(The room next door di Pedro Almodóvar, 2024)
La stanza accanto è al momento l’ultimo lungometraggio della lunga carriera del regista spagnolo Pedro Almodóvar che a oggi conta ben ventiquattro titoli in filmografia. È chiara la differenza di approccio alla settima arte che passa tra la vivacità trasgressiva degli esordi e quest’opera decisamente più ragionata, pensata, messa in scena con ordine geometrico, in alcuni passaggi definibile anche come “fredda” se non fosse per i temi trattati, spinosi e tutti da regolamentare, e per la presenza carismatica di due attrici di peso a offrire, in particolar modo per quel che riguarda la Swinton, un’interpretazione di quelle capaci di portare valore aggiunto a un’opera. Per il suo primo film girato in inglese un Almodóvar newyorkese sceglie di adattare il romanzo Attraverso la vita della statunitense Sigrid Nunez, una fonte letteraria che si percepisce in maniera distinta in diversi momenti di questo La stanza accanto nel quale aleggia un sentore di “carta stampata” che dà l’impressione che il film sia fatto tanto d’inchiostro quanto di immagini in movimento, una vicinanza a un’idea di cultura propria del regista e reiterata nelle citazioni dal Gente di Dublino di Joyce e che si amplia con la presenza del cinema (Viaggio in Italia di Rossellini, Buster Keaton sul finale), dell’arte, con il dipinto di Edward Hopper Gente al sole e la biografia sulla pittrice Dora Carrington che il personaggio interpretato dalla Moore ha intenzione di scrivere. Almodóvar sembra guardare anche a un cinema diverso dal suo con una storia nella storia, presentata per brevi passaggi, come quella del padre di Martha, reduce traumatizzato dal Vietnam e poi morto da eroe per salvare i suoi fantasmi inesistenti. Sono molteplici gli elementi a ruotare attorno a questa storia che ci parla di morte.
Durante la presentazione del suo ultimo libro alla libreria Rizzoli di New York (luogo molto cinematografico), la scrittrice Ingrid Parker (Julianne Moore) incontra una vecchia conoscenza che le comunica che la loro amica comune Martha Hunt (Tilda Swinton) sta combattendo da qualche tempo con un cancro alla cervice che sembra non lasciarle molte possibilità di guarigione. Ingrid si reca così in ospedale per passare un po’ di tempo con Martha e riallacciare un rapporto perso ormai da diverso tempo. Nella sua vita Martha è stata lontana per anni, giornalista e inviata di guerra è sopravvissuta a molte situazioni pericolose e si trova a dover affrontare ora la più pericolosa di tutte, una minaccia che arriva dai capricci del proprio corpo. Dopo un graduale riavvicinamento, sessioni di confidenze tra le due donne, ricordi di uomini “condivisi” come il Damian Cunningham (John Turturro) che Ingrid ancora vede ogni tanto, e riflessioni sul cattivo modello di madre che Martha probabilmente è stata, ecco arrivare la ferale richiesta. Appurato che probabilmente non uscirà viva dall’esperienza, che le cure sperimentali alle quali si sta sottoponendo non stanno funzionando, Martha chiede a Ingrid di accompagnarla nel suo ultimo viaggio, un soggiorno tranquillo in una casa moderna immersa nel verde, non lontana dalla civiltà, dove la donna ha deciso di togliersi la vita (illegalmente) ingerendo una pillola acquistata sul dark web. Martha chiede all’amica di stare con lei per qualche giorno, un mese al massimo, di stare nella stanza accanto alla sua, Martha ha il desiderio di non morire completamente sola; Ingrid, donna timorosa della morte, non è entusiasta dell’idea, come potrebbe?, però è forse l’unica persona al mondo che potrebbe esaudire l’ultimo desiderio della sua vecchia amica.
Come già detto Almodóvar confeziona un film molto formale, misurato, pensato, finanche algido nonostante la presenza di colori pastello, anche accesi (in contrasto con la locandina monocroma), che non restituiscono mai però la sensazione di calore, anche perché le situazioni descritte forse non lo consentono. Perché, volente o nolente, trattasi comunque di un film funereo nei temi, anche se non nell’approccio vitale in più di un passaggio, la citazione da Joyce in fondo parla chiaro: “E l’anima gli si velava a poco a poco mentre ascoltava la neve che calava lieve su tutto l’universo, che calava lieve, come a segnare la loro ultima ora, su tutti i vivi e i morti”. Almodóvar, grazie al rapporto tra le due donne, alla forza d’animo di Martha, una donna che ne ha viste tante e che proprio per questo non vorrebbe morire, cesella i momenti che precedono l’inevitabile passaggio con grande dignità e grazia, con una delicatezza che a volte chiederebbe maggior struggimento ma che diventa sintomo di una comprensione del dolore e del destino che ci attende realmente sentita. Quello che si potrebbe rimproverare a La stanza accanto è la scelta di non ricercare mai una forte emotività, cosa che di per sé potrebbe non essere nemmeno sbagliata, come se lo spettatore, di fronte a temi così importanti, dovesse cercare dentro di sé il giusto approccio a questa storia personale e alla materia. Il film va poi fuori fuoco su alcuni elementi: il personaggio di Turturro (un po’ sprecato) sembra non troppo approfondito, ci si sofferma poco su riflessioni non di poco conto come l’aspetto ancora illegale dell’eutanasia e dai protagonisti forse poco affrontato e dibattuto, le stoccate al capitale, alla questione ambientale, tutte sacrosante, lasciano un po’ il tempo che trovano, sono offerte allo spettatore e poi abbandonate. Film non perfetto quindi, un po’ troppo “preciso” nel cuore della storia, comunque efficace nel rapporto tra queste due donne e tra la vita e la morte incombente, da vedere e giudicare secondo la propria sensibilità.
Assolutamente d'accordo sul freddo, algido, misurato. Però il discorso sulla legalità dell'eutanasia io l'ho trovato sin troppo articolato, quasi didascalico. Per me un film piuttosto deludente.
RispondiEliminadidascalico posso essere d'accordo, articolato non mi è sembrato, alla fine la cosa che funziona meglio sono i confronti tra le due attrici.
EliminaCerto, grande prova delle due (che forse hanno brillato a confronto delle performance insipide degli altri attori? :D); probabilmente mi ricordo il discorso articolato perché già quello che hanno detto, in realtà poco da quanto dici, mi ha annoiato.
EliminaAltri attori, Turturro a parte (sprecato), hanno poca rilevanza, sono loro a tenere su il film che nel complesso a me non è dispiaciuto, nulla di memorabile ma un buon film, un 7 via...
EliminaIo su IMDB gli ho dato 5.
EliminaCi può stare, a me non è dispiaciuto, non perfetto ma i temi, le interpretazioni, alcune location, il lavoro sui colori non mi è dispiaciuto, per me un 6,5/7 è più vicino all'impressione che ne ho avuto.
EliminaCondivido, film ben al di sotto delle attese e "salvato" dalle performance delle due grandi attrici, che nascondono un'opera ben poco empatica. Il personaggio di Turturro per me è totalmente fuori contesto, che cosa c'entri il pistolotto ecologista con un film che parla di morte non è dato saperlo...
RispondiEliminaSi, alcuni elementi sono appiccicati lì un po' a caso, nel complesso tiene bene ma non esente da sbavature.
EliminaHo espresso il mio giudizio nella recensione pubblicata giorni fa, comunque aggiungo che per fortuna c'erano due attrici notevoli, altrimenti sarebbe risultato un flop.
RispondiEliminaLoro fanno la differenza.
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