birth of a Nation di David Wark Griffith, 1915)
Ciò che fece David Wark Griffith nel 1915 con il suo Nascita di una nazione oggi ci appare quasi scontato, forti di un’esperienza cinematografica costruita su centinaia e centinaia di visioni che possono spaziare dal cinema classico a quello moderno (per qualcuno addirittura dal cinema delle origini), dai film hollywoodiani a quelli d’autore, dagli esiti più canonici a quelli sperimentali. Abbiamo avuto, insomma, la fortuna d’aver visto di tutto. Nel 1915 non era così: il pubblico appassionato di immagini in movimento aveva già avuto modo di vedere molti film, ma qualcosa come Nascita di una nazione non l’aveva mai visto. Il film di Griffith viene infatti considerato dagli storici come il primo vero film narrativo della storia a consolidare i principi del cinema narrativo classico. Il cinema dell’Ottocento e quello dei primi del Novecento erano fatti di opere per lo più brevi, spesso formate da una sola inquadratura o da più inquadrature fisse; era un cinema di stampo documentaristico o un cinema “delle attrazioni”, cioè un cinema nel quale era fortemente connotata una funzione attrattiva immediata per il pubblico (una serie di gag, un atto atletico, un numero “da circo”) e nel quale ancora non era presente una concatenazione coerente di eventi, né tantomeno una vera e propria costruzione narrativa di una storia. Certo, qualche esempio c’era già stato, pensiamo a cose come La grande rapina al treno di Edwin S. Porter del 1903, o a Il viaggio nella Luna di Méliès del 1902, già ottimi e importanti esiti per un’arte che andava costruendosi film dopo film, ma nulla di paragonabile all’ambizioso progetto di Griffith, girato su 12 rulli per una durata che supera le tre ore (durata che, peraltro, regge molto bene ancora oggi) e con un budget di oltre 100.000 dollari che non furono certo rimpianti: il film portò infatti a casa un incasso record di ben 15 milioni di dollari. Il rovescio della medaglia del grande successo ottenuto dal film furono le reiterate accuse di razzismo mosse a Nascita di una nazione e a Griffith, accuse che, tutto sommato, non possono dirsi infondate. Il film fu proibito in diversi Stati dell’Unione, in alcuni anche per molti anni; in effetti l’ultima parte del film propone un’ideologia profondamente razzista che contiene quella che potrebbe quasi sembrare un’apologia del Ku Klux Klan e una visione della popolazione nera che la rappresenta come una razza selvaggia, violenta, opportunista e depravata. Griffith, figlio di un colonnello dell’esercito confederato sudista, rifiutò le accuse di razzismo, affermando che la sua era una condanna verso quei soli schiavi liberati che, a suo dire, ostacolarono la nascita della Nazione con comportamenti violenti in nome di uno spirito di vendetta verso i bianchi ex padroni.Phil (Elmer Clifton) e Tod Stoneman (Robert Harron), figli di Austin Stoneman (Ralph Lewis), un influente politico del Nord, si recano nella magione dei Cameron, amici di vecchia data della Carolina del Sud. Qui Phil si innamora della giovane Margaret (Miriam Cooper) mentre Ben (Henry B. Walthall), fratello maggiore della ragazza, si invaghisce della sorella dei due Stoneman, Elsie (Lillian Gish), pur avendola vista solo in fotografia. Tod, invece, stringe amicizia con il coetaneo Duke Cameron (Maxfield Stanley). Lo scoppio della Guerra di Secessione interrompe gli idilli e divide le due famiglie: i Cameron combattono per l’esercito confederato, mentre gli Stoneman sostengono la causa unionista. Tod e Duke muoiono al fronte, mentre Ben Cameron, gravemente ferito, viene fatto prigioniero. Con la fine della guerra e l’assassinio di Abraham Lincoln, gli Stati del Sud vengono sottoposti a un duro periodo di ricostruzione. Austin Stoneman, fervente abolizionista, sostiene le politiche che garantiscono nuovi diritti ai neri liberati, promuovendo anche la candidatura nel Sud del mulatto Silas Lynch (George Siegmann). I neri si dimostrano ben presto rozzi e violenti, incapaci di condurre un progetto politico con serietà e decenza. Turbato dal caos e dalla violenza dilaganti, Ben Cameron decide di fondare un’organizzazione che riporti “ordine” nelle terre del Sud: nasce così il Ku Klux Klan mostrato come una forza di “restaurazione morale”. Il Klan salva Elsie, rapita da Silas Lynch che vuole costringerla a sposarlo, e libera la città da quella che viene dipinta come una vera e propria “piaga nera”.
Al di là dell’innegabile afflato razzista che imperversa per almeno l’ultimo terzo del film, è chiaro come l’opera di Griffith sia un lavoro di grande maestria e una vera pietra angolare nella storia della Settima Arte. Dietro Nascita di una Nazione c’è un lavoro di découpage in grado di offrire agli spettatori dell’epoca un montaggio che tiene vivo il ritmo della narrazione senza incorrere in cadute di tono o passaggi “fiacchi”; Griffith lavora con il montaggio alternato, mostrando più eventi che si svolgono nello stesso momento, tecnica oggi abituale ma allora novità rivoluzionaria, gioca con i piani, con vari tipi di raccordo (sull’asse, di sguardo, di movimento), tutte cifre di stile, tecniche del mestiere di regista che segneranno in maniera indelebile tutto il cinema a venire. Spettacolari i campi lunghissimi per le battaglie, la colorazione di alcuni fotogrammi e la capacità di coordinare scene di massa come quelle legate alla guerra tra Nord e Sud o quelle con protagonista l’avanzata del Klan a cavallo. Risultano oggi un poco posticci gli attori bianchi pittati di nero per interpretare gli uomini di colore (quelli veri sono pochissimi) ma per il resto qui si scrive la grammatica dell’arte. Trascurando l’ideologia, al tempo peraltro diffusa e normalizzata negli Stati del Sud (e non solo), non si può che annoverare Nascita di una Nazione tra le pietre miliari di un percorso cinematografico che nel 1915 stava solo iniziando a regalare agli appassionati tutte le soddisfazioni che arriveranno con i decenni successivi.















