Ogni tempo porta con sé le sue gioie e le sue disgrazie, chi come me è nato verso la metà dei 70 ha probabilmente avuto la fortuna di arrivare in ritardo, o comunque in età davvero troppo tenera, per vivere sulla pelle quella grande tragedia che fu la massima diffusione dell'eroina tra la seconda metà dei 70 e gli 80 del secolo scorso. Ciò nonostante non era raro o inusuale, anzi, vedere qualcuno dei ragazzi più grandi spegnersi a poco a poco e d'improvviso, un giorno, scomparire. Le storie si sentivano, le vittime si conoscevano, era tutto reale, le siringhe erano a terra, ovunque, anche a scuola, spesso rimanevano infilate nelle braccia di ragazzi ancora troppo giovani. È nei primi anni di esplosione di questa piaga, a Berlino, una delle città più colpite dal fenomeno, che è ambientata la trasposizione del libro omonimo scritto dai giornalisti Kai Hermann e Horst Rieck sulla base delle testimonianze della protagonista Christiane Vera Felscherinow. Il regista Uli Edel, tornato alla ribalta nel decennio scorso grazie agli ottimi esiti del film La banda Baader Meinhof, asciuga di parecchio il libro eliminando dal film le riflessioni sulla società dell'epoca e mettendo poco sotto i riflettori le ragioni che stanno dietro le scelte di questi ragazzi che, più o meno consapevolmente, decidono di imbarcarsi in un viaggio che facilmente sarà senza ritorno. Si concentra invece sugli episodi, sul rapporto dei protagonisti tra di loro e con le droghe, sono poco presenti anche le famiglie e le figure di riferimento di questi ragazzi che in alcuni casi c'erano ed erano ben presenti. Queste scelte di regia scatenarono all'epoca d'uscita del film alcune critiche anche dure, non tanto per il rapporto del film con la sua fonte d'origine, quanto per la mitizzazione di alcune figure, per la critica dell'epoca fin troppo accattivanti, e per il relativo rischio che queste proiettassero sui giovani spettatori più uno spirito e un desiderio d'emulazione che non un forte senso di repulsione e orrore per le vicende narrate. Senza voler qui fare un paragone troppo approfondito con un'opera letteraria persa ormai nel ricordo d'una lettura avvenuta più d'un decennio fa, questo tipo di critica al film di Edel mi sembra ingiusta, volendo interpretare però anche la parte dell'avvocato del diavolo c'è da dire che anche queste, le critiche, andrebbero valutate all'interno di un contesto storico nel quale potevano sembrare certamente più fondate, proprio a causa della dimensione tragica che stava assumendo un fenomeno che indubbiamente generava molta paura e preoccupazione per le giovani generazioni. Mi sembra però che Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, almeno oggi che siamo meno immersi nel problema, vada a segno in quelli che erano i suoi intenti, per quanto si possa trovare qualche punto d'empatia con i protagonisti, e questo succede, sono chiarissimi tutti i rischi e il degrado, fisico, morale e sociale, alle quali una forte dipendenza può portare, così come è chiara la quasi inevitabile fine alla quale chi intraprende questa strada è destinato. Così come il libro, magari in misura minore, questo film è un bel documento di un'epoca storica ben precisa, di un fenomeno che non è mai stato debellato definitivamente e quindi da non dimenticare. A fissare nel tempo la vicenda, anche se con qualche contraddizione e in maniera non precisissima, c'è la musica di David Bowie che in quegli anni si trasferisce a Berlino, spinto anche dal desiderio di allontanarsi da una sua dipendenza dalla cocaina, dove creerà la celebre trilogia berlinese dalla quale diversi pezzi finiranno poi nel film di Edel. L'artista compare all'interno del film nei panni di sé stesso durante un concerto al quale Christiane (Natja Brunckhorst) e alcuni amici assisteranno, la presenza di Bowie e delle sue musiche contribuiranno in buona parte al successo del film.
La storia è quella di Christiane, quattordicenne che sta affrontando la separazione dei genitori e la conseguente decisione della sorella più piccola di lasciare casa per andare a vivere con il padre. Questa situazione spinge la ragazza verso la sua amica Kessi (Daniela Jaeger) insieme alla quale inizierà a frequentare le serate del Sound, discoteca nella quale gira qualsiasi tipo di droga. Vivendo le notti di una Berlino quanto mai ottundente, Christiane lega con Detlef (Thomas Haustein) e il suo gruppo di amici. L'escalation dall'uso dei primi acidi a quello delle droghe pesanti sarà graduale ma rapido, porterà la protagonista a vivere lo squallore delle notti tossiche berlinesi, l'esperienza dell'astinenza e quella della prostituzione. La messa in scena di Edel, oltre a restituire alcuni sguardi interessanti sulla città, assesta anche diversi colpi bassi, soprattutto se pensiamo al film in un'ottica educativa, con la possibilità magari di farlo vedere in qualche scuola a scopo didattico. Il film, che in quest'ottica sicuramente sarebbe interessante per contenuti, presenta qualche sequenza potenzialmente disturbante per gli animi più sensibili (e per i tanti allergici agli aghi), una su tutte la scena della disintossicazione con rigetto finale. Quello che viene meglio rappresentato è la discesa nello squallore e nella debolezza fisica, ma soprattutto mentale, che impedisce ai tanti ragazzi protagonisti del film di uscire da una tossicodipendenza che ormai li ha segnati in maniera ineluttabile. Al netto di critiche ormai datate, la buona fede del regista sembra evidente lungo il percorso di un film che ha tutte le potenzialità per far aprire gli occhi ai più giovani su una piaga e su un periodo che rischiamo di iniziare a dimenticare.
Un cult che ancora oggi ho difficoltà a guardare. Bello, ma davvero crudo...
RispondiEliminaHa dei passaggi duri, tollerabili per un adulto, sicuramente segnanti per un adolescente.
EliminaGrazie Cassidy, purtroppo mi sembra un film che è un po' uscito dalle programmazioni, serve proprio il passaparola per non dimenticarlo. Cerchiamo di contribuire in qualche maniera.
RispondiEliminaHo letto il libro meno di un anno fa e devo dire che mi piacque molto.
RispondiEliminaAvevo voglia di rivivere sulla carta gli anni '90 e mi lanciai nel recupero delle opere letterarie giovanili apprezzate in quel periodo, tra cui il libro di Christiane F.
Da quando lessi il libro ne è passato di tempo, ne conservo un ottimo ricordo, uno di quei libri che varrebbe la pena rileggere.
EliminaCapolavorissimo, mica lo sapevo delle critiche per quei motivi.
RispondiEliminaOttima analisi.
Un film storico, poi Bowie attira vabbè, ma resta un titolo cult.
Moz-
Uno di quei film che bisognerebbe vedere, uno di quei libri che bisognerebbe leggere.
EliminaVista la mia non più tenera età me le ricordo bene le feroci critiche che accompagnarono il film all'epoca,riflesso pavloviano alla crudezza del film stesso.Disturbante ed inquietante ma alla fine ci fa riflettere riportandoci alla nostra natura di Homo sapiens.
RispondiEliminaPer motivi legati sempre all'età io invece le critiche non le ricordo personalmente, avevo 6 anni e altri interessi. Mi viene da pensare che queste siano stato molto condizionate, anche comprensibilmente se vogliamo, oltre che dalla crudezza del film, anche dal momento storico e dalla portata dei danni che l'eroina proiettava sulle giovani generazioni dell'epoca. Fil e libro ad ogni modo di valore.
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